100.000 anni prima di Saffo

di
genere
saffico

Pochi gesti, pochi suoni in quel rudimentale linguaggio, ma ad Hayena bastò per capire perfettamente. L'istinto fece il resto, il pericolo mortale non ammetteva esitazioni:
l'avvertimento della madre era stato tempestivo.
La ragazza velocissima quanto silenziosa scappò perdendosi fra le tenebre. Presto la raggiunse la sua tigre ed insieme scomparirono nell'oscurità.
Corse tutta la notte e, alle prime luci dell'alba, solo un sorso di acqua alla prima pozza d'acqua e poi di nuovo a correre.
La tribù la stava sicuramente cercando; i maschi eccitati ed inferociti per quella pericolosa insubordinazione l'avrebbero uccisa in modo plateale ed esemplare, prima di cibarsi delle sue carni. Per tre giorni scappò correndo, senza concedersi che pochi minuti di sonno, aggrappata sulla cima di qualche albero, posti e situazioni che solo lei poteva padroneggiare, a parte Aky, naturalmente, il grosso felino che la seguiva ovunque.
L'istinto primordiale e la sua forza inusuale, la sua agilità, furono la sua salvezza.
Mai più avrebbe rivisto sua madre e i suoi fratelli. La tribù abbandonata per sempre.
Non era frequente e non in tutti i clan capitava, almeno non fra i “sapiens”.
In epoca di carestia il cannibalismo ancora si praticava e a farne le spese erano le ragazze, quelle non ancora fertili, ma già abbastanza in carne per servire ad alimentare la forza dei maschi.
Hayena ora era senza tribù, senza difese. Estremamente fragile e vulnerabile. Se la sarebbe dovuta cavare da sola. La sua sopravvivenza rimaneva in grave pericolo ed aveva bisogno di aggregarsi ad altri clan. Da sola non sarebbe sopravvissuta, neanche con la belva al suo fianco.
Fuggiti dalle terre orientali quando il deserto della Mongolia aveva ripreso ad espandersi, alcune tribù di uomini primitivi avevano intrapreso il lungo viaggio verso l'Europa, sfiorando le catene montuose del Tibet, alla ricerca di nuove terre in cui praticare il nomadismo.
Il viaggio era lungo e le speranze si andavano a scontrare contro le tribù di Neanderthal che, più forti e ben ambientate nel territorio europeo, si opponevano a questi nuovi arrivati, stanchi e decimati dalle fatiche e dalla carestia.
Hayena era una ragazza anomala. Dotata di intelligenza superiore e di grande agilità sarebbe stata un ottimo capo tribù se non fosse stata una femmina.
Da piccola giocava e primeggiava tra i maschi suoi coetanei, senza far caso all'assenza di attributi maschili tra le gambe. I vecchi della tribù però sapevano e la ragazza sarebbe stata destinata a diventare una macchina per fare figli e per dare piacere ai maschi. All'occorrenza una riserva di cibo, almeno prima di entrare nell'età della fertilità.
Hayena questo non poteva saperlo e quando le crebbe il seno pensò, come fecero i maschi coetanei, semplicemente ad un'ipertrofia dei muscoli pettorali.
Non faceva caso alla superficie liscia che si trovava tra le cosce, pensando solo ad una deformità, ad un ritardo o ad un'anomalia di sviluppo.
Ma quando, tuffandosi nella grande pozza d'acqua, lasciò una scia di sangue, verificato che non si era ferita e della provenienza del rosso flusso, si era dovuta rassegnare.
Il seno le era ormai divenuto di proporzioni imbarazzanti e molti maschi cominciavano ad avvicinarla e ad annusarla in certi posti, come per cercare il momento della fertilità, esattamente come avveniva per le femmine di cui non si era mai sentita parte.
Aveva nascosto a tutti il suo menarca, ma presto si sarebbe scoperto tutto e per lei la vita da maschio sarebbe improvvisamente finita.
Se prima non avessero progettato di mangiarsela.
Aveva quindi deciso di rimanere un po' in disparte, cacciando con alcuni maschi e misurandosi in prove di forza con loro, ma un po' discosta dalla tribù.
L'unica sua vera amica e confidente era la sua tigre. Strappato alla morte quando la madre era caduta in una trappola del suo clan, si era presa cura del cucciolo, decidendo di liberarlo quando la sua pelliccia e la sua carne erano diventati interessanti per i maschi del clan, fingendo una sua fuga.
L'animale non aveva dimenticato le cure ed il gesto e, nella foresta, viveva come in simbiosi con la ragazza. Invisibile e silenziosa, la tigre, prossima al completo sviluppo di adulto, sapeva ritrovarla dall'odore, avvicinandosi ogni volta che la vedeva sola nella foresta. Hayena aveva coltivato l'idea di insegnarle a parlare, almeno quei pochi suoni articolati che a quel tempo i sapiens cominciavano a scambiarsi fra di loro.
Ora erano in fuga insieme e la tigre, se in effetti proprio non ne voleva sapere di parlare, sembrava però capire le parole dell'umano, percepirne forse anche i pensieri.

La giovane decise che sarebbe stato meglio mantenere segreta la sua identità femminile. Si coprì il petto ed il pube di una pelle di tigre e nascose la sua busta di oggetti da sopravvivenza sotto la copertura del bacino, trattenuta da una cinghia di pelle, simulando così un rigonfiamento che poteva essere scambiato per un apparato genitale maschile.
Ma questo era un problema che avrebbe affrontato al prossimo incontro con esseri del genere Homo.
Ora doveva sopravvivere il più a lungo, non diventar cibo per predatori e cercare di socializzare con altri clan, cosa già ben difficile per esseri venuti da lontano in terre sconosciute.
Sapeva accendere il fuoco, aveva diverse punte di freccia, bella selce di ossidiana scheggiata come si trovava nel paese da cui era fuggita, punte di rami indurite bruciandole nel fuoco, un arco ed un'estrema abilità nell'usarlo; era agile, leggera e snodata, insuperabile nell'arte di arrampicarsi sugli alberi e sulle rocce, un intuito ed una intelligenza superiore alla media. Capacità che le erano servite per compensare la minor forza rispetto ai maschi e poter comunque primeggiare nei loro giochi e nella caccia.
Non sapeva di essere anche una femmina molto attraente e sensuale, questo nessuno avrebbe potuto spiegarglielo 100.000 anni fa. Di certo non sua madre.
L'avrebbe poi capito a sue spese, se la sua fertilità fosse stata resa evidente e se fossero iniziate le lotte fra i maschi per contendersela.
Ma questo non aveva avuto il tempo di sperimentarlo, ed ora le era chiaro che più riusciva a simulare di essere un maschio, e più a lungo e facilmente sarebbe sopravvissuta ad un incontro con primati.
Da sola sarebbe riuscita a muoversi più rapidamente e il suo intento era quello di allontanarsi il più possibile dal rischio di essere ritrovata dal suo clan.
Viaggiò per settimane senza incontrare nessuno, ma fiutando odori ed evitando il più possibile ogni incontro con altri mammiferi, se non per cacciare.
Odori di “sapiens” e odori di quella razza autoctona che infestava l'Europa, i Neanderthal, che, prima ancora di aver incontrato, aveva imparato a riconoscere dall'odore.
Solo dopo molto tempo cominciò a sentirsi abbastanza sicura ed ambientata nel nuovo territorio che proseguiva ad attraversare.
Decise che invece di fuggirli, ora avrebbe potuto seguire gli odori che le parlavano di altri esseri della sua specie.
Non le fu difficile individuare una mattina, un odore che ormai conosceva bene. Premurandosi di mantenersi sottovento, si avvicinò silenziosa ed invisibile ad una radura alla base di una parete di roccia biancastra. La tigre al suo fianco fiutava l'aria percependo nella sua compagna umana la tensione per un'imminente lotta.
Due maschi si stavano nutrendo di carni arrostite su di un ramo in fiamme. La fronte sfuggente, la tozza corporatura un po' grossolana, la mandibola e le sopracciglia prominenti con il grosso naso, la pelle chiara e i capelli rossastri, insieme all'odore del tutto caratteristico, suggerirono alla ragazza la diversa origine di questa specie di Homo, che fino ad ora non aveva ancora incontrato a vista. I capelli e la fine peluria della schiena le si rizzarono nell'allerta prima dello scontro. La tigre fissava immobile le prossime vittime, già in preda ad un'abbondante salivazione.
Hayena scrutò lo spazio circostante alla ricerca di altri individui, senza un movimento del corpo, solo con rapide occhiate. Nessuno in vista, ma... a poca distanza intravide un essere sdraiato, legato agli alberi con liane intrecciate. Doveva appartenere ai due “Neanderthal”, una preda, o forse...
Era un umano! Le gambe divaricate, immobilizzate dai legacci resero palese che si trattasse di una femmina. Una schiava quindi.
In quella posizione, le cosce molto aperte, era evidente che sarebbe servita per soddisfare il piacere dei due maschi, appena terminato il pranzo. Poi chissà, forse l'avrebbero uccisa per farne riserva di carne o forse se la sarebbero tenuta come schiava per il loro piacere, finchè non avessero deciso di mangiarsela.
I due energumeni si alzarono; erano più bassi dei sapiens, ma probabilmente più forti. Con alcuni versi gutturali uno dei due indicò al secondo di smorzare il fuoco.
L'altro scostò i rami racimolando i resti del loro pasto e portandoli in direzione di un anfratto nella roccia che Hayena vedeva solo ora. La sapiens stava studiando ogni particolare prima dell'attacco.
Le era evidente la diversa origine degli ominidi. Con questi non avrebbe potuto creare legami, ne era sicura. Tanto più dopo aver visto la donna tenuta come schiava.
I due si avvicinarono alla loro preda scrollandosi il pene per favorirne l'erezione. Hayena aveva intuito giusto.
La donna legata al terreno alzò il capo verso i due maschi.
La fronte le si imperlò di sudore. Le era chiaro che dopo aver soddisfatto il loro piacere, probabilmente sarebbe stata sgozzata. Già coperta di ferite e contusioni per precedenti lotte, ebbe ancora la forza di cercare di divincolarsi, ricevendo in cambio un forte calcio sul fianco che la fece gemere per il dolore.
Uno dei due maschi, il più grosso, le si inginocchiò davanti per annusarle il sesso col grosso naso, per aumentare la propria eccitazione, mentre l'altro sussultava in una sgangherata risata.
Allungò una mano per infilargliela dentro, come per vagliare il percorso che presto avrebbe affrontato col suo grosso membro eretto.
Aprì la bocca mostrando una dentatura malconcia, una bava filante gli colava ai lati, al colmo dell'eccitazione prima del coito.
La schiava si contrasse, non per ribellarsi, ma per cercare di affrontare lo strazio della violenza sessuale che precedeva la sua morte.
Improvvisa una punta di selce comparve sotto il mento del maschio, seguita da un fiotto di sangue.
Una freccia venuta dal nulla gli aveva attraversato la gola.
L'uomo emise un rauco rantolo, rimanendo immobile, gli occhi sembravano volergli schizzare dalle orbite; il secondo mosse un passo verso di lui quando una massa arancione nell'assoluto silenzio gli si scagliò contro abbattendolo e coprendolo col suo corpo.
Una grossa tigre gli stava azzannando la gola per soffocarlo.
La schiava emise un acuto urlo cercando di ritrarsi per non essere coinvolta nella lotta, ma il secondo uomo già stava rantolando soffocato, mentre la tigre si dissetava del suo sangue senza mollare lo stretto morso delle fauci.
Un altro essere comparve allora alle spalle del primo uomo tagliandogli la gola già trafitta dalla freccia. Hayena tirando la chioma del Neanderthal ne espose il collo lacerato e subito gli si avventò contro per bere il sangue che usciva dalle carotidi tranciate di netto.
L'uomo, ancora vivo, mosse appena le labbra, perdendo presto i sensi mentre ancora la ragazza ne beveva il sangue.
Mentre la tigre rapidamente sventrava la sua preda per cibarsi del suo fegato, la sapiens buttò di lato la sua vittima che, con pochi singulti trovò la morte e si stagliò di fronte alla prigioniera.
Scossa dai tremori per l'orrenda duplice esecuzione cui aveva assistito, ora la ragazza guardava con terrore i due predatori che erano subentrati nella scena e, con ogni evidenza, nel suo prossimo destino.
-Kya!- La sapiens richiamò la tigre che docilmente le si acquattò di fianco.
Contemplò la donna ai suoi piedi.
Non era una Neanderthal... eppure era così diversa dalle altre femmine cui era abituata.
I capelli erano ondulati, giallo scuro, così come i peli che le ricoprivano ascelle e pube.
La pelle era più chiara della sua, i capezzoli rosa.
Eppure era sicura che si trattasse di una sapiens, un essere della sua razza.
Dopo aver recuperato la punta della freccia, la preziosa selce affilata, le si inginocchiò di fianco.
La prigioniera respirava profondamente, vittima di un terrore che non sapeva contenere, sollevando un generoso seno ad ogni respiro; il sudore le colava dalla fronte.
Hayena le si avvicinò per annusarla, per guardarla negli occhi, ma subito si ritrasse. La sua preda aveva gli occhi chiari, del colore del cielo. L'asiatica non aveva mai visto nulla di simile. Che si trattasse di una creatura di provenienza divina?
Scacciò subito l'idea, non sarebbe stata legata e imprigionata, questo le era evidente.
Provò a rivolgersi a lei con le poche parole che componevano la sua lingua, ma quella non capì. Fece un'espressione di incomprensione, proferendo a sua volta parole intelligibili.
La donna tigre notò anche che mancava della piega degli occhi tipici della sua razza, quella specie di terza palpebra per proteggersi dalla troppa luce... il mistero si infittiva.
La femmina dai capelli gialli mostrava profonde abrasioni al collo, come se per molto tempo fosse stata tenuta alla corda, chissà da quanto tempo era prigioniera.
Hayena promise a sé stessa che mai si sarebbe nutrita di una femmina della sua specie; lei stessa aveva rischiato questa fine e la straziante paura subita; la sofferenza per aver abbandonato la sua famiglia ed il suo clan erano in lei ancora una ferita profonda.
Avrebbe voluto liberare subito la donna, ma era sicura che questa sarebbe subito fuggita, o forse le si sarebbe ribellata contro, minacciandone la sopravvivenza.
Questa femmina era di sicuro una sapiens, anche se molto diversa e lei ora aveva bisogno di una comunità di suoi simili. Farne la sua schiava le sarebbe stato utile, anche per aumentare il proprio prestigio, continuando nella finzione di essere un maschio.
Prima di decidere come trattare la schiava che a buon diritto ora le apparteneva, la donna venuta dall'oriente si concesse il tempo di esplorare quello che sembrava l'accampamento dei due Neanderthal.
Il posto era molto buono, in posizione favorevole. L'anfratto nella roccia dava adito ad una grotta profonda da cui sgorgava un piccolo corso d'acqua.
Provò ad entrarci; una stretta apertura, facilmente difendibile, proseguiva in ambienti più ampi, ma la profonda oscurità impediva ai suoi occhi, abituati alla luce, di sondarne le dimensioni.
Un tiepido alito ne usciva, una corrente più fresca rispetto al caldo che all'esterno si faceva fastidioso.
Rocce biancastre, abbastanza affilate, costellavano l'ingresso. Era da verificare se questa roccia potesse servire per costruire armi ed utensili, ma già qualche strumento in osso e qualche coppa di argilla si intuivano all'interno della cavità cui gradualmente stava abituando la vista. Bagaglio probabilmente dei due maschi che abitavano la zona.
Sì, poteva essere un buon posto in cui installarsi e fare base, permettendole una posizione protetta e la possibilità di perlustrare la zona in cerca di altri sapiens.
Tornò alla sua schiava che in tutto questo tempo sembrava essersi almeno un poco calmata.
-Io Hayena!- provò a socializzare presentandosi, ma quella proprio non capiva niente.
Mentre Kya finiva il suo pasto, la mongola si acquattò di fianco alla donna per osservarla ed annusarla, per imprimersi nella memoria il suo odore.
L'altra lasciava fare riconoscendo nella persona che le stava di fianco un essere della sua specie e ricominciando a sperare in un'imprevista possibilità di sopravvivenza.
Hayena si allontanò tornando con uno dei recipienti di argilla pieno di acqua.
La schiava alzò il capo con uno sguardo di implorazione che l'orientale intuì subito. Una lingua gonfia e secca denotava una prolungata astinenza da cibi ed acqua.
Hayena le sollevò il capo e l'aiutò a bere.
Dopo i primi sorsi la prigioniera alzò lo sguardo verso la sua salvatrice, uno sguardo in cui il terrore gradualmente stava lasciando il campo ad un'espressione dolce e grata, forse una velatura umida di commozione. L'asiatica rimase un poco turbata, ma subito si alzò tornando verso la vittima della sua freccia. Raccolse nel recipiente altro sangue portandolo alla prigioniera. Questa ne bevve avidamente fissando gli occhi in quelli dell'orientale.
Riposta la ciotola di argilla, la predatrice strappò dei ciuffi di erba e cominciò a lavare il corpo della prigioniera.
Più lo lavava e più la pelle diventava chiara, ripulita dalla terra e dalle tracce di sangue accumulatesi in tanti giorni di cattività. Leccò le ferite ripulendole meglio che potè.
In segno di sottomissione e gratitudine la donna bionda le porse il bacino invitandola a possederla.
La donna tigre rimase in imbarazzo. Il volto glabro tradiva il suo sesso, eppure voleva lasciare la prigioniera nell'illusione di trovarsi di fronte ad un maschio. Nella tribù da cui proveniva, alcuni giovani uomini si depilavano il volto con selci affilate per non offrire un punto di appiglio durante la lotta.
Il petto ed il pube erano coperti dalla pelle di tigre e la facilità con cui aveva risolto il combattimento contro avversari più forti, poteva essere presa a testimonianza del suo essere maschio, seppure di fattezze fragili.
Hayena non sapeva nulla del sesso. Avendo tenuto nascosti i cicli mestruali, non era ancora stata identificata come donna fertile nella propria tribù e pertanto non si era mai congiunta con un maschio.
Uniche sensazioni erano quelle provate quando si lavava, un delicato piacere nello sfiorarsi i seni e una sensazioni indefinibile, conturbante quando si lavava il sesso, senza mai aver approfondito il contatto.
Ora doveva in qualche modo possedere la prigioniera che, colma di devozione, le si offriva.
Non avrebbe potuto penetrarla, questo le era evidente.
Avvezza alle abitudini dei felini e degli animali selvaggi, cominciò allora a leccarne il corpo.
Questa chiuse gli occhi aprendo la bocca in segno di gradimento.
Hayena le leccò il collo stando a gattoni sopra di lei. L'altra lasciava fare colma di stupore. Invece della violenta penetrazione, questo essere predatore la stava stimolando come nessun uomo aveva mai fatto prima. Sensazioni mai provate, un piacere nuovo e la novità dovuta al fatto che fosse un uomo a provocarglielo.
La mongola si alzò da lei, colpita dai sospiri che sentiva come sussurrati.
La bionda cercò di muovere una mano allungando le dita verso di sé.
-Haky- pronunciò come presentazione. Ma la donna venuta dall'est non potè capire.
A quattro zampe sopra il corpo dell'altra donna, i lunghi capelli neri legati in una rudimentale coda ondeggiavano sfiorando il seno sotto di lei.
Sembrava che questo sfioramento fosse fonte di un intenso piacere.
Hayena sposto i capelli e dopo aver annusato ancora le ascelle della sua preda, le leccò il seno succhiandole i capezzoli.
Haky sussurrava parole in un idioma incomprensibile, ma alla ragazza bruna fu chiaro che quanto stava facendo portava piacere.
A digiuno completo della pratiche sessuali maschili, contravvenendo ad ogni rituale, si era messa in testa di dover arrecare piacere alla compagna, piuttosto che usarla per il proprio godimento.
E quanto stava facendo sembrava proprio ottenere l'effetto che desiderava.
Il seno sembrava gonfiarsi mentre i capezzoli si contraevano.
L'eccitazione sessuale stava crescendo vertiginosamente nell'europea che con lenti movimenti sporgeva il pube per offrire la vulva all'amplesso.
Un forte odore di sesso si sprigionò sotto il naso della predatrice.
Le parole pronunciate in tono dolce e sottomesso, quel seno gonfio, i movimenti del bacino, finirono per eccitare la donna tigre.
Una sensazione di bagnato le si manifestò fra le gambe.
Come quando perdeva sangue, eppure, al contrario del flusso mestruale, estremamente piacevole, come un invito a cercare un contatto interno. Senza quella nausea o i soliti dolori al basso ventre che le venivano seguendo le fasi lunari.
Acquattata come un felino, Hayena continuò a leccare la sua preda, come vedeva fare la sua tigre quando eseguiva l'igiene personale.
Pulire la sua schiava, come manifestando una propensione alla cura, per lei significava affermarne il possesso.
Fu attratta dal sesso della donna, dall'odore che stava cambiando, diventando dolce ed attraente.
Sempre rimanendo in gatta, si spostò tra le cosce aperte, ancora trattenute dai legacci ed affondò il muso tra i peli della preda.
La lingua penetrava nella vulva aperta, inumidita da secrezioni di un profumo avvolgente, irresistibile.
Haky gemeva spingendo il bacino verso quella bocca, quella lingua che sentiva e desiderava dentro di sé.
Cosa stava provando quella donna? Sembrava soddisfatta e prona alle stimolazioni che le giungevano inaspettate. Quei gemiti non erano dunque di sofferenza.
Haky con le mani prese i legacci che le serravano i polsi, per contrarre il corpo ed inarcare la schiena. Divaricò più che potè le ginocchia per offrirsi ad una penetrazione più profonda.
Hayena alzò il capo stupita. Cosa stava facendo questa donna? A quale oscuro rituale stavano rispondendo i suoi gesti? Tutto era capitato dopo che con la lingua era penetrata nelle sue profondità vaginali.
Sentendo crescerle tra le gambe un desiderio imperioso di sentirsi toccata, spostò una mano fra le cosce infilandosi un dito in vagina. Mentre veniva scossa da un profondo ed inedito piacere, spinse di nuovo la faccia contro le cosce aperte che di fronte a lei sembravano implorarla di continuare.
Si fermò provando un dolore acuto e lacerante là dove aveva infilato il proprio dito. Lo stretto imene reclamava la sua verginità.
Preferì quindi accarezzarsi la vulva trovando proprio all'apice un punto estremamente sensibile, mai esplorato.
Il piacere le cresceva incontrollabile, dove l'avrebbe portata quella sensazione di estasi? Sentiva i sensi venirle meno, una situazione pericolosa ed intollerabile per una cacciatrice in spazi aperti e non protetti. Ma il dito sul clitoride non poteva più fermarsi, sembrava aver perso ogni dipendenza dai comandi della mente. Fece scorrere il dito nella vulva per bagnarlo del proprio muco, lo sfregamento in alto sembrava molto più eccitante se ben lubrificato.
Con la bocca continuava a leccare la vulva della sua schiava che ondeggiava il bacino e gemeva in tono sempre più forte.
Leccava e succhiava il muco, si nutriva del sapore e dell'odore del sesso dell'altra donna, mentre dentro di lei le sensazioni divennero così forti da non riuscire più a contenere acute grida che sempre più di frequente le scappavano dalla bocca.
Cos'era dunque questa sensazione in grado di bloccare i suoi istinti, di far perdere ogni controllo dei pericoli e della situazione reale?
Più godeva e più si spingeva tra le cosce di Haky, muovendo la lingua più profondamente che poteva dentro il suo corpo.
In un ultimo affondo sentì la schiava urlare mentre le cosce le si serravano sul volto, una stretta micidiale. Ma prima di cedere all'istinto primordiale di scappare da quella situazione di cattura, sempre col dito nella vulva, a sua volta proruppe in un urlo strozzato, infinito.
Rimase senza fiato mentre le scosse del bacino dell'europea si fondevano alle violente contrazioni del suo corpo in quello che era il suo primo orgasmo.
Le due donne avevano raggiunto l'estasi quasi insieme, eccitate l'una dal godimento dell'altra.
La stretta delle cosce della donna dai capelli gialli si attenuarono ed Hayena scivolò abbandonando il capo tra le cosce che si aprirono dopo l'estasi, entrambe colte da un dolce sopore.
Il momento durò poco.
Un sordo brontolio risvegliò la cacciatrice. La fida tigre al suo fianco, le accarezzava il ventre con il muso.
Haky sembrava dormire, sollevando il seno in profondi respiri, la bocca ancora socchiusa.
L'asiatica si alzò, rimanendo a fissarla, confusa in un profondo turbamento.
Protetta dalla presenza della tigre, fu colta da un improvviso senso materno, una tenerezza ed un affetto per lei insoliti, ma scaturiti dalla sua natura femminile da sempre tarpata e rifuggita.
Si sdraiò sul corpo nudo che giaceva ai suoi piedi, abbracciando le spalle e la schiena della donna con cui aveva sperimentato il primo vero piacere.
Come una madre col suo cucciolo le baciò le labbra e le diede piccoli morsi sul collo mentre la bionda sapiens la rimirava dagli occhi socchiusi.
Poi, come se avesse preso una repentina decisione, si alzò prendendo dal suo tascapane una selce affilata; si avvicinò alla preda, che aveva ripreso a guardarla con terrore, ma invece della gola, le tagliò i lacci dei polsi e della caviglie.
-Vai, sei libera!- le disse, pur senza essere compresa.
Si voltò di scatto e senza guardare cosa succedeva alle sue spalle si allontanò di corsa.
Si arrampicò con l'agilità di un felino in cima ad un albero, fermandosi sul ramo più alto.
Si rannicchiò, il petto scosso da sussulti.
La donna tigre piangeva.
di
scritto il
2020-09-03
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