A che serve l'estate - La notte degli estremi/Lussuria
di
Browserfast
genere
etero
– Tu sei completamente scema! Che cazzo ti dice la capoccia non si capisce…
Serena si lamenta e protesta mentre la trascino in mezzo alla calca. Non so se questo sia il modo migliore per far perdere le nostre tracce, ma ci provo. Non vorrei che quella lì mi saltasse addosso proprio qui in mezzo. Ok, lo ammetto. Scopargli il ragazzo e poi andarglielo pure a dire non è stata un’idea brillantissima. Ma lo ammetto adesso che scrivo. Lì, sul momento, mi pareva una genialata molto divertente.
E infatti, mentre dico a Serena “dai-dai-dai” e me la tiro dietro, quasi non riesco a smettere di ridere. Così come non riesco a smettere di ridere mentre le dico che forse è meglio eclissarci proprio e tornare al porto. Lei protesta e dice che aveva voglia di divertirsi, le rispondo che anche a Hvar ci sono un sacco di posti. Ma soprattutto, non riesco a smettere di ridere. Sarà che sono ubriaca, sarà l’euforia per la stronzata che ho appena fatto, ma la mia è una risata quasi isterica che non si ferma mai.
Solo mentre siamo sulla navetta riesco a calmarmi. Cioè, calmarmi è una parola grossa. Diciamo che riesco a calmare le mie risatine e ad annunciarle solennemente:
– Sere, io però ho un problema abbastanza serio…
– Quale dei tanti?
– Ho ancora voglia… – le dico.
– Uh? Non ti è bastato?
– No – rispondo mordendomi il labbro – tra l’altro non sono nemmeno venuta… è stato bellissimo ma non sono venuta…
– A quello posso pensarci io… – sussurra Serena prima di darmi l’ennesimo e scandaloso bacio lesbico di fronte a tutta l’altra gente della quale ormai non ce ne frega più un cazzo.
– Voglio anche quello – le mormoro ansimando quando ci stacchiamo – voglio tutto… Non mi dire che a te è bastato quello che hai fatto a Paul…
Finiamo in un club dove siamo state la sera del pub crawl. Il più fighetto, forse non proprio adatto a noi, ma chi lo sa. In ogni caso, è l’unico che mi ricordo bene dov’è.
Proprio mentre ci affacciamo incrociamo un tipo che si appresta ad andarsene. E’ un uomo di colore, sui quarant’anni. Non molto alto, un po’ stempiato, capelli corti, ricci e neri, barba. Ricorda molto Jeffrey Wright da giovane, non so se avete presente. Sennò googlate, non posso sempre dirvi tutto io. E’ vestito in modo un po’ improbabile, persino per questo posto: pantaloni bianchi attillati e camicia azzurra. Anche la giacca è bianca. Mentre ci appare davanti se la sta infilando con un movimento sinuoso. Scrolla le spalle e poi si aggiusta il pacco, evidentissimo. Due-tre secondi in tutto, forse quattro. Una delle immagini più erotiche che mi sia mai capitato di vedere. Si allontana con una strafiga, anche lei di colore, anche lei vestita di bianco e ingioiellata, che ci rende immediatamente chiaro che quella immagine erotica non è roba che fa per noi. Serena si paralizza letteralmente al mio fianco.
– No, dai, se fai così mi prende un infarto alla fregna… – esala. E non si capisce bene se dica a lui, a me o a se stessa.
Un po’ mi viene da ridere per la battuta, un po’ devo combattere con una contrazione che quasi mi stende.
– Te lo domando un’altra volta – le miagolo – non mi dire che ti è bastato il pompino a Paul…
Non risponde, ma mi domanda “tu non hai le mutandine sotto, vero?” poggiandomi una mano su un fianco. Le dico “non ci pensare nemmeno”, ma allo stesso tempo sono contenta che me l’abbia ricordato. Avere voglia è un conto, dare spettacolo un altro.
Entriamo e Serena saluta un ragazzo che se ne sta andando anche lui in compagnia di uno che, boh, a giudicare dall’età potrebbe essere suo padre. Lo vedo a malapena, le chiedo chi sia e lei mi dice che è uno che un pomeriggio è venuto alla spiaggia al baracchino dei jet ski. E’ quello che li noleggia. “Ma tu non c’eri – aggiunge – bel tipo”. Le lancio un’occhiata ironica e lei protesta: “Ho detto solo che è un bel tipo!”. Ma è chiaro che ormai abbiamo una specie di chiodo conficcato in testa.
Quasi immediatamente veniamo abbordate da due tedeschi. Terribili, come è terribile il loro inglese. Quaranta-quarantacinque anni e mogli chissà dove (hanno entrambi la fede al dito). Poiché però la prima cosa che fanno è offrirci una birra, accettiamo. Non so se abbiano capito quello che abbiamo detto anche a loro, ossia che siamo qui in attesa dei nostri fidanzati che arriveranno domani, ne dubito. Tuttavia la seconda cosa che fanno è perfetta per mandarli affanculo. “Dove ci portate quando andiamo via di qui?”, chiedono più o meno. E lo chiedono con un tono che lascia intendere: “Quanto volete?”. Serena schizza in piedi e, secondo me, è incazzata sul serio. La seguo facendo l’offesa anche io. In realtà penso che su due cretini fatti e finiti come questi la cosa più seria da fare sia mettersi a ridere.
Si infila dentro il bagno e per me è quasi una benedizione. Mentre eravamo al tavolo con i due imbecilli ho sentito il telefono vibrare tre volte. Quando Serena mi ha chiesto chi cazzo fosse ho detto “mia madre”, ma non era vero. Era Debbie, la mia amica olandese. E quando ho letto il suo nome tutto intorno è scomparso: i due tedeschi, la gente che sghignazzava mezza ubriaca intorno a noi e, mi dispiace dirlo, la stessa Serena. Non vedevo l’ora di rimanere sola per leggere i suoi tre messaggi su WhatsApp. A Serena, lo sapete, non ho mai detto nulla di noi due.
Debbie mi aveva scritto poche ore fa che “aveva fatto una cosa da pazza”. Mi aveva detto che stava per uscire con delle amiche e che me ne avrebbe parlato in seguito. Me ne ero dimenticata, ok, ma adesso la rivelazione arriva. Solo che arriva con la premessa: “Non è stata la cosa più da pazza che ho fatto stasera”. Vado avanti a leggere e mi racconta che ha baciato un ragazzo gay incontrato al bar della piscina del suo albergo, a Ibiza. Mi dice anche – ma sei proprio troia, amica mia – di avergli fatto capire in ogni modo che avrebbe voluto fargli un pompino ma che lui ha rifiutato, le ha detto che avrebbe tradito il suo modo di essere e non se la sentiva. “Ma gliel’ho toccato, e ce l’aveva durissimo”, scrive Debbie.
Il secondo messaggio è molto più lungo. Racconta che è appena rientrata in albergo, ma che non riesce a dormire nonostante debba ripartire in mattinata. “Stasera ho scopato il mio primo 40enne, cosa buffa se pensi che una settimana fa ho fatto un pompino a un ragazzino di diciotto anni”. Scrive che era uno con gli occhi blu, da vero porco dice. Pochi capelli purtroppo, per fortuna tagliati corti.
“Ah, scusa, non te l’ho detto – aggiunge la mia amica olandese – ma c’è una cosa che se non la sai non puoi capire: avevo da poco scopato con uno con cui ero già stata qualche giorno fa, e il tipo lo sapeva. O comunque lo immaginava, mi aveva vista che uscivo dalla sua stanza e ha anche fatto finta di credere che fosse il mio fidanzato. Quando gli ho detto che non lo era ha fatto per un po’ lo scemo e mi ha offerto una sigaretta, mi ha messa seduta sulle sue gambe, come se niente fosse, come se ci conoscessimo da sempre. A un certo punto mi ha messo una mano sul culo, sfacciatamente, e mi ha detto: ‘tu mi scoperesti vero?’ con quel tono tipo ‘una troia come te non mi dirà di no, lo so’. E subito dopo mi ha messo una mano sulla figa. Non ci potevo credere, quasi davanti a tutti. Un gesto di possesso incredibile, senza pudore. Tu non hai idea di che energia mi ha messo quella mano sulla mia figa dopo che avevo scopato da poco. Era come se fosse roba sua. E io ho sentito che in quel momento lo era. Sono come impazzita e l’ho baciato. Me lo sono portato in stanza, e mentre andavamo mi ha messo una mano nello spacco della gonna e poi nelle mutandine. E poi un dito dentro. Mi sono sentita mancare. In stanza mi ha spogliata e mi ha scopata subito, senza tante storie, doggystyle. Ma lo speravo anche io che facesse così. In realtà sono sorpresa che non mi abbia inculata e un po’ mi dispiace pure. Non aveva una grande dotazione ma è stato il modo che mi ha fatta impazzire”.
Leggo “sent me crazy” e sento una goccia che mi scende giù dalla coscia. Chiudo gli occhi e mi faccio un film, un film porno: il ragazzo di Tutta-tette che mi mette una mano sulla fregna; accanto a lui questo tizio che fa lo stesso con Debbie. Entrambe strizziamo gli occhi ma sentiamo benissimo l’una la presenza dell’alta. Le nostre spalle nude si sfiorano, tremiamo dal piacere e dalla voglia. Prigioniere, entrambe, di quella cosa che stasera ci ha mandate fuori di testa a migliaia di chilometri di distanza l’una dall’altra: il gesto di possesso di un maschio.
Sto colando scandalosamente davanti al bagno. Serena esce e mi chiede cosa cazzo ho fatto. Le dico “la birra” e, benedicendo la mia innata capacità di inventare cazzate sul momento, mi fiondo dentro il box lasciato libero dalla mia amica. Mi chiudo dentro e leggo il terzo messaggio di Debbie, stavolta cortissimo e esplosivo: “Come avrei voluto che fossi qui a leccarmi lo sperma che colava fuori, Sletje”. Devo farlo, resistere è impossibile. Mi infilo due dita dentro e si sente lo sciack-ciack della mia acqua. Mi immagino Debbie che in piedi e a gambe spalancate mi tiene la testa tra le cosce e mi dice “lecca Sletje, fammi godere che poi ti farò inculare dal mio amico”. Mi fermo, credo, pochi secondi prima dell’orgasmo, ma proprio pochi. Giusto perché mi torna in mente una cosa che proprio Debbie mi disse per davvero l’estate scorsa: arriva al limite ma non lo superare, resta in tensione e poi mettiti in caccia. Mi fermo ma è un’impresa, ho la testa che mi gira e tutto il resto del mio corpo che urla.
Torno fuori e sorrido a Serena. Deve pensare che sia completamente sbronza. Di certo non sa che, se la sua è una voglia, il mio è diventato ormai un bisogno. Veniamo abbordate da quattro ragazzi croati. Uno è abbastanza carino, gli altri è meglio dimenticarli. E’ poi è un mezzo disastro, sanno un po’ di inglese smozzicato e la conversazione va avanti a gesti. Ci balliamo un po’ al ritmo di una musica orribile e ci facciamo offrire un’altra tequila. Serena mi dice che non è il caso, che sono quattro. Vorrei dirle che con quello carino, per me, il caso sarebbe anche subito, anche dietro l’angolo in piedi contro il muro. Se non lo faccio non è perché mi prenda una botta di lucidità ma perché sono loro a considerare finita la serata. Uno di loro picchietta sull’orologio, è ora di andare. Sono le due e mezza, chissà che cazzo devono fare.
No, mi sono sbagliata, non devono fare un cazzo. Il fatto è che qui chiude. Alle due e mezza? E che palle… Serena osserva il mio gesto di stizza e mi squadra, mi afferra per le spalle. “Tutto bene?”, “Sì sì…”. “Bevuto troppo?”, “non troppissimo, dai…”. “Andiamo a casa?”, “ce la fai a guidare?”, “forse…”.
Come cazzo sarebbe a dire “forse”? Su uno scooterone che non hai mai portato e una strada tutte curve, sbronza quasi quanto me. Ci sarebbe da mettersi a piangere, io invece scoppio a ridere. Mi metto a sedere su uno scalino, incurante del fatto che sotto la mini non porto nulla. Serena si avvicina e mi serra le gambe tra le sue. Mi guarda dall’alto in basso e mi sorride. Dentro quel sorriso ci saranno mille voglie. Io invece mi sento addosso un po’ di desolazione per la serata già finita.
E’ mentre stiamo così, a guardarci, che ci rimorchiano Stefano e Magic. Chi lo sa da quanto tempo stanno lì a guardarci, manco me ne ero accorta. Ci fanno “romane pure voi, eh? che fate?”. Che facciamo? Accettiamo proposte, no? Tipo quella di andarci a scolare le Karlovacko che hanno in mano sugli scalini del molo, a un centinaio di metri da qui. Che poi non si capisce perché proprio su questi scalini, quando abbiamo una comoda panchina alle spalle, ma chissenefrega.
Sono due ragazzi completamente diversi tra loro, fisicamente parlando intendo. Uno non è tanto alto, sarà più o meno quanto me, poco sotto l’uno e ottanta. Moro, minuto, anche se sotto alla maglietta si intuisce un fisico guizzante e asciutto. L’altro invece è molto più il mio tipo: alto, belle spalle, braccia che promettono di stritolarti e rigirarti come vuole lui. Il fatto è, però, che quello più piccolino è di una bellezza devastante, davvero il più bel ragazzo che abbia conosciuto, più bello di Lapo. E’ chiaramente di origine asiatica, se per intero o per metà non saprei dire. Ma ha i capelli neri neri e corti, gli occhi un po’ tagliati ma non tanto, neri anch’essi, un sorriso perfetto e di una sincerità disarmante. L’altro non si può dire che sia brutto, ma obiettivamente non può competere.
Forse è per via di tutto questo che mi sembra assolutamente necessario mettere in chiaro una cosa. O forse perché, ve l’ho detto, sono ubriaca.
– Scusa, ma che cazzo di nome sarebbe Magic?
Ride e risponde che lo chiamano così da quando era piccolo, che il suo vero nome sarebbe José Martìn ma che pure sua madre lo chiama Magic, è una cosa nata in famiglia e nessuno si ricorda bene il perché. Io sghignazzo e, mentre lo faccio, mi colpisce un pensiero: dove cavolo ti ho già visto? Ma non ci faccio molto caso, anche perché Serena nel frattempo si fa dire che anche l’altro, Stefano, è di Roma, ma non ci vive più da un po’. E’ da un paio di anni che si è trasferito a Modena per lavoro. Però si conoscono da tanto, sono amici, giocavano a rugby insieme. “Voi giocavate a rugby?”, domando perché non mi pare proprio che ne abbiano il fisico. Cioè, Stefano un po’ sì, ma l’altro… “Guarda che quello bravo era lui… – risponde Stefano indicando l’amico – comunque alla fine abbiamo smesso, eravamo stanchi di farci menare”.
Andiamo avanti così, cazzeggiando per una ventina di minuti e raccontando loro del lavoro che facciamo al bar di Mario sulla spiaggia. Loro vogliono sapere dove si trova e che magari un giorno di questi ci verranno a fare un salto con le loro ragazze. Alla parola “ragazze” mi prende, non lo so, una specie di tuffo al cuore. Penso che sono simpatici, leggeri, non invadenti né volgari. Ma mi stavo abituando all’idea che alla fine le cose sarebbero andate in un certo modo e invece, mi sa, manco per il cazzo…
Se non fosse che Serena vuole sapere dove siano ora le loro ragazze e Magic risponde che fino ad oggi lavoravano, che saranno qui domani, “noi siamo arrivati con le moto, loro vengono in aereo”. Serena scoppia a ridere e io la imito. “Ma dai, ma questa è la cazzata che ci siamo inventate noi!”, gli fa. I ragazzi ci guardano come due sceme e domandano “cioè?”.
– Cioè abbiamo passato la serata a farci offrire da bere e a ballare dicendo che i nostri ragazzi hanno perso il traghetto da Spalato – spiega Serena.
– E perché? – chiede Magic.
– Per toglierci dalle palle quelli troppo insistenti… – risponde Serena – sentite, non è che avreste una canna?
Magic interroga Stefano con lo sguardo, l’amico gli fa “ce la siamo sparata prima” e poi, rivolto a noi due, “ce l’abbiamo a casa”. Mi metto a ridere un’altra volta, gli dico “che scusa del cazzo, ma non eravate fidanzati?”. Lui prima mi domanda “e che cazzo c’entra?” ma subito dopo capisce e mi fa “oh, ok , se vuoi ci vado io da solo a prenderla”. Magic lo ferma e dice “no, vado io, dai bionda accompagnami”. Mi tende la mano e mi fa alzare, lo seguo quasi inconsapevolmente. Non so nemmeno di cosa parliamo, il modo in cui mi ha convinta ad accompagnarlo mi ha completamente intontita. Serena mi grida dietro “occhio Annalisa!” e poi scoppia a ridere, completamente partita anche lei. Io non so cosa ci trovi da ridere, mi sento come soggiogata, ma in un modo completamente diverso da quello che potete pensare voi. Mi sento soggiogata dalla sua bellezza, dai suoi modi gentili e spigliati, da come sia sempre pronto a ridere senza sembrare scemo. Mi piace il suo odore, mi attira. Quasi mi vergogno di avere avuto, prima, voglia di fare sesso con uno che non sia lui.
Sale in casa, nemmeno ci prova a portarmi su. Torniamo indietro con la roba e ci facciamo due cannoni sghignazzando su stronzate assurde. I due ragazzi ridono molto quando gli racconto di quei tre al chioschetto che mi dicevano le cose più volgari senza sapere che fossi italiana e che li capivo. D’un tratto Stefano prende Serena e le mette la lingua in bocca. Da come la mia amica reagisce deve averlo fatto anche quando noi non c’eravamo. Le chiede “posso dirglielo?” e lei ride. Ma è una risata affermativa.
– A Magic… lo sai che ste due lesbicano?
Magic guarda Serena e poi guarda me. Io divento, penso, viola. E’ forse la prima volta che odio Serena. Perché gliel’ha detto? Guardo Magic quasi disperata, come se volessi dirgli “non è come pensi, io è te che voglio”. Ma nella pratica non dico un cazzo, sono allibita.
– E Annalisa stasera ha dato le mutandine a uno che le ha fatto un ditalino, e si è anche scopata il ragazzo di una stronza che le ha insultate… questa invece ha fatto una pompa a uno che le ha offerto da bere…
Magic mi guarda. Non so dire che espressione abbia, ma in realtà non me ne frega un cazzo di descriverla. Sono io che vorrei sprofondare, ma perché, perché, perché? Poi, ad un tratto, capisco che c’è un motivo se lo chiamano Magic.
– Guarda che non me ne frega un cazzo, mica ti giudico… se ti andava hai fatto bene.
Il tutto detto con il tono più serafico del mondo, come se Serena gli avesse spiegato perché ho comprato un vestito piuttosto che un altro, che ne so.
Mi volto verso Serena, che ha ripreso a limonare con Stefano. Mi pento di averla odiata, mi prende l’angoscia di ciò che Magic potrebbe pensare di lei. Gli dico “perdonala, ha bevuto troppo…”. Lui mi risponde “anche tu, e anche io, ma chissenefrega?”. Ed è in questo preciso istante, proprio in questo, che vorrei che mi facesse sua. Non che mi scopasse, cercate di capire la differenza ogni tanto, cazzo, vorrei che mi facesse sua. Sua. Forse sono eccessiva, e anche troppo ubriaca, ma ho una voglia matta di essere sua in ogni modo e in ogni istante della giornata. Gli sussurro “è vero, sei magico” sprofondando nei suoi occhi neri. Ma la mia voce viene sovrastata da Serena che fa l’oca e che dice “no, dai, portateci a casa”. E da Stefano che le risponde “certo che vi portiamo a casa, vi portiamo a casa nostra”. Lei sghignazza, lui la tira su e la bacia. Magic mi domanda “ti va?”.
Sì che mi va, direi di sì anche se fossi molto meno ubriaca di come sono ora. Mi va di stare con te. E se proprio devo dirla tutta, in questo momento anche il sesso è passato in secondo piano. Se proprio devo dirla tutta, improvvisamente non ho più quella urgenza. Vorrei che mi mettessi a nanna, che mi riaccompagnassi a casa domani mattina, vorrei chiederti “che fai stasera?”, dimenticando completamente che aspetti che arrivi la tua ragazza. Dimenticando completamente che, sì, insomma, è proprio come con Goffredo, la stessa identica situazione. Ma non ci penso, non colgo la coincidenza, la sfiga. Quella che se fossi un po’ meno sbroccata mi farebbe dire “ma vaffanculo, ma tutti così? ma veniteci da soli in vacanza, no? o almeno tutti insieme, a coppie, così una non fa certi pensieri, non si illude”. Invece no, nulla, non ci penso. Mi perdo del tutto, mi basta sentire che cammina un passo dietro a me per non capire più nulla. Mi fermo, lasciando che Serena e Stefano ci sfilino davanti in questo vicoletto buio che sto percorrendo per la seconda volta in pochi minuti. Camminano e continuano a limonare come polipi. Appoggio la schiena al petto di Magic e, voltando solo la testa, gli sorrido “mi piaci, mi piaci proprio tanto, sai?”. Sorride anche lui e mi fa “anche tu” e per la prima volta mi bacia. Non dico di stare comodissima, così, con la testa tesa all’indietro mentre cerco di non far finire mai questo bacio, ma chissenefrega. Lui mi stringe con le braccia sullo stomaco, risale su, mi cerca le tette, se ne impossessa. E sì, d’accordo, è un approccio sessuale, ma non è la cosa più importante. La cosa più importante è che l’abbia fatto perché aveva voglia di farlo. Vorrei dirgli che può farmi qualsiasi cosa. Dal limonarmi allo scoparmi, oppure rispondere alla domanda che non gli ho ancora fatto ma che mi frulla in testa: ma dov’è che ti ho visto, prima d’ora?
Non dico e non faccio niente di tutto questo, mi giro e gli intreccio le braccia al collo, porto la mia bocca sulla sua aprendo scandalosamente le labbra per sentire un’altra volta la sua lingua. Quando mi stacco gli dico “lo sai che oggi faccio venti anni?”. Non risponde, ma il suo sorriso e il suo sguardo valgono più di mille “auguri!”. Vanno benissimo. E vanno benissimo le sue mani sui miei fianchi, va benissimo anche la sua mano che si intrufola sotto la mini, tra le gambe. Smette di baciarmi e mi sorride, sussurra “ma allora è vero che hai dato le mutandine a quello, pensavo che fosse una cazzata”. Mi sento devastata da un brivido, ma nemmeno ora penso che il gesto preluda a qualcos’altro. E’ come se fossi dentro una specie di gioco. Gli ridacchio addosso, gli dico come se scherzassi “sei un porco”, ma l’ultima vocale mi si strozza in gola perché lui sì, invece, lui sta pensando al sesso e mi infila un dito dentro, quasi di colpo. E oddio quanto sono bagnata, non ci avevo fatto caso. Lo bacio tremando e mugolandogli in bocca, gli ripeto “sei un porco” ma con un tono molto meno scherzoso di prima, è un tono che dice “adesso fammelo vedere quanto sei porco davvero”. Mi struscio gemendo mentre lui mi esplora la vagina e mi fa “dovresti vedere quegli altri due…”. Mi volto un po’ appannata e vedo Stefano che, senza nemmeno averla spinta contro il muro, ha sbottonato i micro shorts di Serena, ci ha infilato la mano dentro e le sta facendo la stessa cosa che Magic sta facendo a me ma in modo molto più rude, la sta letteralmente scopando con le dita. E lei reagisce esattamente come se fosse scopata. Gli mugola in bocca, si contorce, fa scattare indietro la testa mordendosi il labbro, offre le tette al suo petto, gli stringe una natica, gli cerca il cazzo con l’altra mano.
Miagolo “oddio!” e poi… beh, avevamo detto che c’è una casa, no? E niente, adesso sì che mi è risalita la voglia di prima, Magic. Prepotente, incontrollabile. Mi va di stare con te ma a sto punto ho anche voglia di te, voglio che mi scopi. Te lo farei anche in questo vicoletto un pompino, eh? Oppure mi calerei la mini e mi appoggerei al muro aspettando di essere infilzata un’altra volta così, questa sera. Anzi, te lo implorerei proprio di infilzarmi. Ma magari a casa stiamo più comodi, no? Senza rischiare di disturbare nessuno o, peggio, di essere disturbati. Che se c’è una cosa che proprio non vorrei adesso è essere disturbata.
E in fondo è solo per questo che mi stacco da lui e lo prendo per mano. Sì, d’accordo, sarebbe proprio una bella idea succhiare quel dito con cui mi hai violata, mimare un pompino guardandoti negli occhi, assicurandoti silenziosamente che con la bocca so fare anche meglio. Ma magari un’altra volta, ok? Adesso corriamo a casa e tira fuori le chiavi, perché non so se ce la faccio ad aspettare che le cerchi, le prendi dalla tasca e le infili nella serratura. Perché sono io la tua serratura, adesso. Mi metto a camminare veloce, trascinandolo. Lui mi ride alle spalle. Ridi, Magic, ridi che mi piace anche la tua risata.
Quando sento la porta sbattere, richiudendosi, io sono già in ginocchio nell’ingresso. La mini me la sono tolta sul pianerottolo, scalciandola ridendo dentro casa. Serena e Stefano sono entrati proprio mentre Magic mi stava sfilando il top. Ascolto i rumori che fanno, ma non li vedo nemmeno. Sono troppo concentrata su questi cazzo di pantaloni, cazzo! Beh, che vi devo dire? Che sono delusa perché ce l’ha piccolo? Ma chissenefrega, mi piace, è il suo, mi piace da morire. Stai a vedere che in un momento come questo mi preoccupo delle dimensioni. E a parte l’odore di cazzo che come al solito mi stende, se proprio volete che ve lo confessi penso esattamente il contrario, penso che potrò farlo impazzire meglio, che sarà più facile. Perché la mia priorità assoluta, in questo momento, è proprio questa: farlo impazzire. Anzi, prima ce n’è un’altra, spogliati Magic, togliti tutto anche tu perché ho voglia di vedere come sei fatto.
Forse dovrei essere dispiaciuta di non riuscire a concentrarmi anche su altro, di non riuscire a godere del “mammamia” che Serena si lascia scappare dall’altra stanza. Anzi, è proprio un “MAMMAMIA!” che non lascia proprio alcun dubbio. In un altro momento magari penserei “niente preliminari, eh? wow”, ma ora come ore sono troppo presa dall’ansimare di Magic, molto meno rumoroso ma molto più gratificante per me. Dalla sua mano sulla nuca che mi spinge leggera, promettendo di farsi più serrata, più prepotente, tra un po’. Dal suo “cazzo, che bello” che gli sfugge come un soffio.
Tirarmi su senza lasciarmi arrivare in fondo, anche questo è bello sai? Spingermi per metri e metri, facendomi camminare all’indietro senza capire un cazzo, farmi atterrare su un letto a gambe spalancate e ridendo, anche questo, però, è “cazzo che bello”, lo devo ammettere. Anche sentirsi spiaccicata dal suo peso, cercata, infilzata, aperta è “cazzo che bello”. Anche lo strillo che gli riservo lo è. Anche il “sono la tua troia!” che gli urlo un attimo prima di non cominciare a capire più un cazzo, lo è.
Dai cazzo, parla, insultami, che non ce la faccio più… Mi conosco, sai? Lo so che magari tra qualche secondo perdo la testa, mi si spegne tutto e inizio a urlare sconcezze assurde… Ma adesso, dai-dai, adesso è il momento che riesco solo a piagnucolare “sì”. Più di “sì” non mi viene. Vorrei, te lo giuro, ma non mi riesce. Parla tu, parla. Dimmelo pure tu che stanotte sono la tua troia, sgualdrina da quattro soldi, offendimi tutto l’albero genealogico, ma dimmi qualcosa, parla tu, ti prego. Soprattutto dimmi che sono tua, qualsiasi cosa, anche la più indegna, ma tua. Perché anche le parole, sai?, anche le parole mi fanno uscire fuori quasi quanto il tuo cazzo dentro di me, il tuo corpo sopra di me, la tua bellezza nei miei occhi.
E’ così, è così. Sono appena tornata da un orgasmo e ne voglio ancora, di tutto. E se è vero che le parole mi fanno sbroccare beh, cazzo, mai sbroccata è stata più grande di quella che sta per arrivare ora. E’ un fulmine, non me l’aspetto.
Entra Stefano con Serena, abbracciata al suo collo che nemmeno un koala. Li vedo poco, ma può benissimo essere che lui sia ancora dentro di lei.
– Facciamo cambio?
E’ una scossa. No, non voglio, non adesso.
– Aspetta un attimo… – gli risponde Magic fermandosi – aspetta un attimo…
Sì, un attimo, un attimo di benessere, di felicità piena. Poi un’altra scossa, che non so decifrare appieno. E’ come se mi dicesse, sì, “tu ora sei mia”, ma in un modo che non mi aspettavo proprio.
– Girati… – mi fa – girati bionda, che adesso ti inculo…
CONTINUA
Serena si lamenta e protesta mentre la trascino in mezzo alla calca. Non so se questo sia il modo migliore per far perdere le nostre tracce, ma ci provo. Non vorrei che quella lì mi saltasse addosso proprio qui in mezzo. Ok, lo ammetto. Scopargli il ragazzo e poi andarglielo pure a dire non è stata un’idea brillantissima. Ma lo ammetto adesso che scrivo. Lì, sul momento, mi pareva una genialata molto divertente.
E infatti, mentre dico a Serena “dai-dai-dai” e me la tiro dietro, quasi non riesco a smettere di ridere. Così come non riesco a smettere di ridere mentre le dico che forse è meglio eclissarci proprio e tornare al porto. Lei protesta e dice che aveva voglia di divertirsi, le rispondo che anche a Hvar ci sono un sacco di posti. Ma soprattutto, non riesco a smettere di ridere. Sarà che sono ubriaca, sarà l’euforia per la stronzata che ho appena fatto, ma la mia è una risata quasi isterica che non si ferma mai.
Solo mentre siamo sulla navetta riesco a calmarmi. Cioè, calmarmi è una parola grossa. Diciamo che riesco a calmare le mie risatine e ad annunciarle solennemente:
– Sere, io però ho un problema abbastanza serio…
– Quale dei tanti?
– Ho ancora voglia… – le dico.
– Uh? Non ti è bastato?
– No – rispondo mordendomi il labbro – tra l’altro non sono nemmeno venuta… è stato bellissimo ma non sono venuta…
– A quello posso pensarci io… – sussurra Serena prima di darmi l’ennesimo e scandaloso bacio lesbico di fronte a tutta l’altra gente della quale ormai non ce ne frega più un cazzo.
– Voglio anche quello – le mormoro ansimando quando ci stacchiamo – voglio tutto… Non mi dire che a te è bastato quello che hai fatto a Paul…
Finiamo in un club dove siamo state la sera del pub crawl. Il più fighetto, forse non proprio adatto a noi, ma chi lo sa. In ogni caso, è l’unico che mi ricordo bene dov’è.
Proprio mentre ci affacciamo incrociamo un tipo che si appresta ad andarsene. E’ un uomo di colore, sui quarant’anni. Non molto alto, un po’ stempiato, capelli corti, ricci e neri, barba. Ricorda molto Jeffrey Wright da giovane, non so se avete presente. Sennò googlate, non posso sempre dirvi tutto io. E’ vestito in modo un po’ improbabile, persino per questo posto: pantaloni bianchi attillati e camicia azzurra. Anche la giacca è bianca. Mentre ci appare davanti se la sta infilando con un movimento sinuoso. Scrolla le spalle e poi si aggiusta il pacco, evidentissimo. Due-tre secondi in tutto, forse quattro. Una delle immagini più erotiche che mi sia mai capitato di vedere. Si allontana con una strafiga, anche lei di colore, anche lei vestita di bianco e ingioiellata, che ci rende immediatamente chiaro che quella immagine erotica non è roba che fa per noi. Serena si paralizza letteralmente al mio fianco.
– No, dai, se fai così mi prende un infarto alla fregna… – esala. E non si capisce bene se dica a lui, a me o a se stessa.
Un po’ mi viene da ridere per la battuta, un po’ devo combattere con una contrazione che quasi mi stende.
– Te lo domando un’altra volta – le miagolo – non mi dire che ti è bastato il pompino a Paul…
Non risponde, ma mi domanda “tu non hai le mutandine sotto, vero?” poggiandomi una mano su un fianco. Le dico “non ci pensare nemmeno”, ma allo stesso tempo sono contenta che me l’abbia ricordato. Avere voglia è un conto, dare spettacolo un altro.
Entriamo e Serena saluta un ragazzo che se ne sta andando anche lui in compagnia di uno che, boh, a giudicare dall’età potrebbe essere suo padre. Lo vedo a malapena, le chiedo chi sia e lei mi dice che è uno che un pomeriggio è venuto alla spiaggia al baracchino dei jet ski. E’ quello che li noleggia. “Ma tu non c’eri – aggiunge – bel tipo”. Le lancio un’occhiata ironica e lei protesta: “Ho detto solo che è un bel tipo!”. Ma è chiaro che ormai abbiamo una specie di chiodo conficcato in testa.
Quasi immediatamente veniamo abbordate da due tedeschi. Terribili, come è terribile il loro inglese. Quaranta-quarantacinque anni e mogli chissà dove (hanno entrambi la fede al dito). Poiché però la prima cosa che fanno è offrirci una birra, accettiamo. Non so se abbiano capito quello che abbiamo detto anche a loro, ossia che siamo qui in attesa dei nostri fidanzati che arriveranno domani, ne dubito. Tuttavia la seconda cosa che fanno è perfetta per mandarli affanculo. “Dove ci portate quando andiamo via di qui?”, chiedono più o meno. E lo chiedono con un tono che lascia intendere: “Quanto volete?”. Serena schizza in piedi e, secondo me, è incazzata sul serio. La seguo facendo l’offesa anche io. In realtà penso che su due cretini fatti e finiti come questi la cosa più seria da fare sia mettersi a ridere.
Si infila dentro il bagno e per me è quasi una benedizione. Mentre eravamo al tavolo con i due imbecilli ho sentito il telefono vibrare tre volte. Quando Serena mi ha chiesto chi cazzo fosse ho detto “mia madre”, ma non era vero. Era Debbie, la mia amica olandese. E quando ho letto il suo nome tutto intorno è scomparso: i due tedeschi, la gente che sghignazzava mezza ubriaca intorno a noi e, mi dispiace dirlo, la stessa Serena. Non vedevo l’ora di rimanere sola per leggere i suoi tre messaggi su WhatsApp. A Serena, lo sapete, non ho mai detto nulla di noi due.
Debbie mi aveva scritto poche ore fa che “aveva fatto una cosa da pazza”. Mi aveva detto che stava per uscire con delle amiche e che me ne avrebbe parlato in seguito. Me ne ero dimenticata, ok, ma adesso la rivelazione arriva. Solo che arriva con la premessa: “Non è stata la cosa più da pazza che ho fatto stasera”. Vado avanti a leggere e mi racconta che ha baciato un ragazzo gay incontrato al bar della piscina del suo albergo, a Ibiza. Mi dice anche – ma sei proprio troia, amica mia – di avergli fatto capire in ogni modo che avrebbe voluto fargli un pompino ma che lui ha rifiutato, le ha detto che avrebbe tradito il suo modo di essere e non se la sentiva. “Ma gliel’ho toccato, e ce l’aveva durissimo”, scrive Debbie.
Il secondo messaggio è molto più lungo. Racconta che è appena rientrata in albergo, ma che non riesce a dormire nonostante debba ripartire in mattinata. “Stasera ho scopato il mio primo 40enne, cosa buffa se pensi che una settimana fa ho fatto un pompino a un ragazzino di diciotto anni”. Scrive che era uno con gli occhi blu, da vero porco dice. Pochi capelli purtroppo, per fortuna tagliati corti.
“Ah, scusa, non te l’ho detto – aggiunge la mia amica olandese – ma c’è una cosa che se non la sai non puoi capire: avevo da poco scopato con uno con cui ero già stata qualche giorno fa, e il tipo lo sapeva. O comunque lo immaginava, mi aveva vista che uscivo dalla sua stanza e ha anche fatto finta di credere che fosse il mio fidanzato. Quando gli ho detto che non lo era ha fatto per un po’ lo scemo e mi ha offerto una sigaretta, mi ha messa seduta sulle sue gambe, come se niente fosse, come se ci conoscessimo da sempre. A un certo punto mi ha messo una mano sul culo, sfacciatamente, e mi ha detto: ‘tu mi scoperesti vero?’ con quel tono tipo ‘una troia come te non mi dirà di no, lo so’. E subito dopo mi ha messo una mano sulla figa. Non ci potevo credere, quasi davanti a tutti. Un gesto di possesso incredibile, senza pudore. Tu non hai idea di che energia mi ha messo quella mano sulla mia figa dopo che avevo scopato da poco. Era come se fosse roba sua. E io ho sentito che in quel momento lo era. Sono come impazzita e l’ho baciato. Me lo sono portato in stanza, e mentre andavamo mi ha messo una mano nello spacco della gonna e poi nelle mutandine. E poi un dito dentro. Mi sono sentita mancare. In stanza mi ha spogliata e mi ha scopata subito, senza tante storie, doggystyle. Ma lo speravo anche io che facesse così. In realtà sono sorpresa che non mi abbia inculata e un po’ mi dispiace pure. Non aveva una grande dotazione ma è stato il modo che mi ha fatta impazzire”.
Leggo “sent me crazy” e sento una goccia che mi scende giù dalla coscia. Chiudo gli occhi e mi faccio un film, un film porno: il ragazzo di Tutta-tette che mi mette una mano sulla fregna; accanto a lui questo tizio che fa lo stesso con Debbie. Entrambe strizziamo gli occhi ma sentiamo benissimo l’una la presenza dell’alta. Le nostre spalle nude si sfiorano, tremiamo dal piacere e dalla voglia. Prigioniere, entrambe, di quella cosa che stasera ci ha mandate fuori di testa a migliaia di chilometri di distanza l’una dall’altra: il gesto di possesso di un maschio.
Sto colando scandalosamente davanti al bagno. Serena esce e mi chiede cosa cazzo ho fatto. Le dico “la birra” e, benedicendo la mia innata capacità di inventare cazzate sul momento, mi fiondo dentro il box lasciato libero dalla mia amica. Mi chiudo dentro e leggo il terzo messaggio di Debbie, stavolta cortissimo e esplosivo: “Come avrei voluto che fossi qui a leccarmi lo sperma che colava fuori, Sletje”. Devo farlo, resistere è impossibile. Mi infilo due dita dentro e si sente lo sciack-ciack della mia acqua. Mi immagino Debbie che in piedi e a gambe spalancate mi tiene la testa tra le cosce e mi dice “lecca Sletje, fammi godere che poi ti farò inculare dal mio amico”. Mi fermo, credo, pochi secondi prima dell’orgasmo, ma proprio pochi. Giusto perché mi torna in mente una cosa che proprio Debbie mi disse per davvero l’estate scorsa: arriva al limite ma non lo superare, resta in tensione e poi mettiti in caccia. Mi fermo ma è un’impresa, ho la testa che mi gira e tutto il resto del mio corpo che urla.
Torno fuori e sorrido a Serena. Deve pensare che sia completamente sbronza. Di certo non sa che, se la sua è una voglia, il mio è diventato ormai un bisogno. Veniamo abbordate da quattro ragazzi croati. Uno è abbastanza carino, gli altri è meglio dimenticarli. E’ poi è un mezzo disastro, sanno un po’ di inglese smozzicato e la conversazione va avanti a gesti. Ci balliamo un po’ al ritmo di una musica orribile e ci facciamo offrire un’altra tequila. Serena mi dice che non è il caso, che sono quattro. Vorrei dirle che con quello carino, per me, il caso sarebbe anche subito, anche dietro l’angolo in piedi contro il muro. Se non lo faccio non è perché mi prenda una botta di lucidità ma perché sono loro a considerare finita la serata. Uno di loro picchietta sull’orologio, è ora di andare. Sono le due e mezza, chissà che cazzo devono fare.
No, mi sono sbagliata, non devono fare un cazzo. Il fatto è che qui chiude. Alle due e mezza? E che palle… Serena osserva il mio gesto di stizza e mi squadra, mi afferra per le spalle. “Tutto bene?”, “Sì sì…”. “Bevuto troppo?”, “non troppissimo, dai…”. “Andiamo a casa?”, “ce la fai a guidare?”, “forse…”.
Come cazzo sarebbe a dire “forse”? Su uno scooterone che non hai mai portato e una strada tutte curve, sbronza quasi quanto me. Ci sarebbe da mettersi a piangere, io invece scoppio a ridere. Mi metto a sedere su uno scalino, incurante del fatto che sotto la mini non porto nulla. Serena si avvicina e mi serra le gambe tra le sue. Mi guarda dall’alto in basso e mi sorride. Dentro quel sorriso ci saranno mille voglie. Io invece mi sento addosso un po’ di desolazione per la serata già finita.
E’ mentre stiamo così, a guardarci, che ci rimorchiano Stefano e Magic. Chi lo sa da quanto tempo stanno lì a guardarci, manco me ne ero accorta. Ci fanno “romane pure voi, eh? che fate?”. Che facciamo? Accettiamo proposte, no? Tipo quella di andarci a scolare le Karlovacko che hanno in mano sugli scalini del molo, a un centinaio di metri da qui. Che poi non si capisce perché proprio su questi scalini, quando abbiamo una comoda panchina alle spalle, ma chissenefrega.
Sono due ragazzi completamente diversi tra loro, fisicamente parlando intendo. Uno non è tanto alto, sarà più o meno quanto me, poco sotto l’uno e ottanta. Moro, minuto, anche se sotto alla maglietta si intuisce un fisico guizzante e asciutto. L’altro invece è molto più il mio tipo: alto, belle spalle, braccia che promettono di stritolarti e rigirarti come vuole lui. Il fatto è, però, che quello più piccolino è di una bellezza devastante, davvero il più bel ragazzo che abbia conosciuto, più bello di Lapo. E’ chiaramente di origine asiatica, se per intero o per metà non saprei dire. Ma ha i capelli neri neri e corti, gli occhi un po’ tagliati ma non tanto, neri anch’essi, un sorriso perfetto e di una sincerità disarmante. L’altro non si può dire che sia brutto, ma obiettivamente non può competere.
Forse è per via di tutto questo che mi sembra assolutamente necessario mettere in chiaro una cosa. O forse perché, ve l’ho detto, sono ubriaca.
– Scusa, ma che cazzo di nome sarebbe Magic?
Ride e risponde che lo chiamano così da quando era piccolo, che il suo vero nome sarebbe José Martìn ma che pure sua madre lo chiama Magic, è una cosa nata in famiglia e nessuno si ricorda bene il perché. Io sghignazzo e, mentre lo faccio, mi colpisce un pensiero: dove cavolo ti ho già visto? Ma non ci faccio molto caso, anche perché Serena nel frattempo si fa dire che anche l’altro, Stefano, è di Roma, ma non ci vive più da un po’. E’ da un paio di anni che si è trasferito a Modena per lavoro. Però si conoscono da tanto, sono amici, giocavano a rugby insieme. “Voi giocavate a rugby?”, domando perché non mi pare proprio che ne abbiano il fisico. Cioè, Stefano un po’ sì, ma l’altro… “Guarda che quello bravo era lui… – risponde Stefano indicando l’amico – comunque alla fine abbiamo smesso, eravamo stanchi di farci menare”.
Andiamo avanti così, cazzeggiando per una ventina di minuti e raccontando loro del lavoro che facciamo al bar di Mario sulla spiaggia. Loro vogliono sapere dove si trova e che magari un giorno di questi ci verranno a fare un salto con le loro ragazze. Alla parola “ragazze” mi prende, non lo so, una specie di tuffo al cuore. Penso che sono simpatici, leggeri, non invadenti né volgari. Ma mi stavo abituando all’idea che alla fine le cose sarebbero andate in un certo modo e invece, mi sa, manco per il cazzo…
Se non fosse che Serena vuole sapere dove siano ora le loro ragazze e Magic risponde che fino ad oggi lavoravano, che saranno qui domani, “noi siamo arrivati con le moto, loro vengono in aereo”. Serena scoppia a ridere e io la imito. “Ma dai, ma questa è la cazzata che ci siamo inventate noi!”, gli fa. I ragazzi ci guardano come due sceme e domandano “cioè?”.
– Cioè abbiamo passato la serata a farci offrire da bere e a ballare dicendo che i nostri ragazzi hanno perso il traghetto da Spalato – spiega Serena.
– E perché? – chiede Magic.
– Per toglierci dalle palle quelli troppo insistenti… – risponde Serena – sentite, non è che avreste una canna?
Magic interroga Stefano con lo sguardo, l’amico gli fa “ce la siamo sparata prima” e poi, rivolto a noi due, “ce l’abbiamo a casa”. Mi metto a ridere un’altra volta, gli dico “che scusa del cazzo, ma non eravate fidanzati?”. Lui prima mi domanda “e che cazzo c’entra?” ma subito dopo capisce e mi fa “oh, ok , se vuoi ci vado io da solo a prenderla”. Magic lo ferma e dice “no, vado io, dai bionda accompagnami”. Mi tende la mano e mi fa alzare, lo seguo quasi inconsapevolmente. Non so nemmeno di cosa parliamo, il modo in cui mi ha convinta ad accompagnarlo mi ha completamente intontita. Serena mi grida dietro “occhio Annalisa!” e poi scoppia a ridere, completamente partita anche lei. Io non so cosa ci trovi da ridere, mi sento come soggiogata, ma in un modo completamente diverso da quello che potete pensare voi. Mi sento soggiogata dalla sua bellezza, dai suoi modi gentili e spigliati, da come sia sempre pronto a ridere senza sembrare scemo. Mi piace il suo odore, mi attira. Quasi mi vergogno di avere avuto, prima, voglia di fare sesso con uno che non sia lui.
Sale in casa, nemmeno ci prova a portarmi su. Torniamo indietro con la roba e ci facciamo due cannoni sghignazzando su stronzate assurde. I due ragazzi ridono molto quando gli racconto di quei tre al chioschetto che mi dicevano le cose più volgari senza sapere che fossi italiana e che li capivo. D’un tratto Stefano prende Serena e le mette la lingua in bocca. Da come la mia amica reagisce deve averlo fatto anche quando noi non c’eravamo. Le chiede “posso dirglielo?” e lei ride. Ma è una risata affermativa.
– A Magic… lo sai che ste due lesbicano?
Magic guarda Serena e poi guarda me. Io divento, penso, viola. E’ forse la prima volta che odio Serena. Perché gliel’ha detto? Guardo Magic quasi disperata, come se volessi dirgli “non è come pensi, io è te che voglio”. Ma nella pratica non dico un cazzo, sono allibita.
– E Annalisa stasera ha dato le mutandine a uno che le ha fatto un ditalino, e si è anche scopata il ragazzo di una stronza che le ha insultate… questa invece ha fatto una pompa a uno che le ha offerto da bere…
Magic mi guarda. Non so dire che espressione abbia, ma in realtà non me ne frega un cazzo di descriverla. Sono io che vorrei sprofondare, ma perché, perché, perché? Poi, ad un tratto, capisco che c’è un motivo se lo chiamano Magic.
– Guarda che non me ne frega un cazzo, mica ti giudico… se ti andava hai fatto bene.
Il tutto detto con il tono più serafico del mondo, come se Serena gli avesse spiegato perché ho comprato un vestito piuttosto che un altro, che ne so.
Mi volto verso Serena, che ha ripreso a limonare con Stefano. Mi pento di averla odiata, mi prende l’angoscia di ciò che Magic potrebbe pensare di lei. Gli dico “perdonala, ha bevuto troppo…”. Lui mi risponde “anche tu, e anche io, ma chissenefrega?”. Ed è in questo preciso istante, proprio in questo, che vorrei che mi facesse sua. Non che mi scopasse, cercate di capire la differenza ogni tanto, cazzo, vorrei che mi facesse sua. Sua. Forse sono eccessiva, e anche troppo ubriaca, ma ho una voglia matta di essere sua in ogni modo e in ogni istante della giornata. Gli sussurro “è vero, sei magico” sprofondando nei suoi occhi neri. Ma la mia voce viene sovrastata da Serena che fa l’oca e che dice “no, dai, portateci a casa”. E da Stefano che le risponde “certo che vi portiamo a casa, vi portiamo a casa nostra”. Lei sghignazza, lui la tira su e la bacia. Magic mi domanda “ti va?”.
Sì che mi va, direi di sì anche se fossi molto meno ubriaca di come sono ora. Mi va di stare con te. E se proprio devo dirla tutta, in questo momento anche il sesso è passato in secondo piano. Se proprio devo dirla tutta, improvvisamente non ho più quella urgenza. Vorrei che mi mettessi a nanna, che mi riaccompagnassi a casa domani mattina, vorrei chiederti “che fai stasera?”, dimenticando completamente che aspetti che arrivi la tua ragazza. Dimenticando completamente che, sì, insomma, è proprio come con Goffredo, la stessa identica situazione. Ma non ci penso, non colgo la coincidenza, la sfiga. Quella che se fossi un po’ meno sbroccata mi farebbe dire “ma vaffanculo, ma tutti così? ma veniteci da soli in vacanza, no? o almeno tutti insieme, a coppie, così una non fa certi pensieri, non si illude”. Invece no, nulla, non ci penso. Mi perdo del tutto, mi basta sentire che cammina un passo dietro a me per non capire più nulla. Mi fermo, lasciando che Serena e Stefano ci sfilino davanti in questo vicoletto buio che sto percorrendo per la seconda volta in pochi minuti. Camminano e continuano a limonare come polipi. Appoggio la schiena al petto di Magic e, voltando solo la testa, gli sorrido “mi piaci, mi piaci proprio tanto, sai?”. Sorride anche lui e mi fa “anche tu” e per la prima volta mi bacia. Non dico di stare comodissima, così, con la testa tesa all’indietro mentre cerco di non far finire mai questo bacio, ma chissenefrega. Lui mi stringe con le braccia sullo stomaco, risale su, mi cerca le tette, se ne impossessa. E sì, d’accordo, è un approccio sessuale, ma non è la cosa più importante. La cosa più importante è che l’abbia fatto perché aveva voglia di farlo. Vorrei dirgli che può farmi qualsiasi cosa. Dal limonarmi allo scoparmi, oppure rispondere alla domanda che non gli ho ancora fatto ma che mi frulla in testa: ma dov’è che ti ho visto, prima d’ora?
Non dico e non faccio niente di tutto questo, mi giro e gli intreccio le braccia al collo, porto la mia bocca sulla sua aprendo scandalosamente le labbra per sentire un’altra volta la sua lingua. Quando mi stacco gli dico “lo sai che oggi faccio venti anni?”. Non risponde, ma il suo sorriso e il suo sguardo valgono più di mille “auguri!”. Vanno benissimo. E vanno benissimo le sue mani sui miei fianchi, va benissimo anche la sua mano che si intrufola sotto la mini, tra le gambe. Smette di baciarmi e mi sorride, sussurra “ma allora è vero che hai dato le mutandine a quello, pensavo che fosse una cazzata”. Mi sento devastata da un brivido, ma nemmeno ora penso che il gesto preluda a qualcos’altro. E’ come se fossi dentro una specie di gioco. Gli ridacchio addosso, gli dico come se scherzassi “sei un porco”, ma l’ultima vocale mi si strozza in gola perché lui sì, invece, lui sta pensando al sesso e mi infila un dito dentro, quasi di colpo. E oddio quanto sono bagnata, non ci avevo fatto caso. Lo bacio tremando e mugolandogli in bocca, gli ripeto “sei un porco” ma con un tono molto meno scherzoso di prima, è un tono che dice “adesso fammelo vedere quanto sei porco davvero”. Mi struscio gemendo mentre lui mi esplora la vagina e mi fa “dovresti vedere quegli altri due…”. Mi volto un po’ appannata e vedo Stefano che, senza nemmeno averla spinta contro il muro, ha sbottonato i micro shorts di Serena, ci ha infilato la mano dentro e le sta facendo la stessa cosa che Magic sta facendo a me ma in modo molto più rude, la sta letteralmente scopando con le dita. E lei reagisce esattamente come se fosse scopata. Gli mugola in bocca, si contorce, fa scattare indietro la testa mordendosi il labbro, offre le tette al suo petto, gli stringe una natica, gli cerca il cazzo con l’altra mano.
Miagolo “oddio!” e poi… beh, avevamo detto che c’è una casa, no? E niente, adesso sì che mi è risalita la voglia di prima, Magic. Prepotente, incontrollabile. Mi va di stare con te ma a sto punto ho anche voglia di te, voglio che mi scopi. Te lo farei anche in questo vicoletto un pompino, eh? Oppure mi calerei la mini e mi appoggerei al muro aspettando di essere infilzata un’altra volta così, questa sera. Anzi, te lo implorerei proprio di infilzarmi. Ma magari a casa stiamo più comodi, no? Senza rischiare di disturbare nessuno o, peggio, di essere disturbati. Che se c’è una cosa che proprio non vorrei adesso è essere disturbata.
E in fondo è solo per questo che mi stacco da lui e lo prendo per mano. Sì, d’accordo, sarebbe proprio una bella idea succhiare quel dito con cui mi hai violata, mimare un pompino guardandoti negli occhi, assicurandoti silenziosamente che con la bocca so fare anche meglio. Ma magari un’altra volta, ok? Adesso corriamo a casa e tira fuori le chiavi, perché non so se ce la faccio ad aspettare che le cerchi, le prendi dalla tasca e le infili nella serratura. Perché sono io la tua serratura, adesso. Mi metto a camminare veloce, trascinandolo. Lui mi ride alle spalle. Ridi, Magic, ridi che mi piace anche la tua risata.
Quando sento la porta sbattere, richiudendosi, io sono già in ginocchio nell’ingresso. La mini me la sono tolta sul pianerottolo, scalciandola ridendo dentro casa. Serena e Stefano sono entrati proprio mentre Magic mi stava sfilando il top. Ascolto i rumori che fanno, ma non li vedo nemmeno. Sono troppo concentrata su questi cazzo di pantaloni, cazzo! Beh, che vi devo dire? Che sono delusa perché ce l’ha piccolo? Ma chissenefrega, mi piace, è il suo, mi piace da morire. Stai a vedere che in un momento come questo mi preoccupo delle dimensioni. E a parte l’odore di cazzo che come al solito mi stende, se proprio volete che ve lo confessi penso esattamente il contrario, penso che potrò farlo impazzire meglio, che sarà più facile. Perché la mia priorità assoluta, in questo momento, è proprio questa: farlo impazzire. Anzi, prima ce n’è un’altra, spogliati Magic, togliti tutto anche tu perché ho voglia di vedere come sei fatto.
Forse dovrei essere dispiaciuta di non riuscire a concentrarmi anche su altro, di non riuscire a godere del “mammamia” che Serena si lascia scappare dall’altra stanza. Anzi, è proprio un “MAMMAMIA!” che non lascia proprio alcun dubbio. In un altro momento magari penserei “niente preliminari, eh? wow”, ma ora come ore sono troppo presa dall’ansimare di Magic, molto meno rumoroso ma molto più gratificante per me. Dalla sua mano sulla nuca che mi spinge leggera, promettendo di farsi più serrata, più prepotente, tra un po’. Dal suo “cazzo, che bello” che gli sfugge come un soffio.
Tirarmi su senza lasciarmi arrivare in fondo, anche questo è bello sai? Spingermi per metri e metri, facendomi camminare all’indietro senza capire un cazzo, farmi atterrare su un letto a gambe spalancate e ridendo, anche questo, però, è “cazzo che bello”, lo devo ammettere. Anche sentirsi spiaccicata dal suo peso, cercata, infilzata, aperta è “cazzo che bello”. Anche lo strillo che gli riservo lo è. Anche il “sono la tua troia!” che gli urlo un attimo prima di non cominciare a capire più un cazzo, lo è.
Dai cazzo, parla, insultami, che non ce la faccio più… Mi conosco, sai? Lo so che magari tra qualche secondo perdo la testa, mi si spegne tutto e inizio a urlare sconcezze assurde… Ma adesso, dai-dai, adesso è il momento che riesco solo a piagnucolare “sì”. Più di “sì” non mi viene. Vorrei, te lo giuro, ma non mi riesce. Parla tu, parla. Dimmelo pure tu che stanotte sono la tua troia, sgualdrina da quattro soldi, offendimi tutto l’albero genealogico, ma dimmi qualcosa, parla tu, ti prego. Soprattutto dimmi che sono tua, qualsiasi cosa, anche la più indegna, ma tua. Perché anche le parole, sai?, anche le parole mi fanno uscire fuori quasi quanto il tuo cazzo dentro di me, il tuo corpo sopra di me, la tua bellezza nei miei occhi.
E’ così, è così. Sono appena tornata da un orgasmo e ne voglio ancora, di tutto. E se è vero che le parole mi fanno sbroccare beh, cazzo, mai sbroccata è stata più grande di quella che sta per arrivare ora. E’ un fulmine, non me l’aspetto.
Entra Stefano con Serena, abbracciata al suo collo che nemmeno un koala. Li vedo poco, ma può benissimo essere che lui sia ancora dentro di lei.
– Facciamo cambio?
E’ una scossa. No, non voglio, non adesso.
– Aspetta un attimo… – gli risponde Magic fermandosi – aspetta un attimo…
Sì, un attimo, un attimo di benessere, di felicità piena. Poi un’altra scossa, che non so decifrare appieno. E’ come se mi dicesse, sì, “tu ora sei mia”, ma in un modo che non mi aspettavo proprio.
– Girati… – mi fa – girati bionda, che adesso ti inculo…
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