Vendemmia 2021
di
Yuko
genere
saffico
Il viaggio in treno, la mente vola leggera senza posarsi su approdi terreni.
Dopo le gallerie, le colline toscane con i filari ben ordinati, come una chioma floreale accuratamente pettinata per esporsi ai raggi del sole tonificante. Radiazione di fotoni che, trasformati in zuccheri, diventeranno alcool aromatico.
La panda di Bea. Rossa, ovviamente, come rubino sarà il suo vino.
Come rosso e caldo è tutto ciò che orbita intorno a questa creatura.
I riflessi del sole nei suoi capelli mi lasciano stupefatta al punto da confondere il mio sguardo e distoglierlo dal suo sorriso, dagli occhi che brillano di gioia per avermi vista, finalmente dal vivo.
E quella sfumatura maliziosa per quanto abbiamo programmato di fare.
Annata eccellente per il vigneto romito. Clima secco al punto giusto, e caldo.
Il giudizio di chi, di uva e vinificazione, ha fatto il suo mestiere fa da preambolo a un antico rituale.
Non ci sono parole che possano esprimere certi sentimenti più degli sguardi che si scambiano nei primi secondi in cui ci scopriamo una di fronte all'altra.
L'odore della sua pelle, il suo profumo.
E intanto mi chiedo come lei percepirà il mio, di odore.
Si accorgerà, dal mio odore, di quanto la sua sola vista mi sta eccitando?
Ho quasi paura che nel raggio di qualche metro chiunque si possa rendere conto di cosa mi stia succedendo tra le gambe.
Ma non ce n'è neanche il tempo e già sono proiettata tra i suoi vigneti.
Le cicale intonano un'ouverture che mi lascia frastornata e mi confondo mentre vengo introdotta nella ristretta cerchia degli amici di Beatrice.
Saluti, inchini, e le solite frasi che mi vengono rivolte in inglese, nel dubbio che io non capisca, e siamo già proiettate nelle cantine per la prima spremitura.
Tutti sanno cosa sta per succedere e il mio volto avvampa di calore come se già fosse inebriato dal forte tasso alcoolico che in poche settimane si sprigionerà dalla bevanda divina.
Un gran cru merita un evento epocale e mi sento indegna di essere chiamata a rivestire un ruolo da protagonista.
Un'etichetta nuova, un insolito ideogramma giapponese poco sotto il prestigioso nome del vigneto.
La tradizione chiede che la prima pigiatura sia fatta da donne.
C'è molta attesa intorno all'evento che, dicono, rimarrà impresso nella memoria per lungo tempo.
Tutta questa gente non me l'aspettavo: fini enologi, viticoltori, forse anche amici e curiosi mi imbarazzano. Tanti sguardi che sembra vogliano spogliarmi prima del tempo.
Abbasso lo sguardo e mi concentro sui piedi di Beatrice nei sandali color paglia di grano.
Si possono scrivere chilometri di porcate, ma poi, dal vivo, le persone sono diverse e la timidezza orientale affiora incontenibile.
Le parole mi scivolano attorno e non riesco neanche a percepire le mie risposte educate alle frasi scontate.
Arrivate a questo punto voglio che tutto si compia il prima possibile.
Io e Beatrice facciamo la doccia e ci ripresentiamo coperte dai nostri accappatoi.
Non era previsto che ci fossero persone a guardarci e con lo sguardo che palesa un inizio di panico, interrogo Beatrice.
La sua risposta mi rassicura, basta un cenno del capo e decido di fidarmi ancora di questa donna.
Eccoci dunque nella frescura della cantina a spogliarci degli accappatoi e mostrarci, imbarazzate, con la nostra biancheria intima.
Con gli occhi imploro Beatrice, ma lei non recede.
In mutandine e reggiseno siamo ora sotto gli occhi di tutti.
Le mie mani a coprirmi il petto e il pube, lo sguardo fisso al pavimento e una vergogna indicibile.
“Cosa sto facendo, per te, mia amata?”
Con una scaletta saliamo lungo il legno stagionato di quercia, scavalchiamo il bordo e finalmente siamo dentro il tino.
I nostri corpi, a ogni nostro movimento, affondano nelle fresche uve, come in profumate sabbie mobili.
Percepisco gli acini frammentarsi sotto il nostro peso, la superficie convessa dei frutti, il liquido che ne geme. Un odore inebriante di uva matura e forse già un primo sentore alcoolico mi accolgono come in una coperta protettiva, una coltre affettuosa e premurosa.
Celate agli sguardi ci spogliamo completamente consegnando agli spettatori la nostra biancheria già macchiata di viola.
Ancora, istintivamente, mi copro il seno, benchè ormai la mia nudità sia invisibile, e in fine la mia timida e supplichevole domanda trova conforto.
“Oh bischeri! Avete visto abbastanza! Ora fuori tutti chè noi donne s'ha da lavorare!” Tuona la vermiglia toscana, ma fra mormorii di disappunto tutti si alzano ed escono dalla cantina.
Tutti tranne uno.
“Oh, Lapo! Maremma buhaiola!”
A nulla vale lo sguardo da cane bastonato, e anche il signor marito deve prendere la via della porta.
Si chiude l'uscio e con l'ombra sembra che anche una frescura rigenerante si impadronisca dell'ambiente saturo di enfasi.
Il mio sguardo ristagna sui fianchi di Beatrice, la fine peluria rossastra del suo pube fa capolino tra gli acini scuri. Un'immagine con una potenza erotica indescrivibile con un effetto esplosivo sulla mia eccitazione, finora imprigionata dalla vergogna.
Le sue dita mi accarezzano la schiena, scivolando verso il sedere, mentre, con l'altra mano, sposta la mia, ultimo baluardo della mia intimità.
Alzo lo sguardo verso i suoi occhi verdi e accoglienti.
Le sue gambe iniziano a pigiare l'uva, invitandomi ad accompagnarla in questo delicato ballo.
Mani nelle mani i nostri corpi si muovono nell'antico gesto che dà inizio al rito che, soffuso di alcolico aroma, terminerà tra molti mesi in calici di cristallo portando ebbrezza e pienezza di spirito.
Ora non mi vergogno più di essere nuda.
Le mani della vignaiola mi cingono i fianchi avvicinando le mie curve alle sue.
Appoggio il capo sul suo seno, la pelle del colore della rosa canina, i suoi capezzoli palesano il suo stato emotivo.
I nostri odori di donna si miscelano ai sentori di fruttosio mentre ci abbandoniamo a baci senza tempo.
Come un'antica preghiera le sue dita si insinuano tra le mie pieghe, strappandomi i primi gemiti di piacere.
Non sono più padrona del mio corpo; immagini di sagre dimenticate e osceni baccanali mi scorrono nella mente quando mi abbandono a occhi chiusi al fascino irresistibile delle sue carezze profonde.
Pulsioni istintive guidano le mie labbra sul suo seno e una mano affonda nel suo calore, nel continuo moto dei nostri corpi.
Nettare scaturisce dai ventri e dagli acini maturi, si mescolano le soffusioni trovando riposo tra legni pregiati.
Uno, due, innumerevoli orgasmi si susseguono nel completo oblio temporale.
Le nostre carezze, le nostre mani, i nostri baci.
Inginocchiata nel mosto allargo le cosce della rubra dama e mi disseto di uve e delizie di piacere femminile, la sua mano, tra i miei capelli, mi stringe il volto come a volermi assorbire nel suo ventre.
Poi è lei che, dopo avermi girata di spalle, esplora le mie sensazioni mentre coi gomiti mi appoggio ai bordi del tino.
Le sue spinte profonde, i miei sussulti smorzati dai rumori umidi delle uve che si trasformano in mosto.
Poi il nulla.
Abbiamo dormito? Sognato forse?
Mi risveglio tra i primi brividi di fresco, rannicchiata sul suo corpo; io e lei, quasi del tutto sommerse nell'ultimo mosto e nei graspi che insidiano la morbidezza delle nostre pelli.
Ci risolleviamo, ancora abbracciate per un ultimo infinito bacio.
Poi i sorrisi, rimirando i nostri nudi rivestiti di vinaccia e succhi purpurei.
E ancora per mano, lasciamo il nido di amore, culla di prezioso vino, per una calda doccia in soffici schiume.
Dopo le gallerie, le colline toscane con i filari ben ordinati, come una chioma floreale accuratamente pettinata per esporsi ai raggi del sole tonificante. Radiazione di fotoni che, trasformati in zuccheri, diventeranno alcool aromatico.
La panda di Bea. Rossa, ovviamente, come rubino sarà il suo vino.
Come rosso e caldo è tutto ciò che orbita intorno a questa creatura.
I riflessi del sole nei suoi capelli mi lasciano stupefatta al punto da confondere il mio sguardo e distoglierlo dal suo sorriso, dagli occhi che brillano di gioia per avermi vista, finalmente dal vivo.
E quella sfumatura maliziosa per quanto abbiamo programmato di fare.
Annata eccellente per il vigneto romito. Clima secco al punto giusto, e caldo.
Il giudizio di chi, di uva e vinificazione, ha fatto il suo mestiere fa da preambolo a un antico rituale.
Non ci sono parole che possano esprimere certi sentimenti più degli sguardi che si scambiano nei primi secondi in cui ci scopriamo una di fronte all'altra.
L'odore della sua pelle, il suo profumo.
E intanto mi chiedo come lei percepirà il mio, di odore.
Si accorgerà, dal mio odore, di quanto la sua sola vista mi sta eccitando?
Ho quasi paura che nel raggio di qualche metro chiunque si possa rendere conto di cosa mi stia succedendo tra le gambe.
Ma non ce n'è neanche il tempo e già sono proiettata tra i suoi vigneti.
Le cicale intonano un'ouverture che mi lascia frastornata e mi confondo mentre vengo introdotta nella ristretta cerchia degli amici di Beatrice.
Saluti, inchini, e le solite frasi che mi vengono rivolte in inglese, nel dubbio che io non capisca, e siamo già proiettate nelle cantine per la prima spremitura.
Tutti sanno cosa sta per succedere e il mio volto avvampa di calore come se già fosse inebriato dal forte tasso alcoolico che in poche settimane si sprigionerà dalla bevanda divina.
Un gran cru merita un evento epocale e mi sento indegna di essere chiamata a rivestire un ruolo da protagonista.
Un'etichetta nuova, un insolito ideogramma giapponese poco sotto il prestigioso nome del vigneto.
La tradizione chiede che la prima pigiatura sia fatta da donne.
C'è molta attesa intorno all'evento che, dicono, rimarrà impresso nella memoria per lungo tempo.
Tutta questa gente non me l'aspettavo: fini enologi, viticoltori, forse anche amici e curiosi mi imbarazzano. Tanti sguardi che sembra vogliano spogliarmi prima del tempo.
Abbasso lo sguardo e mi concentro sui piedi di Beatrice nei sandali color paglia di grano.
Si possono scrivere chilometri di porcate, ma poi, dal vivo, le persone sono diverse e la timidezza orientale affiora incontenibile.
Le parole mi scivolano attorno e non riesco neanche a percepire le mie risposte educate alle frasi scontate.
Arrivate a questo punto voglio che tutto si compia il prima possibile.
Io e Beatrice facciamo la doccia e ci ripresentiamo coperte dai nostri accappatoi.
Non era previsto che ci fossero persone a guardarci e con lo sguardo che palesa un inizio di panico, interrogo Beatrice.
La sua risposta mi rassicura, basta un cenno del capo e decido di fidarmi ancora di questa donna.
Eccoci dunque nella frescura della cantina a spogliarci degli accappatoi e mostrarci, imbarazzate, con la nostra biancheria intima.
Con gli occhi imploro Beatrice, ma lei non recede.
In mutandine e reggiseno siamo ora sotto gli occhi di tutti.
Le mie mani a coprirmi il petto e il pube, lo sguardo fisso al pavimento e una vergogna indicibile.
“Cosa sto facendo, per te, mia amata?”
Con una scaletta saliamo lungo il legno stagionato di quercia, scavalchiamo il bordo e finalmente siamo dentro il tino.
I nostri corpi, a ogni nostro movimento, affondano nelle fresche uve, come in profumate sabbie mobili.
Percepisco gli acini frammentarsi sotto il nostro peso, la superficie convessa dei frutti, il liquido che ne geme. Un odore inebriante di uva matura e forse già un primo sentore alcoolico mi accolgono come in una coperta protettiva, una coltre affettuosa e premurosa.
Celate agli sguardi ci spogliamo completamente consegnando agli spettatori la nostra biancheria già macchiata di viola.
Ancora, istintivamente, mi copro il seno, benchè ormai la mia nudità sia invisibile, e in fine la mia timida e supplichevole domanda trova conforto.
“Oh bischeri! Avete visto abbastanza! Ora fuori tutti chè noi donne s'ha da lavorare!” Tuona la vermiglia toscana, ma fra mormorii di disappunto tutti si alzano ed escono dalla cantina.
Tutti tranne uno.
“Oh, Lapo! Maremma buhaiola!”
A nulla vale lo sguardo da cane bastonato, e anche il signor marito deve prendere la via della porta.
Si chiude l'uscio e con l'ombra sembra che anche una frescura rigenerante si impadronisca dell'ambiente saturo di enfasi.
Il mio sguardo ristagna sui fianchi di Beatrice, la fine peluria rossastra del suo pube fa capolino tra gli acini scuri. Un'immagine con una potenza erotica indescrivibile con un effetto esplosivo sulla mia eccitazione, finora imprigionata dalla vergogna.
Le sue dita mi accarezzano la schiena, scivolando verso il sedere, mentre, con l'altra mano, sposta la mia, ultimo baluardo della mia intimità.
Alzo lo sguardo verso i suoi occhi verdi e accoglienti.
Le sue gambe iniziano a pigiare l'uva, invitandomi ad accompagnarla in questo delicato ballo.
Mani nelle mani i nostri corpi si muovono nell'antico gesto che dà inizio al rito che, soffuso di alcolico aroma, terminerà tra molti mesi in calici di cristallo portando ebbrezza e pienezza di spirito.
Ora non mi vergogno più di essere nuda.
Le mani della vignaiola mi cingono i fianchi avvicinando le mie curve alle sue.
Appoggio il capo sul suo seno, la pelle del colore della rosa canina, i suoi capezzoli palesano il suo stato emotivo.
I nostri odori di donna si miscelano ai sentori di fruttosio mentre ci abbandoniamo a baci senza tempo.
Come un'antica preghiera le sue dita si insinuano tra le mie pieghe, strappandomi i primi gemiti di piacere.
Non sono più padrona del mio corpo; immagini di sagre dimenticate e osceni baccanali mi scorrono nella mente quando mi abbandono a occhi chiusi al fascino irresistibile delle sue carezze profonde.
Pulsioni istintive guidano le mie labbra sul suo seno e una mano affonda nel suo calore, nel continuo moto dei nostri corpi.
Nettare scaturisce dai ventri e dagli acini maturi, si mescolano le soffusioni trovando riposo tra legni pregiati.
Uno, due, innumerevoli orgasmi si susseguono nel completo oblio temporale.
Le nostre carezze, le nostre mani, i nostri baci.
Inginocchiata nel mosto allargo le cosce della rubra dama e mi disseto di uve e delizie di piacere femminile, la sua mano, tra i miei capelli, mi stringe il volto come a volermi assorbire nel suo ventre.
Poi è lei che, dopo avermi girata di spalle, esplora le mie sensazioni mentre coi gomiti mi appoggio ai bordi del tino.
Le sue spinte profonde, i miei sussulti smorzati dai rumori umidi delle uve che si trasformano in mosto.
Poi il nulla.
Abbiamo dormito? Sognato forse?
Mi risveglio tra i primi brividi di fresco, rannicchiata sul suo corpo; io e lei, quasi del tutto sommerse nell'ultimo mosto e nei graspi che insidiano la morbidezza delle nostre pelli.
Ci risolleviamo, ancora abbracciate per un ultimo infinito bacio.
Poi i sorrisi, rimirando i nostri nudi rivestiti di vinaccia e succhi purpurei.
E ancora per mano, lasciamo il nido di amore, culla di prezioso vino, per una calda doccia in soffici schiume.
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Correre, vincere per vivereracconto sucessivo
Fallo da dietro
Commenti dei lettori al racconto erotico