Ridotta in schiavitù, venduta (parte 1)

di
genere
sadomaso

Angélique si avvicinò al pianoforte.
Lo strumento musicale era posto vicino alla finestra. Lo aveva messo in quella posizione suo padre quando glielo aveva fatto trovare quale regalo, al posto di quello vecchio, il giorno in cui si era iscritta al Conservatorio.
Tolse il panno che proteggeva i tasti ed iniziò a suonare un Notturno di Chopin, musica che adorava e le svuotava la testa da tutti i pensieri.
In quel momento più che mai aveva necessità di avere la mente libera, ma non ci riusciva, quei maledetti tasti non volevano ubbidire alle sue dita esperte o, forse, erano le dita che rappresentavano la paura che aveva addosso.
Suonarono alla porta.
Sapeva già chi avrebbe trovato aprendo l’uscio.
Con un sospiro ed il cuore a mille chiuse il coperchio a protezione dei tasti dopo avere rimesso il panno.
Si rese conto subito dell’inutilità del gesto, dettato dalla necessità di dare a quel momento una parvenza di normalità, più che dal desiderio di proteggere ciò che da lì a poco sarebbe stato venduto o distrutto.
Prima di aprire la porta diede uno sguardo all’appartamento per fissare nella memoria quell’ambiente familiare che l’aveva accompagnata per tutti i suoi 26 anni di vita e che non avrebbe più rivisto.
In casa entrarono l’ufficiale giudiziario e 3 poliziotti.
In 4 per una ragazza giovane e debole che si era imposta di non opporre alcuna resistenza, sapendo già che sarebbe stata del tutto inutile e che ciò che sarebbe accaduto da lì a breve non sarebbe stato nulla rispetto a quanto le avrebbe riservato il futuro.
Senza alcuna formalità o riguardo, i poliziotti le stracciarono il vestito leggero che indossava e le strapparono mutandine e reggiseno, rendendola nuda, senza più alcuna protezione posto che, da quel momento, non ne avrebbe più avuta una.
La fecero inginocchiare strattonandola per i capelli, più per il piacere di farlo che per necessità visto che, come si era ripromessa, non aveva avanzato alcuna forma di resistenza.
Chiusero con un lucchetto il collare di acciaio che attestava la sua nuova condizione di schiava, così come condannata dal Tribunale. Da anni, ormai, chi era stato condannato da un Tribunale civile o penale, veniva ridotto in schiavitù.
Questa sorte era toccata a lei.
Gérard, il poliziotto più anziano, attaccò un guinzaglio di catena al suo collare e, dopo averla fatta alzare, la trascinò giù per le scale, scalza.
Conosceva quella donna, anche se lei, sicuramente, non lo aveva mai notato. Era andato qualche volta ad assistere ad un concerto nel quale lei aveva avuto anche un ruolo di solista.
Le era sempre piaciuta, elegante, alta con i suoi vestiti che avevano l’effetto di slanciarla ancor di più, irraggiungibile.
Lui e sua moglie avevano pensato di comprare una schiava, ma quelle giovani e belle erano troppo costose per le loro tasche. Stavano valutando di prenderne una di seconda o terza mano, più che altro per le faccende domestiche e, perchè no, anche per divertirsi ogni tanto.
Dovevano ancora uscire dall’appartamento e già la sua mano le stava palpando le natiche ed il seno.
Nonostante quanto si era ripromessa, non era abituata ad essere toccata da sconosciuti. La nudità le aveva già particolarmente creato ansia e stress e quell’invadenza sul suo corpo l’aveva fatta reagire con un gesto di stizza, come se fosse ancora una donna libera, già dimentica del suo nuovo stato di schiavitù nel corso del quale le sarebbe toccato ben di peggio, forse quale estremo tentativo di conservare dignità
Si pentì subito e, infatti, si fermò non completando il tentativo di allontanamento della mano dell’uomo e, anzi, pronunciando un sommesso “scusi” che, però, non fu sufficiente.
Gérard la prese per i capelli strattonandoli forte, colpendola anche col guinzaglio che, essendo di catena, le fece molto male.
Si scostò nel vano tentativo di sottrarsi ad un ulteriore colpo.
Venne però fermata dalla mano dell’uomo che le teneva saldi i capelli e le diede il secondo colpo dal quale lei aveva invano cercato di scappare.
“Mettiti in ginocchio, schiava!”.
L’ordine e la declinazione della sua nuova condizione furono due atti inutili, posto che la stava già tirando per il capo, reclinato indietro, verso terra.
Il poliziotto faceva quel lavoro da anni, ma gli procurava sempre eccitazione mettere in ginocchio per la prima volta una donna che fino a pochi minuti prima era libera.
Le diede uno schiaffo che la fece rovinare a terra.
Ancor prima che cercasse di rialzarsi, l’uomo la tenne a terra con un piede, schiacciandola anche oltre quanto fosse effettivamente necessario, traendone piacere.
L’assenza di reazioni da parte della donna gliela fece sentire come una bestia domata, con ulteriori conseguenze sulla sua eccitazione che, peraltro, era già in stadio avanzato.
“Mettiti in testa che adesso sei solo un oggetto, una cosa che tra poco sarà venduta. Non hai più diritti, solo doveri, bestia!”.
Nel pronunciare l’ultima parola, spostò il piede sul collo della ragazza e schiacciò forte, con l’unico scopo di procurarsi una scarica di eccitazione.
Se avesse avuto un minimo di lucidità, la ragazza avrebbe capito che quella era solo una scusa, che quell’uomo stava aspettando qualsiasi cosa per ridurla dove era adesso e, se non l’avesse trovata, se la sarebbe inventata, quale un passo troppo lento, o una postura non gradita.
Invece si colpevolizzò, accusando sé stessa di essere la causa di quella situazione.
Le scuse che continuava a pronunciare altro non erano che benzina sul fuoco dell’eccitazione che già aveva ottenuto il cazzo duro del poliziotto.
La strattonò col guinzaglio più del necessario per farla mettere in ginocchio.
Inconsciamente stava scaricando su di lei la sua frustrazione per non potersi permettere una schiava simile, essendo invece costretto a “rubare” momenti di dominio che non gli appartenevano e che erano troppo lontani per lui.
Angélique sapeva cosa avrebbe dovuto fare, era nell’aria che odorava di eccitazione e di dominio. Non avrebbe potuto sottrarsi.
Ormai, nonostante la concitazione, aveva realizzato quale fosse la sua nuova situazione e, quindi, l’inutilità di una ribellione per cose che, rispetto a ciò che la stava aspettando, erano niente.
Diversamente, sarebbe solo stata ulteriormente destinataria di vessazioni con il risultato di non avere ritardato o impedito nulla ma, invece, di avere solo ulteriormente eccitato il suo aguzzino che sempre più avrebbe tratto piacere dall’atto inevitabile.
Il poliziotto aveva già il cazzo duro quando lei glielo tirò fuori dai pantaloni. Le mani tra i suoi capelli le spinsero la testa verso l’erezione che portò fino alla sua gola. Pur con la paura e la tensione del momento, cercò di fargli il miglior pompino che potesse, concentrandosi sull’atto e cercando di dimenticare ogni altra cosa intorno a sé.
Quando l’orgasmo non fu più rinviabile, la costrinse a 4 zampe e la montò, come una cagna, tirandole i capelli per il piacere di procurare dolore a contrasto col suo piacere.
Le scaricò il suo sperma sulla schiena. Prima di ritirarlo nei pantaloni, si fece pulire mettendoglielo in bocca.
“Muoviti a 4 zampe cagna, è meglio che cominci ad abituarti”.
Non le permise di pulirsi la schiena. Voleva che si sentisse marchiata dal suo dominio che, per primo, l’aveva usata nella sua nuova condizione.
Angélique fece fatica a scendere le due rampe di scale in quella posizione che, nonostante l’orgasmo appena avuto, procurò ulteriore piacere al poliziotto, sempre affascinato dall’atto di condurre una schiava a 4 zampe.


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krugher.1863@gmail.com
di
scritto il
2022-10-16
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