Venere di Botticelli

di
genere
saffico

[prosecuzione di 'Firenze Santa Maria Novella' racconto a cavallo e compenetrato del racconto 'Jap story - Switch' di Runninriot]

Sfilo veloce dal trolley le prime cose che mi vengono in mano. Scoppio a ridere mentre Annalisa mi guarda senza capire.
“Adesso ti vesti da scolaretta giapponese!”
Mi guarda con aria dubbiosa, ma io continuo a ridere. Le strizzo un occhio. “Ok?”
“E sarebbe?”
Tito fuori con orgoglio la gonna blu millepieghe, casacchina da marinaia, bianca, con bordini blu sulle maniche e sul colletto e, cercando bene, ecco, tanto di fiocco bordeaux.
Alè, ne sono molto fiera.
“Ma dai, vuoi veramente che mi vesta come un'idiota?”
Ammutolisco. Ora ho io l'espressione da cane bastonato.
Lei ci ripensa. Non sul fatto di sembrare un'idiota, ma forse anche solo per farmi un favore.
Dopo un attimo di meditazione, mi prende le gonna dalle mani.
“Mutandine?”
“No, stai senza. Con questa gonna, meglio senza.”
“Perchè?”
La guardo con una certa espressione e lei capisce al volo.
“Ok, jap, come vuoi tu.”
Sorride anche lei e scuote la testa. Si infila la casacchina e le aggiusto il fiocco.
Sta proprio bene, sembra una bambina.
È così strano vedere i capelli biondi sull'uniforme da scolara giapponese.
Usciamo dai cessi. Per fortuna non c'è nessuno che possa aver ascoltato la telecronaca di poco fa.
“Andiamo a prendere un taxi?” mi fa prendendomi per mano.
“Ma no, dai, andiamo a piedi, così vediamo qualcosa!”
Lei insiste, ma alla fine attraversiamo la piazza e ci dirigiamo oltre Santa Maria Novella.
Tra viette e gioielli di architettura puntiamo verso la cattedrale.
Sotto al campanile di Giotto resto rapita dagli accostamenti dei marmi ed accarezzo con la mano i contrasti dei colori del capolavoro del maestro di Bondone. Solo poche ore fa accarezzavo il marmo rosa del duomo di Milano ed ora siamo già qui, io e la bionda di Roma. Chissà se stasera accarezzerò i marmi del Colosseo? Ormai non ho più alcuna preclusione. Tutto può accadere.
Ogni superficie liscia, finemente porosa e vellutata, mi ricorda la pelle del suo seno.
Ma Annalisa ha fretta. Conosce un hotel in zona Ponte Vecchio, e insiste per portarmici.
In piazza della Signoria ci concediamo un tramezzino ed un caffè davanti a palazzo Vecchio.
Subiamo un salasso alla cassa quando ci danno lo scontrino.
“Stihazzi!”
“Mehoioni!”
Forse era meglio dargli il culo, si risparmiava qualcosa e univamo l'utile al dilettevole.
Vabbè.
Mentre andiamo verso palazzo Vecchio mi ricordo di un collega di Prato, magari ci presta una casa e un'auto per muoverci meglio. Cerco il numero sul telefono.
“Pronto, Leone?”
“Yuho!” Mi risponde una voce in cui trapela vero entusiasmo. “Te un t'ammazza nessuno!”
Sempre lo stesso fulminato di quando ci siamo conosciuti in Etiopia.
“Uè, 'Lion'! Come stai? Indovina dove sono?”
“O vispa, sarai miha a Firenze, maremma sbrisciolata!”
“Esatto! Sto per arrivare agli Uffizi. Io e una mia amica. Ci siamo appena fatte espiantare un rene per un tramezzino in piazza della Signoria, cazzo di buddha!”
“Oh vedi home sei? E 'ttu 'fa le hose a bischero sciolto! Nun se hompra nulla in centro! Maremma squartata!”
L'ho messo in viva voce.
La ferita chirurgica sul fianco, fresca dopo la rimozione del rene, fa male, ma ci mettiamo a ridere per la parlata sciolta.
“Dai la prossima volta staremo attente, ma avevamo una fame!”
“Eeh, sta grulla... L'arria dopo e' fohi!”
“Senti sciroccato, stiamo andando agli Uffizi; prendi una moto e raggiungici, dobbiamo cercare un albergo a Ponte Vecchio.”
“Ma indò tu vai? Torna 'drèo, maremma accoltellata! E un tu troveresti nemmeno l'acqua 'n Arno!”
“Sbrigati, vieni a salvarci tu, allora! Andiamo a prenotare l'orario agli Uffizi e dobbiamo ancora trovare i soldi per l'ingresso. La mia amica un'idea ce l'avrebbe, ma non sa se si può a quest'ora.”
Lui mi conosce e sa che le allusioni sono scontate, ormai non sono neanche allusioni, ma un parlare corrente, esplicito.
“Madonna, ma sei proprio na fava! Che, m'hai hapiho? Senza lilleri un si lallera!”
“Dai, movi ir culo e vieni tu, allora!”
“Vien via, dai, abbozzala! Du mminuti e sto llà”
Attacca il telefono. Me lo immagino che inforca una moto scassata e si lancia per le vie di Prato.
Attraversiamo la piazza e ci infiliamo all'ingresso degli Uffizi. Non c'è molta coda, ma non ci va di aspettare. Prenotiamo un orario al tardo pomeriggio così potremo entrare senza perdere tempo.
“Ma che ci andiamo a fare agli Uffizi!” protesta Annalisa. “In un'ora non vediamo nulla!”
“In un'ora vediamo un quadro solo, cucciola, ma ce lo vediamo d'un bene! Ce l'ho già in mente, ma è una sorpresa.”
“E ora che facciamo?”
“Aspettiamo Leone!”
“E intanto?”
“Io un paio di idee ce le avrei, visto che sei senza mutandine. E con quel vestitino da giapponese mi stai facendo bagnare solo a guardarti!”
“Ma va! Sono vestita come una cogliona!”
“Hey, guai se ti permetti!”
Mi prende per mano, mi stringe e mi bacia sulla bocca.
“Hai addosso un profumino sulle labbra!”
“Ti ricorda qualcosa?”
“Tipico stupro nel cesso della stazione.”
“Sarà questo continuo odore della tua figa che mi inebria, ma mi gira un po' la testa!”
Mi bacia di nuovo, un lungo bacio mentre con la mano si infila sotto la maglietta. Mi graffia la schiena nuda. Io le passo la mano sul sedere. Sotto la gonna si apprezza perfettamente la rotondità e la morbidezza del culetto senza slip.
“Stanotte io e te finiamo male!”
“Ci scoperemo come se non ci fosse un domani!”
Dopo la reciproca promessa, giriamo per la piazza ed il palazzo. So che lei probabilmente si sente imbarazzata, ma continuo a tenerla per mano. Sarà un retaggio di cultura orientale, ma a me dà una gioia questo contatto! Un senso di appartenenza reciproca, di possesso, di condivisione. E di esclusività. Scusate, so di essere scema, ma era importante farlo capire bene anche ai lettori, che sono scema.
Quando sto per richiamare il toscanaccio, mi si presenta da dietro con una esclamazione che non scrivo se no ci sbattono fuori dal sito.
La stessa faccia da ergastolano sorridente di sempre. Capelli lunghi, raccolti in una coda, ed orecchino. Tipico look da medico, ma per fortuna è pediatra ed i bambini di sicuro apprezzeranno.
Guarda me, da capo a piedi, la mia maglietta con l'ideogramma che rappresenta il mio nome, e poi Annalisa, vestita da giapponese. Per mano. Un secondo e capisce tutto. 'Sti toscani.
“Oh! Se un son grulli, un si vogliono, eh Yuho? Si manda?”
“Leone, ti presento Annalisa. Annalisa, un pediatra folle che ho trovato disperso sull'acrocoro etiope!”
Lei ride a allunga una mano.
“Oh come tu se' honcia?” e allude al vestito che indossa. Lei si gira verso di me e sta per esplodere.
“Colpa mia! L'ho vestita io così, ma aveva bisogno proprio di cambiarsi.” La blocco prima che mi copra di insulti. Lei resta lì con quello sguardo iroso ed i pugni stretti. Sembrà Lamù quando è arrabbiata.
“Annalisa, con 'sta bischera, tu sta' per andare pe' le buhe!” fa lui per consolarla. “Dacchè la honosco, Yuho fa le hose a babbo morto!”
Ci mettiamo a ridere, io più che altro per il tono, ma non ci ho capito nulla, ma la bionda è sagace ed avrà afferrato il messaggio.
“Uff, Leone, guarda che già se n'è accorta da sola! Dicci se puoi trovarci un posto per dormire e una macchina per girare.”
Lui ci guarda con occhi da sbalordito.
“Fino a domani siamo a posto. Ah! Stasera vogliamo cenare fuori, un bel posticino un po' isolato, capisci? Dai bischerone!” aggiungo subito prima che mi investa di frasi incomprensibili.
Il grande tosco alza un dito minaccioso “Se un tu'sta' attenta ettu ne tocchi! Sapete già dove andà? Tu m'ha a dì indò!”, ma io non capisco nulla e lui poi si mette a ridere. Lo sa che adoro la parlata toscana e sembra quasi che faccia apposta. Anche Annalisa continua a ridere appena Leone apre bocca.
“No, non sappiamo dove. Facci spendere poco se no ci devi dire anche dove andare a battere!” interviene Annalisa, che con la sua spontaneità anche per i discorsi più scabrosi, fa scoppiare l'amico in una sgangherata risata. Sono orgogliosa di farmi vedere in sua compagnia.
“Oh! La tu amiha e ruba i'ffumo alle schiacciahe!” risponde rivolto a me appena si riprende. Sembra un complimento. “Sì, Yuho vuol fa le nozze co' fihi secchi!”
Ci prende per le mani e ci fa una lezione di vita fiorentina. “'N centro a Firenze nulla l'è a ufo. Se tu me lo dicevi di anzi, io arrivavo hostì con tutto ciò che t'abbisogna!”
“Dai non fare il grullo!” Annalisa prova un approccio culturale, e quello si mette a ridere, si gratta la pera e ci sciorina due o tre posti 'ammodino', come dice lui, in cui bersi un calice di buon chianti senza dover devolvere lo sfintere anale.
Ci cercherà anche un appartamento e un'auto. Sto accarezzando l'idea di fare colazione domani a San Giminiano con tre fette enormi di panforte, dopo una notte di sesso.
“Peffortuna che Yuho c'ha 'n'amiho che gliè ganzo di nulla!” conclude Leone dopo averci organizzato cena e logistica per domani.
Ma adesso sono di Annalisa.
Ci diamo appuntamento per domani con Leone. Stasera proprio non se ne parla.
Riprendo la mano alla mia amante e la guardo con desiderio irrefrenabile.
Le concedo il taxi che tanto agognava. Arriviamo quindi in albergo, non senza inconvenienti (cfr Annalisa mi puccia dentro un bel cantuccino di dita, ndA), giusto in tempo per prenotare alla reception e lasciare il bagaglio. Rapida fuga in camera e poi di corsa agli Uffizi.
Della cena ricordo solo il colore del vino proiettato sulla tovaglia. Il calice di Chianti, quel rosso carminio e le geometriche rifrazioni del manico di cristallo ad incorniciare lo scarlatto intenso disegnato sul tessuto. Un “Raffaello” ovattato di sensazioni dalla forte gradazione alcoolica. Annalisa non sa che gli asiatici tollerano poco l'alcool ed è già tanto che mi scolo un bicchiere intero di Chianti, ma so apprezzare il buon vino e poi... sarò preda della bionda, che invece regge molto bene alcool ed ogni tipo di tossico.

In camera sono sdraiata sul letto, maglietta e mutande. Più buttata giù, in realtà, che sdraiata.
Braccia e cosce aperte, l'alcool mi obnubila la mente ed ovatta le percezioni. Sto aspettando il mio turno per fare la doccia, quando Annalisa riemerge nuda dal bagno. Si sta asciugando i capelli. Illuminata da sinistra dalla luce del bagno, risalta nella stanza buia; il phon nella mano destra, i capelli scompigliati alla sua sinistra, il capo un po' reclinato, mi richiama immediatamente l'immagine della grande tela che per oltre un'ora abbiamo rimirato poco fa agli Uffizi.
“Prova ad appoggiare un attimo il phon alla maniglia della porta. Così, acceso, che ti arrivi sui capelli.”
Lei non capisce, ma esegue.
“Ok, mano destra sulla tetta di destra, così; mano sinistra sulla topa; alza un po' il piede destro... et voilà!”
Ora capisce anche lei. Resta lì con il vento caldo che le scompiglia i capelli dorati ed io, complice l'alcool e l'infatuazione amorosa, me la vedo trasformata in una dea.
Chiaro che non è necessario che sia sbronza per vederla come una dea, lei lo è nella realtà, ma ora lei è 'quella' dea, di 'quel' quadro, di 'quel pittore di fine 1400'.
Socchiudo gli occhi e penso alla tela, mentre l'immagine nuda di Annalisa, il seno mezzo coperto, i capelli d'oro mossi dal phon, l'altra mano che sfiora il pube, si impadronisce dei miei sensi, mi soggioga perdutamente ed irreversibilmente la mente.
Quei capelli colore dell'oro cotto, raccolti, vicino al capo, come un fascio di grano maturo, che si sfrangiano in sottili fili dorati, dando forma e colore ai capricciosi riccioli del vento, oppure come onde regolarti di un mare in piena maturità. Gli occhi di una sfumatura cangiante tra il verde ed il nocciola, una vena tenuemente malinconica nel suo sguardo, le sopracciglia sottili ed armoniose, la deliziosa piega irregolare delle labbra, il collo lungo in modo sproporzionato per esaltare la bellezza in stile classico pur sacrificando il realismo anatomico.
Sullo sfondo un mare che disegna onde che sembrano trasformarsi nelle ali di gabbiani che prendono il volo in un estasi di adorazione.
Alla sua destra, intorno all'immagine del vento Zefiro, che su una grande conchiglia la sospinge muovendole i capelli, sta una pioggia di piccole roselline che in multiple copie ripetono stilizzata la figura della dea. Fiori dai gambi dorati richiamano i colori dei suoi capelli; i petali di un rosa delicato ripetono il colore dei capezzoli appena accennati di un seno piccolo e regolare.
La carnagione chiara, vestita unicamente dei suoi capelli di grano.
Con una mano lambisce pudicamente un seno e porta l'altra a coprirsi il pube, accuratamente depilato, con la lunga chioma dorata, lasciando a chi la osserva solo le linee dell'inguine che indirizzano lo sguardo, come un velato segnale, verso l'organo del piacere e della riproduzione.
Due dita della mano sinistra affondano nel morbido grano, quasi come se si immergessero in una vulva dorata, in una significativa flessione come quelle della mano di una donna che cerca il proprio piacere.
Volto e capelli intrisi di luce, così ora è anche la donna che sento mia, illuminata dalla luce alle spalle, nel fluire armonico dei capelli mossi dal vento come pure era la dea, con contorni ripetuti nello stesso profilo della spiaggia. Giochi decorativi sinuosi ed aggraziati.
La dea sulla grande conchiglia Saint Jacques, alle rive di Cipro, con quelle sue carni pallide e delicate, come a richiamare il mollusco morbido, umido e lucido, simbolo della sua vulva eccitata; il corallo morbido ed arancione come il clitoride in attesa delle mie carezze e dei miei baci.
Contemplo il corpo nudo di Annalisa davanti a me, mi nutro di ogni dettaglio, mentre la mia memoria accarezza la tela del maestro fiorentino.
Il piccolo neo all'interno del seno sinistro, i capezzoli appena accennati nelle chiare areole larghe.
Mi sento rapire dal fascino e conquistare dalle linee.

Lei spegne il phon, ma lascia la porta aperta e con la luce che le illumina le spalle si avvicina a me, Io resto come paralizzata dal morso di un animale marino, mentre mi si inginocchia tra le gambe ed inizia a baciarmi le cosce, avvicinandosi pericolosamente alle mutandine.
Con una mano mi accarezza con tocco delicato, scivolando dolcemente sulla vulva, lungo il velo di cotone già bagnato.
L'odore della mia eccitazione mi giunge mescolato a quello del suo shampoo, ma lei sotto il mio sguardo già se ne inebria. Con il dito sulle mutandine indovina il solco della mia vulva guidata dalla piccola macchia umida. Mi accarezza aumentando di volta in volta la pressione tra le grandi labbra.
Sento torrenti sgorgarmi dalla vulva, sotto l'effetto di quelle carezze soffici e tenaci.
Col suo corpo risale, la sua lingua mi lambisce l'orlo degli slip e le sue mani si spostano sulla maglietta. Con piccoli movimenti delle dita mi raggiunge il seno, ci risale guidata dalle sporgenze dei capezzoli e ne sfiora la superficie.
Le mie unghie affondano nelle lenzuola quando la sua lingua percorre il muco che ha intriso le mutandine. Poi mentre mi morde fra le cosce, affonda le sue dita nei miei seni.
Me li prende in mano, li circonda, li accarezza e ci impasta le dita.
Mi prende ancora i capezzoli mentre col bacino inizio a muovermi verso la sua bocca.
“Amore... so che siamo a Firenze, ma mi sento in dovere di dirti che lì a Venezia c'è il fenomeno dell'acqua alta.”
Ma lei non ha bisogno di suggerimenti. Con i denti mi prende l'elastico degli slip e lo abbassa.
Sfiora i peli col naso inalando il mio odore.
Io alzo il sedere e mi abbasso gli slip per lasciarla libera di muoversi nella mia nudità.
Mi infila le mani sotto la maglietta seguendo il contorno dei miei seni.
Solo un leggerissimo sfioramento sui capezzoli, che mi strappa gemiti di piacere.
Ma è un urlo quello che non riesco a trattenere quando di colpo mi affonda la lingua tra le labbra.
Dopo un profondo ed accurato Pap test, si riempie del mio sapore e dei miei liquidi e quando arriva al clitoride mi sembra di svenire.
Mi lecca, mi succhia, finchè non la tiro per i capelli su di me.
Mi sfilo la maglietta e l'accolgo sul mio seno.
Lei inizia a mordermelo mentre le sue dita più sotto mi entrano dentro.
Si instaura una piccola lotta, ma finalmente riesco ad impadronirmi della sua bocca.
Come un'indemoniata mi infila la lingua in gola, ripetendo il movimento delle sue dita nella figa.
Preda di movimenti che scuotono tutto il mio corpo, in balia delle sue dita, riesco a farle scivolare una mano sulla schiena per insinuarmi tra i suoi glutei.
Nella sua eccitazione trovo il culetto morbido e bagnato e mentre lei entra in me, col medio io entro in lei.
La cucciola apprezza ricambiandomi il favore
Le nostre bocche si serrano, le nostre lingue si dilaniano. Lei con un dito sul mio clito e l'altro nel sedere, mi spinge e mi scuote. Si mette a cavallo del mio fianco e mi strofina la sua vulva sulla pelle mentre anche io, col dito, continuo a penetrarla dal buco più stretto.
Mi sento andare a fuoco la coscia col suo brodo caldo.
Con la mano che le tengo sul sedere, me la sposto su e giù assecondando i suoi movimenti e quando mi sento spingere le sue dita dentro, anch'io penetro più profondamente.
Mi sento venire, ma ancora aspetto che anche lei sia pronta e quando percepisco allentarsi la forza delle sue dita dentro di me, spingo le mie ed esplodiamo insieme in una sequenza di urla che soffochiamo una nella bocca dell'altra.
Urla, un pianto, un gemito continuo, ritmato con i movimenti del suo bacino sul mio ventre e delle nostre dita dentro ai nostri buchi più sensibili.
Poi è solo un lento scioglimento.
Bagnata di sudore Annalisa colliqua sul mio seno. Le nostre dita sempre dentro di noi, a legarci, unirci indissolubilmente, finchè il sonno cancella il nostro respiro affannoso.
Solo più tardi si risveglia.
“Tocca a te fare la doccia” mi ansima addosso, risvegliandomi da un torpore d'oltre tomba.
Le sue dita ancora nella mia profondità. Il lenzuolo bagnato dalle sorgenti del nostro mutuo piacere.
Mi alzo e barcollo nuda verso la doccia. Liquido di piacere mi cola dalla vagina e dal sedere.
Sul comodino luccica una moneta dorata da 10 centesimi.
Ancora il suo volto, i suoi capelli gialli.
D'ora in poi Annalisa sarà in grado di farmi bagnare ogni volta che mi capiterà in mano una di quelle monete in cui lei mi appare ritratta, sensuale ed invitante in un oceano di sensazioni e curve linee dorate.
di
scritto il
2020-11-27
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