I racconti di Terry 4) Sposare un cuckold
di
zorrogatto
genere
corna
Ormai, a ridosso dei sessant'anni, posso provare a fare qualche bilancio della mia vita; magari, fare qualche riflessione sulla mia vita sessuale e regalarvela.
Con un padre severissimo, sono arrivata a diciannove anni -quasi venti!- illibata. Ma poi non era solo il padre: era anche il contesto sociale, l'avere allora più tempo di crescere senza bruciare i tempi (ma quanta smania avevamo, anche noi, di essere “grandi”!)
Poi, forse, c'entrava anche il fatto che nessun ragazzo mi avesse... “detto qualcosa”: carini, certo! E qualcuno anche bravo a baciare ma... ma correvano troppo, come se il mondo dovesse finire lì a un'ora ed io, francamente, non mi sentivo di seguire il loro gioco, anche perché avevo il terrore che scoprissero quanto poco ne sapessi, quanto poco fossi emancipata, proprio a cavallo tra gli anni sessanta ed i settanta, col mito del libero amore! Quindi, se da una parte avrei voluto affrontare l'altro sesso, dall'altro ero timorosa “di far brutta figura” e perciò non osavo.
Poi una sera, una sera che mia cugina, di fuori città, era venuta a trovarci, eravamo state -eccezionalmente!- autorizzate ad andare in una discoteca ed eravamo ovviamente andate in quella più famosa della città.
Però... però anche se all'epoca la gente arrivava prima di adesso in discoteca, comunque anche allora prima delle dieci c'era solo il personale che si annoiava e qualche altro ragazzino in libera uscita...
E noi, alle nove e mezza, eravamo lì, osservate dai tipi del locale (tutti “grandi”, di almeno 22-23 anni e perfino qualche vecchio ben sopra i trenta!) che probabilmente non videro in noi null'altro che le due ragazzine imbranate che eravamo.
Poi, poi era spuntato lui: altissimo (wow!!), magro, carino, impacciato... «Scusa… mittògliunacuriosità??? Balliii???» con voce “da simpatico”, per coprire imbarazzo, timidezza e quant’altro.
Era il 1974 ed ho cominciato a ballare con lui, anche perché era il meglio che c’era al momento… anzi: l’unico!
Al di la della goffaggine, Mario era un bravo ragazzo ed abbiamo “cominciato ad uscire insieme”.
Quando ci eravamo incontrati, gli avevo assicurato che non ero più vergine e lui, contento come un cucciolo con una pallina nuova, aveva cercato di creare le condizioni per… per farlo.
Vivevamo entrambi in casa coi genitori, nessuno dei due aveva un veicolo proprio o qualche persona così amica da poter chiedere di imprestarci “casa” e anche i pochi spiccioli che giravano nelle nostre misere tasche, non ci permettevano neanche di pensare a soluzioni tipo pensioncina, al di là del senso di squallore che l’idea ci suggeriva.
Poi, con quelle concatenazioni –quasi astrali- di eventi favorevoli, si trovò a potermi invitare a casa sua, noi due soli-soletti.
Ci spogliammo, ci accarezzammo, ci baciammo, ci esplorammo e giocammo molto coi preliminari: il sesso di Mario era durissimo, svettante, con tutte le vene in rilievo e mi rendevo conto che, oltre ad essere di buone dimensioni, era anche… bello esteticamente, nel senso che era proporzionato e che mi faceva anche un po’ paura, così grosso.
Poi venne IL momento: ero stesa sulla schiena, gambe aperte e Mario in mezzo a loro; la sua cappella violacea, congestionata che puntava alla mia fichetta; la sua provvidenziale mano per… aggiustare la mira ed allinearlo perfettamente e poi sento che è a contatto con le mie labbrine e lui mi guarda e smette di sorridere e mi chiede, affettuoso ma serio: «Ma… lo hai mai fatto?»
Cos’altro povevo rispondergli?
«No…»
Fu un istante: la sua prorompente mascolinità si afflosciò in un attimo e lei, colpito da quella che “sentiva” essere la verità, quasi si mise a piangere dalla delusione.
Poi parlammo e ci conoscemmo ancora meglio e dopo qualche tempo e qualche altro tentativo, dopo un paio di settimane, finalmente, nel momento topico non fummo più abbandonati da “Marietto”: ero diventata donna!
Mi aveva commossa la sua gentilezza ed il suo… rispetto: erano questi i motivi per cui, nel momento più importante, la sua virilità scompariva e lo apprezzai molto, soprattutto sapendo di mie compagne di scuola che si erano trovate a subire la perdita della verginità, per mano di aggressivi ed infoiati maschietti.
Mario era un amante attento, paziente e molto, molto esperto; mi aveva insegnato “i fondamentali” e poi aveva migliorato le mie capacità con pazienti ed affettuosi consigli, mai con scazzi vari.
Man mano che ci frequentavamo, migliorava la nostra conoscenza e confidenza reciproca e fu sempre lui a iniziarmi a spiegare come potesse aver maturato quelle abilità sessuali: mi confidò che lui adorava le donne (come avevo avuto ben modo di notare!), ma che amava anche andare coi «maschi».
Disse proprio così: non con gli uomini, ma coi maschi; perché, mi spiegò, lui amava avere una storia con una persona di sesso femminile, confrontandosi ed accettando reciprocamente pregi e difetti, ma poi –come svago, come momento puramente ludico!- amava fare sesso coi maschi («Nel senso che son loro a metterlo a me!» mi aveva brutalmente spiegato), ma non gli interessava l’età, l’aspetto, di chi andava con lui, ma «solo QUELLO!»
Questa confessione mi provocò un intenso periodo di profonde riflessioni su di lui, di me, e sul futuro della nostra storia.
Alla fine considerai che Mario mi amava davvero e che voleva sposarmi; non gli interessava avere una storia con gli uomini, ma solo “giocarci” (come mi spiegò anni dopo, era una sorta di masturbazione reciproca, usando il corpo dell’altro e nulla più che questo: come si sborrava, ci si lasciava, spesso senza neanche un cenno di saluto) e li trovava in giro per vespasiani, soprattutto, o cinemini di quarta categoria.
Se non me lo avesse detto, nulla mi avrebbe portato a sospettare qualcosa: era un buon fidanzato e indulgeva “al vizietto” solo quando non potevamo stare insieme.
Per contro, non era un frequentatore di amici al bar, giocava solo la schedina del Totocalcio e non si ubriacava.
Quindi, non mi levava nulla, in fondo e decisi non solo di accettarlo così, ma anche di lasciarmi convincere a farmi sodomizzare da lui, in virtù delle sue favorevoli recensioni al riguardo di questa pratica.
Devo ammettere che fu delicato e paziente e, la prima volta, fu sì un attimo doloroso, ma poi passò e potemmo includere anche quella pratica al nostro già succulento menu.
E’ interessante considerare che Mario non mi incoraggiava a “toccarlo dietro” e le volte che ho osato farlo di mia spontanea volontà, ho capito che non gradiva; con me, come con quasi tutti, era un normalissimo uomo eterosessuale e, anche se evitava battute o barzellette su finocchi, nessuno poteva sospettare.
Un’altra cosa mi colpiva era la sua poca gelosia.
Mi dispiaceva che non fosse geloso, ma lui mi aveva pacatamente spiegato che non mi vedeva come una sua proprietà, ma come una persona che ha liberamente scelto di stare con lui e che quindi, in questa libertà, è padrona di rifiutare le avances degli altri.
«E se invece con uno ci stessi?» Lo provocai
«Beh, dipende; se tu ci stessi con UNO, una volta, per curiosità o per momentanea ripicca eccetera, non sarebbe la fine del mondo… Se ogni settimana, invece, tu andassi con un altro, sia lo stesso che uno sempre diverso… allora dovremmo proprio discuterne assieme!» mi rispose, con un grande sorriso.
Poi, la nostra vita ebbe una piccola, fondamentale novità: Mario aveva troncato, a metà dell’anno scolastico, il liceo e si era messo a lavorare e coi risparmi era riuscito a comprarsi una 500L crema (anzi: “Avorio Antico”, secondo la definizione della Fiat!), che, oltre a rendere più facile il poterci incontrare, senza dover attendere i vari bus, ci consentiva anche di andare in altura, trovarci un angolino riparato ed usare il sia pur piccolo abitacolo come nostro nido d’amore.
Però, l’andare in altura comportò inaspettati sviluppi della nostra situazione: un giorno si rese conto che tra i folti cespugli a tre passi da dove avevamo parcheggiato la macchina, c’era un guardone!
Mi aspettavo che piantasse una grana, che inveisse, che si impaurisse, che mettesse in moto e che sfrecciassimo via ancora completamente nudi…
Nulla di tutto ciò! Se è possibile, il suo cazzo si erse con ancora maggiore decisione, mentre mi diceva: «Ci stanno guardando! Dai, facciamoci vedere!!!»
Io non volevo, avevo paura, mi vergognavo, mi dava fastidio, ma poi, col tempo, non solo acconsentii a che ci guardassero (era un “giro” di almeno una decina di persone che, quando avevamo finito, si accostavano e con educata gratitudine ci invitavano a bere qualcosa in un’osteria nei dintorni… o un panino col salame, se avevamo anche fame), ma provavo anche un sottile piacere ad essere osservata da loro e per la grande carica supplementare che dava la cosa al mio ragazzo; col tempo, i “coppianti” –come si definivano tra loro- si avvicinavano fino a guardarci schiacciando i nasi sui finestrini della Cinquecento!
Poi arrivò per lui il tempo di partire militare e si trovò scaraventato in una piccola cittadina a cinquecento chilometri da casa, sia per l’addestramento che, poi, come assegnazione definitiva.
Io lavoravo come commessa in un negozio di abbigliamento che era di proprietà di due “vecchi” (sorrido, oggi: probabilmente erano sui trentacinque-quarant’anni…) e soprattutto uno, Arturo, ci provava con me, anche se non gli davo alcuna speranza di ottenere qualcosa da me, che non fosse un cordiale sorriso.
Con Mario ci eravamo giurati di raccontarci ogni cosa e sicuramente lui prese il giuramento molto sul serio, al punto che mi raccontò spontaneamente che “usciva con una” lì, a militare.
Mi aveva assicurato che non era importante -prova ne sia che me ne parlava di sua iniziativa- ma è indubbio che la faccenda mi scocciò parecchio.
Fu questa irritazione, probabilmente ed una voglia di avere una rivalsa, di vendicarmi del suo tradimento che mi portò sul divanoletto del retrobottega del negozio, ad andare col mio secondo uomo, Arturo.
Non fu una bella esperienza, però: baciava molto bene, ma poi era frettoloso, concentrato su sé stesso, e non è che avesse un attributo poi notevole, anzi: il mio Mario usciva tranquillamente vincitore, al confronto…
Inutile precisare che feci in modo da non avere altre occasioni col mio principale, finché col socio non chiusero il negozio e lui sparì dalla mia vita.
Per rivalsa, alla prima licenza sbattei in faccia il mio tradimento al mio ragazzo e lui… lui ebbe un comportamento che non mi aspettavo: registrai allora nella mia mente ogni cosa, ogni espressione del viso, ogni gesto, ogni tono della voce e adesso, dall’alto dei quarant’anni di esperienza che ho accumulato da allora, posso spiegarvi come reagì alla notizia che lo avevo deliberatamente tradito (e con un vecchio!!!), sbattendogli la “novità” sulla faccia con sfida e cattiveria.
Lui ci rimase male, era avvilito e capiva (per quanto ho imparato a conoscerlo negli anni) di non potermi neanche rinfacciare nulla, visto che era stato lui a cominciare, con la tipa che vedeva a militare.
Però fece una cosa strana: pur coi lucciconi di dolore per il tradimento, mi chiese i dettagli, via via ogni dettaglio, sul cosa avevamo fatto, detto, i tempi, quello che avevamo bevuto prima, cos’avevamo fatto dopo, quanto era durato il tutto e quanto ogni singola fase, se mi era piaciuto e se il divanoletto (che lui aveva notato, quando era passato in negozio a trovarmi) era comodo e se lo avevamo tirato giù e…
Tutto! Volle sapere tutto! Anche dove e quanto era venuto Arturo e… l’ho capito con gli anni, lui riusciva a “vedermi”, quasi come fosse stato presente e la cosa lo eccitava perversamente.
Anzi: volle… ricostruire la scena, usando me e se stesso come attori per la ripetizione teatrale dei fatti; mi resi conto che la cosa lo eccitava moltissimo e, devo dire, la sua reazione eccitò molto anche me.
Come ho detto, tutta questa complessità di reazioni, apparentemente incongrue e che contrastavano con le dichiarazioni di amore assoluto del mio ragazzo, sono riuscita ad elaborarle solo con gli anni; diciamo che tutte queste consapevolezze erano in me, ancora non elaborate, ma ero inconsapevolmente conscia di averle, come si sa di avere in casa farina, lievito, zucchero e uova, ma non si è ancora pensato di farci una torta.
Come ho detto, il negozio chiuse ed io mi trovai senza un lavoro.
A volte, sentivo per telefono Sandro, un amico –ed ex collega- di Mario col quale ci vedevamo durante le licenze e che si comportava sempre molto correttamente con me, la ragazza del suo amico.
Dopo aver lasciato il lavoro che aveva condiviso col mio ragazzo, lavorava da sei mesi in una piccola fabbrica che assemblava schede elettroniche (e allora era una cosa che rasentava la fantascienza!) e avendo saputo che cercavano un’impiegata amministrativa, mi aveva suggerito di presentarmi per un colloquio.
Era primavera inoltrata e quindi mi presentai con una gonnellona leggera, una camicetta e sandaletti con zeppa (mi ha sempre infastidito essere piccolina e solo col matrimonio ho smesso di arrampicarmi su tacchi e zeppe e apprezzare comodi mocassini e ballerine) e, dopo una breve attesa, venni introdotta nell’ufficio di Tonino, uno dei due fratelli proprietari e che si occupava degli aspetti amministrativi e commerciali, mentre la produzione era responsabilità di Marcello, che comunque si svolgeva in un fabbricato a mezzo chilometro da lì.
Tonino… Tonino era un bell’uomo: non altissimo come piacciono a me -ma il suo metroeottanta lo raggiungeva tranquillamente-, atletico, abbronzato, barba e capelli neri: un pirata!
Feci il colloquio e… e lui mi invitò a pranzo.
Dal pranzo, durante il quale si dimostrò magneticamente affascinante, al dopopranzo, al giro in riviera con la sua spider, alla puntatina («Solo un attimo, devo vedere una cosa…») alla su villa abbarbicata sulla scogliera e poi restare lì, a fare l’amore.
Generoso -almeno quanto la natura lo era stata con lui!- abile, capace… Devo ammetterlo, mi è piaciuto molto!
Così tanto che ci vedemmo altre quattro volte, compresa una sul suo cabinato dove, dopo che aveva insistito, accettai di prendere per la prima volta il sole completamente nuda.
Durante il nostro secondo incontro, mi aveva anche sondato il buchino dietro e aveva capito che non solo era già stato piacevolmente usato, ma anche che apprezzavo quel tipo di attività; perciò mi trafisse anche da dietro col suo randello e lo facemmo anche le altre volte che ci incontrammo.
Tonino era un uomo fatto, era abilissimo, un bell’uomo, affascinante, colto ma… ma che futuro poteva avere una storia con lui? Io amavo Mario, nonostante fossi andata con un altro –e stavolta senza neanche l’attenuante della vendetta!- e capivo che per Tonino ero solo un’avventuretta, ma che lui era –logicamente!- legato a moglie e figli.
Decisi di non vederlo più; il fatto di non aver avuto quel posto di lavoro mi sottrasse anche da una situazione che avrebbe potuto diventare difficile e, infine, Tonino non mi sembrò disperato del fatto che avessi deciso di uscire dalla sua vita, in punta di piedi come ci ero entrata.
Mario mi aveva telefonato, tutto contento, dicendomi che sarebbe venuto in licenza a casa a partire dal sabato successivo ed io vivevo nel dilemma se raccontargli di Tonino o se, invece, far finta di nulla: era stata una mia scappatella e non aveva alcuna conseguenza sulla nostra storia –che ormai cominciava ad aver compiuto due anni- e quindi, perché dirglielo?
Ma, d’altra parte: ci eravamo giurati di dirci tutto e lui era stato di parola, riflettei ripensando alla sua amichetta lì dove faceva naja; perché io dovevo tradire la sua fiducia, nascondendogli una cosa del genere?
Per paura che pensasse che sono una troia? Uhmmm… qualcosa mi diceva che il mio Mario SPERAVA che io facessi ogni tanto la troia…
Finì che glie lo dissi… E lui volle sapere ogni cosa, ogni piccolo dettaglio, gesto, parola, pensiero, sensazione, il tutto mentre “ricostruivamo” gli eventi, come gli investigatori che ricostruiscono un crimine per poter capire appieno le varie dinamiche.
Inutile precisare che, in questa sorta di “porno-criminal mind”, il cazzo di Mario era tanto congestionato di eccitazione che avevo paura di vederlo esplodere!
Alla fine, anche i tredici mesi del militare finirono e il mio ragazzo (non abbiamo mai pensato all'altro come “il fidanzato/a”, nei sei anni trascorsi da quando ci siamo conosciuti a quando ci siamo sposati) tornò a casa a metà ottobre.
In sette giorni dal suo congedo, Mario aveva organizzato il prosequio della propria vita: aveva cominciato a lavorare nella fabbrichetta di Tonino, insieme a Sandro (finalmente in regola, con ferie, mutua e marche previdenziali!) dalle otto alle cinque e mezzo e poi, dalle sei alle undici, andava ad una scuola serale per potersi presentare (da privatista e facendo tre anni in uno!) a fare l'esame di maturità per perito industriale; aveva deciso che il liceo serviva solo a chi volesse andare all'università e quindi che quella maturità fosse inutile per lui.
Mario mi confidò che un giorno Tonino che era spuntato in stabilimento; per un caso, si erano trovati, da soli, ad incrociarsi in un corridoio e lui non aveva saputo resistere: «Signor Tonino… Terry è la mia fidanzata…»
Mi raccontò che l’uomo trasalì un pochino, pronto ad arroccarsi in difesa, ma lui gli fece un sorriso umilmente complice: «So tutto, ma non si preoccupi: va benissimo così»
Tonino ci mise un istante a comprendere il senso della frase e poi il suo volto si aprì in un sorriso da predatore.
Furono nove mesi molto faticosi e stressanti, per lui, ma alla fine gli fruttarono un diploma (rilasciato da un Istituto Tecnico Statale) con un punteggio addirittura superiore alle sue speranze.
Unica cosa di ambito sessuale un po' particolare di quel periodo, era stato lo smaccato tentativo del suo insegnante di Italiano di appartarsi con me in altura dopo avermi fatta salire in auto con la speranza di essere portata ad un colloquio di lavoro.
Tra i tanti modi per dimostrarmi il suo amore, il quanto lui tenesse a me, Mario mi aveva fatto un piccolo corso di autodifesa (antistupro, più o meno!), spiegandomi dove colpire e con cosa–piedi, tacchi, ginocchia, comiti, mani, testa- e dove e come comportarmi («Urla, fai casino, richiama l'attenzione: magari non ti sente nessuno, ma l'aggressore si spaventa!») ed anche come... disinnescare una situazione come quella, sgradevolissima, che si stava realizzando col professore: «Sai... non so come dirtelo... anche perché sei un bell'uomo... ma vedi... sì, ecco: Mario dev'essere andato con qualche donnaccia ed io adesso ho un piccolo disturbo ginecologico e... »
Ho fatto fatica a non scoppiargli a ridere in faccia, quando ho visto l'espressione che ha fatto e quanta premurosa ragionevolezza abbia rapidamente sostituito l'evidente eccitazione dell'insegnante.
Ovviamente ho raccontato ogni dettaglio a Mario la sera stessa e lui, dopo aver fatto rosolare il professore qualche giorno con occhiate e frasi ambigue, credo che lo abbia alla fine perfino minacciato!
Dopo anni insieme, eravamo ormai una coppia consolidata; come tutte le coppie avevamo i nostri litigi, anche furibondi e momenti di Amore Assoluto (con le maiuscole!)
Oltre a prendere insieme le misure al mondo, avevamo anche esplorato la sessualità e devo dire che Mario è stato un ottimo compagno di esplorazione: oltre ad essere un valido maschio, aveva anche un interesse per i maschi… (ma no, diciamolo: proprio per i cazzi!) e questo quindi gli consente di sintonizzarsi più facilmente con la mente femminile.
In tantissimi anni lui non ha mai “chiesto”, ma solo “proposto”: «Vedi… -spiegava-… se io CHIEDO, tu puoi dirmi sì o no, ma magari pensando “ho detto no perché non ‘stava bene’ dire sì, ma spero che insista…” oppure “ho detto sì per farlo contento, ma speriamo che poi non se ne faccia nulla…”
Se invece ti PROPONGO qualcosa, ne discutiamo ed entrambi capiamo meglio cos’ha in mente l’altro e si arriva ad un punto di equilibrio che faccia felici tutti…»
Poi Mario non ha mai dimostrato fretta nel raggiungere i propri obbiettivi: non so neanche dire quando ha cominciato a parlare di farlo con altre persone, ma alla fine era un pensiero costante; io mi impuntavo dicendo: «Ma mi lascio già guardare dai coppianti… Accontentati, no?», ma lui sorrideva, mi diceva di sì e poi tornava alla carica, ma in modo garbato.
I romani dicevano “Gutta cavat lapidem”, la goccia scava la pietra e la goccia del suo sommesso “facciamolo-facciamolo” alla fine mi fece dire «E va bene! Facciamolo, così poi quieti!»
Visto che era una mia concessione, fissai i paletti: preferivo i singoli alle coppie (non avevo voglia di essere gelosa della prima sciacquetta con un bel culetto che capitava e poi intuivo istintivamente che questo era anche il desiderio di Mario), non dovevano essere sotto il metroeottantacinque (sono piccolina ed adoro gli uomini alti!), massimo della nostra età e ovviamente non brutti né grassi.
Ho spiegato in un altro racconto (“2) Posare per Mauro” N.d.A.) le macchinose procedure per riuscire ad incontrarsi attraverso inserzioni sulla carta stampata, ma per Mario già il valutare le lettere era parte del divertimento: scartava i semianalfabeti, chi mandava una lettera scritta in modo disordinato, con cancellature o eccessive sottolineature, con l’indirizzo sulla busta e l’affrancatura messi alla “speriamo che vada bene così” («Se io devo incontrare una persona nuova, cerco di presentarmi al meglio; se questo è il meglio che riescono a fare, figuriamoci quando decideranno di sbracare un po’!» diceva) e, ovviamente, non ritirava neanche dal Fermoposta quelle con affrancatura mancante o insufficiente!
Poi cominciava a leggere le lettere, interpretando quello che la gente scriveva, ma anche quello che lasciava intuire e scartando i maleducati, gli aggressivi, quelli che abitavano a casadeldiavolo e quelli che avevano complessissime e rigorose procedure per contattarli; alla fine, piallata dopo piallata, il centinaio abbondante di lettere ritirate diventava quella decina, dozzina sulla quale discutevamo per poi contattare tre-quattro persone.
Ovviamente, questi tre-quattro superstiti venivano poi, con motivazioni diverse, bocciati dopo averli incontrati di persona, ma Mario raramente era spazientito: in fondo questa trafila era già divertente di suo.
Nel frattempo la vita andava avanti: si trovava IL lavoro, si cominciava ad avere qualche risparmio e si potevano quindi fare progetti di vita e -perfino!- sposarci.
Dopo il matrimonio, tra le altre cose Mario intensificò le inserzioni, visto che finalmente avevamo una casa nostra e soprattutto non dovevamo più sottostare ai divieti ed agli orari del mio severissimo papà.
Incontrammo alcune persone “interessanti” ed alla fine accettai di trovarmi alle prese con un altro uomo, oltre a mio marito e, devo dire, le esperienze che facemmo con diversi uomini furono piacevoli… e non solo da un punto di vista sessuale.
Fu in quel periodo che ci capitò anche il fatto che ho raccontato in 1) Sereno American Bar.
Alcuni singoli erano veramente piacevoli persone: ne ricordo uno col quale mi trovai, senza averlo ancora incontrato, a parlare al telefono; avevo avuto diverse chiamate con gente che, a precisa domanda, ammetteva di essere di statura ben inferiore ai miei desideri.
Infastidita, fui un po’ aggressiva, con lui: «… E poi spero che tu sia alto: sai, mio marito è alto uno e ottantotto!» Lo sfidai, orgogliosa dell’altezza di Mario.
Fece una risatina e poi, con tono leggero, mi rispose divertito: «Ma allora ci guardiamo negli occhi, con tuo marito: sono uno e ottantotto anch’io!»
Ovviamente VOLLI incontrarlo! Così conoscemmo Gianni, che oltre alla statura ed alla simpatia, aveva anche un fisico atletico di tutto rispetto (lì a poco sarebbe diventato campione europeo di categoria di un’arte marziale!) ed anche, approfondendo la conoscenza, un cazzo di dimensioni assolutamente suggestive!
La persona, al di là della sfera sessuale, era gradevolissima e restammo amici per alcuni anni, prima di perderci di vista, risucchiati dai gorghi della vita di ognuno.
Anche lui, poi, era bisex e quindi giocavamo insieme benissimo, impegnandoci come i Moschettieri: “Uno per tutti, tutti per uno” ed era bellissimo che ognuno potesse donare gioiosamente piacere agli altri due.
Con l’avanzare dell’età, Mario aveva avuto modo di meditare su alcuni comportamenti che aveva istintivamente seguito nel passato e ne discutevamo serenamente insieme; per quanto riguarda le donne, mi confidò che lui era sempre stato intrigato dal vedere la sua ragazza del momento, magari, ballare in un locale con un altro e, soprattutto, quando questo tentava di… prendersi delle libertà, tipo baci o palpate.
Mi cercava di far comprendere anche quanto lo eccitasse vedermi con un altro uomo, nei momenti in cui si prendeva (sempre più frequentemente, a pensarci!) un momento di pausa mentre eravamo con un singolo.
Una volta che uno dei nostri amici… da letto, mi invitò ad andare da lui da sola, rifiutai e poi, la sera stessa, glie lo raccontai, indignata dalla sfacciataggine della proposta indecente.
Lui invece mi rimproverò affettuosamente, dicendomi che avrei dovuto accettare…
«Ma senza di te?» obiettai.
«Sì, certo! Tu sei libera di fare quello che ti va: unica condizione, che quando torni, mi racconti tutto quello che avete fatto, ogni dettaglio!»
Solo molti anni dopo, navigando in rete, Mario sarebbe riuscito ad identificare ed a dare un nome a questo suo strano demone: lui era un cuckold!
Di conseguenza, io –senza avere ancora l’idea del termine e pensando di essere l’unica persona al mondo a vivere una situazione del genere!- agivo come una “sweety” e quindi andavo a far sesso con altri uomini –i bull!- col permesso di mio marito… anzi: a volte anche con la collaborazione, visto che qualche volta mi ha accompagnata fin davanti al portone dell’amico -del maschio!- col quale avevo appuntamento!
Quando tornavo a casa, mi voleva sapere tutto: sensazioni, gesti, pensieri, odori, parole.
Spesso io raccontavo sdraiata sul letto, nuda o quasi ed avevo problemi di concentrazione a ricordare e narrare, mentre la mia intimità veniva frugata dalla vorace lingua di mio marito.
Una volta che con uno dei miei amici ci eravamo appartati in macchina (no, non nei soliti posti! In un luogo davvero deserto!), tornando a casa gli avevo chiesto giusto il tempo di darmi una rinfrescata in bagno, ma lui –eccitatissimo- me lo aveva impedito, gustandosi la mia patatina con ancora parte dell’abbondante eiaculazione del tipo col quale ero stata.
Da quella volta ci accordammo perché io tornassi con ancora il succo dei miei amanti, che lui si preoccupava di pulire, lappandolo via, mentre raccontavo.
Poi decidemmo di concentrarci sull’avere i figli e quindi sospesi i contraccettivi; per ovvie ragioni, smisi anche di frequentare altri uomini, nonostante Mario non fosse felicissimo di questa mia decisione, ma io volevo figli da lui e non da un qualunque bel figaccione col quale ero stata una volta o due!
Finalmente nacque nostra figlia ed io, dopo l’evento, mi lasciai forse un po’ andare, mi trascurai: non escludo che ci fosse anche un po’ di depressione post-partum; Mario capì ed insistette perché io “tornassi in pista”.
Ovviamente non volevo, non ne avevo testa, ma lui insisteva ed alla fine pubblicò un’inserzione.
Provai un potente moto di rabbia e decisi di… tradirlo.
Nel senso che ormai ero io a leggere le lettere di risposta ed a decidere chi valesse la pena di essere incontrato e valutato; poi lui assecondava le mie scelte e mi forniva anche “copertura”, nel senso che era sempre vicino quando incontravo per la prima volta gli uomini, in modo che se il tipo si fosse dimostrato prepotente, violento o che altro, lui poteva sempre intervenire in mia difesa.
Lessi per conto mio le inserzioni di uomini che cercavano donne ed alla fine una mi colpì: era di un ragazzo giovane (lui aveva ventiquattro anni, mentre io ormai era una gradevole signora di trentuno) e quando lessi la sua lettera, capii, “sentii” che era la persona giusta.
Finsi con Mario –facilmente: si fidava assolutamente di me- che Michele avesse risposto lui alla nostra inserzione e fu placidamente contento di scortarmi.
Quando vidi il giovane, sentii un tuffo al cuore e dopo un pochino che ci parlavo, posai la borsetta in terra, il segnale che avevo concordato con mio marito, usato raramente!, che significava: “persona ok: non corro rischi, lasciaci soli!”
Lui notò il gesto e lo vidi andare via, anche se non del tutto convinto.
Ovviamente raccontai a Michele della situazione con Mario e non passò molto tempo che lo invitai a cena, in modo che potessero conoscersi.
Avevo deciso che Michele doveva essere una cosa solo mia e perciò, quando restammo da soli, spiegai a mio marito che lui non amava farlo in tre, ma che era un bravo amante e che non volevo perderlo.
Lui accettò, accettò tutto; quando Michele veniva a trovarmi, si prestava volentierissimo ad uscire con nostra figlia –papà orgogliosissimo di bellissima bimba bionda di circa un anno!- per portarla al parco, mentre la sua adorata mogliettina e mamma di sua figlia faceva la maialina a casa, facendosi sbattere in ogni buco dal suo giovane ed insaziabile amante.
Perfino quando Michele decise di farmi anche il culetto, pratica che per una serie di casualità avevamo trascurato con Mario, potei contare sulla sua complicità: gli chiesi di confermare, nel caso il mio giovane amante rivendicasse di essere stato il primo, che io non ero mai stata sodomizzata prima, perché non avevo mai voluto.
Fu un grande: quando Michele orgogliosamente gli disse di avermelo fatto, lui strabuzzò gli occhi: «Davvero ti sei inculato mia moglie? Bravo! Pensa che con me, in tanti anni, non ha mai voluto! Ma come diavolo hai fatto, a convincerla?» disse, guardando me in cerca di un cenno di conferma; abbassai gli occhi come se mi vergognassi, ma in realtà per non guardarlo e non mettermi a ridere, perché stava facendo una grande, credibilissima interpretazione!
Vissi una bellissima storia con Michele e contavo sempre sulla deliziosa complicità di mio marito, certa come può essere il Monviso nelle Alpi: non puoi neanche immaginare che possa sparire!
Però Mario stava cambiando; siccome continuavamo a dirci (quasi!) tutto, mi raccontò di aver conosciuto una tal Francesca, che volli conoscere: organizzai una cena a quattro nel nostro giardinetto, io e Michele che ci facevamo gli occhi dolci sotto gli occhi indulgenti di mio marito che scambiava tenerezze con la sua Francesca, una affabile e gradevolissima quarantenne.
Terminata la cena in allegria, dopo aver messo a nanna nostra figlia, Mario accompagnò a casa la sua amica e mi volle precisare che non sarebbe stato di ritorno prima di mezzanotte; con Michele ci scambiammo un sorriso complice e salutammo mio marito e la sua simpatica amica.
La vita intanto continuava a scorrere: finirono le storie con Francesca e con Michele (in un litigio, buttai in faccia a mio marito che lui non era arrivato nelle nostre vite grazie a sue inserzioni, ma me lo ero cercato deliberatamente io! Mi pentii subito di averglielo detto, quando colsi l’espressione assolutamente ferita nei suoi occhi…); lui ebbe altre storie e anche io “mi vidi” con altri uomini, finché la voglia di trasgredire –per tante ragioni, non escluso l’occhio femminile che mi fa vedere più vecchia e brutta di quanto gli altri dicano che io appaia- è alla fine evaporata, anche se mi rendo conto di aver avuto una vita sessuale piena e divertente, anche grazie al cuckoldismo del mio adorato marito.
Ma adesso scusatemi, devo lasciarvi: il mio nipotino sta per tornare da scuola.
Con un padre severissimo, sono arrivata a diciannove anni -quasi venti!- illibata. Ma poi non era solo il padre: era anche il contesto sociale, l'avere allora più tempo di crescere senza bruciare i tempi (ma quanta smania avevamo, anche noi, di essere “grandi”!)
Poi, forse, c'entrava anche il fatto che nessun ragazzo mi avesse... “detto qualcosa”: carini, certo! E qualcuno anche bravo a baciare ma... ma correvano troppo, come se il mondo dovesse finire lì a un'ora ed io, francamente, non mi sentivo di seguire il loro gioco, anche perché avevo il terrore che scoprissero quanto poco ne sapessi, quanto poco fossi emancipata, proprio a cavallo tra gli anni sessanta ed i settanta, col mito del libero amore! Quindi, se da una parte avrei voluto affrontare l'altro sesso, dall'altro ero timorosa “di far brutta figura” e perciò non osavo.
Poi una sera, una sera che mia cugina, di fuori città, era venuta a trovarci, eravamo state -eccezionalmente!- autorizzate ad andare in una discoteca ed eravamo ovviamente andate in quella più famosa della città.
Però... però anche se all'epoca la gente arrivava prima di adesso in discoteca, comunque anche allora prima delle dieci c'era solo il personale che si annoiava e qualche altro ragazzino in libera uscita...
E noi, alle nove e mezza, eravamo lì, osservate dai tipi del locale (tutti “grandi”, di almeno 22-23 anni e perfino qualche vecchio ben sopra i trenta!) che probabilmente non videro in noi null'altro che le due ragazzine imbranate che eravamo.
Poi, poi era spuntato lui: altissimo (wow!!), magro, carino, impacciato... «Scusa… mittògliunacuriosità??? Balliii???» con voce “da simpatico”, per coprire imbarazzo, timidezza e quant’altro.
Era il 1974 ed ho cominciato a ballare con lui, anche perché era il meglio che c’era al momento… anzi: l’unico!
Al di la della goffaggine, Mario era un bravo ragazzo ed abbiamo “cominciato ad uscire insieme”.
Quando ci eravamo incontrati, gli avevo assicurato che non ero più vergine e lui, contento come un cucciolo con una pallina nuova, aveva cercato di creare le condizioni per… per farlo.
Vivevamo entrambi in casa coi genitori, nessuno dei due aveva un veicolo proprio o qualche persona così amica da poter chiedere di imprestarci “casa” e anche i pochi spiccioli che giravano nelle nostre misere tasche, non ci permettevano neanche di pensare a soluzioni tipo pensioncina, al di là del senso di squallore che l’idea ci suggeriva.
Poi, con quelle concatenazioni –quasi astrali- di eventi favorevoli, si trovò a potermi invitare a casa sua, noi due soli-soletti.
Ci spogliammo, ci accarezzammo, ci baciammo, ci esplorammo e giocammo molto coi preliminari: il sesso di Mario era durissimo, svettante, con tutte le vene in rilievo e mi rendevo conto che, oltre ad essere di buone dimensioni, era anche… bello esteticamente, nel senso che era proporzionato e che mi faceva anche un po’ paura, così grosso.
Poi venne IL momento: ero stesa sulla schiena, gambe aperte e Mario in mezzo a loro; la sua cappella violacea, congestionata che puntava alla mia fichetta; la sua provvidenziale mano per… aggiustare la mira ed allinearlo perfettamente e poi sento che è a contatto con le mie labbrine e lui mi guarda e smette di sorridere e mi chiede, affettuoso ma serio: «Ma… lo hai mai fatto?»
Cos’altro povevo rispondergli?
«No…»
Fu un istante: la sua prorompente mascolinità si afflosciò in un attimo e lei, colpito da quella che “sentiva” essere la verità, quasi si mise a piangere dalla delusione.
Poi parlammo e ci conoscemmo ancora meglio e dopo qualche tempo e qualche altro tentativo, dopo un paio di settimane, finalmente, nel momento topico non fummo più abbandonati da “Marietto”: ero diventata donna!
Mi aveva commossa la sua gentilezza ed il suo… rispetto: erano questi i motivi per cui, nel momento più importante, la sua virilità scompariva e lo apprezzai molto, soprattutto sapendo di mie compagne di scuola che si erano trovate a subire la perdita della verginità, per mano di aggressivi ed infoiati maschietti.
Mario era un amante attento, paziente e molto, molto esperto; mi aveva insegnato “i fondamentali” e poi aveva migliorato le mie capacità con pazienti ed affettuosi consigli, mai con scazzi vari.
Man mano che ci frequentavamo, migliorava la nostra conoscenza e confidenza reciproca e fu sempre lui a iniziarmi a spiegare come potesse aver maturato quelle abilità sessuali: mi confidò che lui adorava le donne (come avevo avuto ben modo di notare!), ma che amava anche andare coi «maschi».
Disse proprio così: non con gli uomini, ma coi maschi; perché, mi spiegò, lui amava avere una storia con una persona di sesso femminile, confrontandosi ed accettando reciprocamente pregi e difetti, ma poi –come svago, come momento puramente ludico!- amava fare sesso coi maschi («Nel senso che son loro a metterlo a me!» mi aveva brutalmente spiegato), ma non gli interessava l’età, l’aspetto, di chi andava con lui, ma «solo QUELLO!»
Questa confessione mi provocò un intenso periodo di profonde riflessioni su di lui, di me, e sul futuro della nostra storia.
Alla fine considerai che Mario mi amava davvero e che voleva sposarmi; non gli interessava avere una storia con gli uomini, ma solo “giocarci” (come mi spiegò anni dopo, era una sorta di masturbazione reciproca, usando il corpo dell’altro e nulla più che questo: come si sborrava, ci si lasciava, spesso senza neanche un cenno di saluto) e li trovava in giro per vespasiani, soprattutto, o cinemini di quarta categoria.
Se non me lo avesse detto, nulla mi avrebbe portato a sospettare qualcosa: era un buon fidanzato e indulgeva “al vizietto” solo quando non potevamo stare insieme.
Per contro, non era un frequentatore di amici al bar, giocava solo la schedina del Totocalcio e non si ubriacava.
Quindi, non mi levava nulla, in fondo e decisi non solo di accettarlo così, ma anche di lasciarmi convincere a farmi sodomizzare da lui, in virtù delle sue favorevoli recensioni al riguardo di questa pratica.
Devo ammettere che fu delicato e paziente e, la prima volta, fu sì un attimo doloroso, ma poi passò e potemmo includere anche quella pratica al nostro già succulento menu.
E’ interessante considerare che Mario non mi incoraggiava a “toccarlo dietro” e le volte che ho osato farlo di mia spontanea volontà, ho capito che non gradiva; con me, come con quasi tutti, era un normalissimo uomo eterosessuale e, anche se evitava battute o barzellette su finocchi, nessuno poteva sospettare.
Un’altra cosa mi colpiva era la sua poca gelosia.
Mi dispiaceva che non fosse geloso, ma lui mi aveva pacatamente spiegato che non mi vedeva come una sua proprietà, ma come una persona che ha liberamente scelto di stare con lui e che quindi, in questa libertà, è padrona di rifiutare le avances degli altri.
«E se invece con uno ci stessi?» Lo provocai
«Beh, dipende; se tu ci stessi con UNO, una volta, per curiosità o per momentanea ripicca eccetera, non sarebbe la fine del mondo… Se ogni settimana, invece, tu andassi con un altro, sia lo stesso che uno sempre diverso… allora dovremmo proprio discuterne assieme!» mi rispose, con un grande sorriso.
Poi, la nostra vita ebbe una piccola, fondamentale novità: Mario aveva troncato, a metà dell’anno scolastico, il liceo e si era messo a lavorare e coi risparmi era riuscito a comprarsi una 500L crema (anzi: “Avorio Antico”, secondo la definizione della Fiat!), che, oltre a rendere più facile il poterci incontrare, senza dover attendere i vari bus, ci consentiva anche di andare in altura, trovarci un angolino riparato ed usare il sia pur piccolo abitacolo come nostro nido d’amore.
Però, l’andare in altura comportò inaspettati sviluppi della nostra situazione: un giorno si rese conto che tra i folti cespugli a tre passi da dove avevamo parcheggiato la macchina, c’era un guardone!
Mi aspettavo che piantasse una grana, che inveisse, che si impaurisse, che mettesse in moto e che sfrecciassimo via ancora completamente nudi…
Nulla di tutto ciò! Se è possibile, il suo cazzo si erse con ancora maggiore decisione, mentre mi diceva: «Ci stanno guardando! Dai, facciamoci vedere!!!»
Io non volevo, avevo paura, mi vergognavo, mi dava fastidio, ma poi, col tempo, non solo acconsentii a che ci guardassero (era un “giro” di almeno una decina di persone che, quando avevamo finito, si accostavano e con educata gratitudine ci invitavano a bere qualcosa in un’osteria nei dintorni… o un panino col salame, se avevamo anche fame), ma provavo anche un sottile piacere ad essere osservata da loro e per la grande carica supplementare che dava la cosa al mio ragazzo; col tempo, i “coppianti” –come si definivano tra loro- si avvicinavano fino a guardarci schiacciando i nasi sui finestrini della Cinquecento!
Poi arrivò per lui il tempo di partire militare e si trovò scaraventato in una piccola cittadina a cinquecento chilometri da casa, sia per l’addestramento che, poi, come assegnazione definitiva.
Io lavoravo come commessa in un negozio di abbigliamento che era di proprietà di due “vecchi” (sorrido, oggi: probabilmente erano sui trentacinque-quarant’anni…) e soprattutto uno, Arturo, ci provava con me, anche se non gli davo alcuna speranza di ottenere qualcosa da me, che non fosse un cordiale sorriso.
Con Mario ci eravamo giurati di raccontarci ogni cosa e sicuramente lui prese il giuramento molto sul serio, al punto che mi raccontò spontaneamente che “usciva con una” lì, a militare.
Mi aveva assicurato che non era importante -prova ne sia che me ne parlava di sua iniziativa- ma è indubbio che la faccenda mi scocciò parecchio.
Fu questa irritazione, probabilmente ed una voglia di avere una rivalsa, di vendicarmi del suo tradimento che mi portò sul divanoletto del retrobottega del negozio, ad andare col mio secondo uomo, Arturo.
Non fu una bella esperienza, però: baciava molto bene, ma poi era frettoloso, concentrato su sé stesso, e non è che avesse un attributo poi notevole, anzi: il mio Mario usciva tranquillamente vincitore, al confronto…
Inutile precisare che feci in modo da non avere altre occasioni col mio principale, finché col socio non chiusero il negozio e lui sparì dalla mia vita.
Per rivalsa, alla prima licenza sbattei in faccia il mio tradimento al mio ragazzo e lui… lui ebbe un comportamento che non mi aspettavo: registrai allora nella mia mente ogni cosa, ogni espressione del viso, ogni gesto, ogni tono della voce e adesso, dall’alto dei quarant’anni di esperienza che ho accumulato da allora, posso spiegarvi come reagì alla notizia che lo avevo deliberatamente tradito (e con un vecchio!!!), sbattendogli la “novità” sulla faccia con sfida e cattiveria.
Lui ci rimase male, era avvilito e capiva (per quanto ho imparato a conoscerlo negli anni) di non potermi neanche rinfacciare nulla, visto che era stato lui a cominciare, con la tipa che vedeva a militare.
Però fece una cosa strana: pur coi lucciconi di dolore per il tradimento, mi chiese i dettagli, via via ogni dettaglio, sul cosa avevamo fatto, detto, i tempi, quello che avevamo bevuto prima, cos’avevamo fatto dopo, quanto era durato il tutto e quanto ogni singola fase, se mi era piaciuto e se il divanoletto (che lui aveva notato, quando era passato in negozio a trovarmi) era comodo e se lo avevamo tirato giù e…
Tutto! Volle sapere tutto! Anche dove e quanto era venuto Arturo e… l’ho capito con gli anni, lui riusciva a “vedermi”, quasi come fosse stato presente e la cosa lo eccitava perversamente.
Anzi: volle… ricostruire la scena, usando me e se stesso come attori per la ripetizione teatrale dei fatti; mi resi conto che la cosa lo eccitava moltissimo e, devo dire, la sua reazione eccitò molto anche me.
Come ho detto, tutta questa complessità di reazioni, apparentemente incongrue e che contrastavano con le dichiarazioni di amore assoluto del mio ragazzo, sono riuscita ad elaborarle solo con gli anni; diciamo che tutte queste consapevolezze erano in me, ancora non elaborate, ma ero inconsapevolmente conscia di averle, come si sa di avere in casa farina, lievito, zucchero e uova, ma non si è ancora pensato di farci una torta.
Come ho detto, il negozio chiuse ed io mi trovai senza un lavoro.
A volte, sentivo per telefono Sandro, un amico –ed ex collega- di Mario col quale ci vedevamo durante le licenze e che si comportava sempre molto correttamente con me, la ragazza del suo amico.
Dopo aver lasciato il lavoro che aveva condiviso col mio ragazzo, lavorava da sei mesi in una piccola fabbrica che assemblava schede elettroniche (e allora era una cosa che rasentava la fantascienza!) e avendo saputo che cercavano un’impiegata amministrativa, mi aveva suggerito di presentarmi per un colloquio.
Era primavera inoltrata e quindi mi presentai con una gonnellona leggera, una camicetta e sandaletti con zeppa (mi ha sempre infastidito essere piccolina e solo col matrimonio ho smesso di arrampicarmi su tacchi e zeppe e apprezzare comodi mocassini e ballerine) e, dopo una breve attesa, venni introdotta nell’ufficio di Tonino, uno dei due fratelli proprietari e che si occupava degli aspetti amministrativi e commerciali, mentre la produzione era responsabilità di Marcello, che comunque si svolgeva in un fabbricato a mezzo chilometro da lì.
Tonino… Tonino era un bell’uomo: non altissimo come piacciono a me -ma il suo metroeottanta lo raggiungeva tranquillamente-, atletico, abbronzato, barba e capelli neri: un pirata!
Feci il colloquio e… e lui mi invitò a pranzo.
Dal pranzo, durante il quale si dimostrò magneticamente affascinante, al dopopranzo, al giro in riviera con la sua spider, alla puntatina («Solo un attimo, devo vedere una cosa…») alla su villa abbarbicata sulla scogliera e poi restare lì, a fare l’amore.
Generoso -almeno quanto la natura lo era stata con lui!- abile, capace… Devo ammetterlo, mi è piaciuto molto!
Così tanto che ci vedemmo altre quattro volte, compresa una sul suo cabinato dove, dopo che aveva insistito, accettai di prendere per la prima volta il sole completamente nuda.
Durante il nostro secondo incontro, mi aveva anche sondato il buchino dietro e aveva capito che non solo era già stato piacevolmente usato, ma anche che apprezzavo quel tipo di attività; perciò mi trafisse anche da dietro col suo randello e lo facemmo anche le altre volte che ci incontrammo.
Tonino era un uomo fatto, era abilissimo, un bell’uomo, affascinante, colto ma… ma che futuro poteva avere una storia con lui? Io amavo Mario, nonostante fossi andata con un altro –e stavolta senza neanche l’attenuante della vendetta!- e capivo che per Tonino ero solo un’avventuretta, ma che lui era –logicamente!- legato a moglie e figli.
Decisi di non vederlo più; il fatto di non aver avuto quel posto di lavoro mi sottrasse anche da una situazione che avrebbe potuto diventare difficile e, infine, Tonino non mi sembrò disperato del fatto che avessi deciso di uscire dalla sua vita, in punta di piedi come ci ero entrata.
Mario mi aveva telefonato, tutto contento, dicendomi che sarebbe venuto in licenza a casa a partire dal sabato successivo ed io vivevo nel dilemma se raccontargli di Tonino o se, invece, far finta di nulla: era stata una mia scappatella e non aveva alcuna conseguenza sulla nostra storia –che ormai cominciava ad aver compiuto due anni- e quindi, perché dirglielo?
Ma, d’altra parte: ci eravamo giurati di dirci tutto e lui era stato di parola, riflettei ripensando alla sua amichetta lì dove faceva naja; perché io dovevo tradire la sua fiducia, nascondendogli una cosa del genere?
Per paura che pensasse che sono una troia? Uhmmm… qualcosa mi diceva che il mio Mario SPERAVA che io facessi ogni tanto la troia…
Finì che glie lo dissi… E lui volle sapere ogni cosa, ogni piccolo dettaglio, gesto, parola, pensiero, sensazione, il tutto mentre “ricostruivamo” gli eventi, come gli investigatori che ricostruiscono un crimine per poter capire appieno le varie dinamiche.
Inutile precisare che, in questa sorta di “porno-criminal mind”, il cazzo di Mario era tanto congestionato di eccitazione che avevo paura di vederlo esplodere!
Alla fine, anche i tredici mesi del militare finirono e il mio ragazzo (non abbiamo mai pensato all'altro come “il fidanzato/a”, nei sei anni trascorsi da quando ci siamo conosciuti a quando ci siamo sposati) tornò a casa a metà ottobre.
In sette giorni dal suo congedo, Mario aveva organizzato il prosequio della propria vita: aveva cominciato a lavorare nella fabbrichetta di Tonino, insieme a Sandro (finalmente in regola, con ferie, mutua e marche previdenziali!) dalle otto alle cinque e mezzo e poi, dalle sei alle undici, andava ad una scuola serale per potersi presentare (da privatista e facendo tre anni in uno!) a fare l'esame di maturità per perito industriale; aveva deciso che il liceo serviva solo a chi volesse andare all'università e quindi che quella maturità fosse inutile per lui.
Mario mi confidò che un giorno Tonino che era spuntato in stabilimento; per un caso, si erano trovati, da soli, ad incrociarsi in un corridoio e lui non aveva saputo resistere: «Signor Tonino… Terry è la mia fidanzata…»
Mi raccontò che l’uomo trasalì un pochino, pronto ad arroccarsi in difesa, ma lui gli fece un sorriso umilmente complice: «So tutto, ma non si preoccupi: va benissimo così»
Tonino ci mise un istante a comprendere il senso della frase e poi il suo volto si aprì in un sorriso da predatore.
Furono nove mesi molto faticosi e stressanti, per lui, ma alla fine gli fruttarono un diploma (rilasciato da un Istituto Tecnico Statale) con un punteggio addirittura superiore alle sue speranze.
Unica cosa di ambito sessuale un po' particolare di quel periodo, era stato lo smaccato tentativo del suo insegnante di Italiano di appartarsi con me in altura dopo avermi fatta salire in auto con la speranza di essere portata ad un colloquio di lavoro.
Tra i tanti modi per dimostrarmi il suo amore, il quanto lui tenesse a me, Mario mi aveva fatto un piccolo corso di autodifesa (antistupro, più o meno!), spiegandomi dove colpire e con cosa–piedi, tacchi, ginocchia, comiti, mani, testa- e dove e come comportarmi («Urla, fai casino, richiama l'attenzione: magari non ti sente nessuno, ma l'aggressore si spaventa!») ed anche come... disinnescare una situazione come quella, sgradevolissima, che si stava realizzando col professore: «Sai... non so come dirtelo... anche perché sei un bell'uomo... ma vedi... sì, ecco: Mario dev'essere andato con qualche donnaccia ed io adesso ho un piccolo disturbo ginecologico e... »
Ho fatto fatica a non scoppiargli a ridere in faccia, quando ho visto l'espressione che ha fatto e quanta premurosa ragionevolezza abbia rapidamente sostituito l'evidente eccitazione dell'insegnante.
Ovviamente ho raccontato ogni dettaglio a Mario la sera stessa e lui, dopo aver fatto rosolare il professore qualche giorno con occhiate e frasi ambigue, credo che lo abbia alla fine perfino minacciato!
Dopo anni insieme, eravamo ormai una coppia consolidata; come tutte le coppie avevamo i nostri litigi, anche furibondi e momenti di Amore Assoluto (con le maiuscole!)
Oltre a prendere insieme le misure al mondo, avevamo anche esplorato la sessualità e devo dire che Mario è stato un ottimo compagno di esplorazione: oltre ad essere un valido maschio, aveva anche un interesse per i maschi… (ma no, diciamolo: proprio per i cazzi!) e questo quindi gli consente di sintonizzarsi più facilmente con la mente femminile.
In tantissimi anni lui non ha mai “chiesto”, ma solo “proposto”: «Vedi… -spiegava-… se io CHIEDO, tu puoi dirmi sì o no, ma magari pensando “ho detto no perché non ‘stava bene’ dire sì, ma spero che insista…” oppure “ho detto sì per farlo contento, ma speriamo che poi non se ne faccia nulla…”
Se invece ti PROPONGO qualcosa, ne discutiamo ed entrambi capiamo meglio cos’ha in mente l’altro e si arriva ad un punto di equilibrio che faccia felici tutti…»
Poi Mario non ha mai dimostrato fretta nel raggiungere i propri obbiettivi: non so neanche dire quando ha cominciato a parlare di farlo con altre persone, ma alla fine era un pensiero costante; io mi impuntavo dicendo: «Ma mi lascio già guardare dai coppianti… Accontentati, no?», ma lui sorrideva, mi diceva di sì e poi tornava alla carica, ma in modo garbato.
I romani dicevano “Gutta cavat lapidem”, la goccia scava la pietra e la goccia del suo sommesso “facciamolo-facciamolo” alla fine mi fece dire «E va bene! Facciamolo, così poi quieti!»
Visto che era una mia concessione, fissai i paletti: preferivo i singoli alle coppie (non avevo voglia di essere gelosa della prima sciacquetta con un bel culetto che capitava e poi intuivo istintivamente che questo era anche il desiderio di Mario), non dovevano essere sotto il metroeottantacinque (sono piccolina ed adoro gli uomini alti!), massimo della nostra età e ovviamente non brutti né grassi.
Ho spiegato in un altro racconto (“2) Posare per Mauro” N.d.A.) le macchinose procedure per riuscire ad incontrarsi attraverso inserzioni sulla carta stampata, ma per Mario già il valutare le lettere era parte del divertimento: scartava i semianalfabeti, chi mandava una lettera scritta in modo disordinato, con cancellature o eccessive sottolineature, con l’indirizzo sulla busta e l’affrancatura messi alla “speriamo che vada bene così” («Se io devo incontrare una persona nuova, cerco di presentarmi al meglio; se questo è il meglio che riescono a fare, figuriamoci quando decideranno di sbracare un po’!» diceva) e, ovviamente, non ritirava neanche dal Fermoposta quelle con affrancatura mancante o insufficiente!
Poi cominciava a leggere le lettere, interpretando quello che la gente scriveva, ma anche quello che lasciava intuire e scartando i maleducati, gli aggressivi, quelli che abitavano a casadeldiavolo e quelli che avevano complessissime e rigorose procedure per contattarli; alla fine, piallata dopo piallata, il centinaio abbondante di lettere ritirate diventava quella decina, dozzina sulla quale discutevamo per poi contattare tre-quattro persone.
Ovviamente, questi tre-quattro superstiti venivano poi, con motivazioni diverse, bocciati dopo averli incontrati di persona, ma Mario raramente era spazientito: in fondo questa trafila era già divertente di suo.
Nel frattempo la vita andava avanti: si trovava IL lavoro, si cominciava ad avere qualche risparmio e si potevano quindi fare progetti di vita e -perfino!- sposarci.
Dopo il matrimonio, tra le altre cose Mario intensificò le inserzioni, visto che finalmente avevamo una casa nostra e soprattutto non dovevamo più sottostare ai divieti ed agli orari del mio severissimo papà.
Incontrammo alcune persone “interessanti” ed alla fine accettai di trovarmi alle prese con un altro uomo, oltre a mio marito e, devo dire, le esperienze che facemmo con diversi uomini furono piacevoli… e non solo da un punto di vista sessuale.
Fu in quel periodo che ci capitò anche il fatto che ho raccontato in 1) Sereno American Bar.
Alcuni singoli erano veramente piacevoli persone: ne ricordo uno col quale mi trovai, senza averlo ancora incontrato, a parlare al telefono; avevo avuto diverse chiamate con gente che, a precisa domanda, ammetteva di essere di statura ben inferiore ai miei desideri.
Infastidita, fui un po’ aggressiva, con lui: «… E poi spero che tu sia alto: sai, mio marito è alto uno e ottantotto!» Lo sfidai, orgogliosa dell’altezza di Mario.
Fece una risatina e poi, con tono leggero, mi rispose divertito: «Ma allora ci guardiamo negli occhi, con tuo marito: sono uno e ottantotto anch’io!»
Ovviamente VOLLI incontrarlo! Così conoscemmo Gianni, che oltre alla statura ed alla simpatia, aveva anche un fisico atletico di tutto rispetto (lì a poco sarebbe diventato campione europeo di categoria di un’arte marziale!) ed anche, approfondendo la conoscenza, un cazzo di dimensioni assolutamente suggestive!
La persona, al di là della sfera sessuale, era gradevolissima e restammo amici per alcuni anni, prima di perderci di vista, risucchiati dai gorghi della vita di ognuno.
Anche lui, poi, era bisex e quindi giocavamo insieme benissimo, impegnandoci come i Moschettieri: “Uno per tutti, tutti per uno” ed era bellissimo che ognuno potesse donare gioiosamente piacere agli altri due.
Con l’avanzare dell’età, Mario aveva avuto modo di meditare su alcuni comportamenti che aveva istintivamente seguito nel passato e ne discutevamo serenamente insieme; per quanto riguarda le donne, mi confidò che lui era sempre stato intrigato dal vedere la sua ragazza del momento, magari, ballare in un locale con un altro e, soprattutto, quando questo tentava di… prendersi delle libertà, tipo baci o palpate.
Mi cercava di far comprendere anche quanto lo eccitasse vedermi con un altro uomo, nei momenti in cui si prendeva (sempre più frequentemente, a pensarci!) un momento di pausa mentre eravamo con un singolo.
Una volta che uno dei nostri amici… da letto, mi invitò ad andare da lui da sola, rifiutai e poi, la sera stessa, glie lo raccontai, indignata dalla sfacciataggine della proposta indecente.
Lui invece mi rimproverò affettuosamente, dicendomi che avrei dovuto accettare…
«Ma senza di te?» obiettai.
«Sì, certo! Tu sei libera di fare quello che ti va: unica condizione, che quando torni, mi racconti tutto quello che avete fatto, ogni dettaglio!»
Solo molti anni dopo, navigando in rete, Mario sarebbe riuscito ad identificare ed a dare un nome a questo suo strano demone: lui era un cuckold!
Di conseguenza, io –senza avere ancora l’idea del termine e pensando di essere l’unica persona al mondo a vivere una situazione del genere!- agivo come una “sweety” e quindi andavo a far sesso con altri uomini –i bull!- col permesso di mio marito… anzi: a volte anche con la collaborazione, visto che qualche volta mi ha accompagnata fin davanti al portone dell’amico -del maschio!- col quale avevo appuntamento!
Quando tornavo a casa, mi voleva sapere tutto: sensazioni, gesti, pensieri, odori, parole.
Spesso io raccontavo sdraiata sul letto, nuda o quasi ed avevo problemi di concentrazione a ricordare e narrare, mentre la mia intimità veniva frugata dalla vorace lingua di mio marito.
Una volta che con uno dei miei amici ci eravamo appartati in macchina (no, non nei soliti posti! In un luogo davvero deserto!), tornando a casa gli avevo chiesto giusto il tempo di darmi una rinfrescata in bagno, ma lui –eccitatissimo- me lo aveva impedito, gustandosi la mia patatina con ancora parte dell’abbondante eiaculazione del tipo col quale ero stata.
Da quella volta ci accordammo perché io tornassi con ancora il succo dei miei amanti, che lui si preoccupava di pulire, lappandolo via, mentre raccontavo.
Poi decidemmo di concentrarci sull’avere i figli e quindi sospesi i contraccettivi; per ovvie ragioni, smisi anche di frequentare altri uomini, nonostante Mario non fosse felicissimo di questa mia decisione, ma io volevo figli da lui e non da un qualunque bel figaccione col quale ero stata una volta o due!
Finalmente nacque nostra figlia ed io, dopo l’evento, mi lasciai forse un po’ andare, mi trascurai: non escludo che ci fosse anche un po’ di depressione post-partum; Mario capì ed insistette perché io “tornassi in pista”.
Ovviamente non volevo, non ne avevo testa, ma lui insisteva ed alla fine pubblicò un’inserzione.
Provai un potente moto di rabbia e decisi di… tradirlo.
Nel senso che ormai ero io a leggere le lettere di risposta ed a decidere chi valesse la pena di essere incontrato e valutato; poi lui assecondava le mie scelte e mi forniva anche “copertura”, nel senso che era sempre vicino quando incontravo per la prima volta gli uomini, in modo che se il tipo si fosse dimostrato prepotente, violento o che altro, lui poteva sempre intervenire in mia difesa.
Lessi per conto mio le inserzioni di uomini che cercavano donne ed alla fine una mi colpì: era di un ragazzo giovane (lui aveva ventiquattro anni, mentre io ormai era una gradevole signora di trentuno) e quando lessi la sua lettera, capii, “sentii” che era la persona giusta.
Finsi con Mario –facilmente: si fidava assolutamente di me- che Michele avesse risposto lui alla nostra inserzione e fu placidamente contento di scortarmi.
Quando vidi il giovane, sentii un tuffo al cuore e dopo un pochino che ci parlavo, posai la borsetta in terra, il segnale che avevo concordato con mio marito, usato raramente!, che significava: “persona ok: non corro rischi, lasciaci soli!”
Lui notò il gesto e lo vidi andare via, anche se non del tutto convinto.
Ovviamente raccontai a Michele della situazione con Mario e non passò molto tempo che lo invitai a cena, in modo che potessero conoscersi.
Avevo deciso che Michele doveva essere una cosa solo mia e perciò, quando restammo da soli, spiegai a mio marito che lui non amava farlo in tre, ma che era un bravo amante e che non volevo perderlo.
Lui accettò, accettò tutto; quando Michele veniva a trovarmi, si prestava volentierissimo ad uscire con nostra figlia –papà orgogliosissimo di bellissima bimba bionda di circa un anno!- per portarla al parco, mentre la sua adorata mogliettina e mamma di sua figlia faceva la maialina a casa, facendosi sbattere in ogni buco dal suo giovane ed insaziabile amante.
Perfino quando Michele decise di farmi anche il culetto, pratica che per una serie di casualità avevamo trascurato con Mario, potei contare sulla sua complicità: gli chiesi di confermare, nel caso il mio giovane amante rivendicasse di essere stato il primo, che io non ero mai stata sodomizzata prima, perché non avevo mai voluto.
Fu un grande: quando Michele orgogliosamente gli disse di avermelo fatto, lui strabuzzò gli occhi: «Davvero ti sei inculato mia moglie? Bravo! Pensa che con me, in tanti anni, non ha mai voluto! Ma come diavolo hai fatto, a convincerla?» disse, guardando me in cerca di un cenno di conferma; abbassai gli occhi come se mi vergognassi, ma in realtà per non guardarlo e non mettermi a ridere, perché stava facendo una grande, credibilissima interpretazione!
Vissi una bellissima storia con Michele e contavo sempre sulla deliziosa complicità di mio marito, certa come può essere il Monviso nelle Alpi: non puoi neanche immaginare che possa sparire!
Però Mario stava cambiando; siccome continuavamo a dirci (quasi!) tutto, mi raccontò di aver conosciuto una tal Francesca, che volli conoscere: organizzai una cena a quattro nel nostro giardinetto, io e Michele che ci facevamo gli occhi dolci sotto gli occhi indulgenti di mio marito che scambiava tenerezze con la sua Francesca, una affabile e gradevolissima quarantenne.
Terminata la cena in allegria, dopo aver messo a nanna nostra figlia, Mario accompagnò a casa la sua amica e mi volle precisare che non sarebbe stato di ritorno prima di mezzanotte; con Michele ci scambiammo un sorriso complice e salutammo mio marito e la sua simpatica amica.
La vita intanto continuava a scorrere: finirono le storie con Francesca e con Michele (in un litigio, buttai in faccia a mio marito che lui non era arrivato nelle nostre vite grazie a sue inserzioni, ma me lo ero cercato deliberatamente io! Mi pentii subito di averglielo detto, quando colsi l’espressione assolutamente ferita nei suoi occhi…); lui ebbe altre storie e anche io “mi vidi” con altri uomini, finché la voglia di trasgredire –per tante ragioni, non escluso l’occhio femminile che mi fa vedere più vecchia e brutta di quanto gli altri dicano che io appaia- è alla fine evaporata, anche se mi rendo conto di aver avuto una vita sessuale piena e divertente, anche grazie al cuckoldismo del mio adorato marito.
Ma adesso scusatemi, devo lasciarvi: il mio nipotino sta per tornare da scuola.
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