Cosa ci faccio io qui - Stop sculetting
di
RunningRiot
genere
etero
La serata era calda calda calda. E la disco piccola piccola piccola, la gente tanta tanta tanta. Al bar questi coglioni non vendevano acqua minerale. L'unico modo per avere un bicchiere d'acqua era prendere un caffè. Sì, certo, all'una di notte. E poi a quell' ora manco lo facevano più. Me ne stavo seduta su un sedile di pietra un po' all'aperto, con in mano un bicchiere pieno di succo di frutta e vodka. Pochissima vodka per favore. Sotto la canotta e sulle gambe mi sentivo scorrere le goccioline di sudore. E dire che non mi ero nemmeno scatenata tanto, non mi andava un granché. Avrei preferito una serata in un posto davanti al mare a bere birra e chiacchierare con le mie amiche e con i miei amici. Di folleggiare non mi andava tanto, pensavo di averlo fatto abbastanza durante le due notti con Kostas. Poiché di folleggiare invece ai miei amici andava, eravamo finiti lì. Vabbè, due diverse idee di folleggiare, evidentemente.
Avevo cazzeggiato con Simone, in pista, facendogli dei complimenti esagerati davanti alla sua ragazza e chiedendole "non è che me lo presti qualche volta?". Stefania non se la piglia, anzi. E' una gag che un paio di volte all'anno tiro fuori e lei mi ha pure confessato che una volta lui le chiese "ma dice sul serio o piglia per il culo?". Stanno insieme da un sacco di tempo ma io e Stefania siamo amiche da molto di più. Sostanzialmente lo ama, anche se ogni tanto non rinuncia a fargli qualche corno. Lo so perché me l'ha detto - ci diciamo tutto - e perché qualche volta c'ero pure io.
"Te lo presto? - mi aveva risposto Stefania - ma te lo regalo proprio!". Risposta standard. Simone aveva anche cercato di provocarmi un po': "Pensavo che l'altra notte ti fosse bastato". "Ancora?", gli avevo risposto ironicamente ricordandogli la mia versione ufficiale della notte con Kostas: una gita in barca con lui e altre due ragazze e ore passate su una spiaggia a bere e a vedere chi conosceva più canzoni di Ed Sheeran. Dubito che qualcuno ci abbia creduto. Parlo di Simone e degli altri tre maschi della compagnia, Stefania e Tiziana la verità la conoscevano. Ma sticazzi.
Con loro ero rimasta poco, però. Ve l'ho detto, non mi andava tantissimo di ballare e poi ero morta di caldo. Un bagno di sudore. Per questo ero uscita a cercare un po' di brezza che non c'era. L'aria era completamente ferma. Ma sì, mi dissi, non è mica obbligatorio. Me ne sto qui in vacanza, mi riposo, mi rilasso, se per una sera salto un turno non succede nulla. Avevo pure rimediato qualche bella scopata, che volevo di più. Avevo anche altro cui pensare, eh? Anche se non avrei dovuto. Mi ero imposta, per dire, di non aprire mai le mail per controllare se i miei curricula inviati un po' qua e un po' là avessero ricevuto qualche risposta. Non ci ero riuscita e le mail le avevo aperte. Niente. Godiamoci un po' questo posto Annalì, mi dicevo, senza pensare a nulla. Senza sentirti obbligata a nulla. Che quando torni a Roma sì che sono cazzi.
E' stato proprio mentre facevo questi pensieri autoconsolatori che ho visto Luca per la prima volta in vita mia. Per meglio dire: ho visto un manzo più che notevole dall'aria completamente sfatta che grondava sudore. Con i bermuda e la polo letteralmente appiccicati addosso. Boccheggiava. Gliel'ho detto un sacco di volte che quelle polo sono troppo pesanti, in certe occasioni, ma lui no: è fissato con le Lacoste. Ne avrà diecimila, non so, e di tutti i colori.
Ora, non so se l'ho mai scritto, forse sì, ma in questo momento è giusto che io dica cosa mi colpì di lui. Vedete, il fatto è che Luca è bello. Lo so, detta così sembra una stronzata, ce n'è tanta di gente bella. Ma la sua è una bellezza particolare. A parte i lineamenti del viso (somiglia molto a Kim Rossi Stuart da giovane, ma lui Romanzo criminale non l'ha visto), è alto, ha un bel fisico slanciato, tonico a vederlo (e anche a toccarlo, ok), ma non prorompente, arrogante. L'aria un po' sperduta. E' il prodotto, l'ho imparato dopo, di una sua timidezza di fondo che a volte sconfina nell'imbranataggine. Oh, non è un coglione, eh? Ma proprio per nulla. La timidezza riesce anche a gestirla, il più delle volte. Certo, se dovessi dire che solo a guardarlo sembra uno sicuro del fatto suo... ecco, no.
In genere, nonostante la bellezza, quando andavo a caccia un tipo così l'avrei calcolato poco, per non dire nulla. Quando andavo a caccia li cercavo sfrontati e predatori, quelli che ti fanno capire che i ruoli si sono rovesciati e che ora la preda sei diventata tu. Poiché però non ero a caccia e anzi non ci pensavo proprio, la sua immagine mi colpì.
Mi guardò, guardò soprattutto quello che stavo bevendo direi. Agitò un po' l'indice, come quelli che fanno così per dire "non è una cattiva idea" ce li avete presente? E niente, si voltò e se ne andò. Tutto qui. Se vi sembra di avere visto due tipi che si guardano e un momento dopo gli occhi gli schizzano fuori dalle orbite facendo sdeng-g-g... beh, non eravamo noi.
Lo rividi qualche minuto dopo, sempre fradicio di sudore. Avevo appena finito di dire a Stefy di non preoccuparsi di nulla e che stavo benissimo, volevo solo prendere un po' di fresco. Mentre lei se ne andava, lui ritornava. Si incrociarono, lui si voltò un po' a guardarla. Impossibile non farlo con lei. Si avvicinò a me mostrando un bicchiere simile al mio, non ci siamo mai detti cosa ci fosse dentro. Pensai che fosse uno che ci volesse provare e nonostante l'obiettivo piacere che regala alla vista di una ragazza mi dissi "che palle". Senza però nemmeno essere tanto infastidita, a dire il vero. Una come me ci è abbastanza abituata. Indicò il mio vestito e poi la sua maglietta, come a dire "caldo terribile, eh?". La prossima, pensai, sarà la richiesta del passaporto.
- Where are you from? - disse appunto. E anche con una pronuncia passabile.
- Rome - risposi un attimo prima di rendermi conto che, con quella pronuncia, molto probabilmente era italiano pure lui.
- 'n ce posso crede... - fece.
- Non è così impossibile - obiettai.
- No, hai ragione - disse dopo averci pensato un attimo su - Roma dove?
- Q IV... - risposi.
- Cioè?
- Salario, tu?
- Ah... io piazza Mazzini.
Parlammo un po', le solite cose. Da quanto sei qui, io sono arrivato oggi, com'è qui, che si fa, i posti migliori sia per il giorno che per la sera... Cazzate, insomma. Mi disse che era stanco, che voleva andare a letto presto e alzarsi presto: "Domani mattina vorrei andare a correre - disse - è da un po' che ho ripreso e dovrei continuare". Non sapevo ancora il perché di questa follia, l'avrei saputo solo in seguito, e sul momento non mi sembrò nemmeno una follia, anzi.
- Sono anche io una runner - gli dissi.
- Davvero? E qui ci sono bei posti?
- Qui non corro affatto...
- Ahahahahah fermo biologico? - rise.
- Se domattina ci vai vengo anche io - gli feci dopo avere riso anche io. La battuta mi era piaciuta.
E se proprio devo dirla tutta, non ho mai capito - nemmeno oggi - perché gli dissi una cosa del genere. Non c'era nulla di particolare che mi attirasse nella prospettiva di andare a correre con lui. Forse volevo semplicemente uscire dal susseguirsi di sonno-mare-alcol-disco. Era diventata una routine pure quella.
Ci mettemmo d'accordo per il mattino seguente, alle otto. Lo feci senza pensare che questo avrebbe potuto significare dormire solo due-tre ore, considerati i nostri ritmi. Ma a pensarci bene, da quel momento in poi, cominciai a fare una serie di cose strane. Cioè, strane no. In effetti sono cose che fa un sacco di gente. Un po' strane per me, però sì. Ma non me ne rendevo conto.
Poi vidi Stefania che da lontano mi faceva cenno di andare, probabilmente avevano deciso di cambiare posto. Mi alzai e lo salutai, tornai indietro e gli domandai "scusa, ma tu come ti chiami?". "Io Luca, tu?". "Io Annalisa".
Stefy mi chiese qualcosa tipo "era quello? mica male, ma non dicevi che non...". Pensava che fosse Kostas. "Noooo, mica era lui, è pure italiano, anzi di Roma". Mi chiese come l'avevo rimorchiato uno così e le risposi che non avevo proprio rimorchiato nessuno né che mi ero lasciata rimorchiare.
- Ah sì, eh? - mi fece Stefania.
- Sì - risposi sicura. E lo ero davvero.
- Perché sculetti allora? - chiese ancora.
- Non sto sculettando! - risposi.
- Damme retta Annalì, stop sculetting... - rise.
Ci rimasi un po' come una scema. Se me lo diceva lei era vero, ma proprio non mi sembrava. E non avere il controllo del mio corpo non mi piace, soprattutto se faccio movimento inconsulti da zoccolina. Mi piace decidere io di farli, consapevolmente.
Comunque, non solo quella mattina andai a correre con lui, ma nei due-tre giorni seguenti lo rividi spesso. Mi lasciavo sfuggire "casualmente" i posti o le spiagge dove saremmo andati con i miei amici e, altrettanto "casualmente", molto spesso me lo ritrovavo lì. Ogni tanto mi isolavo con lui - nulla di speciale, una passeggiata, qualcosa di ghiacciato al bar, un bagno in mare - e scoprii di starci bene. Mi piaceva parlarci, sentivo molta affinità. Lo dico sempre, Luca non è privo di difetti, tutt'altro. Ma a parte il fatto che i difetti emergono sempre dopo un po' perché non li vedi o non li vuoi vedere, tutto si può dire di lui tranne che non abbia una mentalità che mi piace definire "accogliente". Parla e ascolta, ci tiene a sapere come la pensi e a mettersi in discussione, per esempio. E non lo fa per compiacerti, te ne accorgi benissimo. Ci si discute che è una bellezza e ci si diverte anche che è una bellezza. In più, anche se non è un grande affabulatore, è spontaneo. Che mi corteggiasse in questo modo era evidente, non sono mica cretina. Tuttavia non era quello che di lui mi interessava, anzi se ci pensavo dicevo tra me e me "ma no...", nonostante sia, ve l'ho detto, un manzo davvero appetibile da quel punto di vista. Mi piaceva moltissimo passarci il tempo, ecco. Tra le cose che mi raccontò ci fu anche quella che era uscito solo da un paio di mesi dalle conseguenze di un incidente stradale in cui per poco non ci rimetteva le penne. Che oltretutto si era rotto un bel numero di ossa e che la riabilitazione non era stata per nulla breve. Qualche cicatrice, in effetti, si vedeva. Soprattutto una sul costato, poco sotto il cuore. Ammetto, la cosa mi intenerì parecchio.
Ovviamente, dovetti sopportare le ironie delle mie amiche e dei miei amici. E immagino che lui abbia dovuto sopportare quelle dei suoi - tra i quali, devo dire, ragazze non ce n'erano: erano chiaramente lì per rimorchiare e uno anzi ci provò pure con Stefania, venendo però respinto con pesanti perdite. Tra me e Luca invece era tutto alla luce del sole, dal jogging all'aperitivo della sera e, un paio di volte, quattro chiacchiere sudate fuori da un disco-bar, con le birre in mano. Mai niente più di questo. Stefania e Tiziana mi guardavano interrogative, ogni tanto.
Una sera, infine, mi ritrovai indecisa davanti alla gente di un beach bar. Per la verità stavo per andare a casa. Ero rimasta in spiaggia con l'idea di aspettare lì i miei amici per andare a mangiare qualcosa, ma era stata una pessima idea. Tanto per cominciare perché mi sarei dovuta portare appresso la borsa del mare per tutta la sera, poi perché il sale mi dava fastidio e volevo farmi una doccia seria. Infine, dopo la corsa del mattino, non avevo più visto Luca e mi ero sorpresa a pensare che mi dispiaceva.
Lui mi arrivò alle spalle. In un primo momento vidi solo una mano che mi metteva davanti agli occhi qualcosa che sembrava spritz ma che non lo era: "Bevi?". Mi voltai e gli sorrisi, senza parlare, poi mi girai ancora dandogli la schiena, mettendo le braccia conserte, con il bicchiere in mano. Mi avvolse con le braccia le spalle nude, lo ricordo molto bene quel momento: avevo una lunga gonna bianca ma di sopra indossavo solamente il top del bikini. Mi lasciai andare leggermente all'indietro, la pelle del dorso contro quella del suo petto. Fu il nostro primo contatto fisico in assoluto. Che figata, mi dissi. Mi dissi che avrei voluto restare sempre così. Invece, lo salutai una volta finito di bere l'aperitivo, gli dissi che andavo a casa. E lui, per la prima volta, mi chiese esplicitamente "ci vediamo dopo?". Gli risposi semplicemente "i posti sono sempre quei due o tre, folla permettendo". Ma mentre tornavo mi diedi della stupida. Speravo con tutta me stessa che mi cercasse in giro. E che mi trovasse.
Mi trovò, in effetti, e su una panchina, con le solite bottigliette di birra in mano, mi baciò per la prima volta. Disse prima "scusa, devo fare una cosa", poi mi prese la testa e mi infilò la lingua in bocca. Me l'aveva già fatto un ragazzo, una volta, e usando le stesse parole, se ricordo bene. Era il mio primo scopamico, magari avrei potuto interpretarlo come un segno del destino ma in quel momento non ci pensai. Un po' non potevo crederci e un po' mi sembravo scema. Tutto quello che stava succedendo non era da me, non mi riconoscevo. Voglio dire: la mia normalità sarebbe stato fargli un pompino o scoparmelo la prima sera che ci siamo conosciuti e, dopo tutti quei giorni, bloccare il suo contatto o cancellarlo. Invece stavo lì a fare la protagonista di un romance manga. Quando mi disse "come sei bella... e che occhi" non capivo quasi più un cazzo. E meno male, perché lo disse in un modo che, se fossi stata nel pieno possesso delle mie facoltà, sarei andata giù di testa.
Fu l'unico bacio, per quella sera. Lo so che non ci crederete ma è vero. Ci separammo e ci rincontrammo, sempre al seguito dei nostri rispettivi gruppi. Ci guardavamo molto intensamente, ma a nessuno dei due sembrò opportuno fare altro. Il giorno seguente, dopo la solita corsetta, i baci diventarono due, cinque, dieci. E nel corso della giornata e della serata cinquanta, cento. Dormimmo sotto il sole su due asciugamani appaiati. Ci scambiammo i numeri di telefono, fino a quel momento non l'avevamo fatto.
Lo so, lo so. Direte: ma scusa, perché una come te non si è fatta portare da qualche parte e... Bella domanda, avete ragione. Se avessi una risposta ve la darei. L'unica cosa che posso dire è che, in quel momento, non volevo quello. E non sono neanche sicura che lo volesse lui. Non saprei nemmeno dire come mi sentivo. Stefania e Tiziana mi chiesero come andava, senza dirmi ciò che in effetti avrebbero voluto dirmi: sei strana, Annalisa, non ti abbiamo mai vista così. Non ce n'era bisogno, ero io la prima a sentirmi strana. Ma la sera dopo mi arrivò un WhatsApp: "Ci prendiamo un gelato io e te domani pomeriggio?". Mentre lo leggevo mi batteva il cuore. Era tanto che non mi batteva così.
Quel pomeriggio eludemmo le nostre rispettive compagnie e ci sedemmo ai tavolini di un bar davanti al mare. Erano le quattro e mezza e faceva un caldo assurdo. Non saprei nemmeno dire se i nostri baci languidi fossero intervallati dalle nostre chiacchiere o viceversa. Ma entrambi sapevamo che stava per succedere. E infatti successe, con una lentezza esasperante cui non ero abituata, ma successe.
Ricordo ancora la sua carezza a mano aperta sul mio braccio. Una scossa che mi attraversò tutta, i suoi occhi nei miei. E poi IL bacio. Diverso da tutti quelli che ci eravamo dati prima e anche da quelli della sera precedente. Con le palpebre serrate e le mani a bloccare l'uno la testa dell'altra. Tipo non-staccarti-per-nessuna-ragione-al-mondo-io-ti-voglio-e-ti-voglio-ora. Ma alla fine per fortuna ci staccammo, se non altro per riprendere fiato. Alla fine per fortuna arrivò il suo "ti va di andare da me?". Ero così partita che non ricordo nemmeno se annuii o se dissi semplicemente sì.
I vestiti ci si incollavano addosso e forse non eravamo più tanto profumati. Però eravamo puliti e, in verità, l'odore del suo sudore mi eccitava. Dovetti staccarmi il vestitino con le mani per evitare che mi si vedessero le tette mentre camminavo per strada. Avevo tenuto in borsa il pezzo di sopra del costume ma avrei dovuto fare il contrario: mettermi quello e rinunciare alle mutandine. Le sentivo zuppe, e non di sudore.
Anche la casa era calda. Con le tapparelle abbassate e in penombra per non far entrare il sole e le porte delle stanze tutte spalancate per far correre l'aria. Chiuse la porta della sua con fare timido, quasi colpevole. Come se volesse chiedermi scusa di avere avuto un pensiero così. Mi fece molta tenerezza. Forse in altri momenti tutta quella sua delicatezza mi avrebbe dato sui nervi. Ma in quel momento preciso no. Avevo una forte sensazione di, come posso definirla, novità. Non facevo nemmeno pensieri osceni, anche questa è una cosa che ricordo benissimo. Sì, per un istante lo ammetto che pensai ciò che penso ogni prima volta: "chissà come mi scopa". Credo che molte ragazze lo pensino, anche quelle più virtuose di me. Ma in realtà era come se tutto fosse un prolungamento dei giorni precedenti, una naturale evoluzione. Un ragazzo e una ragazza che cominciano una storia. E la novità, per me, era proprio cominciare una storia.
Mi baciò un'altra volta e, mentre lo faceva, mi abbassò le spalline sottili. Il mio vestitino celeste a fiorellini precipitò giù. Mi aveva già vista in costume da bagno, a parte la zona bianca delle mie tettine e quella davvero microscopicamente bianca del mio pube non c'era nulla che non conoscesse. Eppure mi dissi "oddio, ora penserà che sono troppo piccole, che sono troppo magra".
Come forse mai prima, mi sentii un concentrato di insicurezze.
Lui invece sussurrò "che bella che sei" e cominciò a baciarmi la bocca e il collo. E a passarmi le mani ovunque. Sul seno, sui fianchi, sulla schiena, sul culo. E io ricordo benissimo che pensavo "sì, sì... ho le tette piccole, ma ti piacciono? sono belle! e sì, d'accordo, sono sudata, ma non senti che pelle che ho? e le natiche?". Avrei voluto anche che mi infilasse la mano dentro il perizoma, che sentisse come ero liscia anche lì. "Ti piacciono le ragazze che si depilano? O la trovi una moda stucchevole?".
Naturalmente non gli dissi nulla e non glielo confessai né allora né in seguito. Ma anche su questo temevo il suo giudizio. La sera precedente, per meglio dire la notte visto che erano le due e mezza, mi ero rinchiusa nel bagno e mi ero controllata per bene. Mi ero anche data due colpetti di rasoio. Con molta difficoltà, visto che mi veniva costantemente da masturbarmi pensando a lui. Solo dopo essermi passata un po' di crema sul pube lo feci fino in fondo immaginandomi con lui per la prima volta. Ero troppo eccitata per non farlo. Non gli ho mai confessato nemmeno questo. All'inizio perché mi vergognavo, non volevo che mi prendesse per una mignotta. E poi... boh, poi perché il sesso tra noi è diventato una cosa così travolgente per entrambi che forse non ce n'era nemmeno più bisogno.
E scusate la digressione ma, adesso che queste cose le metto in fila e le scrivo, è buffo lo so, mi viene da pensare all'altra sera, quando eravamo a cena dai suoi. Quando sua madre mi diceva di come Luca sappia essere così amorevole e fragile, con lui che la rimbrottava seccato ("a ma'....") come un sedicenne. Ma aveva ragione lei, anche se lì, sul momento, avrei voluto dirle "lo sa signora che oggi pomeriggio il suo bambino mi ha scopata proprio come si scopa una troia? E lo sa che a me piace un sacco quando mi scopa come una troia?". Invece no, invece no. In quella prima volta c'era tutto Luca. E quindi, signora, cosa le potrei dire? Che il suo bambino mi ha corteggiata quasi senza che me ne accorgessi e che la prima volta mi ha presa con delicatezza. E che nonostante essere scopata con delicatezza non sia proprio tra le mie opzioni preferite beh, in quel momento lo era e tremavo come una ragazzina. Mi lasciai tuffare sul suo letto e mi sembrò di essere una che precipitava da mille metri di altezza ripetendo a se stessa "sì, sì, sì". Mi lasciai baciare ovunque e lo assecondai nel farmi togliere le mutandine. Avvertii il passaggio della sua lingua su ogni centimetro di pelle, sul fronte e sul retro, l'ammirazione nella sua mano che mi accarezzava il sedere. Quasi mi sentii una troia a piagnucolargli "spogliati anche tu". Ero una tempesta di brividi, pelle d'oca, contrazioni e umori vaginali, mi veniva da strapparmi i capelli, quasi. Ero liquida di voglia e di piacere, ma in realtà mi sentivo un'altra persona e la cosa più ardita che gli dissi fu "puoi venirmi dentro, se vuoi".
E insomma, che ci crediate o meno la nostra prima volta fu così. E immediatamente dopo ce ne fu un'altra, altrettanto delicata. Con me sopra, stavolta, che gli ripetevo "mi piace-mi piace-mi piace". Me lo disse qualche mese dopo che quel pomeriggio pensò che fossi un po' imbranata. Che si vedeva che avevo tanta voglia di dargliela, ma imbranata. Disse proprio così e non me la presi. A quel punto parecchi muri erano caduti tra noi e io non ci avevo messo poi molto a essere, anche con lui, quella che in fondo sono sempre stata. Del resto pure Luca non fu da meno: "ti ricordi la prima volta che abbiamo scopato?". Me lo disse mentre mi affondava il pollice nel culo e due dita nella fregna. Voi capirete, in quel momento mi si può dire di tutto che non mi offendo.
Tuttavia, fu la nostra seconda volta a mostrarci, almeno nel sesso, quello che saremmo potuti diventare. Nulla di particolarmente perverso, ma bello. L'ho già detto: Luca non è come Stefano, il mio amante, che mi fa fare tutto ma proprio tutto ciò che gli passa per la testa. Probabilmente non sarà mai così, anche se lo vorrei. Però scopare con lui è bello, bello come lui. E liberarsi di ogni inibizione fu un dono del cielo e, in fondo, anche facile.
I suoi amici, con una generosità che non mi sarei aspettata, ci lasciarono praticamente una notte tutta nostra, una casa tutta nostra. Ne approfittammo, chiaramente. Del resto tutti avevano capito quello che c'era tra noi. Non era nemmeno più motivo di ironie o di imbarazzo. Finimmo nella sua camera dopo avere cenato da soli. Una di quelle cene in cui non vedi l'ora che ti portino il conto, non so se mi spiego.
Finimmo un'altra volta nella sua stanza. O meglio, nel suo bagno a lavarci i denti. Lo pregai di lasciarmi un attimo da sola. Non dovevo fare nulla di particolare, giusto rinfrescarmi un po', se capite ciò che intendo. Mi guardai nel piccolo specchio e mi venne da ridere. Pensai "ma che ti prende, Annalì?". E mi spogliai completamente.
Entrai in camera così, nuda. Lui era sul letto che mi aspettava. Completamente vestito.
- Vuoi giocare con me? - gli feci simulando una voce da bambina.
Mi inginocchiai sul letto e gli sfilai i pantaloncini, la maglietta. Lo baciai e lo slinguazzai ovunque. Come lui aveva fatto con me la prima volta. Leccai il suo sudore. Baciai quasi con amore quella brutta cicatrice sul costato. Poi mi inginocchiai tra le sue gambe aperte. E per la prima volta gli feci capire che qualsiasi cosa gli avesse fatto qualsiasi altra troia in passato non era un pompino. Quello era un pompino. E quella ero io.
CONTINUA
Avevo cazzeggiato con Simone, in pista, facendogli dei complimenti esagerati davanti alla sua ragazza e chiedendole "non è che me lo presti qualche volta?". Stefania non se la piglia, anzi. E' una gag che un paio di volte all'anno tiro fuori e lei mi ha pure confessato che una volta lui le chiese "ma dice sul serio o piglia per il culo?". Stanno insieme da un sacco di tempo ma io e Stefania siamo amiche da molto di più. Sostanzialmente lo ama, anche se ogni tanto non rinuncia a fargli qualche corno. Lo so perché me l'ha detto - ci diciamo tutto - e perché qualche volta c'ero pure io.
"Te lo presto? - mi aveva risposto Stefania - ma te lo regalo proprio!". Risposta standard. Simone aveva anche cercato di provocarmi un po': "Pensavo che l'altra notte ti fosse bastato". "Ancora?", gli avevo risposto ironicamente ricordandogli la mia versione ufficiale della notte con Kostas: una gita in barca con lui e altre due ragazze e ore passate su una spiaggia a bere e a vedere chi conosceva più canzoni di Ed Sheeran. Dubito che qualcuno ci abbia creduto. Parlo di Simone e degli altri tre maschi della compagnia, Stefania e Tiziana la verità la conoscevano. Ma sticazzi.
Con loro ero rimasta poco, però. Ve l'ho detto, non mi andava tantissimo di ballare e poi ero morta di caldo. Un bagno di sudore. Per questo ero uscita a cercare un po' di brezza che non c'era. L'aria era completamente ferma. Ma sì, mi dissi, non è mica obbligatorio. Me ne sto qui in vacanza, mi riposo, mi rilasso, se per una sera salto un turno non succede nulla. Avevo pure rimediato qualche bella scopata, che volevo di più. Avevo anche altro cui pensare, eh? Anche se non avrei dovuto. Mi ero imposta, per dire, di non aprire mai le mail per controllare se i miei curricula inviati un po' qua e un po' là avessero ricevuto qualche risposta. Non ci ero riuscita e le mail le avevo aperte. Niente. Godiamoci un po' questo posto Annalì, mi dicevo, senza pensare a nulla. Senza sentirti obbligata a nulla. Che quando torni a Roma sì che sono cazzi.
E' stato proprio mentre facevo questi pensieri autoconsolatori che ho visto Luca per la prima volta in vita mia. Per meglio dire: ho visto un manzo più che notevole dall'aria completamente sfatta che grondava sudore. Con i bermuda e la polo letteralmente appiccicati addosso. Boccheggiava. Gliel'ho detto un sacco di volte che quelle polo sono troppo pesanti, in certe occasioni, ma lui no: è fissato con le Lacoste. Ne avrà diecimila, non so, e di tutti i colori.
Ora, non so se l'ho mai scritto, forse sì, ma in questo momento è giusto che io dica cosa mi colpì di lui. Vedete, il fatto è che Luca è bello. Lo so, detta così sembra una stronzata, ce n'è tanta di gente bella. Ma la sua è una bellezza particolare. A parte i lineamenti del viso (somiglia molto a Kim Rossi Stuart da giovane, ma lui Romanzo criminale non l'ha visto), è alto, ha un bel fisico slanciato, tonico a vederlo (e anche a toccarlo, ok), ma non prorompente, arrogante. L'aria un po' sperduta. E' il prodotto, l'ho imparato dopo, di una sua timidezza di fondo che a volte sconfina nell'imbranataggine. Oh, non è un coglione, eh? Ma proprio per nulla. La timidezza riesce anche a gestirla, il più delle volte. Certo, se dovessi dire che solo a guardarlo sembra uno sicuro del fatto suo... ecco, no.
In genere, nonostante la bellezza, quando andavo a caccia un tipo così l'avrei calcolato poco, per non dire nulla. Quando andavo a caccia li cercavo sfrontati e predatori, quelli che ti fanno capire che i ruoli si sono rovesciati e che ora la preda sei diventata tu. Poiché però non ero a caccia e anzi non ci pensavo proprio, la sua immagine mi colpì.
Mi guardò, guardò soprattutto quello che stavo bevendo direi. Agitò un po' l'indice, come quelli che fanno così per dire "non è una cattiva idea" ce li avete presente? E niente, si voltò e se ne andò. Tutto qui. Se vi sembra di avere visto due tipi che si guardano e un momento dopo gli occhi gli schizzano fuori dalle orbite facendo sdeng-g-g... beh, non eravamo noi.
Lo rividi qualche minuto dopo, sempre fradicio di sudore. Avevo appena finito di dire a Stefy di non preoccuparsi di nulla e che stavo benissimo, volevo solo prendere un po' di fresco. Mentre lei se ne andava, lui ritornava. Si incrociarono, lui si voltò un po' a guardarla. Impossibile non farlo con lei. Si avvicinò a me mostrando un bicchiere simile al mio, non ci siamo mai detti cosa ci fosse dentro. Pensai che fosse uno che ci volesse provare e nonostante l'obiettivo piacere che regala alla vista di una ragazza mi dissi "che palle". Senza però nemmeno essere tanto infastidita, a dire il vero. Una come me ci è abbastanza abituata. Indicò il mio vestito e poi la sua maglietta, come a dire "caldo terribile, eh?". La prossima, pensai, sarà la richiesta del passaporto.
- Where are you from? - disse appunto. E anche con una pronuncia passabile.
- Rome - risposi un attimo prima di rendermi conto che, con quella pronuncia, molto probabilmente era italiano pure lui.
- 'n ce posso crede... - fece.
- Non è così impossibile - obiettai.
- No, hai ragione - disse dopo averci pensato un attimo su - Roma dove?
- Q IV... - risposi.
- Cioè?
- Salario, tu?
- Ah... io piazza Mazzini.
Parlammo un po', le solite cose. Da quanto sei qui, io sono arrivato oggi, com'è qui, che si fa, i posti migliori sia per il giorno che per la sera... Cazzate, insomma. Mi disse che era stanco, che voleva andare a letto presto e alzarsi presto: "Domani mattina vorrei andare a correre - disse - è da un po' che ho ripreso e dovrei continuare". Non sapevo ancora il perché di questa follia, l'avrei saputo solo in seguito, e sul momento non mi sembrò nemmeno una follia, anzi.
- Sono anche io una runner - gli dissi.
- Davvero? E qui ci sono bei posti?
- Qui non corro affatto...
- Ahahahahah fermo biologico? - rise.
- Se domattina ci vai vengo anche io - gli feci dopo avere riso anche io. La battuta mi era piaciuta.
E se proprio devo dirla tutta, non ho mai capito - nemmeno oggi - perché gli dissi una cosa del genere. Non c'era nulla di particolare che mi attirasse nella prospettiva di andare a correre con lui. Forse volevo semplicemente uscire dal susseguirsi di sonno-mare-alcol-disco. Era diventata una routine pure quella.
Ci mettemmo d'accordo per il mattino seguente, alle otto. Lo feci senza pensare che questo avrebbe potuto significare dormire solo due-tre ore, considerati i nostri ritmi. Ma a pensarci bene, da quel momento in poi, cominciai a fare una serie di cose strane. Cioè, strane no. In effetti sono cose che fa un sacco di gente. Un po' strane per me, però sì. Ma non me ne rendevo conto.
Poi vidi Stefania che da lontano mi faceva cenno di andare, probabilmente avevano deciso di cambiare posto. Mi alzai e lo salutai, tornai indietro e gli domandai "scusa, ma tu come ti chiami?". "Io Luca, tu?". "Io Annalisa".
Stefy mi chiese qualcosa tipo "era quello? mica male, ma non dicevi che non...". Pensava che fosse Kostas. "Noooo, mica era lui, è pure italiano, anzi di Roma". Mi chiese come l'avevo rimorchiato uno così e le risposi che non avevo proprio rimorchiato nessuno né che mi ero lasciata rimorchiare.
- Ah sì, eh? - mi fece Stefania.
- Sì - risposi sicura. E lo ero davvero.
- Perché sculetti allora? - chiese ancora.
- Non sto sculettando! - risposi.
- Damme retta Annalì, stop sculetting... - rise.
Ci rimasi un po' come una scema. Se me lo diceva lei era vero, ma proprio non mi sembrava. E non avere il controllo del mio corpo non mi piace, soprattutto se faccio movimento inconsulti da zoccolina. Mi piace decidere io di farli, consapevolmente.
Comunque, non solo quella mattina andai a correre con lui, ma nei due-tre giorni seguenti lo rividi spesso. Mi lasciavo sfuggire "casualmente" i posti o le spiagge dove saremmo andati con i miei amici e, altrettanto "casualmente", molto spesso me lo ritrovavo lì. Ogni tanto mi isolavo con lui - nulla di speciale, una passeggiata, qualcosa di ghiacciato al bar, un bagno in mare - e scoprii di starci bene. Mi piaceva parlarci, sentivo molta affinità. Lo dico sempre, Luca non è privo di difetti, tutt'altro. Ma a parte il fatto che i difetti emergono sempre dopo un po' perché non li vedi o non li vuoi vedere, tutto si può dire di lui tranne che non abbia una mentalità che mi piace definire "accogliente". Parla e ascolta, ci tiene a sapere come la pensi e a mettersi in discussione, per esempio. E non lo fa per compiacerti, te ne accorgi benissimo. Ci si discute che è una bellezza e ci si diverte anche che è una bellezza. In più, anche se non è un grande affabulatore, è spontaneo. Che mi corteggiasse in questo modo era evidente, non sono mica cretina. Tuttavia non era quello che di lui mi interessava, anzi se ci pensavo dicevo tra me e me "ma no...", nonostante sia, ve l'ho detto, un manzo davvero appetibile da quel punto di vista. Mi piaceva moltissimo passarci il tempo, ecco. Tra le cose che mi raccontò ci fu anche quella che era uscito solo da un paio di mesi dalle conseguenze di un incidente stradale in cui per poco non ci rimetteva le penne. Che oltretutto si era rotto un bel numero di ossa e che la riabilitazione non era stata per nulla breve. Qualche cicatrice, in effetti, si vedeva. Soprattutto una sul costato, poco sotto il cuore. Ammetto, la cosa mi intenerì parecchio.
Ovviamente, dovetti sopportare le ironie delle mie amiche e dei miei amici. E immagino che lui abbia dovuto sopportare quelle dei suoi - tra i quali, devo dire, ragazze non ce n'erano: erano chiaramente lì per rimorchiare e uno anzi ci provò pure con Stefania, venendo però respinto con pesanti perdite. Tra me e Luca invece era tutto alla luce del sole, dal jogging all'aperitivo della sera e, un paio di volte, quattro chiacchiere sudate fuori da un disco-bar, con le birre in mano. Mai niente più di questo. Stefania e Tiziana mi guardavano interrogative, ogni tanto.
Una sera, infine, mi ritrovai indecisa davanti alla gente di un beach bar. Per la verità stavo per andare a casa. Ero rimasta in spiaggia con l'idea di aspettare lì i miei amici per andare a mangiare qualcosa, ma era stata una pessima idea. Tanto per cominciare perché mi sarei dovuta portare appresso la borsa del mare per tutta la sera, poi perché il sale mi dava fastidio e volevo farmi una doccia seria. Infine, dopo la corsa del mattino, non avevo più visto Luca e mi ero sorpresa a pensare che mi dispiaceva.
Lui mi arrivò alle spalle. In un primo momento vidi solo una mano che mi metteva davanti agli occhi qualcosa che sembrava spritz ma che non lo era: "Bevi?". Mi voltai e gli sorrisi, senza parlare, poi mi girai ancora dandogli la schiena, mettendo le braccia conserte, con il bicchiere in mano. Mi avvolse con le braccia le spalle nude, lo ricordo molto bene quel momento: avevo una lunga gonna bianca ma di sopra indossavo solamente il top del bikini. Mi lasciai andare leggermente all'indietro, la pelle del dorso contro quella del suo petto. Fu il nostro primo contatto fisico in assoluto. Che figata, mi dissi. Mi dissi che avrei voluto restare sempre così. Invece, lo salutai una volta finito di bere l'aperitivo, gli dissi che andavo a casa. E lui, per la prima volta, mi chiese esplicitamente "ci vediamo dopo?". Gli risposi semplicemente "i posti sono sempre quei due o tre, folla permettendo". Ma mentre tornavo mi diedi della stupida. Speravo con tutta me stessa che mi cercasse in giro. E che mi trovasse.
Mi trovò, in effetti, e su una panchina, con le solite bottigliette di birra in mano, mi baciò per la prima volta. Disse prima "scusa, devo fare una cosa", poi mi prese la testa e mi infilò la lingua in bocca. Me l'aveva già fatto un ragazzo, una volta, e usando le stesse parole, se ricordo bene. Era il mio primo scopamico, magari avrei potuto interpretarlo come un segno del destino ma in quel momento non ci pensai. Un po' non potevo crederci e un po' mi sembravo scema. Tutto quello che stava succedendo non era da me, non mi riconoscevo. Voglio dire: la mia normalità sarebbe stato fargli un pompino o scoparmelo la prima sera che ci siamo conosciuti e, dopo tutti quei giorni, bloccare il suo contatto o cancellarlo. Invece stavo lì a fare la protagonista di un romance manga. Quando mi disse "come sei bella... e che occhi" non capivo quasi più un cazzo. E meno male, perché lo disse in un modo che, se fossi stata nel pieno possesso delle mie facoltà, sarei andata giù di testa.
Fu l'unico bacio, per quella sera. Lo so che non ci crederete ma è vero. Ci separammo e ci rincontrammo, sempre al seguito dei nostri rispettivi gruppi. Ci guardavamo molto intensamente, ma a nessuno dei due sembrò opportuno fare altro. Il giorno seguente, dopo la solita corsetta, i baci diventarono due, cinque, dieci. E nel corso della giornata e della serata cinquanta, cento. Dormimmo sotto il sole su due asciugamani appaiati. Ci scambiammo i numeri di telefono, fino a quel momento non l'avevamo fatto.
Lo so, lo so. Direte: ma scusa, perché una come te non si è fatta portare da qualche parte e... Bella domanda, avete ragione. Se avessi una risposta ve la darei. L'unica cosa che posso dire è che, in quel momento, non volevo quello. E non sono neanche sicura che lo volesse lui. Non saprei nemmeno dire come mi sentivo. Stefania e Tiziana mi chiesero come andava, senza dirmi ciò che in effetti avrebbero voluto dirmi: sei strana, Annalisa, non ti abbiamo mai vista così. Non ce n'era bisogno, ero io la prima a sentirmi strana. Ma la sera dopo mi arrivò un WhatsApp: "Ci prendiamo un gelato io e te domani pomeriggio?". Mentre lo leggevo mi batteva il cuore. Era tanto che non mi batteva così.
Quel pomeriggio eludemmo le nostre rispettive compagnie e ci sedemmo ai tavolini di un bar davanti al mare. Erano le quattro e mezza e faceva un caldo assurdo. Non saprei nemmeno dire se i nostri baci languidi fossero intervallati dalle nostre chiacchiere o viceversa. Ma entrambi sapevamo che stava per succedere. E infatti successe, con una lentezza esasperante cui non ero abituata, ma successe.
Ricordo ancora la sua carezza a mano aperta sul mio braccio. Una scossa che mi attraversò tutta, i suoi occhi nei miei. E poi IL bacio. Diverso da tutti quelli che ci eravamo dati prima e anche da quelli della sera precedente. Con le palpebre serrate e le mani a bloccare l'uno la testa dell'altra. Tipo non-staccarti-per-nessuna-ragione-al-mondo-io-ti-voglio-e-ti-voglio-ora. Ma alla fine per fortuna ci staccammo, se non altro per riprendere fiato. Alla fine per fortuna arrivò il suo "ti va di andare da me?". Ero così partita che non ricordo nemmeno se annuii o se dissi semplicemente sì.
I vestiti ci si incollavano addosso e forse non eravamo più tanto profumati. Però eravamo puliti e, in verità, l'odore del suo sudore mi eccitava. Dovetti staccarmi il vestitino con le mani per evitare che mi si vedessero le tette mentre camminavo per strada. Avevo tenuto in borsa il pezzo di sopra del costume ma avrei dovuto fare il contrario: mettermi quello e rinunciare alle mutandine. Le sentivo zuppe, e non di sudore.
Anche la casa era calda. Con le tapparelle abbassate e in penombra per non far entrare il sole e le porte delle stanze tutte spalancate per far correre l'aria. Chiuse la porta della sua con fare timido, quasi colpevole. Come se volesse chiedermi scusa di avere avuto un pensiero così. Mi fece molta tenerezza. Forse in altri momenti tutta quella sua delicatezza mi avrebbe dato sui nervi. Ma in quel momento preciso no. Avevo una forte sensazione di, come posso definirla, novità. Non facevo nemmeno pensieri osceni, anche questa è una cosa che ricordo benissimo. Sì, per un istante lo ammetto che pensai ciò che penso ogni prima volta: "chissà come mi scopa". Credo che molte ragazze lo pensino, anche quelle più virtuose di me. Ma in realtà era come se tutto fosse un prolungamento dei giorni precedenti, una naturale evoluzione. Un ragazzo e una ragazza che cominciano una storia. E la novità, per me, era proprio cominciare una storia.
Mi baciò un'altra volta e, mentre lo faceva, mi abbassò le spalline sottili. Il mio vestitino celeste a fiorellini precipitò giù. Mi aveva già vista in costume da bagno, a parte la zona bianca delle mie tettine e quella davvero microscopicamente bianca del mio pube non c'era nulla che non conoscesse. Eppure mi dissi "oddio, ora penserà che sono troppo piccole, che sono troppo magra".
Come forse mai prima, mi sentii un concentrato di insicurezze.
Lui invece sussurrò "che bella che sei" e cominciò a baciarmi la bocca e il collo. E a passarmi le mani ovunque. Sul seno, sui fianchi, sulla schiena, sul culo. E io ricordo benissimo che pensavo "sì, sì... ho le tette piccole, ma ti piacciono? sono belle! e sì, d'accordo, sono sudata, ma non senti che pelle che ho? e le natiche?". Avrei voluto anche che mi infilasse la mano dentro il perizoma, che sentisse come ero liscia anche lì. "Ti piacciono le ragazze che si depilano? O la trovi una moda stucchevole?".
Naturalmente non gli dissi nulla e non glielo confessai né allora né in seguito. Ma anche su questo temevo il suo giudizio. La sera precedente, per meglio dire la notte visto che erano le due e mezza, mi ero rinchiusa nel bagno e mi ero controllata per bene. Mi ero anche data due colpetti di rasoio. Con molta difficoltà, visto che mi veniva costantemente da masturbarmi pensando a lui. Solo dopo essermi passata un po' di crema sul pube lo feci fino in fondo immaginandomi con lui per la prima volta. Ero troppo eccitata per non farlo. Non gli ho mai confessato nemmeno questo. All'inizio perché mi vergognavo, non volevo che mi prendesse per una mignotta. E poi... boh, poi perché il sesso tra noi è diventato una cosa così travolgente per entrambi che forse non ce n'era nemmeno più bisogno.
E scusate la digressione ma, adesso che queste cose le metto in fila e le scrivo, è buffo lo so, mi viene da pensare all'altra sera, quando eravamo a cena dai suoi. Quando sua madre mi diceva di come Luca sappia essere così amorevole e fragile, con lui che la rimbrottava seccato ("a ma'....") come un sedicenne. Ma aveva ragione lei, anche se lì, sul momento, avrei voluto dirle "lo sa signora che oggi pomeriggio il suo bambino mi ha scopata proprio come si scopa una troia? E lo sa che a me piace un sacco quando mi scopa come una troia?". Invece no, invece no. In quella prima volta c'era tutto Luca. E quindi, signora, cosa le potrei dire? Che il suo bambino mi ha corteggiata quasi senza che me ne accorgessi e che la prima volta mi ha presa con delicatezza. E che nonostante essere scopata con delicatezza non sia proprio tra le mie opzioni preferite beh, in quel momento lo era e tremavo come una ragazzina. Mi lasciai tuffare sul suo letto e mi sembrò di essere una che precipitava da mille metri di altezza ripetendo a se stessa "sì, sì, sì". Mi lasciai baciare ovunque e lo assecondai nel farmi togliere le mutandine. Avvertii il passaggio della sua lingua su ogni centimetro di pelle, sul fronte e sul retro, l'ammirazione nella sua mano che mi accarezzava il sedere. Quasi mi sentii una troia a piagnucolargli "spogliati anche tu". Ero una tempesta di brividi, pelle d'oca, contrazioni e umori vaginali, mi veniva da strapparmi i capelli, quasi. Ero liquida di voglia e di piacere, ma in realtà mi sentivo un'altra persona e la cosa più ardita che gli dissi fu "puoi venirmi dentro, se vuoi".
E insomma, che ci crediate o meno la nostra prima volta fu così. E immediatamente dopo ce ne fu un'altra, altrettanto delicata. Con me sopra, stavolta, che gli ripetevo "mi piace-mi piace-mi piace". Me lo disse qualche mese dopo che quel pomeriggio pensò che fossi un po' imbranata. Che si vedeva che avevo tanta voglia di dargliela, ma imbranata. Disse proprio così e non me la presi. A quel punto parecchi muri erano caduti tra noi e io non ci avevo messo poi molto a essere, anche con lui, quella che in fondo sono sempre stata. Del resto pure Luca non fu da meno: "ti ricordi la prima volta che abbiamo scopato?". Me lo disse mentre mi affondava il pollice nel culo e due dita nella fregna. Voi capirete, in quel momento mi si può dire di tutto che non mi offendo.
Tuttavia, fu la nostra seconda volta a mostrarci, almeno nel sesso, quello che saremmo potuti diventare. Nulla di particolarmente perverso, ma bello. L'ho già detto: Luca non è come Stefano, il mio amante, che mi fa fare tutto ma proprio tutto ciò che gli passa per la testa. Probabilmente non sarà mai così, anche se lo vorrei. Però scopare con lui è bello, bello come lui. E liberarsi di ogni inibizione fu un dono del cielo e, in fondo, anche facile.
I suoi amici, con una generosità che non mi sarei aspettata, ci lasciarono praticamente una notte tutta nostra, una casa tutta nostra. Ne approfittammo, chiaramente. Del resto tutti avevano capito quello che c'era tra noi. Non era nemmeno più motivo di ironie o di imbarazzo. Finimmo nella sua camera dopo avere cenato da soli. Una di quelle cene in cui non vedi l'ora che ti portino il conto, non so se mi spiego.
Finimmo un'altra volta nella sua stanza. O meglio, nel suo bagno a lavarci i denti. Lo pregai di lasciarmi un attimo da sola. Non dovevo fare nulla di particolare, giusto rinfrescarmi un po', se capite ciò che intendo. Mi guardai nel piccolo specchio e mi venne da ridere. Pensai "ma che ti prende, Annalì?". E mi spogliai completamente.
Entrai in camera così, nuda. Lui era sul letto che mi aspettava. Completamente vestito.
- Vuoi giocare con me? - gli feci simulando una voce da bambina.
Mi inginocchiai sul letto e gli sfilai i pantaloncini, la maglietta. Lo baciai e lo slinguazzai ovunque. Come lui aveva fatto con me la prima volta. Leccai il suo sudore. Baciai quasi con amore quella brutta cicatrice sul costato. Poi mi inginocchiai tra le sue gambe aperte. E per la prima volta gli feci capire che qualsiasi cosa gli avesse fatto qualsiasi altra troia in passato non era un pompino. Quello era un pompino. E quella ero io.
CONTINUA
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