Cartomanzia - 15a parte - Finito il notiziario, a cena fuori!

di
genere
dominazione

Quando fu ben dentro di lei, mentre la stantuffava freneticamente, mise un dito nell’elastico del perizoma e tirò, sforzandolo fino a strapparlo e poi lasciandolo ricadere, come afflosciato, penzolante a mezza coscia.
Poi portò le mani sui seni, afferrò i lembi della camicetta e tirò forte, facendo volare contemporaneamente tre bottoni ed infine le abbassò le coppe del reggiseno, liberandole le mammelle che, perso il loro sostegno, scesero di un poco a causa della gravità e dei suoi anni.
Il faretto affiancato alla telecamera in terra, stava probabilmente rendendo nitida la ripresa dei suoi testicoli che dondolavano ed, ad ogni affondo, le sbattevano sulle ninfe, mostrando chiaramente la sodomizzazione, anche perché lei, ormai, teneva i piedi ben distanti tra loro.
«… la Juventus stamani è partita per… mmmpppffhhhh!!!!» le avevano messo i due indici in bocca e poi avevano tirato, per allargarle la bocca ed appoggiarle dentro le due cappelle turgide, che subito avevano sborrato, una dopo l’altra; lei aveva un po' ingoiato ed un po' lo aveva fatto colare fuori, sul mento, a gocciolarle su petto e seni, prima di riprendere la lettura del notiziario, mentre uno nuovo da dietro, le strappava il reggiseno, separando le due coppe.
Poi un altro, con un arnese davvero grosso, le si era messo dietro ed aveva cominciato a spingerglielo, alternativamente, un pò in fica ed un pò in culo; era durato un po' più degli altri, ma le aveva letteralmente allagato la fica di sperma.
Andato via lui, era arrivato un vero gigante: sarà stato alto almeno due metri e con due spalle larghe così; come fosse stata una bambola, l’aveva cinta per la vita, rialzata senza sforzo apparente fino a farla inginocchiare sulla scrivania e poi, con la manona a premere sulle reni, l’aveva fatta mettere -in pratica- alla pecorina, con le ginocchia divaricate al massimo, le natiche contro i calcagni ed i gomiti puntati sul tavolo, a continuare a leggere le notizie, mentre lo sperma le colava di dosso ed i seni, ormai liberi, scampanavano dal suo torso ed i capezzoli -eretti quasi dolorosamente- strisciavano sul piano di cristallo, seguendo il ritmo dei colpi che il gigante le dava con la sua grossissima mazza, affondandola furiosamente nella fica dilatata.
Dora era esausta e frustrata, perché non aveva potuto abbandonarsi all’orgasmo, durante tutto il film, ma adesso che il gigante -dopo essersi anche lui svuotato nella più remota profondità della sua vagina- si era sfilato, sul gobbo era apparsa la scritta che attendeva, per cui finì di leggere la notizia e poi, sorridendo professionalmente, salutava e dava appuntamento alle edizioni successive, come se nulla fosse successo.
Sentiva il mare di sperma che le avevano scaricato nella fica che usciva e che le colava pigramente dalla coscia e sul tallone e, abbassando lo sguardo, vide la pozzanghera di sborra che era colata dal suo viso e dai suoi capelli; non resisté: si abbassò e cominciò lussuriosamente a leccarla via dal piano di cristallo.
Spensero le luci di ripresa e subito spuntò Martina, portando uno specchio da trucco; le permise di contemplarsi da ogni angolazione e Dora si osservò nello specchio: aveva i capelli completamente intrisi di sperma, con malloppi che lentamente colavano verso il basso ed anche il viso sembrava ricoperto da una sorta di glassatura vagamente trasparente, che le rendeva i lineamenti quasi indefiniti. Con le dita andò a verificare quanto il culo le fosse restato aperto (moltissimo! Mise dentro due dita senza toccare nulla!), mentre la donna si congratulava con lei per aver avuto l’ispirazione di leccare la scrivania, dopo la fine del notiziario.
Le spiegò anche che sullo schermo alle sue spalle era stata mandata in diretta la ripresa della telecamera in terra e quindi si poteva vedere sia quello che le facevano dalla vita in su, sia quello che accadeva alla sua fica ed al suo culo, compreso quando e come le avevano strappato i vestiti di dosso.
Dora si sentì infinitamente puttana e pensò a cosa sarebbe successo quando (non “se”, ne era certa!) il film avrebbe cominciato a girare in rete: la sua reputazione sarebbe stata definitivamente distrutta!
Quel pensiero, insieme al leggero sfioramento di due dita sulle ninfe, le scatenarono il possente orgasmo che si era negata sino ad allora.
Riguardò il film: era abbastanza soddisfatto perché l’avvocatessa Dora di 'sta minchia si era dimostrata bottana il giusto, con tutti quei cazzi da succhiare e quella sborra in faccia; bella poi la parte in cui le avevano strappato via gli abiti di dosso e l’avevano montata in fica e culo: si vedeva benissimo!
Come si vedeva nitidamente la sborra che le colava fuori da sticchio e culo, che le aveva fatto ben dilatare negli ultimi mesi.
Dora aveva dimostrato la giusta serietà da annunciatrice ed era riuscita a non farsi travolgere dal suo essere intimamente puttana, risultando credibile nella parte.
Martina aveva fatto davvero un buon lavoro, muovendo e zoomando le cam telecomandate per avere le migliori inquadrature ed i più accurati dettagli.
Poi, in fase di postproduzione, aveva fatto davvero un bel montaggio delle varie inquadrature ed il film era davvero buono: sarebbe andato come il pane!
Certo, Dora l’avvocatessa era vecchia… sarebbe stata meglio la baldracca rabbiosa, la Barbara: molto più giovane e fica, ma non era ancora pronta ed i suoi committenti, invece, volevano quel film in poco tempo…
La troia Paola, invece, pur relativamente giovane non è gnocca come Barbara ma, sopratutto, ama ormai troppo i cazzi e la sborra e avrebbe mandato in vacca il film, piantando lì di fare la giornalista e facendo solo la svuotaminchie, come in realtà era.
Il Maestro Dido, su queste riflessioni, si rialzò dalla poltrona e gli scappò un sorrisetto, seguendo un’associazione di idee: Vito aveva detto che aveva conosciuta una e la stava lavorando e lui era curioso di vedere cos’avrebbe combinato il suo allievo e, sopratutto, valutare se questa tipa era adatta ad entrare a far parte della loro scuderia di troie.
Aveva voluto vestirsi sexy, per l’appuntamento; sopra ai raffinati slippini di pizzo turchese, aveva scelto un tubino blu elettrico, senza spalline -il suo piccolo seno le consentiva di non indossare il reggiseno- ed uno scialle leggero per ripararsi le spalle dal freschetto della sera; un paio di graziosi zoccoletti con tacco otto ed una pochette ricoperta di perline nere, completavano la sua mise per la serata.
Davanti alla specchiera, prima di uscire, apprezzò anche il trucco leggero -nonostante le labbra dipinte di rosso carminio- ed i capelli raccolti in un’alta coda, fermati da un fermaglio da capelli tempestato di strass; poi scese davanti al portone, dove Vito la aspettava in auto.
«Ciao Laura, tesoro: sei splendida!»Lei apprezzò il complimento e contraccambiò il pur breve bacio, che era solo un acconto sugli sviluppi della serata -ne era certa!- come il poco vino versato nel calice per poter valutare la qualità dell’intera bottiglia.
«Sai… -disse Vito mentre ripartivano-... conosco un posto carino, non di lusso, ma dove si mangia un gran bene; ti andrebbe?»
Laura si dichiarò felice di fidarsi della sua scelta e rifletté che quando era con Vito si… si rilassava… si abbandonava e che qualunque cosa lui proponesse, la trovava entusiasta; evidentemente, c’era un gran feeling tra loro due!
Sorrise tra sé, contenta e rilassata.
Ebbe solo una piccola curiosità da levarsi: «Non ti avevo mai visto con gli occhiali, prima di oggi…»
Vito sorrise: «Sono occhiali da riposo: oggi mi sono molto stancato la vista e non voglio, nella nostra serata!, essere assalito dal malditesta!»
Il «posto carino» era una trattoria, appena fuori porta: graziosa, con le tovaglie a quadri e un buon profumo di cose buone; una decina di tavoli -tre, uniti, occupati da una comitiva abbastanza chiassosa di uomini sulla cinquantina- quasi tutti occupati da coppie o persone sole. Solo uno era occupato da una famigliola con due bimbi piccoli, ma avevano già finito di mangiare il secondo.
La cameriera li condusse al tavolo che aveva tenuto per Vito: era nell’angolo del locale, accostato alla parete e l’uomo la fece accomodare sulla panca contro la parete, mentre lui occupò la sedia di fronte, dando le spalle alla sala.
La cameriera gli propose il menu e poi veleggiò verso la cucina, a portare le ordinazioni.
Laura trovava il posto simpatico e registrava en passant le occhiate ammirate del gruppetto di uomini; vedeva che parlottavano tra loro e poi ridevano, dopo averla guardata, ma c’era abituata e sorrise tra sé, non facendoci neanche caso.
Mentre aspettavano, Vito cominciò a parlare e continuò a parlarle anche mentre apprezzavano i ravioli al sugo di carne, guardandola fissa negli occhi con quel suo sguardo così strano, così penetrante.
Solo dopo aver gustato i primi, ordinarono i secondi coi contorni (Vito aveva preferito così, «per prolungare il piacere di cenare qui, prima… del resto della serata» aveva detto sorridendo, allusivo) e Laura si rese vagamente conto che doveva aver bevuto più vino del suo solito, perché si sentiva strana, rilassata, disposta ad assecondare l’uomo qualunque cosa lui proponesse.
Vito doveva essersi accorto di questa sua arrendevolezza, perché pretese che lei stesse seduta con le reni contro allo schienale della panca fissa (scostata dal tavolo!) e poi che stesse seduta con le ginocchia ben allargate -le aveva fatto aprire le cosce spingendo le ginocchia col piede!- con evidente interesse della tavolata di amici, alcuni dei quali avevano una suggestiva visione d’infilata del suo intimo.
Laura valutò la cosa, ma si stupì di quella strana indifferenza che la stava invadendo, rimanendo esposta agli sguardi golosi dei cinquantenni.
Vito continuava a parlarle, mentre la famigliola e poi altri avventori pagavano e lasciavano la trattoria e lei si sentiva man mano invadere da uno strano languore, una strana arrendevolezza ed a un certo punto, lui le disse: «Adesso devi fare una cosa per me, amore mio…»
«Sì dimmi, tesoro: farò quello che vuoi!»
«Bene… cosa indossi, sotto?»
Laura era spiazzata dalla domanda, ma rispose diligentemente: «Beh… slippini…»
Lui la incalzò, con un tono che non ammetteva dinieghi: «Fatti come? Che colore?»
«Ehmmm… slippini a vita bassa… pizzo turchese…»
«Bene! Toglili!» Lei sgranò gli occhi e il suo sguardo interrogativo andò dal suo uomo alla tavolata chiassosa, con una vena di disperazione, chiedendo silenziosamente di non doversi sottoporre a quella pubblica umiliazione.
Ma capì che Vito sarebbe stato irremovibile: «Vado a toglierli in… in bagno?»
«No! Qui!» inflessibile, secco!
Laura desiderava ardentemente, in quel momento, di essere seduta su una sedia, che avrebbe potuto accostare bene al tavolo per poter essere nascosta dal tavolo, invece di quella maledetta panchetta fissa; avrebbe anche voluto rifiutarsi o procrastinare, ma non riusciva a trovare, dentro di sé, abbastanza forza di volontà per farlo.
Accostò le ginocchia e infilò prima la mano sinistra sotto il tubino, dalla parte della parete laterale, facendolo risalire così tanto da scoprire quasi l’attaccatura della coscia e fino a sentire sotto i polpastrelli il pizzo; esitò, guardò Vito, ma lui annuì lentamente, come per incoraggiarla.
Qualcosa di sconosciuto, dentro di lei, le impose di proseguire: afferrò il pizzo, spostò il suo peso sulla natica destra e fece scendere un pochino gli slippini.
Poi ripeté, con lo sguardo perso nel nulla, l’operazione sull’altro fianco.
Non notò che i puntuti sguardi di un paio dei tizi della tavolata si accorsero della sua manovra, che subito segnalarono lo spettacolino ai sodali con ammiccamenti e piccoli cenni del capo.
Gli occhi di Vito sembrava le bruciassero dentro, addosso, come se fosse un raggio rovente e lei tornò a rialzare il fianco sinistro, facendo superare la curva della natica al pizzo dell’intimo e facendo arrivare l’elastico alla sommità della coscia.
Poi -attentamente osservata con ammutolito interesse dalla tavolata!- ripeté l’operazione anche dal lato verso la brigata di amici, che addirittura trattennero il fiato, mentre la parte centrale degli slippini si raggruppava, come una vela afflosciata, davanti al suo curatissimo ciuffetto.
Laura esitò e guardò di nuovo Vito: lui non emise suono, ma lei lesse chiaramente sulle sue labbra l’incitamento: «Avanti!»
Mise i pollici nell’elastico, puntò i piedi sul pavimento e fece scendere l’indumento oltre la piega delle ginocchia; da lì il leggero capo scivolò da solo fino alle caviglie.
Vito la guardò, implacabile: «Raccoglili e mettili sul tavolo, accanto al tovagliolo» le sussurrò autoritario.
Laura obbedì, ormai stregata dalla situazione, incurante dei sussurri e risatine della brigata al tavolo accanto.
«Adesso voglio che tu apra le gambe al massimo… Immagino che i tipi della tavolata stiano guardandoti e che apprezzeranno molto, quindi lascia che possano vederti bene la fica! Siediti sul bordo della panca e appoggia le spalle allo schienale»
Non riusciva a far altro che seguire le disposizioni… gli ordini (!!!) del suo amante e quindi soddisfece anche questo.
«E adesso dimmi: sei eccitata, sei bagnata?»
Il suo tono era disperato, anche se sussurrò per non farsi sentire da nessun altro: «Ma non lo so!!!»
«Beh… controlla, no? Mettiti un dito dentro, bene fino in fondo e poi fammelo vedere!»
Lei abbassò la mano e la spinse tra le cosce accostate.
«Apri al massimo quelle cazzo di gambe!» le sibilò lui, con un sussurro cattivo.
Laura annuì con rassegnazione e fece come ordinato; il gruppo dei cinquantenni allungò all’unisono il collo e non fiatò neanche, mentre assisteva alla lenta scomparsa del medio della sua mano destra nell’oscura profondità della sua fica; arrivata in fondo, lo mosse un attimo. accarezzandosi le mucose più interne per assecondare la sferzata di eccitazione che l’aveva improvvisamente travolta e poi -lentamente, quasi con dispiacere- lo fece scivolare fuori ed infine lo mostrò al suo amante, luccicante del suo miele.
Lui fece un rapidissimo sorrisetto soddisfatto, poi disse, sempre tenendole lo sguardo puntato imperativamente negli occhi: «Bene, vedo che la situazione ti eccita… Adesso facci tutti felici: masturbati… Qui, adesso!» precisò, spazzando via i deboli pretesti che lei stava per erigere.
Così, con un sentimento misto di vergogna ed eccitazione, cominciò ad sfiorarsi le labbrine della fica, sentendosi annegare in un’ondata di piacere sempre più potente.
«Stuzzicati anche il culo, avanti!… -le impose lui-… Anzi, fatti vedere bene: appoggia i calcagni sulla panca e allarga al massimo le ginocchia…»
Lei ubbidì, agganciando i tacchi sottili dei suoi vezzosi zoccoletti al bordo della panca, in modo da avere un punto d’appoggio per poter nel caso sollevare il sedere dalla panca.
Vide avvicinarsi la cameriera coi dessert e guardò interrogativamente Vito, con i polpastrelli di due dita affondati tra le pieghe della sua femminilità.
«No, continua come se niente fosse…» Le rispose Vito e lei ubbidì, mentre la donna posava le due coppette davanti a loro, con regale noncuranza per gli slippini sulla tovaglia a quadri e delle inconsuete attività di quella cliente.
L’indifferenza della cameriera, stranamente, le sferzò i sensi e sentì montare, dentro di lei, un piacere mai provato prima: ormai aveva perso ogni ritegno ed aveva sprofondato tre dita dentro di sé, mentre il pollice le martoriava la clitoride e due dita dell’altra mano sparivano fino a metà nel suo culetto, infoiata oltre l’immaginabile.
Poi, con un lungo gemito soffocato, raggiunse il piacere. Laura era confusa, impallonata come si dice.
scritto il
2021-11-27
2 . 1 K
visite
1
voti
valutazione
8
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.