Estasi autunnale
di
Yuko
genere
masturbazione
[prosecuzione di 'Jap story - dancing on ketamine' di Runningriot]
Col mio trolley in centro a Milano sembro proprio una turista giapponese. Mi manca solo la Nikon a tracolla e la foto coi piccioni in piazza Duomo e sarei perfetta.
Ma l'umore non è quello.
Ho sbrigato le mie faccende. Diplomi ritirati in Università e documenti presentati al concorso ospedaliero, ed ora non so cosa fare.
Jos resterà in Olanda per tutta la settimana ed io, ritornata dal Giappone di fretta per iscrivermi al concorso, ho ancora i prossimi giorni liberi.
Sono ancora rincitrullita per il jet lag e la notte passata fra oppiacei e musiche psichedeliche, ma non ho voglia di tornare a casa, non ancora.
Sono di umore cupo. Una passione sta scuotendo il mio animo, obnubilando la mia mente.
Repentini cambi di umore.
Mi ritrovo senza accorgermene a passeggiare in piazza Duomo. Così, soprappensiero sto seguendo il percorso che dalla galleria va verso la villa reale, lo stesso che ho seguito quando, da piazza della Scala, mi sono messa a pedinare Annalisa.
Già allora ero ebbra di desiderio, completamente ottenebrata da qualcosa che mi ha preso dentro, vincendo il mio carattere e le mie abitudini. Completamente succube e posseduta.
Poi la notte di follia e, il mattino dopo, la resa totale al desiderio erotico.
Non è quel culetto che ondeggiava per strada, ipnotizzando il mio sguardo, né il sesso, coltivato con cura quasi cinica e consumato in modo esplosivo.
Di quella ragazza ho intuito qualcosa. Mi sono addentrata troppo nel suo sguardo, fino a tenere tra le mani la sua stessa anima, un piccolo gioiello, fragile e bisognoso, che ho rimirato e protetto tra le mani, gemma effimera e preziosa nel palmo ruvido di mani troppo rozze.
Il respiro profondo mi porta a fitte dolorose al petto, anche se il solo pensiero di lei mi fa bagnare le mutandine.
Passeggio fino al Castello Sforzesco, consegno la mia anima alla pietà Rondanini in cerca di un perchè. Quella scultura di incerto significato, capace di ispirare sentimenti di rinascita nelle figure abbozzate e corrette.
Ma ovunque mi tornano in mente quegli occhi azzurri, quello sguardo a volte beffardo, a volte indifeso, i capelli biondi sul seno dai capezzoli chiari. Quel seno delicato, da tenere in mano ed accarezzare, più delicatamente che le ali di una farfalla.
Avanti e indietro da via Dante, i palazzi signorili dalle eleganti architetture mi scivolano accanto.
Ogni cosa mi ricorda lei, ogni persona mi sembra lei.
Il rosa tenuemente variegato del marmo del Duomo, la superficie finemente porosa al tatto, mi riportano alle carezze di questa mattina, alla sua immagine distesa nella vasca mentre mi accarezza il seno con il piede, affondandolo nel morbido tessuto, provocante ed irresistibile.
Mi perdo a contemplare le prospettive delle guglie dirette verso il cielo, come disperate preghiere di anime contrite. Campanili dolomitici rapiti ai monti pallidi e trapiantate nella città in cui visse Buzzati.
Un anelito, un desiderio inconfessato.
Come il turbamento che contorce il mio cuore e mi stimola alla radice delle cosce.
Mi tocco un seno. Il desiderio mi prende, mi scombussola la mente.
Mi metto a correre verso San Babila facendo sobbalzare il trolley, quando il telefono inizia a suonare.
Ma quando mi fermo ha già smesso, ci ho messo troppo tempo per accorgermi.
Annalisa.
Mi si piegano le ginocchia.
Solo a leggere il suo nome mi sento sciogliere, proprio lì, e contrarre i capezzoli.
Il respiro, affannoso per la corsa, non si placa, solo al pensiero di cosa dirle.
Perchè ora mi chiama?
Mi sento il petto lacerato da lame affilate.
Suona di nuovo.
Io inebetita, di fianco alla fontana. Mi manca l'aria.
Resto a guardare il display finchè parte la segreteria telefonica.
Mi gira la testa.
Di nuovo, il telefono suona.
Scoppio a piangere, rispondo qualcosa di assurdo, mi impappino, mi incasino, biascico mentre lei mi incalza. La gola mi si stringe e piango come un vitello, la gente si gira a guardarmi, ed io riattacco.
Che idiota sono diventata?
Mi arrabbio con me stessa. Che cazzo ti succede, Yuko! Ma ti pare? Cosa sei diventata?
Mi asciugo le lacrime e mi soffio il naso.
Cioè, qualcosa devo fare!
La desidero e ne ho paura, mi sembra di essere un'adolescente cogliona. E l'ho vista per neanche un giorno intero.
Risettare la mente. Control alt e canc. Riavviare il sistema.
Con passo deciso imbuco corso Venezia, destinazione: le vetrine di Buenos Aires.
Ma a Palestro vengo risucchiata dai giardini pubblici. L'odore di un calicantus prende il sopravvento sul mio potere decisionale, e mi trovo a passeggiare nei vialetti, tra le aiuole ordinate.
Mi commuovo ai colori del tramonto e mi trovo a passeggiare mano nella mano di Annalisa.
Chiudo gli occhi e mi faccio guidare fiduciosa.
Solo la sua mano e i profumi dell'autunno.
Giro su me stessa, come una trottola, sospesa a mezz'aria, come un vortice di foglie di platano nella brezza di cambio stagione.
Ma riapro gli occhi e sono sola, ben piantata sul ghiaietto e ferma.
Mi guardo in giro, ma la bionda di Roma non c'è.
Qui vicino c'è una sequenza di roccette su cui si può arrampicare, rischiando al massimo la leptospirosi, ma ora non ho voglia di sporcarmi le dita.
Ho ancora sulle mani l'odore della figa di Annalisa e solo ora mi accorgo che è tutta la mattina che mi porto le dita sotto il naso.
Quell'odore che non va via neanche se ti lavi le mani. Un po' ne resta sempre ed è una fortuna immeritata.
Vorrei toccarmi il seno, pensando che sia il suo.
Vorrei toccarmi il seno, pensando che sia lei a farlo.
Vorrei toccarmi e basta.
Giro tra i vialetti, finchè non trovo una panchina un po' isolata. Qui davanti al laghetto.
Inquietanti carpe si muovono come sommergibili atomici protette dall'acqua torbida.
Giganteschi pesci nutriti da tonnellate di pane; mutanti frutto dello smog di Milano che probabilmente si nutrono di pantegane nelle giornate di lockdown. Se un bambino dovesse incautamente cadere nell'acqua, sarebbe divorato in pochi secondi.
Cerco di non pensarci e mi consegno alla panchina.
Mi metto la giacchetta in grembo e mi sciolgo i capelli. Mi appoggio allo schienale, lasciando che la testa si abbandoni dietro le spalle.
E poco a poco mi accorgo che qualcosa mi sfiora le cosce.
Risale dalle ginocchia, si insinua tra le gambe e scompare sotto la giacca.
Non sono le carpe e nemmeno le pantegane, ne sono sicura.
Ma chissene.
La sensazione è piacevole e io non voglio aprire gli occhi, non vorrei che sparisse tutto.
La carezza risale e già la sento sotto gli indumenti.
Così leggera e così sottile, mi sfiora la pelle tanto che mi sembra di non avere più vestiti addosso.
Potrei addormentarmi di colpo, smaltire il fuso orario giapponese e la notte di fuoco ed oppio,
ma resto in una specie di dormiveglia a godermi il solletichio, come un insetto tra le cosce, una lumaca che lentamente procede, senza ostacoli verso l'apice di una piramide di piacere.
Non posso prendermi i seni tra le mani, non qui all'aria aperta, dove passano i bambini in bicicletta a dar da mangiare alle anatre selvatiche.
La carezza misteriosa mi sfiora il cavallo dei calzoni.
Annalisa mi sfila gli indumenti quel tanto che basta, nascosta dalla giacca strategicamente appoggiata sul bacino.
Allargo le cosce per agevolare la manovra che prende coraggio. Gli occhi chiusi, mi mordo le labbra.
Annalisa si fa strada, indaga sotto gli slip. Il tessuto stesso mi sembra non esistere più, non ne sento l'elastico, ma piuttosto percepisco l'aria fresca sulle labbra umide.
È piacevole la sensazione di quando si contraggono le areole ed erompono i capezzoli.
La sensibilità dei seni e delle ascelle aumenta, ma non posso accarezzarmi e lascio che tutto accada sotto la giacca, nell'ambiente protetto dalla vista degli altri.
Sento le dita tra i peli del pube, il monte di Venere diviene un terreno di manovre militari.
Poi carezze liquide lungo gli inguini, come qualcosa che cola, una lingua paziente che non ha fretta di arrivare al dunque, perchè sa costruire il piacere minuto per minuto.
La ragazza esplora ogni cellula, ogni molecola del mio apparato genitale, cominciando da lontano.
Quando le dita mi allargano le labbra sento colarmi del liquido caldo verso il perineo.
Le dita scorrono tra le labbra, molli di piacere e di nettare.
Trattengo i gemiti, solo il respiro si fa più pesante.
Mi sento penetrare, esplorare in profondità e poi accarezzarmi di nuovo con stretti circoli intorno al clitoride.
Le dita poi si animano ed il ritmo aumenta.
La mia mano cerca la superficie liscia del cellulare nella tasca dei calzoni.
Socchiudo gli occhi per azionarne il dispositivo di registrazione e porto lo strumento sotto la giacca.
Il rumore della mia topa fradicia mentre viene frullata dalle dita.
Lo sciacquettio, la schiumetta che scivola verso il sedere ed il rumore inequivocabile delle dita dentro di me, in vorticoso ed irrequieto movimento.
Solo quando il piacere è al massimo, porto il cellulare al volto e registro i miei gemiti strozzati, i miei sospiri sordi e poi solo il respiro accelerato ed affannoso dopo il culmine dell'ondata di sensazioni.
Sudore lungo il collo evapora alla brezza frizzante dell'autunno.
Riapro gli occhi e non mi stupisco di essere sola.
Porto il cellulare alla bocca.
“Annalisa, ti desidero. Ti desidero e basta, non ho altro che possa descriverti il mio stato d'animo ora.” Registro ed invio aggiungendo la registrazione della sinfonia della mia estasi.
Ma spengo il telefono. Non sono in grado di reggere alcuna risposta, di qualunque tipo sia.
Il sole gioca tra le fronde con sapienza, come il misterioso pittore punteggia di giallo e rosso il verde fogliame, traendo dalla sua tavolozza sfumature calde.
Mi avvolgono i sentori dell'erba che avvizzisce.
Metto la mano sotto la giacca e mi confermo di non essere nuda.
Sogno e desiderio, sonno arretrato e psiche per assopire la mente razionale.
Riprendo il mio percorso e mi trovo a sbirciare le vetrine di corso Buenos Aires. Mi lascio risucchiare dalle vetrine di Muji e sedurre dalla cortesia delle commesse. Il negozio giapponese mi riempie di fierezza nazionalista. Sarà forse perchè mi hanno visto bene in faccia, ma mi sembra di ricevere un trattamento da regina. Mi innamoro di un cappellino di lana, uno stock di penne colorate e delle imperdibili bacchette in malas rosse e nere. Prendo tutto doppio perchè uno me lo faccio incartare da regalare alla ragazza di Roma, se mai la rivedrò. Ma intanto friggo dal piacere di farle una sorpresa. Ogni volta che userò uno di questi oggetti, potrò pensare a lei. Peggio di una adolescente.
Più evado con la mente e maggiore è la leggerezza che solleva il mio animo.
Come una scolaretta che ha balzato la scuola proseguo eccitata sul corso finchè il naso mi guida da Lush.
Faccio il pieno dei più strani saponi e curiosando mi imbatto in panetti di burro di karitè. Un giovane assistente subito si concretizza tra me ed il prodotto, prevenendo ogni domanda.
Mi fa annusare tutti i tipi che hanno e mi spiega che servono per massaggi.
Posso capire l'olio, ma questo coso duro?
Quello mi si avvicina tantissimo, sembra che voglia fagocitarmi mentre mi spiega come in un sussurro delittuoso di sciogliere il burro col calore della pelle della persona da massaggiare per poi allungare le dita dove mi pare.
Sembra che mi voglia mangiare con gli occhi.
È anche un bel ragazzo e lì per lì mi aspetto che mi inviti sul retro per una dimostrazione pratica.
Mi vedo già sul lettino per “degustazione” col ragazzo che, con un'espressione di compiacimento che trascende la professionalità, mi passa quella specie di saponetta sul ventre risalendo tra i seni. Lo immagino ungersi le mani dell'oleosa fragranza di fiori di gelsomino per passarmela con manovra avvolgente intorno ai seni e sui capezzoli sbirciando le mie espressioni di piacere.
Ma quando riapro gli occhi è Annalisa che mi prende le tette e me le strizza guardandomi con languido desiderio.
Sto uscendo scema.
“Scusi, potrebbe farmi vedere in pratica come si fa? Qui sul mio corpo.” E accenno con gesto svogliato al mio petto.
Quello diventa di cinquanta sfumature di bordeaux ed inizia a balbettare.
“Ma non avete un lettino sul retro, per dimostrazioni pratiche?”
Il giovane rimane paralizzato, gli occhi sbarrati.
Mi metto a ridere. Che stronza che sono. Gli do un buffetto sul naso. Fingo sommo dispiacere, gli prendo la scatola con il panetto ai fiori di gelsomino dalle mani e vado in cassa.
Mi giro e con aria da cospiratrice gli sussurro sopra la spalla “Sarà per la prossima volta!”
Occhiolino e sono di nuovo sulla via trafficata.
Sono più serena.
Giro al semaforo ed arrivo in stazione centrale. Biglietto del treno e mi fermo in sala d'aspetto.
Ora posso riaccendere il telefono e febbrilmente apro whatsapp.
Annalisa: 'Fermati immediatamente dove sei, non ti muovere e dammi la posizione'.
Mi gira la testa. Mi piego in avanti, la testa tra le mani. Un respiro profondo e controllato mi solleva il petto.
Il telefono suona, un trillo perentorio.
“Pronto?”
“Yuko! Dove cazzo sei???”
“Stazione centrale.”
“Guai se ti muovi, inchiodati le chiappe che arrivo! Pigi! Hai la moto vero?”
“Ma ho il treno tra quindici minuti.”
“Siamo lì in 14 e 55! Se ti muovi giuro che ti rincorro sui binari! Pigi, muovi il culo!”
“Chi è Pigi?”
“Arrivo, non fare stronzate. Poi ti spiego. Cazzo ridi, Pigi, infilati qualcosa...”
Si interrompe la comunicazione.
Mi prende una tachicardia. Ma chi è 'sto Pigi?
“Ma sono vestito come un coglione!”
“Mettiti su i tuoi stracci, sbrigati!”
Annalisa si è già infilata qualcosa, senza neanche mettersi un paio di mutande. Corre per casa a piedi nudi mentre si allaccia i calzoni.
Ritorna in camera.
“Andiamo!”
“Ma Annalisa, e il trucco?”
La ragazza lo contempla con occhio critico un decimo di secondo.
“Stai benissimo!” e fugge verso la porta trascinandosi l'amico.
Col mio trolley in centro a Milano sembro proprio una turista giapponese. Mi manca solo la Nikon a tracolla e la foto coi piccioni in piazza Duomo e sarei perfetta.
Ma l'umore non è quello.
Ho sbrigato le mie faccende. Diplomi ritirati in Università e documenti presentati al concorso ospedaliero, ed ora non so cosa fare.
Jos resterà in Olanda per tutta la settimana ed io, ritornata dal Giappone di fretta per iscrivermi al concorso, ho ancora i prossimi giorni liberi.
Sono ancora rincitrullita per il jet lag e la notte passata fra oppiacei e musiche psichedeliche, ma non ho voglia di tornare a casa, non ancora.
Sono di umore cupo. Una passione sta scuotendo il mio animo, obnubilando la mia mente.
Repentini cambi di umore.
Mi ritrovo senza accorgermene a passeggiare in piazza Duomo. Così, soprappensiero sto seguendo il percorso che dalla galleria va verso la villa reale, lo stesso che ho seguito quando, da piazza della Scala, mi sono messa a pedinare Annalisa.
Già allora ero ebbra di desiderio, completamente ottenebrata da qualcosa che mi ha preso dentro, vincendo il mio carattere e le mie abitudini. Completamente succube e posseduta.
Poi la notte di follia e, il mattino dopo, la resa totale al desiderio erotico.
Non è quel culetto che ondeggiava per strada, ipnotizzando il mio sguardo, né il sesso, coltivato con cura quasi cinica e consumato in modo esplosivo.
Di quella ragazza ho intuito qualcosa. Mi sono addentrata troppo nel suo sguardo, fino a tenere tra le mani la sua stessa anima, un piccolo gioiello, fragile e bisognoso, che ho rimirato e protetto tra le mani, gemma effimera e preziosa nel palmo ruvido di mani troppo rozze.
Il respiro profondo mi porta a fitte dolorose al petto, anche se il solo pensiero di lei mi fa bagnare le mutandine.
Passeggio fino al Castello Sforzesco, consegno la mia anima alla pietà Rondanini in cerca di un perchè. Quella scultura di incerto significato, capace di ispirare sentimenti di rinascita nelle figure abbozzate e corrette.
Ma ovunque mi tornano in mente quegli occhi azzurri, quello sguardo a volte beffardo, a volte indifeso, i capelli biondi sul seno dai capezzoli chiari. Quel seno delicato, da tenere in mano ed accarezzare, più delicatamente che le ali di una farfalla.
Avanti e indietro da via Dante, i palazzi signorili dalle eleganti architetture mi scivolano accanto.
Ogni cosa mi ricorda lei, ogni persona mi sembra lei.
Il rosa tenuemente variegato del marmo del Duomo, la superficie finemente porosa al tatto, mi riportano alle carezze di questa mattina, alla sua immagine distesa nella vasca mentre mi accarezza il seno con il piede, affondandolo nel morbido tessuto, provocante ed irresistibile.
Mi perdo a contemplare le prospettive delle guglie dirette verso il cielo, come disperate preghiere di anime contrite. Campanili dolomitici rapiti ai monti pallidi e trapiantate nella città in cui visse Buzzati.
Un anelito, un desiderio inconfessato.
Come il turbamento che contorce il mio cuore e mi stimola alla radice delle cosce.
Mi tocco un seno. Il desiderio mi prende, mi scombussola la mente.
Mi metto a correre verso San Babila facendo sobbalzare il trolley, quando il telefono inizia a suonare.
Ma quando mi fermo ha già smesso, ci ho messo troppo tempo per accorgermi.
Annalisa.
Mi si piegano le ginocchia.
Solo a leggere il suo nome mi sento sciogliere, proprio lì, e contrarre i capezzoli.
Il respiro, affannoso per la corsa, non si placa, solo al pensiero di cosa dirle.
Perchè ora mi chiama?
Mi sento il petto lacerato da lame affilate.
Suona di nuovo.
Io inebetita, di fianco alla fontana. Mi manca l'aria.
Resto a guardare il display finchè parte la segreteria telefonica.
Mi gira la testa.
Di nuovo, il telefono suona.
Scoppio a piangere, rispondo qualcosa di assurdo, mi impappino, mi incasino, biascico mentre lei mi incalza. La gola mi si stringe e piango come un vitello, la gente si gira a guardarmi, ed io riattacco.
Che idiota sono diventata?
Mi arrabbio con me stessa. Che cazzo ti succede, Yuko! Ma ti pare? Cosa sei diventata?
Mi asciugo le lacrime e mi soffio il naso.
Cioè, qualcosa devo fare!
La desidero e ne ho paura, mi sembra di essere un'adolescente cogliona. E l'ho vista per neanche un giorno intero.
Risettare la mente. Control alt e canc. Riavviare il sistema.
Con passo deciso imbuco corso Venezia, destinazione: le vetrine di Buenos Aires.
Ma a Palestro vengo risucchiata dai giardini pubblici. L'odore di un calicantus prende il sopravvento sul mio potere decisionale, e mi trovo a passeggiare nei vialetti, tra le aiuole ordinate.
Mi commuovo ai colori del tramonto e mi trovo a passeggiare mano nella mano di Annalisa.
Chiudo gli occhi e mi faccio guidare fiduciosa.
Solo la sua mano e i profumi dell'autunno.
Giro su me stessa, come una trottola, sospesa a mezz'aria, come un vortice di foglie di platano nella brezza di cambio stagione.
Ma riapro gli occhi e sono sola, ben piantata sul ghiaietto e ferma.
Mi guardo in giro, ma la bionda di Roma non c'è.
Qui vicino c'è una sequenza di roccette su cui si può arrampicare, rischiando al massimo la leptospirosi, ma ora non ho voglia di sporcarmi le dita.
Ho ancora sulle mani l'odore della figa di Annalisa e solo ora mi accorgo che è tutta la mattina che mi porto le dita sotto il naso.
Quell'odore che non va via neanche se ti lavi le mani. Un po' ne resta sempre ed è una fortuna immeritata.
Vorrei toccarmi il seno, pensando che sia il suo.
Vorrei toccarmi il seno, pensando che sia lei a farlo.
Vorrei toccarmi e basta.
Giro tra i vialetti, finchè non trovo una panchina un po' isolata. Qui davanti al laghetto.
Inquietanti carpe si muovono come sommergibili atomici protette dall'acqua torbida.
Giganteschi pesci nutriti da tonnellate di pane; mutanti frutto dello smog di Milano che probabilmente si nutrono di pantegane nelle giornate di lockdown. Se un bambino dovesse incautamente cadere nell'acqua, sarebbe divorato in pochi secondi.
Cerco di non pensarci e mi consegno alla panchina.
Mi metto la giacchetta in grembo e mi sciolgo i capelli. Mi appoggio allo schienale, lasciando che la testa si abbandoni dietro le spalle.
E poco a poco mi accorgo che qualcosa mi sfiora le cosce.
Risale dalle ginocchia, si insinua tra le gambe e scompare sotto la giacca.
Non sono le carpe e nemmeno le pantegane, ne sono sicura.
Ma chissene.
La sensazione è piacevole e io non voglio aprire gli occhi, non vorrei che sparisse tutto.
La carezza risale e già la sento sotto gli indumenti.
Così leggera e così sottile, mi sfiora la pelle tanto che mi sembra di non avere più vestiti addosso.
Potrei addormentarmi di colpo, smaltire il fuso orario giapponese e la notte di fuoco ed oppio,
ma resto in una specie di dormiveglia a godermi il solletichio, come un insetto tra le cosce, una lumaca che lentamente procede, senza ostacoli verso l'apice di una piramide di piacere.
Non posso prendermi i seni tra le mani, non qui all'aria aperta, dove passano i bambini in bicicletta a dar da mangiare alle anatre selvatiche.
La carezza misteriosa mi sfiora il cavallo dei calzoni.
Annalisa mi sfila gli indumenti quel tanto che basta, nascosta dalla giacca strategicamente appoggiata sul bacino.
Allargo le cosce per agevolare la manovra che prende coraggio. Gli occhi chiusi, mi mordo le labbra.
Annalisa si fa strada, indaga sotto gli slip. Il tessuto stesso mi sembra non esistere più, non ne sento l'elastico, ma piuttosto percepisco l'aria fresca sulle labbra umide.
È piacevole la sensazione di quando si contraggono le areole ed erompono i capezzoli.
La sensibilità dei seni e delle ascelle aumenta, ma non posso accarezzarmi e lascio che tutto accada sotto la giacca, nell'ambiente protetto dalla vista degli altri.
Sento le dita tra i peli del pube, il monte di Venere diviene un terreno di manovre militari.
Poi carezze liquide lungo gli inguini, come qualcosa che cola, una lingua paziente che non ha fretta di arrivare al dunque, perchè sa costruire il piacere minuto per minuto.
La ragazza esplora ogni cellula, ogni molecola del mio apparato genitale, cominciando da lontano.
Quando le dita mi allargano le labbra sento colarmi del liquido caldo verso il perineo.
Le dita scorrono tra le labbra, molli di piacere e di nettare.
Trattengo i gemiti, solo il respiro si fa più pesante.
Mi sento penetrare, esplorare in profondità e poi accarezzarmi di nuovo con stretti circoli intorno al clitoride.
Le dita poi si animano ed il ritmo aumenta.
La mia mano cerca la superficie liscia del cellulare nella tasca dei calzoni.
Socchiudo gli occhi per azionarne il dispositivo di registrazione e porto lo strumento sotto la giacca.
Il rumore della mia topa fradicia mentre viene frullata dalle dita.
Lo sciacquettio, la schiumetta che scivola verso il sedere ed il rumore inequivocabile delle dita dentro di me, in vorticoso ed irrequieto movimento.
Solo quando il piacere è al massimo, porto il cellulare al volto e registro i miei gemiti strozzati, i miei sospiri sordi e poi solo il respiro accelerato ed affannoso dopo il culmine dell'ondata di sensazioni.
Sudore lungo il collo evapora alla brezza frizzante dell'autunno.
Riapro gli occhi e non mi stupisco di essere sola.
Porto il cellulare alla bocca.
“Annalisa, ti desidero. Ti desidero e basta, non ho altro che possa descriverti il mio stato d'animo ora.” Registro ed invio aggiungendo la registrazione della sinfonia della mia estasi.
Ma spengo il telefono. Non sono in grado di reggere alcuna risposta, di qualunque tipo sia.
Il sole gioca tra le fronde con sapienza, come il misterioso pittore punteggia di giallo e rosso il verde fogliame, traendo dalla sua tavolozza sfumature calde.
Mi avvolgono i sentori dell'erba che avvizzisce.
Metto la mano sotto la giacca e mi confermo di non essere nuda.
Sogno e desiderio, sonno arretrato e psiche per assopire la mente razionale.
Riprendo il mio percorso e mi trovo a sbirciare le vetrine di corso Buenos Aires. Mi lascio risucchiare dalle vetrine di Muji e sedurre dalla cortesia delle commesse. Il negozio giapponese mi riempie di fierezza nazionalista. Sarà forse perchè mi hanno visto bene in faccia, ma mi sembra di ricevere un trattamento da regina. Mi innamoro di un cappellino di lana, uno stock di penne colorate e delle imperdibili bacchette in malas rosse e nere. Prendo tutto doppio perchè uno me lo faccio incartare da regalare alla ragazza di Roma, se mai la rivedrò. Ma intanto friggo dal piacere di farle una sorpresa. Ogni volta che userò uno di questi oggetti, potrò pensare a lei. Peggio di una adolescente.
Più evado con la mente e maggiore è la leggerezza che solleva il mio animo.
Come una scolaretta che ha balzato la scuola proseguo eccitata sul corso finchè il naso mi guida da Lush.
Faccio il pieno dei più strani saponi e curiosando mi imbatto in panetti di burro di karitè. Un giovane assistente subito si concretizza tra me ed il prodotto, prevenendo ogni domanda.
Mi fa annusare tutti i tipi che hanno e mi spiega che servono per massaggi.
Posso capire l'olio, ma questo coso duro?
Quello mi si avvicina tantissimo, sembra che voglia fagocitarmi mentre mi spiega come in un sussurro delittuoso di sciogliere il burro col calore della pelle della persona da massaggiare per poi allungare le dita dove mi pare.
Sembra che mi voglia mangiare con gli occhi.
È anche un bel ragazzo e lì per lì mi aspetto che mi inviti sul retro per una dimostrazione pratica.
Mi vedo già sul lettino per “degustazione” col ragazzo che, con un'espressione di compiacimento che trascende la professionalità, mi passa quella specie di saponetta sul ventre risalendo tra i seni. Lo immagino ungersi le mani dell'oleosa fragranza di fiori di gelsomino per passarmela con manovra avvolgente intorno ai seni e sui capezzoli sbirciando le mie espressioni di piacere.
Ma quando riapro gli occhi è Annalisa che mi prende le tette e me le strizza guardandomi con languido desiderio.
Sto uscendo scema.
“Scusi, potrebbe farmi vedere in pratica come si fa? Qui sul mio corpo.” E accenno con gesto svogliato al mio petto.
Quello diventa di cinquanta sfumature di bordeaux ed inizia a balbettare.
“Ma non avete un lettino sul retro, per dimostrazioni pratiche?”
Il giovane rimane paralizzato, gli occhi sbarrati.
Mi metto a ridere. Che stronza che sono. Gli do un buffetto sul naso. Fingo sommo dispiacere, gli prendo la scatola con il panetto ai fiori di gelsomino dalle mani e vado in cassa.
Mi giro e con aria da cospiratrice gli sussurro sopra la spalla “Sarà per la prossima volta!”
Occhiolino e sono di nuovo sulla via trafficata.
Sono più serena.
Giro al semaforo ed arrivo in stazione centrale. Biglietto del treno e mi fermo in sala d'aspetto.
Ora posso riaccendere il telefono e febbrilmente apro whatsapp.
Annalisa: 'Fermati immediatamente dove sei, non ti muovere e dammi la posizione'.
Mi gira la testa. Mi piego in avanti, la testa tra le mani. Un respiro profondo e controllato mi solleva il petto.
Il telefono suona, un trillo perentorio.
“Pronto?”
“Yuko! Dove cazzo sei???”
“Stazione centrale.”
“Guai se ti muovi, inchiodati le chiappe che arrivo! Pigi! Hai la moto vero?”
“Ma ho il treno tra quindici minuti.”
“Siamo lì in 14 e 55! Se ti muovi giuro che ti rincorro sui binari! Pigi, muovi il culo!”
“Chi è Pigi?”
“Arrivo, non fare stronzate. Poi ti spiego. Cazzo ridi, Pigi, infilati qualcosa...”
Si interrompe la comunicazione.
Mi prende una tachicardia. Ma chi è 'sto Pigi?
“Ma sono vestito come un coglione!”
“Mettiti su i tuoi stracci, sbrigati!”
Annalisa si è già infilata qualcosa, senza neanche mettersi un paio di mutande. Corre per casa a piedi nudi mentre si allaccia i calzoni.
Ritorna in camera.
“Andiamo!”
“Ma Annalisa, e il trucco?”
La ragazza lo contempla con occhio critico un decimo di secondo.
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