Tintinna il campanello.
di
Margie
genere
dominazione
Com'è andata? Che domanda! Mi sorprende, talvolta, perché sembra stupido. Guardami. Non ti ricordi come sono uscita? Mica voglio farmi riconoscere: parrucca e trucco pesante. Se mi fermano e mi chiedono la patente vedendo la foto pensano che il documento appartenga ad un'altra persona. Non sembro neanche una mia lontana parente. Una blusa verde brillante, larga, con uno scollo che si ferma appena sopra l'ombelico. È facile vedermi le tette che fanno capolino. Va bene, le tettine. Però mi hai sempre detto che ti piacciono. No, non sempre, è vero: dalla seconda volta che ci siamo visti. Visti? Nella quasi oscurità si vedeva ben poco. Ah, certo, hai controllato con mano e ti sei reso conto di quanto duri e lunghi potessero diventare i miei capezzoli. Ora, se mi tiri fuori che Lara le ha più grosse... Lo ammetto, non hai mai alluso alla differenza con le mie e quando ne hai parlato è stato soltanto esaltando le mie, le volte in cui mi hanno preso le malinconie perché mi vorrei più prosperosa. Minigonna arancione scuro, anche questa luccicante, molto mini e pure con lo spacco sui fianchi, fino alla cintura. Non serve spogliarmi: sono già pronta, nuda. Indifesa. Anche mentalmente. Da questo punto di vista, possiamo dichiarare che per scoparmi, per esempio, basta soltanto scegliere la posizione. Sandali col tacco sette, sono già abbastanza alta per guardare i più dall'alto in basso. Mica come quella nanerottola di Lara! Che poi, pensandoci bene è minuta e attraente come poche. Non capisco perché Lara in questo periodo mi venga in mente tanto spesso. Forse perché me la lecca come nessuno ha mai fatto. Neanche tu, che hai tanto sincronismo con le mie esigenze. Se non fai l'indifferente.
Torno a casa col trucco sbavato. Si vede che sto colando di me. I preservativi che ha usato sono stati gettati nell'immondizia; nel secco residuo, rispettando le regole della raccolta differenziata. Una regola l'ho rispettata, pensandoci bene: soltanto questa. Ah! Vuoi sapere se m'è piaciuto? Ma che importa? Sai che cosa mi piacerebbe adesso? Che la smettessi di fare lo stupido con quel tuo sorrisetto da sberle. Che mi mettessi a novanta e mi sbattessi a sfinirmi. Lo sai perfettamente, quindi mi limito a pensarlo, quest'ultimo. Lo vedo: ce l'hai duro, dentro la tuta. Usalo; fottimi. Chiavami senza pietà né rispetto: è il massimo della considerazione. Ti alzi, apri un cassetto della credenza. Mi dici di togliermi “gli svestiti”. Prendi qualcosa dicendomi di mettermi a gambe ben divaricate e abbassare il busto in avanti. Dimmi di mettermi a novanta, senza tanto tergiversare, e sbattimi dentro il tuo cazzo. Invadimi. Devastami. Sai che ne ho bisogno. Manipoli per un attimo l'anello che mi trapassa il clitoride. Sento come uno strattone. Non uno dei tuoi, c'è qualcosa di strano, un peso che persiste, che dondola: non è uno strattone, mi hai appeso qualcosa. Sto andando fuori di testa. Sento una scossa terribile quando mi penetri, con un colpo letale, che mi distrugge lo struggimento. Ciò che pesa dal mio clitoride prende a dondolare, stravolgendomi; prende a tintinnare... il campanello d'argento! Un pensiero rantolato. Quando lo prendevo in mano non mi pareva tanto pesante; soprattutto non mi sembrava tanto utile. Ora non c'è posto per considerazioni. Tutto lo spazio è occupato dalla tua invasione: irrispettosa, indispensabile, ineguagliabile. Il campanello dondola e tintinna, sempre più forte, come se tentasse di superare i miei strilli. Ma chi si crede di essere? I tuoi sculaccioni mi arroventano le chiappe, qui, in questo deserto dove non c'è altro che voluttà e lussuria. Mi fai chinare di più; estrai il tuo cazzo riempiendomi di vuoto. So cosa mi attende. Lo so perché è un'esigenza nata improvvisa, improvvisa come la tua uscita. Mi preparo, mentalmente, nella nebbia fumosa e delirante. Fisicamente posso soltanto stringere i denti e chiudere gli occhi. Non serve a nulla, ma tant'è. M'inculi. Il dolore è lancinante, uno strappo improvviso e rapido. Sono ben allenata a prenderti lì, ma, grosso come l'hai, i primi momenti sono un inferno. Anche se i miei succhi ti hanno lubrificato più di litri di olio. E poi il campanello impazzisce. Più mi agito e più si vendica. Sorreggimi, amore, sorreggimi, porco, sorreggimi, stronzo bastardo; se no m'affloscio per terra. Sbatti a morte la tua zoccola, maiale. Mi vibri dentro. È la fine. Riprendi fiato, ma non esci da me. Senza svuotarmi di te mi porti sul letto. Una scia di gocce marca il percorso. Tracce della mia passione. Il campanello continua a tintinnare. Chissà se anche tua nonna lo usava così. Spero che tu mi conceda il bis, uno qualsiasi. Una speranza molle. Posso sopravvivere anche se non mi sbatti di nuovo: non ho forze sufficienti per morire. Ti prego: ancora. Ti prego: basta. Forse sono i prodromi del sonno, mentre te ne vai in bagno, queste luci soffuse, sfumate, approssimative, dopo aver steso sopra di me il piumone.
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