Glossoendoscopia

di
genere
trio

“La Canon, settore biotecnologie, immette sul mercato il primo glossoendoscopio.
Da un'idea elaborata dalla dottoressa Nikura.
Alla stessa dottoressa, familiarmente Yuko, è stato innestato il primo strumento.
Oltre alle biovalvole, ai pace-maker intelligenti, ora questo strumento allargherà la sfera delle applicazioni e in mani, o lingue, esperte, non tarderà a imporsi come lo strumento diagnostico più innovativo sul mercato.
La ricerca preliminare è stata lunga e accurata.

“Un endoscopio applicato direttamente nella lingua? Ma che razza di roba è mai questa?”
Lucrezia, al telefono non crede a quello che le sto raccontando.
“Ecco, appunto. È per questo che dobbiamo vederci! Una spiegazione vale più di mille parole!”
E ora sono qui, sul treno che mi porta in Friuli.
Durante il viaggio provo lo strumento. Il passeggero di fronte a me mi vede sporgere la lingua ed eseguire contorsioni e virtuosismi. Inizia a farmi l'occhiolino, ma io sono concentrata sulla qualità delle immagini trasmesse dalle fibre ottiche. Poi inizia a mandarmi bacini, ma quando, visto che io continuo a slinguare all'aria aperta, si infila una mano nei calzoni, capisco che la devo smettere.
Va be', proverò lo strumento sul campo.
Certo, all'inizio mi ha fatto anche parecchio male e per un bel po' non ho potuto usare la lingua. Cioè, per parlare e mangiare riuscivo, ma la mia amica africana per un lungo periodo si è dovuta accontentare di strumentazione digitale, quando ci vedevamo per passare un po' di intimità.
Ora va meglio. La telecamera funziona bene attraverso le fibre ottiche e ora riesco a sporgere una bella spanna di lingua. Lucrezia non crederà alle sue sensazioni. Le fibre ottiche si connettono direttamente con un microchip applicato alla scissura calcarina dei miei lobi encefalici occipitali. Così posso vedere le immagini, ma anche stamparle e salvarle sul PC, e la sensibilità sulla lingua è rimasta intatta. Ne ha guadagnato invece in motilità, e questa è una sorpresa che tengo in serbo per due amiche.
Alla stazione Lucrezia mi corre incontro trafelata.
“Allora, che razza di roba ti sei fatta innestare dalla Canon?”
Senza neanche risponderle la afferro per la nuca, le piego il collo e la bacio.
Lei apre la bocca e, così, davanti agli sguardi di riprovazione dei passanti, ci baciamo per due minuti di seguito senza staccarci, senza quasi respirare.
Con la mia nuova lingua bionica le faccio una ortopantomografia. Lei cerca di rincorrermi con il suo organo del gusto, di imbrigliarmi, ma io scappo rapida e guizzante ed è un lungo inseguirsi di lingue tra le nostre bocche che non si baciavano già da troppo tempo.
Lei si stacca e ansima incredula, con due occhioni così.
“Ma che ti hanno fatto alla lingua? Ti hanno messo un pitone al suo posto?”
“Appunto, è di questo che volevo parlarti e che vorrei sperimentare. A proposito, hai mal di gola? C'è una placchetta biancastra sul pilastro tonsillare posteriore sinistro.”
“Ma è esattamente lì che mi fa male quando deglutisco! Come hai fatto a saperlo?”
“È esattamente la questione per cui sono qui oggi. È arrivata Annalisa? Ah, a proposito, hai una piccola carie al secondo molare superiore destro, meglio se vai dal dentista.”
Lucrezia di riflesso si porta una mano sulla guancia. Mi guarda come se avessi la pelle verde. Poi fa come per scacciare un pensiero.
“Sì, è arrivata stamattina, è a casa a dormire. Ieri sera ha fatto tardi.”
“Bene. Ha ancora bruciori anali?”
“E cosa vuoi che ne sappia io? Certo che l'ultima volta Luca non è stato troppo delicato. Questo me l'ha detto. Ma tu spiegami. Cosa hai intenzione di testare oggi?”
In pochi minuti siamo a casa.
La guida sportiva di Lucrezia provoca una serie di tamponamenti a catena per le strade del capoluogo, condite da porconi volanti e frasi dialettali di origine serbo-croata di cui per fortuna non colgo il significato.
Quando arriviamo mi accorgo di avere le unghie impiantate nella pelle dei sedili e di aver sfondato il pavimento, nel riflesso di spingere freno e frizione che non trovavo al mio posto di passeggero.
In casa un abbraccio alla Giò e poi un lungo e intenso amplesso con la bionda volante che si conclude con una pacca sul sedere.
“Piano, lì, jap! Mi fa ancora male dall'ultimo trattamento!” Mi mette in guardia Runningriot.
Saltiamo i convenevoli, solo una rapida e inesauriente spiegazione e poi passiamo direttamente al lavoro.
“Sei sicura che si tratti di lavoro?” Mi chiede Annalisa mentre si sfila i calzoni e, in mutandine, mi guarda poco convinta.
Si regge il mento con due dita e mi perfora con i suoi occhi azzurri e quello sguardo dubbioso e provocatorio.
“Per te ora sono la dottoressa Nikura e tu sei la mia paziente che devo analizzare. Sdraiati. No, aspetta, le mutandine te le sfilo io. Unire l'utile al dilettevole!”
“Te possino!”
Non è frequente, ma quando capita, sfilare le mutandine alla bionda romana è un rituale da gustare e assaporare. Gambe lunghissime, infinite, cosce affusolate e quel pube lucido e liscio che promette solo gioie. Ma ora sono qui per lavorare.
“Apri le cosce, solleva le gambe. Lù, hai mica un cuscino da metterle sotto il culo, per sollevarlo un poco?”
“Yuko, che cosa devi farmi, esattamente?” La dea di trastevere non sembra convinta delle mie qualità professionali.
“Gioia, vorrei capire perchè ti brucia così tanto el büs del gnau.”
“Che?”
“The gnaw's hole. Il büs del cü! Come lo chiamate voi a Roma?
“Ma chiamare che cosa?”
“Er bugo der culo!” interviene infine Lucrezia, agitando un cuscino di piuma come se fosse una majorette. Annalisa si illumina in volto.
“Be' hanno tentato di entrarci con un 'Frecciarossa'!”
“E che sarà mai?” Chiosa la friulana.
“Dai su! Allarga le gambe!” taglio corto io. Sono curiosa di provare lo strumento.
“Ma scusa, Yu! E come mi visiti se non hai niente in mano?”
“Te lo spiego mentre ti faccio l'esame.”
E, senza ammettere replica le infilo il cuscino sotto l'osso sacro, le spalanco le gambe e mi dedico ad una visione ravvicinata.
In effetti non è facile mantenere la concentrazione con tutto questo bendidio sotto gli occhi e a portata di naso e lingua, ma cerco di essere professionale.
All’esterno tutto ok. Una passera stratosferica che ti viene voglia di farti risucchiare dentro, anima e corpo, ma il mio sguardo si sposta oltre il perineo. La mucosa diventa più scura e appare un po’ arrossata, giusto dove l’entrata più stretta sembra sbarrata dal solito cartello: “Accesso riservato agli addetti”.
“Uhmmm…”
Mi avvicino con la lingua bella piena di saliva e do una passata preliminare, giusto un assaggio.
La bionda ha un piccolo scatto, ma poi si rilassa e sembra distendersi in attesa del resto.
“Cazzo! Hai la lingua luminosa!” Sbotta invece la padrona di casa con una perifrasi.
“Che cosa?” Annalisa, il culo per aria, non riesce ad avere una visione completa e obiettiva.
“Yuko, ma ti esce luce dalla lingua?” insiste Lù.
“Ma sì, sono fibre ottiche, è la sorgente luminosa dell’endoscopio!” Rispondo svogliatamente e mi dedico all’esame. La mia paziente è in attesa con le gambe per aria e forse non è molto comoda.
Un paio di passate di lingua intorno al buchetto e poi forzo l’entrata.
“Cazzo di jap, vuoi farmi venì con la lingua ner culo?”
Ma io non raccolgo, sono in pieno esame.
Spingo un poco e sono dentro di un centimetro, giro la lingua in cerca di lesioni. Intanto il noto sapore amarognolo mi conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, di essere nel buco giusto.
Giro e rigiro e intanto esploro la mucosa dello sfintere, entro ed esco alcune volte per distendere meglio la muscolatura mentre sento la bionda che ulula alla luna. Effetti collaterali che dovrebbero aumentare la compliance all’esame da parte delle pazienti. Rispetto alle classiche verghe maschili la lingua è molto più morbida e bagnata e si adatta meglio agli spazi ristretti. È grazie all’endoscopio che riesco ad entrare di qualche centimetro, per visionare meglio la mucosa dell’ampolla.
Bene, penso tra me e me; temevo di trovare qualche ragade, ma invece noto solo un po’ di infiammazione. Comincio a sfilare la lingua con lo strumento incorporato quando Annalisa mi serra le cosce sulla faccia.
“Cazzo, Yuko, guarda mejio, magari te sfugge quarcosa, ancora ‘na manciata di secondi! Li mortacci!”
Capisco perfettamente la situazione e do una bella ripassata finché mi sento scricchiolare le ossa del cranio in un impeto di orgasmo anale. La bionda è ancora ben allenata nello sport sulla terra rossa. Due cosce potenti e un buco del culo che ci potrebbe rompere le noci.
Estraggo la lingua-endoscopio e mi concentro con la vista sugli effetti collaterali innescati dall’esame.
Annalisa ansima ancora, abbandonata tra le braccia di Lucrezia che, tra una carezza e l’altra sul seno, le costella di baci la fronte sudata.
"Me sta a venì 'na cecagna!"
“Hai sentito male durante l’esame?”
“Me cojoni!”
“Cioè?”
“Direi di no.” Prende la parola la pragmatica furlana.
“Comunque va tutto bene, niente di rotto, checchè tu ne dica. Mi avevi fatto preoccupare!”
“Eh, hai voja!” e finalmente anche lei si distende e si mette a ridere.
“Mo’ te digo: due o tre di questi esami e te passa de tutto!”
“Be’, dai, l’esame allora è venuto bene e ha effetti terapeutici oltre alle indicazioni diagnostiche!” esclamo soddisfatta.
“L’anima de li mortacci tua.”
“Senti, ma ha anche altre indicazioni o è solo per le…” Ora è Lucrezia che si interessa.
“Le proctoscopie?”
“Eeeh? E che ne so?”
Sorrido. “Dai, mettiti giù, per te una colpoisteroscopia!” lei deglutisce rumorosamente, ma, assecondando i miei gesti espliciti si spoglia e si sistema lei pure a gambe aperte e passera per aria.
“Dai, Yuko, illuminami da dentro!”
Annalisa ha la sagace idea di spegnere la luce della stanza, mentre anche Giò si affaccia incuriosita alla porta.
Nell’oscurità quasi totale aziono allora il mio glossoendoscopio e sporgo una lingua dalla punta luminosa che sembro un extraterrestre, altrochè zombi cazzuti.
“Fico!” sento alle mie spalle, ma ormai sono già inginocchiata tra le cosce di Lù; due o tre leccate alla vulva che, peraltro, è già grondante di un Rio delle Amazzoni di secrezioni e introduco nuovamente lo strumento nel vestibolo vaginale della procace udinese.
Entro e come per magia il basso ventre di Lucrezia inizia ad emettere una luce rossastra meglio delle lampade cinesi fuori dai ristoranti. Con la lucina mi muovo nel suo interno, sporgendo una lingua smisurata che va a sfiorare tutti gli anfratti e presto la paziente inizia un campionario di lamenti, sospiri e miagolii,
Non è male neanche all’interno, questa lavoratrice del settore economico!
Le inquadro l’utero e trovo che, almeno per la parte visibile, è tutto a posto. Ma non procedo oltre. Dentro all’utero è un casino muoversi e non ho una lingua così lunga.
Il ventre di Lucrezia assomiglia alle foto inviate dalle sonde su Marte e in fondo, terminata la parte ispettiva, anch’io ci sto prendendo gusto. Esco un poco e mi dedico a leccare le parti cui sono più abituata con evidente apprezzamento della mia paziente che, con una mano che mi ha infilato tra i capelli, mi stringe verso l’apparato riproduttivo come se volesse fagocitarmi.
Qualche anima pietosa, che percepisco dietro le mie spalle, mi ha abbracciato infilandomi una mano sotto la maglietta per stringermi una tetta, mentre tra luce e gemiti conduco la mia sorella maggiore a esibirsi in una ouverture per fiati e orchestra.
Una coreografia di luci e lampi rossi tra le pieghe genitali della friulana, condita di pennellate di lingua e un contorno di esplicite manifestazioni sonore di apprezzamento.
Ne segue il secondo inevitabile orgasmo, tra fontane di lava incandescente, meglio di Stromboli.
Soddisfatta del doppio esito della sperimentazione sul campo e dai reperti di normalità delle mie due amiche, spengo la fonte luminosa dell’endoscopio e mi preparo a sdraiarmi tra di loro.
“Nooooo!” un coro di disapprovazione.
“Riaccendi quel maledetto coso e infilati nel mio esofago, dannata samurai!”
di
scritto il
2021-12-15
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