Inculando Daniela
di
Verlaine
genere
bondage
Le accarezzo la schiena, sento la sua pelle liscia e tesa sotto le mie mani. Sta china in avanti, con i capelli castano chiaro che le scendono di lato sulla spalla sinistra. Continuo la carezza lento, la curva del dorso fa risaltare al tatto gli scalini delle vertebre lungo la colonna vertebrale, continuando a salire il suo corpo minuto lascia percepire ai polpastrelli le costole. Poi le mie mani scendono sulla sua pelle fino al morbido dei suoi fianchi.
È proprio minuta Daniela. Credo che questo sia uno degli aspetti che più mi eccita di lei: ti aspetti sempre che possa rompersi, spezzartisi fra le mani. E quest'idea mi inebria quando sto con lei facendomi desiderare di portarla sempre più al limite, come a voler provare una Ferrari per vedere fino a che punto puoi spingerla.
Daniela, il suo bel corpo, è piegata in avanti, le mani legate a dei pomelli in modo che non possa sollevarsi, le gambe, anch'esse legate alle caviglie a dei ganci sono immobilizzate e divaricate.
L'ho masturbata bene, è tutta bagnata e mugola eccitata, pronta oramai a quello che sa che l'aspetta, che non può evitare, che desidera che succeda.
Le sue natiche sono fresche e morbide, accarezzarle è un piacere per entrambi. Lo schiocco dello schiaffo risuona nella stanza, seguito dal suo gemito fra dolore e piacere, poi un altro e un altro ancora.
Adesso le sue natiche sono rosse e accaldate, ne sento il tepore sfregiandoci sopra il pene e il pube.
Ma adesso deve ricevere quello per cui è qui, e lei lo sa e ansima in attesa.
Daniela sa già, la sodomizzo di colpo, spingendolo subito dentro il più possibile e con forza, perché il suo grido quando viene aperta è parte dell'eccitazione e del piacere dell'amplesso.
E continua a gemere penetrata violentemente nell'ano dal mio membro diventato di marmo per l'eccitazione, a voler provare la resistenza del suo corpo di giunco, che si piega ad ogni colpo.
Ma Daniela è brava, si lamenta, piange anche, ma fra dolore e piacere è come un giunco nella tempesta che subisce i colpi del vento ma non si rompe, fino a quando non resisto più e le verso dentro la mia sborrata.
Mi accascio e ammiro il suo corpo che ha lasciato abusare dalla mia voglia, poi libero Daniela, esausta e in lacrime, l'ano aperto come una caverna e la stringo grato in un abbraccio.
È proprio minuta Daniela. Credo che questo sia uno degli aspetti che più mi eccita di lei: ti aspetti sempre che possa rompersi, spezzartisi fra le mani. E quest'idea mi inebria quando sto con lei facendomi desiderare di portarla sempre più al limite, come a voler provare una Ferrari per vedere fino a che punto puoi spingerla.
Daniela, il suo bel corpo, è piegata in avanti, le mani legate a dei pomelli in modo che non possa sollevarsi, le gambe, anch'esse legate alle caviglie a dei ganci sono immobilizzate e divaricate.
L'ho masturbata bene, è tutta bagnata e mugola eccitata, pronta oramai a quello che sa che l'aspetta, che non può evitare, che desidera che succeda.
Le sue natiche sono fresche e morbide, accarezzarle è un piacere per entrambi. Lo schiocco dello schiaffo risuona nella stanza, seguito dal suo gemito fra dolore e piacere, poi un altro e un altro ancora.
Adesso le sue natiche sono rosse e accaldate, ne sento il tepore sfregiandoci sopra il pene e il pube.
Ma adesso deve ricevere quello per cui è qui, e lei lo sa e ansima in attesa.
Daniela sa già, la sodomizzo di colpo, spingendolo subito dentro il più possibile e con forza, perché il suo grido quando viene aperta è parte dell'eccitazione e del piacere dell'amplesso.
E continua a gemere penetrata violentemente nell'ano dal mio membro diventato di marmo per l'eccitazione, a voler provare la resistenza del suo corpo di giunco, che si piega ad ogni colpo.
Ma Daniela è brava, si lamenta, piange anche, ma fra dolore e piacere è come un giunco nella tempesta che subisce i colpi del vento ma non si rompe, fino a quando non resisto più e le verso dentro la mia sborrata.
Mi accascio e ammiro il suo corpo che ha lasciato abusare dalla mia voglia, poi libero Daniela, esausta e in lacrime, l'ano aperto come una caverna e la stringo grato in un abbraccio.
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