Ceduta al cameriere
di
Kugher
genere
sadomaso
Al risveglio Franco aveva il cazzo duro, come gli capitava spesso quando dormiva con lei, nei weekend nei quali si incontravano e si prendevano i loro spazi, approfittando per cercare sempre un posto diverso, nel quale far godere gli occhi oltre che il corpo.
Quella volta avevano scelto di andare a Lecce.
Anna si svegliò per prima e subito cercò l’erezione dell’uomo che, quella notte, l’aveva fatta dormire nel letto con lui e non a terra, incatenata come a volte accadeva.
Le aveva infatti detto che al mattino voleva la sua lingua e la sua bocca sul cazzo, pronto per un’ottima colazione.
Anna, che da quasi anno aveva instaurato con lui un rapporto di sottomissione, ormai lo conosceva ed aveva imparato a percepire le sfumature della sua voce, soprattutto se accompagnate da uno sguardo, che lei definiva “furbetto”.
Sapeva anche che non le avrebbe detto nulla ma, anzi, provando piacere nell’averle fatto capire che qualcosa sarebbe successo, lasciandola in sospeso sul “cosa”.
In quell’anno si era sviluppata una forte complicità e tante erano le cose fatte, le situazioni vissute, tutte all’insegna del piacere e dell’eccitazione, sempre volti alla ricerca di qualcosa di nuovo che li divertisse. Inevitabilmente, quando si condividono esperienze e piaceri, alla ricerca della reciproca soddisfazione, aumenta anche il senso di unione dell’anima prima ancora che dei corpi.
Il collare era il suo unico abbigliamento in camera.
Quando lo avevano acquistato, lei gli aveva proposto di recarsi in un negozio per animali.
Lui, invece, ne aveva voluto uno in acciaio quasi fosse un anello, non troppo spesso ma nemmeno sottilissimo. Qualcosa di classe che agli occhi dei più sarebbe passato come un accessorio stravagante, ai più attenti, invece, sarebbe apparso subito quale collare, molto bello, elegante ma pur sempre un collare.
Anna aveva dormito con i polsi ammanettati davanti. Circostanza sufficiente per ricordarle tutta la notte che lei era schiava, non abbastanza da impedirle di ubbidire, al risveglio, dedicandosi al suo cazzo che, in effetti, lei trovò già duro.
Sapeva che lei gli piaceva, che aveva molto stima ed affetto e che con lei stava bene. Glielo leggeva negli occhi, nello sguardo, al di là del dominio che era “solo” la loro sessualità.
“Questa mattina colazione in camera”.
Anna aveva il suo cazzo in bocca e non riusciva a vederlo negli occhi, ma ne percepì la sfumatura di voce, quasi fosse una “minaccia”,ovviamente erotica.
Istintivamente si fermò un attimo e Franco, che evidentemente se lo aspettava, le spinse giù la testa fino a farle arrivare il sesso alla gola e, divertito per i suoi sforzi, gliela tenne giù a lungo.
Non le disse nulla su quanto avesse in mente, ma Anna cominciò ad intuire qualcosa quando lui si vestì, mentre lei, pur privata delle manette, restò nuda, vestita del solo collare, accucciata ai suoi piedi e, in poltrona, si mise a guardare il notiziario.
Bussarono alla porta annunciando il servizio in camera.
Lei, che aveva atteso con ansia quel momento, alzò la testa da terra per guardarlo, in attesa di istruzioni, di capire cosa volesse fare, cosa avesse in mente.
Senza distrarsi dal video le diede l’ordine, come fosse la cosa più normale del mondo.
“Vai ad aprire”.
Anna restò bloccata. Avevano già “giocato” con altre persone. Lui l’aveva ceduta così come aveva usato altre schiave in sua presenza. Mai con persone estranee.
Si alzò, andò alla porta e aprì uno spiraglio.
Dalla piccola striscia vide un uomo di circa 40 anni, ordinario come può esserlo chiunque con una divisa.
“Sono nuda. Se non le spiace, la faccio entrare comunque. Se invece le creasse problemi, lasci pure il carrello qui fuori e provvederò io a prenderlo”.
Non aveva avuto dubbi sulla risposta, quasi disinteressata, dell’uomo, che non sapeva se apparire professionale o eccitato.
Aprì la porta e lo invitò ad entrare osservando bene il suo sguardo nel vederla nuda.
Lei si sentì umiliata, esposta. Cercò di tenere fermo e alto lo sguardo ma le emozioni dentro di lei erano contrastanti.
Eccole, quelle cazzo di sensazioni dentro, quelle che le prendono lo stomaco, a lei come a lui, lo sapeva benissimo.
L’eccitazione che parte da lontano, dalle ambientazioni, dalle circostanze, dalle emozioni, dalla sensazione di essere in balia di Franco, del suo Padrone, che la possiede al punto da esporla a suo piacimento, giocando col suo imbarazzo che sapeva essere forte.
Sentì prepotente la sua sottomissione e la forza del dominio, quell’insieme che aveva ancora la forza di eccitarla, come ai primi incontri, come da anni traeva piacere dal BDSM, come con lui aveva sperimentato sempre cose nuove, eccitanti, emozionanti, quasi semplici, come quella cazzo di colazione in camera.
Il cameriere era imbarazzato, anche se non voleva darlo a vedere. Lei era agitata e cercava di mostrarsi serena.
Le creava emozioni anche la circostanza di provare dentro forti sensazioni che doveva nascondere all’esterno.
Guardò il suo Padrone che, con un semplice gesto del dito indice a terra, la chiamò a sé.
Gli si avvicinò e, titubante pur sapendo di non poter (voler) disubbidire, si accucciò nuovamente ai suoi piedi, mentre il cameriere sistemava il carrello con la colazione.
L’uomo non riusciva a fare finta di nulla. Era evidentemente eccitato e continuava a guardare quella bella donna, nuda, ai piedi di quell’uomo, immaginando tutte le implicazioni e, soprattutto, cosa sarebbe potuto succedere dopo la sua uscita da quella stanza.
La situazione, quindi, andava nella direzione dell’eccitazione di tutti, pur giocando con l’imbarazzo.
Franco decise di dare ulteriore accelerata e, fingendo di cercare comodità, appoggiò un piede sulla donna a terra.
Il cuore del cameriere sembrò perdere un colpo, mentre quello di Anna ne guadagnò a centinaia, così come l’umido tra le cosce, tipico della sensazione di sottomissione.
Non aveva mai provato la schiavitù in una ambientazione apparentemente normale, come quella e la cosa le procurò emozioni forti.
Il cameriere finì e si voltò verso la coppia, non sapendo dove guardare e, soprattutto, cosa fare, comprendendo che avrebbe dovuto uscire ma non volendolo fare.
“Anna, il Signore ha finito, vai a ringraziarlo”.
La complicità consente di avere segnali, parole d’ordine, frasi che significano ben altro rispetto a ciò che appare.
Il suo Padrone aveva calcato la “S” di Signore e lei capì che avrebbe dovuto rivolgersi a quell’uomo in stato di sottomissione.
Si diresse verso di lui a 4 zampe, tenendo la schiena incurvata verso il basso in modo da evidenziare il culo, come Franco le aveva insegnato a suon di frustino per ogni errore.
La testa china accentuava la curva della schiena ma anche il suo stato di sottomessa.
Sapeva ancheggiare quando camminava ma anche mentre procedeva come una cagna.
L’uomo era evidentemente eccitato e restò ancor più turbato quando quella bella donna, inginocchiata davanti a lui, posò la fronte a terra, prostrata completamente.
“Grazie, Signore”.
Il cameriere non seppe cosa dire, evidentemente eccitato. Non sapeva come rompere l’incanto, se andarsene, restare, prendere iniziativa.
Ci pensò Franco.
“Signore, se non le spiace, la mia schiava la può ringraziare meglio dandole piacere con la bocca”.
La parola “schiava”, pronunciata quasi sottovoce, rimbombò in quella stanza, entrando nella testa degli altri due e diffondendosi in tutte le loro viscere: per il cameriere, il quale aveva la conferma ufficiale del ruolo di quella bella donna; per Anna, nel vedersi dichiarata come tale, dinanzi alla quasi normalità, come se lui avesse urlato che lei era sua, gli apparteneva, era sua proprietà.
L’uomo tacque.
Evidentemente aveva la gola secca.
Anna era eccitata, ormai, calata nel ruolo, nel suo, esposta, dichiarata schiava ma, soprattutto, sua, cosa sua.
Alzò il busto e con sensualità slacciò la cerniera e tirò fuori il cazzo di quell’uomo, trovandolo già teso.
lo prese in bocca e, succhiandolo, si accorse che stava pensando a Franco, al suo Padrone. Sapeva che quell’uomo era solo uno strumento per il loro piacere, per il loro rapporto di dominio/sottomissione, sempre più forte, sempre più complice.
L’uomo iniziò a prendere qualche confidenza, senza esagerare, più timoroso di sbagliare e che quell’uomo si riprendesse il giocattolo che in quel momento aveva ai suoi piedi.
Anna si impegnò, come se, succhiando quello sconosciuto, stesse dando piacere al suo Padrone.
Il rapporto di dominio/sottomissione è fatto di sfumature, a volte, ma anche di cose forti, come pugni nello stomaco, cose che possono lasciare il segno ed unire maggiormente perchè la complicità è altissima.
Anna volle rendere più forte ancora la sua condizione di sottomissione ed unì i polsi dietro la schiena, come fossero ammanettati.
E’ un segno universale quello assunto, che immediatamente evoca manette e prigionia.
Il cameriere lo registrò e spinse ulteriormente il cazzo in gola alla donna.
Franco volle dare un altro colpo nello stomaco agli attori che stavano recitando il suo copione.
“La vedo eccitato. Se vuole usarla per soddisfarsi faccia pure. Io non uso il suo culo, preferendo la via tradizionale, quindi se vuole lei lo può usare. E’ pulito, le ordino sempre di farsi trovare pronta in ogni modo”.
Anna si bloccò e incassò il colpo. Poi l’eccitazione dettata dalla sottomissione che quella frase implicava, prese il sopravvento.
Franco diede un’ulteriore accelerata.
“Mettiti a pecorina, in modo che il Signore, se vuole, ti possa usare”.
Senza attendere di conoscere il volere del cameriere, mera comparsa in quel loro “gioco”, Anna si alzò, voltò le spalle all’uomo e appoggiò le mani al letto, offrendogli il culo e, appena appena, iniziò ad ancheggiare, quale richiamo primordiale della femmina che desidera il maschio e che conduce il gioco, facendo capire all’uomo che è lei a volerlo, che è lei che si concede.
La penetrazione, tanto il membro era lubrificato, avvenne facilmente e non ci mise molto a goderle dentro, mentre le teneva forti i fianchi e, sportosi in avanti, le accarezzava il seno, osservando sulla schiena evidenti segni di frustino che meglio definivano il potere del Padrone.
Quando uscì da quella splendida donna, il cameriere guardò colui che, evidentemente, era il suo Padrone.
“La ringrazio, è stato molto gentile a portarci la colazione. Lasceremo il carrello fuori dalla stanza”.
Appena la porta fu richiusa, Anna, a 4 zampe, raggiunse il suo uomo.
Gli si mise tra le gambe, guardandolo dal basso con espressione ancora carica di eccitazione.
“Sei uno stronzo”.
“...e tu sei la mia schiava”.
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krugher.1863@gmail.com
Quella volta avevano scelto di andare a Lecce.
Anna si svegliò per prima e subito cercò l’erezione dell’uomo che, quella notte, l’aveva fatta dormire nel letto con lui e non a terra, incatenata come a volte accadeva.
Le aveva infatti detto che al mattino voleva la sua lingua e la sua bocca sul cazzo, pronto per un’ottima colazione.
Anna, che da quasi anno aveva instaurato con lui un rapporto di sottomissione, ormai lo conosceva ed aveva imparato a percepire le sfumature della sua voce, soprattutto se accompagnate da uno sguardo, che lei definiva “furbetto”.
Sapeva anche che non le avrebbe detto nulla ma, anzi, provando piacere nell’averle fatto capire che qualcosa sarebbe successo, lasciandola in sospeso sul “cosa”.
In quell’anno si era sviluppata una forte complicità e tante erano le cose fatte, le situazioni vissute, tutte all’insegna del piacere e dell’eccitazione, sempre volti alla ricerca di qualcosa di nuovo che li divertisse. Inevitabilmente, quando si condividono esperienze e piaceri, alla ricerca della reciproca soddisfazione, aumenta anche il senso di unione dell’anima prima ancora che dei corpi.
Il collare era il suo unico abbigliamento in camera.
Quando lo avevano acquistato, lei gli aveva proposto di recarsi in un negozio per animali.
Lui, invece, ne aveva voluto uno in acciaio quasi fosse un anello, non troppo spesso ma nemmeno sottilissimo. Qualcosa di classe che agli occhi dei più sarebbe passato come un accessorio stravagante, ai più attenti, invece, sarebbe apparso subito quale collare, molto bello, elegante ma pur sempre un collare.
Anna aveva dormito con i polsi ammanettati davanti. Circostanza sufficiente per ricordarle tutta la notte che lei era schiava, non abbastanza da impedirle di ubbidire, al risveglio, dedicandosi al suo cazzo che, in effetti, lei trovò già duro.
Sapeva che lei gli piaceva, che aveva molto stima ed affetto e che con lei stava bene. Glielo leggeva negli occhi, nello sguardo, al di là del dominio che era “solo” la loro sessualità.
“Questa mattina colazione in camera”.
Anna aveva il suo cazzo in bocca e non riusciva a vederlo negli occhi, ma ne percepì la sfumatura di voce, quasi fosse una “minaccia”,ovviamente erotica.
Istintivamente si fermò un attimo e Franco, che evidentemente se lo aspettava, le spinse giù la testa fino a farle arrivare il sesso alla gola e, divertito per i suoi sforzi, gliela tenne giù a lungo.
Non le disse nulla su quanto avesse in mente, ma Anna cominciò ad intuire qualcosa quando lui si vestì, mentre lei, pur privata delle manette, restò nuda, vestita del solo collare, accucciata ai suoi piedi e, in poltrona, si mise a guardare il notiziario.
Bussarono alla porta annunciando il servizio in camera.
Lei, che aveva atteso con ansia quel momento, alzò la testa da terra per guardarlo, in attesa di istruzioni, di capire cosa volesse fare, cosa avesse in mente.
Senza distrarsi dal video le diede l’ordine, come fosse la cosa più normale del mondo.
“Vai ad aprire”.
Anna restò bloccata. Avevano già “giocato” con altre persone. Lui l’aveva ceduta così come aveva usato altre schiave in sua presenza. Mai con persone estranee.
Si alzò, andò alla porta e aprì uno spiraglio.
Dalla piccola striscia vide un uomo di circa 40 anni, ordinario come può esserlo chiunque con una divisa.
“Sono nuda. Se non le spiace, la faccio entrare comunque. Se invece le creasse problemi, lasci pure il carrello qui fuori e provvederò io a prenderlo”.
Non aveva avuto dubbi sulla risposta, quasi disinteressata, dell’uomo, che non sapeva se apparire professionale o eccitato.
Aprì la porta e lo invitò ad entrare osservando bene il suo sguardo nel vederla nuda.
Lei si sentì umiliata, esposta. Cercò di tenere fermo e alto lo sguardo ma le emozioni dentro di lei erano contrastanti.
Eccole, quelle cazzo di sensazioni dentro, quelle che le prendono lo stomaco, a lei come a lui, lo sapeva benissimo.
L’eccitazione che parte da lontano, dalle ambientazioni, dalle circostanze, dalle emozioni, dalla sensazione di essere in balia di Franco, del suo Padrone, che la possiede al punto da esporla a suo piacimento, giocando col suo imbarazzo che sapeva essere forte.
Sentì prepotente la sua sottomissione e la forza del dominio, quell’insieme che aveva ancora la forza di eccitarla, come ai primi incontri, come da anni traeva piacere dal BDSM, come con lui aveva sperimentato sempre cose nuove, eccitanti, emozionanti, quasi semplici, come quella cazzo di colazione in camera.
Il cameriere era imbarazzato, anche se non voleva darlo a vedere. Lei era agitata e cercava di mostrarsi serena.
Le creava emozioni anche la circostanza di provare dentro forti sensazioni che doveva nascondere all’esterno.
Guardò il suo Padrone che, con un semplice gesto del dito indice a terra, la chiamò a sé.
Gli si avvicinò e, titubante pur sapendo di non poter (voler) disubbidire, si accucciò nuovamente ai suoi piedi, mentre il cameriere sistemava il carrello con la colazione.
L’uomo non riusciva a fare finta di nulla. Era evidentemente eccitato e continuava a guardare quella bella donna, nuda, ai piedi di quell’uomo, immaginando tutte le implicazioni e, soprattutto, cosa sarebbe potuto succedere dopo la sua uscita da quella stanza.
La situazione, quindi, andava nella direzione dell’eccitazione di tutti, pur giocando con l’imbarazzo.
Franco decise di dare ulteriore accelerata e, fingendo di cercare comodità, appoggiò un piede sulla donna a terra.
Il cuore del cameriere sembrò perdere un colpo, mentre quello di Anna ne guadagnò a centinaia, così come l’umido tra le cosce, tipico della sensazione di sottomissione.
Non aveva mai provato la schiavitù in una ambientazione apparentemente normale, come quella e la cosa le procurò emozioni forti.
Il cameriere finì e si voltò verso la coppia, non sapendo dove guardare e, soprattutto, cosa fare, comprendendo che avrebbe dovuto uscire ma non volendolo fare.
“Anna, il Signore ha finito, vai a ringraziarlo”.
La complicità consente di avere segnali, parole d’ordine, frasi che significano ben altro rispetto a ciò che appare.
Il suo Padrone aveva calcato la “S” di Signore e lei capì che avrebbe dovuto rivolgersi a quell’uomo in stato di sottomissione.
Si diresse verso di lui a 4 zampe, tenendo la schiena incurvata verso il basso in modo da evidenziare il culo, come Franco le aveva insegnato a suon di frustino per ogni errore.
La testa china accentuava la curva della schiena ma anche il suo stato di sottomessa.
Sapeva ancheggiare quando camminava ma anche mentre procedeva come una cagna.
L’uomo era evidentemente eccitato e restò ancor più turbato quando quella bella donna, inginocchiata davanti a lui, posò la fronte a terra, prostrata completamente.
“Grazie, Signore”.
Il cameriere non seppe cosa dire, evidentemente eccitato. Non sapeva come rompere l’incanto, se andarsene, restare, prendere iniziativa.
Ci pensò Franco.
“Signore, se non le spiace, la mia schiava la può ringraziare meglio dandole piacere con la bocca”.
La parola “schiava”, pronunciata quasi sottovoce, rimbombò in quella stanza, entrando nella testa degli altri due e diffondendosi in tutte le loro viscere: per il cameriere, il quale aveva la conferma ufficiale del ruolo di quella bella donna; per Anna, nel vedersi dichiarata come tale, dinanzi alla quasi normalità, come se lui avesse urlato che lei era sua, gli apparteneva, era sua proprietà.
L’uomo tacque.
Evidentemente aveva la gola secca.
Anna era eccitata, ormai, calata nel ruolo, nel suo, esposta, dichiarata schiava ma, soprattutto, sua, cosa sua.
Alzò il busto e con sensualità slacciò la cerniera e tirò fuori il cazzo di quell’uomo, trovandolo già teso.
lo prese in bocca e, succhiandolo, si accorse che stava pensando a Franco, al suo Padrone. Sapeva che quell’uomo era solo uno strumento per il loro piacere, per il loro rapporto di dominio/sottomissione, sempre più forte, sempre più complice.
L’uomo iniziò a prendere qualche confidenza, senza esagerare, più timoroso di sbagliare e che quell’uomo si riprendesse il giocattolo che in quel momento aveva ai suoi piedi.
Anna si impegnò, come se, succhiando quello sconosciuto, stesse dando piacere al suo Padrone.
Il rapporto di dominio/sottomissione è fatto di sfumature, a volte, ma anche di cose forti, come pugni nello stomaco, cose che possono lasciare il segno ed unire maggiormente perchè la complicità è altissima.
Anna volle rendere più forte ancora la sua condizione di sottomissione ed unì i polsi dietro la schiena, come fossero ammanettati.
E’ un segno universale quello assunto, che immediatamente evoca manette e prigionia.
Il cameriere lo registrò e spinse ulteriormente il cazzo in gola alla donna.
Franco volle dare un altro colpo nello stomaco agli attori che stavano recitando il suo copione.
“La vedo eccitato. Se vuole usarla per soddisfarsi faccia pure. Io non uso il suo culo, preferendo la via tradizionale, quindi se vuole lei lo può usare. E’ pulito, le ordino sempre di farsi trovare pronta in ogni modo”.
Anna si bloccò e incassò il colpo. Poi l’eccitazione dettata dalla sottomissione che quella frase implicava, prese il sopravvento.
Franco diede un’ulteriore accelerata.
“Mettiti a pecorina, in modo che il Signore, se vuole, ti possa usare”.
Senza attendere di conoscere il volere del cameriere, mera comparsa in quel loro “gioco”, Anna si alzò, voltò le spalle all’uomo e appoggiò le mani al letto, offrendogli il culo e, appena appena, iniziò ad ancheggiare, quale richiamo primordiale della femmina che desidera il maschio e che conduce il gioco, facendo capire all’uomo che è lei a volerlo, che è lei che si concede.
La penetrazione, tanto il membro era lubrificato, avvenne facilmente e non ci mise molto a goderle dentro, mentre le teneva forti i fianchi e, sportosi in avanti, le accarezzava il seno, osservando sulla schiena evidenti segni di frustino che meglio definivano il potere del Padrone.
Quando uscì da quella splendida donna, il cameriere guardò colui che, evidentemente, era il suo Padrone.
“La ringrazio, è stato molto gentile a portarci la colazione. Lasceremo il carrello fuori dalla stanza”.
Appena la porta fu richiusa, Anna, a 4 zampe, raggiunse il suo uomo.
Gli si mise tra le gambe, guardandolo dal basso con espressione ancora carica di eccitazione.
“Sei uno stronzo”.
“...e tu sei la mia schiava”.
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