Cosa ci faccio io qui - Prima di Luca

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Io e Luca ci siamo conosciuti in vacanza undici mesi fa a Ios, Grecia. Ero in vacanza con una coppia di amici e con altri due ragazzi, che in realtà conoscevo poco e ai quali avevo fatto capire, con tutta la grazia del caso, che con me non attaccava. Poiché però nessuno dei due demordeva dal cercare di mettersi in luce ai miei occhi avevo, di fatto, due cavalier serventi a mia disposizione. Per farvi un esempio: avevamo affittato una villetta grande ma non enorme (a me toccava dormire su un divano letto nell'ingresso) e a tutti a turno toccavano le incombenze tipiche di una casa. Ebbene, credo di non avere mai nemmeno lavato una tazza della colazione o spazzato per terra. I due - che poi si chiamano Paolo e Filippo e sono due bravissimi ragazzi - facevano a gara a fare le cose al posto mio. Oppure a portarmi il gelato in spiaggia, per dirne un'altra. O a pagarmi da bere la sera. Per una stronza come me era la situazione ideale, ne converrete.

Per molti versi le cose in quel periodo mi filavano benissimo. Avevo da poco preso il master e trovato un lavoretto che mi divertiva, oltre a darmi un certo tono di indipendenza, per me che vivo ancora con i miei. Per finire il contratto avevo persino rinunciato al viaggio che mio padre mi voleva regalare ("grazie, non mi va di tornare a New York"). Per la verità avevo proprio rinunciato a qualsiasi regalo ("ma no, mi basta la Cinquecento di Martina"), tanto che papà, quasi esasperato, mi aveva detto "almeno andiamo tutti una sera a cena per festeggiare". Alla Pergola. Mi sa che gli costava di meno New York.

Per quanto riguarda la situazione emozional-sentimentale, invece, viaggiavo un po' sullo sbandato spinto. Le ragioni potevano essere tante e non tutte facilmente individuabili, dallo stress che ti aggredisce senza che tu te ne accorga al fatto che tutte le mie amiche erano accoppiate, alla noia. Difficile indicarne una in particolare. Sta di fatto che cominciavo a rompermi un po’ le palle.

Il punto non era il sesso, non fate pensieri del cazzo. Non ho mai avuto grandissimi problemi a trovare qualcuno che mi facesse la festa. Solo che ogni volta dopo essermi divertita - in certi casi anche parecchio, lo ammetto - mi sentivo sola e insoddisfatta. O meglio, come si dice a Roma, scoglionata. Era una situazione che cominciava a farsi pesante. Io, a parte due o tre eccezioni, non ho mai avuto grandi coinvolgimenti emotivi (l'ultimo pochissimo tempo prima, con un ragazzo danese). Sarà sfiga, sarà che sono snob. Sarà anche il fatto che, non si capisce per quale maledizione, sessualmente parlando sono particolarmente attratta dagli stronzi. Con i quali è molto facile finire in orizzontale ma non mettere su grandi storie, lo capirete da soli. Non credo però di essere particolarmente anaffettiva, come dicono.

Inoltre, proprio in quel periodo mi era capitata una cosa strana, di cui in un certo senso ancora soffrivo i postumi.

Come vi ho detto, mi ero rimediata un piccolo lavoro presso una società sviluppatrice di app. Un posto abbastanza piccolo e infestato da nerd. Con altre tre persone lavoravamo a una cosetta che avrebbe consentito il pagamento dei parcheggi tramite mobile, una commessa per una rete di piccoli comuni toscani. Un giorno, mentre io e Michela stavamo prendendo un caffè alla macchinetta, entrò quello che tutti chiamavano The Boss. Se gli altri erano nerd, lui era proprio un super-mega-nerd, non so se avete presente il tipo. Chiese a Michela, che era la capo-progetto ma di fatto capa di tutti i progetti di quel posto, a che punto eravamo. Ottenute le sue risposte ci lasciò dicendoci qualcosa tipo "informatemi passo passo" ma, soprattutto, commentando "sono eccitatissimo per questa roba". Disse proprio così, eccitatissimo. Una volta sole, dissi a Michela ridendo: "E stiamo parlando di parchimetri, figurati se erano sex toys...". Michela soffocò una risata e mi domandò come mi fosse venuto in mente. Temetti di essermi spinta troppo in là e le risposi che non lo sapevo e che, anzi, probabilmente mi ero sbagliata: il Boss doveva essere uno che davvero trovava eccitanti i parchimetri. La cosa finì lì ma qualche sera dopo, in pizzeria con i colleghi, approfittò di un attimo in cui eravamo rimaste sole per domandarmi "ma tu li usi?". Naturalmente lì per lì non capii a cosa cazzo si riferisse e le chiesi a mia volta "cosa?". "I sex toys", rispose. Non sono una che arrossisce facilmente, ma quella volta credo proprio di averlo fatto. Voglio dire, non mi sarei mai aspettata una cosa del genere. Non da lei. Le risposi di no, mai usati, anche se non era del tutto vero. Lei mi rivolse uno sguardo che non dimenticherò mai. Intenso, sicuro di sé. "Dovresti, hai mai provato uno strap-on? Sai cos'è?", mi fece come se fosse una cosa normalissima. Risposi che sapevo cosa fosse, ma che no, non avevo mai avuto modo... In realtà quasi balbettavo e avevo paura che di lì a poco sarei caduta dalla sedia. Anche quella volta finì lì perché qualcuno venne a sistemarsi accanto a noi. Da quel momento però, non solo quella sera ma anche nei giorni successivi, iniziai a vederla sotto un'altra luce. E anche lei. Anzi, lei di più. Per una settimana mi sentii, letteralmente, corteggiata come non lo ero mai stata in vita mia. In un modo soffice e avvolgente, che non mi infastidiva per nulla. Piuttosto, mi lusingava. Parlandomi mi accarezzava un braccio con nonchalance, sorrideva spesso, arrivava al mio desk e ci si sedeva sopra con due bicchierini di caffè, lodava il mio outfit, anche il più semplice, dicendo che qualsiasi cosa mi mettessi mi stava bene. Si perdeva con me in pettegolezzi e chiacchiere sui colleghi di lavoro. Era la prima volta che mi capitava una cosa del genere, ma non sono scema. Inizialmente pensai che stesse cautamente cercando di capire se fossi una che gradisce le attenzioni femminili. Tuttavia non era così. Che mi piacessero le donne lo aveva capito, mi disse, quella sera in pizzeria. Non chiedetemi come. Quel corteggiamento blando e incalzante era proprio parte del suo modo di fare. Un paio di giorni dopo quello strano approccio iniziai a masturbarmi la sera, nel mio letto, pensando a lei che mi faceva sua.

Finì naturalmente che un pomeriggio mi propose per WhatsApp un ape noi sole, io e lei. Le risposi "ma certo" come se non aspettassi altro. Ero caduta nella sua rete e ne ero perfettamente consapevole. E penso che lo fosse anche lei. Michela aveva trentacinque anni, non molto alta, capelli neri a caschetto e un fisico non appariscente ma niente male. Molto ma molto intelligente, parlarci era un piacere, un nutrimento per l'anima. Certamente non brutta, forse un po' anonima a essere obiettive (ma in quei giorni non lo ero) eccezion fatta per il suo sguardo verde che, quando voleva, bucava le lenti dei suoi occhialetti cerchiati oro e ti si conficcava nel cervello. Dopo l'aperitivo ero cotta, inebriata. Mi portò a casa sua e mi scopò. E a quella volta ne seguirono altre fino a una tre giorni e tre notti di un week end lungo in cui ci comportammo come una vera e propria coppia. Anche quando eravamo in giro per strada, intendo dire. Non parlo solo di sesso, pure se con lei il sesso era pazzesco. E se pensate che mi riferisca allo strap-on sbagliate di grosso (tra l'altro, aveva un cassetto pieno di oggetti). Con lei il coinvolgimento era mentale, prima che fisico. Quando le rivelai che le mie preferenze sessuali non facevano discriminazioni, scherzando mi chiamò "etero di merda", poi mi diede un bacio di quelli che certe convinzioni te le fanno vacillare.

Ero coinvolta, appunto, e proprio questo mi scombussolava. Da una parte mi dicevo che avrei adorato stare con lei. Dall'altra, vedete, io non sono proprio lesbica. Anche qui, non è una questione di sesso. E' che non mi ci sento. Mi piace finire a letto anche con quelle del mio sesso, ma ci devono essere delle condizioni particolari. Nel senso che qualche scopata mordi-e-fuggi con delle ragazze l'ho fatta, sì, ma non è proprio la mia specialità. Con una ragazza cerco intimità, affetto, complicità. Non è come farsi portare da qualche parte da uno appena conosciuto e farselo mettere dentro. Insomma, quello che voglio dire è che una relazione vera con una ragazza... non so, non credo che sarei in grado di averla. In linea di principio, intendo. Perché è anche vero che, prima di conoscere Luca, per contare le mie relazioni stabili con un ragazzo le dita di una mano erano pure troppe.

Pensavo questo e un po' mi maceravo, non sapevo che fare. Ci pensò Michela a sciogliere ogni dubbio annunciandomi, pochi giorni dopo quel week end, che non si poteva andare avanti perché si era rimessa con la sua ex.

Sdeng. Uno shock, un fulmine a ciel sereno, non avevo intercettato nessun segnale di quel tipo. Obiettivamente, la cosa mi destabilizzò un pochino. Sì certo, sotto un certo punto di vista risolveva le mie incertezze. Ma in quei momenti lì non stai di sicuro a pensare a ste cose. Mi sentivo ferita e messa da parte, usata (non in quel senso). Tra l'altro, era la prima volta che venivo "mollata" in questo modo e vi assicuro che sentire che un’altra è preferita a te non è una bella sensazione. In più, cosa non marginale, io sono pure parecchio competitiva e vi confesso che mi sarebbe davvero piaciuto conoscere quella troia della sua ex.

Non ne volli più sapere niente. Il lavoro per fortuna era finito e rifiutai persino la proposta di un altro contratto. Accettai l'invito delle mie amiche ad andare in vacanza con loro.

Essendo sostanzialmente un divertimentificio, Ios faceva al caso mio. Non che desiderassi qualcosa di particolare, eh? Semplicemente mi andava di spegnere il cervello per un po'. In più, come vi ho detto prima, avevo a disposizione due poveri illusi (illusi per scelta loro, stronza sì ma non fino a sto punto) che mi servivano e riverivano in tutto e per tutto. Poteva andarmi peggio, dai.

La mia specialità erano i beach bar al tramonto, dove in pratica si cominciavano le nottate. Oltre a bere e ballare (quasi un obbligo), c'era comunque tanta gente da conoscere, ragazzi e ragazze. Inglesi, tedeschi e australiani in maggioranza, ma non solo. In quelle circostanze la marcatura stretta di Paolo e Filippo un po' mi infastidiva e un po' no. Mi proteggeva anche, a essere oneste. Ma in fondo anche loro erano lì per divertirsi e si divertivano. Di solito si tornava a casa verso le quattro-cinque di notte, abbastanza ubriachi e avendo mangiato pochissimo, in genere schifezze.

Poi una sera incontrai Kostas, il classico figlio di puttana (ma si vede che era di un figlio di puttana che avevo, magari inconsapevolmente, bisogno). Il classico tipo da 'na-botta-e-via o, se preferite l'inglese, one-night-stand. Solo che le notti in realtà furono due e le "botte" più di una. Lavorava in un beach club, faceva l'animatore o qualcosa del genere, ma ho il sospetto che questa fosse solo la sua seconda occupazione. La prima doveva essere rimorchiare le straniere. Attività per la quale era decisamente attrezzato. Bel manzo, capelli neri e ricci, qualche tatuaggio sparso qua e là (non sono una appassionata, ma ne aveva uno davvero bello), un modo di fare molto diretto e deciso senza tuttavia mai apparire arrogante, tutt'altro. Mi agganciò in un disco-pub in un momento in cui ero rimasta abbastanza isolata dai miei amici. Ho sempre avuto il retropensiero che mi avesse inquadrata già da un po' e che aspettasse l'occasione giusta, ma poi chi lo sa... Mi propose una specie di gara di shottini: "Lo sai che qui, se bevi cinque chupiti di seguito, ti regalano la t-shirt del locale?". "Ahahahahah e che ci faccio poi con la t-shirt del locale?", gli risposi. Ma, a patto che pagasse lui, accettai. Non tanto perché mi interessassero gli shot, ma per la soddisfazione che l'essere rimorchiata da un tipo così dava al mio ego. Gli dissi pure che una gara di quel genere l'avevo già fatta e che era stata anche più difficile, visto che per bere non si potevano usare le mani. Omisi tutto il resto, ovvero il nome un po' ambiguo ("gara di soffoconi") e il fatto che ogni volta che si perdeva bisognava togliersi un indumento e che finii per restare nuda e sbronza persa di fronte a una platea di gente sconosciuta. Comunque la maglietta la vinsi. E anche lui. Bisognava accompagnare il rum con un sorso di succo di frutta, lui ananas io pesca, visto che l'ananas mi fa schifo. Il rum non era nemmeno tanto forte, ma al quinto bicchierino il mio stomaco mi avvisò che si stava sviluppando un incendio. Mi scolai una bottiglietta intera di succo e mezza di acqua minerale. Gli chiesi scusa e gli dissi che già prima avevo una mezza idea di cercare la toilette, ma dopo tutto quel liquido buttato giù... Mi avviai verso i bagni con la t-shirt in mano e lo sentii domandarmi "ti aspetto?". Mi voltai e gli sorrisi senza rispondergli. Che avessi una certa fretta era vero e le file ai bagni possono essere lunghe.

Mentre ero nel box ci pensai un po' su, del resto in quei momenti una che deve fare? Pensa... Dall'ultima volta che ero stata con un ragazzo erano passati quasi due mesi, la sera dopo il mio party di fine master. Sapete com'è, la festeggiata ha sempre un sacco di occhi addosso... Però due amiche mie avevano festeggiato a modo loro, e non con i loro fidanzati, e qualche idea me l'avevano messa in testa. Per questo la sera dopo ero uscita, da sola, e mi ero fatta rimorchiare - scandalosamente, in quanto a facilità - da un fortunatissimo tirocinante infermiere, che mi aveva sbattuta in macchina prima di tornare dalla sua ragazza (all'inizio mi aveva detto che era single, poi si era tradito: li adoro quando fanno così). Non proprio un'esperienza indimenticabile, tutto sommato, e non per colpa mia: contenitore e contenuto erano abbastanza modesti. Senza contare che scopare in macchina non è il massimo. E dopo quella volta c'era stata solo Michela.

Comunque, chiusa in quella toilette, mi dissi "ma sì". Non che mi sentissi particolarmente predisposta, ma nemmeno particolarmente refrattaria. Ero abbastanza allegra per quei cinque shot, molto allegra. Mi tolsi il top, indossai la t-shirt che avevo appena vinto e tornai da Kostas. Conoscendomi, ma a questo ci pensai solo dopo, mi stupii di non essermi tolta anche le mutandine.

Girammo un po' per i vicoletti della Chora, tra la calca sudata. Sudata lo ero pure io e credo che si vedesse abbastanza bene che non avevo il reggiseno. Me ne fregai altamente, mi sentivo leggera e avevo voglia di divertirmi. In qualsiasi modo. Il primo bacio arrivò dopo nemmeno dieci minuti che ero uscita da quella toilette. Pomiciammo un po', poi continuammo a camminare con le bottiglie di birra in mano. Trovammo un posto un po' nascosto, vicino un disco club. Limonammo, pesantemente stavolta. Gli feci una pompa al riparo di un coso di cemento che non so bene che fosse. Versione de luxe. Chissà perché mi ero messa in testa che più che il pompino in sé fosse soprattutto importante fargliene uno indimenticabile. Kostas però, devo dire, mi ricompensò abbondantemente.

Ora, non so se per lui l'avventura potesse considerarsi conclusa o appena iniziata. Direi la seconda, perché a un certo punto, dopo una sigaretta fumata a mezzi, mi ritrovai a essere baciata con una sua mano sotto la maglietta e l'altra dentro le mutandine. Però fui io a sospirargli "feel like fucking tonight". Ci allontanammo. La periferia del divertimentificio, ebbi questa impressione, sembrava fatta apposta per digradare lentamente in un pompinificio. Vidi una ragazza di colore, un po' in carne, fare a un ragazzo appoggiato a un muretto la stessa cosa che io avevo fatto a Kostas. Erano molto più allo scoperto di quanto lo fossimo stati noi. Dalla passione che ci metteva lei sembrava che fosse la notte del superpompino e, da come si muoveva lui, credo che fosse sul punto di dissetarla. Mi dissi che in fondo era un epilogo abbastanza logico degli eccessi che si consumavano poco lontano tra alcol, balli e nuovi incontri. L'ora e i luoghi in cui stavamo camminando erano probabilmente quelli in cui questi stessi eccessi si trasformavano in scopate più o meno clandestine sotto la volta stellata delle Cicladi. Sapevo benissimo che sia io che la ragazza che avevo visto prima eravamo solo due tra le tante che, il giorno dopo, sarebbero state oggetto delle vanterie dei maschi con i loro amici. E che forse ci sarebbe stato anche qualche cuore infranto. Ma non me ne fregava una mazza. Un po' perché so vantarmi pure io con le mie amiche, quando è il caso. Un po' perché, molto onestamente, l'unica cosa che in quel momento mi interessava era prendere il cazzo di Kostas tutto dentro. Altro che cuore infranto.

Camminammo un bel po'. O meglio, la strada mi sembrò più lunga di quanto fosse in realtà perché non riuscivamo a stare fermi con le mani e con le bocche, né io né lui. Arrivammo su una spiaggia. Forse non c'era niente di romantico, ma lo sembrava. Lui, lo riconosco, fu un vero signore, stendendosi sulla sabbia ed evitando così di farmi sporcare troppo. A me, dopo un pompino stavolta appena accennato, bastò scostare le mutandine. In effetti, pensai per un attimo, appoggiare le mani su un petto così e sentirmi afferrata per i fianchi in quel modo era una cosa che mi era mancata. Mi persi nella penetrazione del suo sguardo, nella visione dei suoi ricci neri, nella sua fisicità, nei suoi colpi forti. Che qualcuno facesse lì intorno quello che facevamo noi, ci avrei messo la mano sul fuoco. Che qualcuno si sia accorto a un certo punto, e anche a una certa distanza, che una ragazza era venuta, lo do per certo. E quando lo sentii vibrare e scaricarsi dentro di me mi rammaricai che avesse il preservativo. Avrei desiderato essere schizzata ovunque: capelli, viso, maglietta. Ma sarebbe stato un casino, oggettivamente.

Tornammo in paese, tornai dai miei amici. Che ovviamente mi chiesero dove cazzo fossi finita e cosa significasse quella maglietta. Raccontai loro che avevo vinto una specie di gara con il bartender di un locale e che avevo incontrato un gruppo di tedesche fuori di testa con le quali ero andata a farmi le canne sulla spiaggia. Considerato l'aspetto che dovevo avere, ci stava. La verità è che ero abbastanza su di giri per l'appuntamento che ci eravamo dati io e Kostas per il pomeriggio seguente. Non era tanto la prospettiva di scopare ancora con lui che mi allettava (anche se la cosa non era assolutamente da buttare via, eh?), quanto l'idea di farmi una storiella. Estiva, certo, di quelle da pochi giorni. Ma mi piaceva l'idea di andare in giro la sera con lui, camminare allacciati, essere presentata ai suoi amici, fargli conoscere i miei. E poi sì, chiaro, finire da qualche parte e darsi mooolto da fare, perché la voglia è tanta e i giorni sono pochi. Ma più del sesso, ne ero consapevole e me lo dicevo pure, mi andava di far credere di essere la donna di qualcuno, sia pure a tempo determinato.

Le mie amiche e i miei amici furono sorpresi quando dissi loro che un ragazzo mi aveva proposto un giro in barca. Li mollai dicendo loro che ci saremmo visti in paese la sera, sapendo che probabilmente non sarebbe andata così. Ero determinata a stare il più possibile con Kostas, a dormire con lui, accarezzavo la fantasia di preparargli la colazione prima che andasse al lavoro. E poi, mi dissi, da quant'è che non sveglio un ragazzo con un pompino? Mentre camminavo verso il porto mi divertii a pensare a quelli cui l'avevo fatto. Non era una lista cortissima e sicuramente me ne dimenticavo qualcuno. Però ve lo ripeto, la prospettiva del sesso era certamente una parte importante, ma ciò che davvero mi elettrizzava era tutto il pacchetto. Comprese frasi tipo "vuoi lasciarmi le cose che avevi ieri che te le lavo?". Giuro.

Kostas guidò la barchetta fuori dal porto, era una cosetta su cui ci sarebbero potute stare al massimo cinque-sei persone, e appena il mare fu sgombro mi chiese se ne avessi mai portata una. Gli dissi di no e lui mi fece accomodare sulla poltroncina davanti al timone. Beh, così non era proprio difficile, soprattutto alla velocità che lui aveva impostato, però mi sentivo molto marinaia. Quando fummo più al largo mi rese chiare le sue intenzioni, venendo alle mie spalle e slacciandomi il pezzo di sopra del costume. Mi misi a ridere. Adesso mi sentivo molto una marinaia con le tette al vento, una pirata. E mi piacevano molto le sue mani che accarezzavano il mio piccolo seno e le sue labbra che mi baciavano il collo e le spalle. Glielo dissi pure, "mi piace tanto così", ma penso che se ne fosse accorto. I capezzoli mi tiravano ed erano diventati duri. Il mare diventò aperto. Ios era un mucchietto bianco alle nostre spalle. Il sole a quell’ora non cuoceva più e la brezza faceva il resto. Era il paradiso. Un paradiso anche molto immorale, visto lo stato in cui le carezze di Kostas mi avevano ridotta. Non che gemessi come una gatta in calore, ma il desiderio che quei morbidi preliminari facessero finalmente un upgrade lo sentivo tutto. Perciò l’urletto di sorpresa che feci quando lui, dopo avere ridotto al minimo il motore, mi prese per un braccio e mi ribaltò su un materassino, non fu molto congruo. Decisamente più congrua e più caratteristicamente “mia” fu invece la risatina isterica che mi uscì una volta atterrata sul materassino. Mi abbassò il perizoma e si stese sopra di me, sulla carne sentivo il duro del suo cazzo. Pensai “dio sì, scopami”. Dire che fossi pronta è un eufemismo.

Lui invece mi inculò, come disse una volta una mia amica, di colpo e senza passare dal via. Fu duro e violento, ma non di quel tipo di violenza che piace anche a me. Non lo fermarono né i miei strilli scannati, né le mie suppliche né i miei insulti. E nemmeno le mie lacrime. Mi fece molto male ma a un certo punto capii che, più del dolore, quella che si era impossessata di me era la paura. Terrore, anzi. Ero in mare aperto con un ragazzo che, chissà perché, a un certo punto si comportava come se volesse stuprarmi anziché scopare una ragazza che, in definitiva, non aspettava altro. Cosa cazzo sarebbe successo?

Appena mi fu possibile mi andai a rannicchiare sul divanetto accanto al motore gridando "voglio tornare, voglio tornare a casa". Non sentivo ragioni e ci misi pure un bel po' a rendermi conto del modo in cui mi guardava. Doveva essere una bella scena: io in preda a una crisi isterica e lui che mi guardava stupefatto. Non riuscii nemmeno a capire che aveva girato la barca in direzione Ios, cosa che un po' avrebbe dovuto rassicurarmi, volevo solo tornare dai miei amici ed era come se pensassi che ci sarei arrivata solo a forza di urla.

A pensarci ora, ne disse di cose cretine Kostas. La prima fu “pensavo ti piacesse”, la seconda “non potevo resistere, lo volevo dal primo momento che ti ho vista”. E qui forse avrei dovuto capire che era una cosa troppo stupida per non essere vera. Io non gli rispondevo, gridavo solo “che cazzo dici!” senza capire che uno che vuole stuprarti, strangolarti e buttarti a mare non ti racconta quelle cose. Ero schizzata di testa e ne avevo tutte le ragioni.

Kostas non tornò al porto. Si fermò davanti a una caletta ancora popolata di bagnanti. Mi dissi ok, non vuole strangolarmi e buttarmi a mare, ma non è che mi calmai molto. Lui cercava di fare pace, io non ne avevo alcuna intenzione. Mi disse pure “dai, facciamo un tuffo”. Nemmeno gli risposi, gli lanciai un’occhiata che senza bisogno di traduzioni diceva “vaffanculo te e il tuo tuffo”. Gli dissi invece “io voglio tornare”, lui si tuffò. Restai per un po’ sopra la barca, poi ci ripensai. Mi sentivo sporca e infiammata. Mi tuffai anche io, ma dalla parte opposta alla sua, solo il contatto con l'acqua mi ricordò che ero in topless. Cercò di raggiungermi, io mi avvicinai alla scaletta. Ero pronta a urlare, la riva non era a più di trenta metri. Ma proprio lì, in mare, iniziò una delle più surreali conversazioni cui abbia preso parte in vita mia. “Se dico no è no, capito? Se dico no è no!”, gli urlai senza nemmeno fargli aprire bocca. Comprenderete che non stavo parlando di sodomia, stavo parlando di una cosa più generale e articolata. “Un sacco di ragazze dicono no e poi è sì!”, mi fece, e credo che lui invece si riferisse proprio alla sodomia. “Non me ne frega un cazzo!”, urlai ancora. “Come lo capisco? E’ sempre così!”, urlò anche lui. Certamente sulla spiaggia ci sentivano. Non dico che potessero capire cosa dicevamo, ma che litigassimo era chiaro. Se non altro perché terminavo ogni frase urlando “you got it? you got it?”.

Andammo avanti a lungo, litigando. E non solo in acqua. Sulla barca, al distributore di benzina del porto, lungo la strada. Nemmeno mi resi conto di avere accettato la sua proposta di andare a cena in una tavernetta tranquilla. Non mi potevo capacitare che non capisse il mio punto di vista. Che forse non si può spiegare, ma secondo me tutti sapete di cosa parlo: “Un uomo lo sa, un uomo deve capirlo, se è un uomo!”. E’ così Kostas, un uomo lo sa, lo deve sapere. You got it? Finimmo ovviamente a parlare di sesso. Non in modo morboso, in modo quasi asettico direi. Non dico che ci raccontammo tutto, ma ci raccontammo parecchio. La paura non c'era più anche se l'incazzatura non era del tutto scomparsa. Mi sentivo da una parte pedagogica, dall'altra curiosa di capire come cazzo ragionasse un tipo così. Non l'avrei mai ammesso in quel momento, nemmeno sotto tortura, ma a pensarci ora credo che in quei momenti fossi io a volere qualche appiglio per riavvicinarmi a lui. Ripeto, al sesso non ci pensavo. Nonostante ci fossimo fatti delle confessioni molto intime (credo di non avere mai raccontato tanto di me a un ragazzo) non ero nemmeno su di giri, vino a parte. A dirla proprio tutta, pensavo che a breve sarei tornata a casa. Da sola.

- Dimmi la verità, Kostas, che non mi offendo, sono una scopata come un’altra, no? - gli chiesi a un certo punto.

- Tu non lo volevi ieri sera?

- All’inizio non lo sapevo, poi sì. L'ho deciso mentre pisciavo, pensi che non avessi capito cosa cercavi tu?

- No, lo so che non sei stupida... Nessun coinvolgimento sentimentale, vero?

- No, nessuno – gli risposi.

- Nemmeno per me – disse lui – però è un peccato.

Ok, colpita e affondata. Stando a quanto mi aveva detto, la maggior parte di quelle che castigava si ritrovava a vivere l'esperienza della "sedotta e abbandonata". Se ne era pure lamentato, chiedendomi "perché così spesso le ragazze non capissero che si trattava solo di godersela per una notte". Magari non usò proprio queste parole ma il senso era questo. "Perché non capisci un cazzo", gli risposi. Il fatto che lui mi dicesse che era un peccato che tra noi non fosse scoccato un'altro tipo di scintilla mi fece però barcollare. Mancai l'attimo. Avrei dovuto dirgli "però se vuoi possiamo stare insieme finché non riparto", ma stetti zitta. Chissà cosa mi avrebbe risposto, me lo chiedo ancora oggi. Eravamo appena fuori dalla taverna, avevamo bevuto parecchio. Mi prese e mi baciò con passione, mi lasciai baciare.

- Non sei una ragazza come un’altra – mi disse tenendomi la faccia tra le mani a nemmeno mezzo centimetro dal mio viso. Il suo fiato sapeva di raki, tsipouro o quel cazzo che era.

Nonostante il suo corteggiamento, non ero ancora tanto sicura di voler passare la notte con lui, ma lo feci. Cedetti progressivamente, ma cedetti. Girammo, bevemmo ancora e ballammo. Mi lasciavo condurre per i vicoletti allacciata come se fossi la sua fidanzata, mi sentivo invidiata e mi piaceva molto che ci guardassero. Mi strusciai scandalosamente su di lui davanti a un gruppo di ragazze che se lo mangiavano con gli occhi, mi lasciai baciare con le sue mani aggrappate al mio culo. Avevo abbassato completamente le difese, ero spudorata. Gli dissi all'orecchio "trova un posto per noi, ti prego".

Di quella notte potrei ricordare tante cose, ma in cima a tutte ci sarà sempre lo sguardo che mi riservò il suo compagno di stanza alzandosi per andarsi a trovare un altro posto per dormire. Mi squadrò con un’espressione che diceva “te la sei trovata mica male la troia”. Molte si sarebbero vergognate e, in certi momenti, magari mi sarei vergognata anche io. Ma allora no, mi piacque. Non mi dispiaceva per niente che quello mi vedesse e mi considerasse una troia. Mi sentivo troia, volevo esserlo. E lo fui. E, a proposito, capii che Kostas il termine italiano “troia” lo conosceva benissimo e gli piaceva usarlo. Stessa faccia, stessa razza e anche stessi gusti.

Lo lasciai che saranno state le sei e qualcosa, non era il caso di restare in un appartamento pieno di ragazzi a preparare la colazione per tutti, no? Quella parte della storiella che mi ero immaginata era proprio impraticabile, sorry. Quando gli dissi che stavo per andare si mise a ridere e disse “finalmente si potrà dormire in queste casa”. Gli risposi, ed era un complimento, “se uno vuole dormire non divide la casa con un porco come te”, mettendogli la mano sul cazzo ormai esausto e sui coglioni. Avevano davvero fatto un gran lavoro.

La strada da fare non era poca, mi sentivo sfinita, felicemente distrutta e lievemente squartata. L’alba mi aveva regalato la seconda inculata in poche ore. Stavolta non a tradimento. Anzi annunciata a sussurri, implorata a carezze, preparata con la lingua e, non ci crederete ma è così, immensamente goduta. A volte può essere uno tsunami, sapete? Beh, quella volta fu uno tsunami, come lo chiamo io. Ovviamente a casa la mia assenza non era passata inosservata. Dovetti accettare le ironie sul “giro in barca un po’ lungo”, sul “naufragio” e anche il leggero ma percepibile risentimento di Paolo e Filippo, che di sicuro da quel momento in poi sarebbero stati sì cavalieri ma molto molto meno serventi. Me ne fregai, di ogni cosa. Avevo fatto il pieno di endorfine, oltre che di tutto il resto, e stavo bene nonostante i doloretti sparsi. Avevo voglia di stendermi al sole a lungo. E con le mie amiche, quando fu il momento, non fui parca di dettagli.

Qualcosa però mi diceva che quella con Kostas sarebbe rimasta l’avventura di due notti. Non ci eravamo dati nessun appuntamento, tanto per dirne una. Certo, voleva dire poco. Incrociarsi la sera alla Chora non sarebbe stato di sicuro impossibile. Tuttavia sentivo che sarebbe andata così.

La conferma dei miei timori - ma sarebbe meglio chiamarle sensazioni, timori è un po’ troppo - la ebbi la sera dopo, quando lo vidi camminare con la mano sul fianco di una mora, non credo italiana, con le tette praticamente di fuori. Mi rivolse appena un sorrisino di saluto. Sul momento ci rimasi un po’ male, ma non ne feci certo una malattia. Il mio piano di farmi una storiella agostana era saltato, ma ammetto che non era un gran piano e forse non me ne fregava davvero tanto. In fin dei conti sapevo sin dal principio che quello era uno dei possibili finali di partita. Tutto sommato potevo farmene rapidamente una ragione e me la feci. Ci siamo fatti un po’ di scopate, Kostas, va bene così. L’unico retrogusto amaro era la consapevolezza che, passato quel piccolo periodo di benessere, sarei tornata a sentirmi come ero prima. Ossia un po’ scoglionata e alla ricerca di non so che cosa. Sticazzi, mi dissi anche mentendo un po' a me stessa, di Kostas è pieno il mondo.

La sera seguente, però, conobbi Luca.


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2020-09-16
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