Touch your tears
di
jnik
genere
sentimentali
"Può finire qualcosa che non è mai iniziato?"
Era questa la domanda che mi ponevo ogni qual volta uno dei due diceva di averne abbastanza, che eravamo all'epilogo.
Ma io e Chiara avevamo messo fine alla nostra storia così tante volte da non essere più credibili nemmeno a noi stessi.
Dopo poco entrambi cercavamo di nuovo la presenza dell'altro. Non era sempre lo stesso a fare il primo passo, non c'erano il forte ed il debole. Ambedue eravamo armati ma privi di qualsiasi protezione e finimmo per soccombere l'uno sotto i colpi dell'altra.
Il Natale era trascorso da qualche giorno. Con un tempismo praticamente perfetto, avevamo litigato il 22 dicembre, e dopo un'alternanza di messaggi e silenzi, lei risponde finalmente ad una mia telefonata il 28. Avevo deciso che dovevamo troncare, e volevo farlo di persona.
"Ti aspetto questa sera alle nove, a casa mia." le dico al telefono.
"Non so se..."
"Ci vediamo alle nove, o anche prima se vuoi, io dopo le otto sono a casa. Ciao." e le chiudo il telefono in faccia, senza aspettare risposta.
Non era la prima volta che accadeva, dentro di me sapevo che come sempre sarebbe venuta ma non ne avevo mai l'assoluta certezza.
Il citofono suona verso le 20.45, riconosco la sua voce in risposta al mio "Chi è?", anche se mi sembra davvero impossibile sia arrivata così presto.
Apro la porta e me la trovo davanti: è perfettamente truccata, ma ha messo la tonalità di rossetto che a me non piace, indossa un piumino corto, minigonna, calze coprenti e stivali al ginocchio. L'eau de toilette è delicato, ma pone un ulteriore accento alla sua femminilità. Gran figa, come sempre del resto.
"Vai da qualche parte?" chiedo quasi con strafottenza per non farle notare quanto sia ammaliato dalla sua bellezza.
"Sì, dopo esco con gli altri, per questo sono venuta prima. Ho fretta." risponde lei sbrigativa. Gli "altri" sono la sua compagnia di amici, che in questi quattro mesi ho conosciuto solo marginalmente.
Ovviamente, è tutto architettato per darmi fastidio e lei lo sa che lo so, ma sa anche che ne sono infastidito comunque.
"Dai, entra" le dico voltandomi.
Non serve che la faccia accomodare, conosce alla perfezione il mio appartamento. Posa la borsa sul divano, apre il piumino ma lo tiene addosso, io nel frattempo spengo la televisione e sposto due sedie, lasciando intendere che si saremo seduti a tavola, per mantenere il più possibile una neutra distanza.
Ci sediamo, iniziamo a parlare, ma nessuno dei due dice sostanzialmente nulla, persino ogni mio proposito di farla finita sembra sfumato. Chiara si guarda nervosamente in giro, l'occhio le cade sul piccolo albero di Natale finto che lei stessa mi ha fatto comprare e che abbiamo addobbato assieme, unica decorazione del mio appartamento.
"C'è un regalo sotto l'albero." mi fa notare con voce non del tutto incolore.
"Sì. È per te." le dico passandole con finta distrazione il pacchettino. Il mio cuore inizia a battere, avrei voluto darglielo dopo, il colpo di scena finale, ma forse a questo punto ci avrebbe aiutati ad uscire dall'impasse. "Buon Natale!" aggiungo con un finto sarcasmo mal riuscito.
Chiara posa davanti a sé la piccola scatolina nera chiusa da un nastro di raso rosso.
"Io non ti ho portato niente." mi dice guardandomi.
"Non ti ho fatto un regalo perché ne volessi uno a mia volta. Aprilo, dai..." le rispondo sorridendo. Adesso la curiosità mi divora, voglio vedere la sua reazione.
Scioglie il fiocco ed apre la scatola. In un primo momento non dice nulla, alterna soltanto lo sguardo tra me ed il contenuto, mentre lentamente gli occhi si riempiono di lacrime.
"Ma...ma non è possibile! Ma come hai fatto?"
Non avevo alcun dubbio che l'avrei sorpresa. Mi prendo qualche secondo di vanagloriosa soddisfazione mentre lei continua a chiedermi spiegazioni, poi le rivelo il piccolo "segreto" che si celava dietro quel regalo così azzeccato.
Lei si alza in silenzio e si siede sulle mie ginocchia.
Le sfioro con le labbra la guancia segnata dalla matita che sciogliendosi le sta colando sul viso.
"Le lacrime vanno baciate via.", le sussurro.
In quel momento siamo consapevoli che anche questa volta sarebbe finita come ogni altra volta, le mie labbra si posano sulle sue e le sfilo il piumino.
Nel tragitto dal soggiorno alla camera da letto non smettiamo mai di baciarci. Lei si siede sul letto, vorrei spogliarla, ma è più veloce ad aprirmi i pantaloni e prima che io possa porre obiezione il mio uccello è già alla mercé della sua lingua.
Iniziamo quel gioco fatto di istanti, in bilico tra il trattenersi ed il lasciarsi andare al piacere. Lei lecca, bacia, succhia, sa perfettamente come arrivare a farmi impazzire ma anche quando fermarsi.
Con un passo indietro mi sottraggo alla sua arte ed impaziente mi levo i vestiti, lei inizia a fare lo stesso, ma le faccio capire che non voglio si tolga le calze.
È una visione magnifica, lei nuda sul letto con i collant neri ed il copripiumino grigio a farle da cornice.
Un pensiero fugace non può non andare alla mia reflex, a quanto erotico ed esteticamente perfetto sarebbe quel momento per scattarle delle fotografie, ma lei non vuole, lo so e quindi nemmeno glielo chiedo, per nessuna ragione vorrei rischiare di rovinare qualcosa della magia che si è venuta a creare.
Salgo sul letto e la faccio distendere, mi sorride maliziosa e si mette a pancia in giù. Si lascia andare al mio dedicarle tutto me stesso, disegno strade invisibili con la mia lingua esplorando ogni punto di pelle scoperta, le sussurro all'orecchio parole che profumano d'amore e di sesso, le bacio i piccoli nei sulla schiena e le braccia, ma dopo pochissimo, con ferma dolcezza la faccio girare, come un alcolizzato ho un bisogno assoluto ed immediato del mio liquore preferito: le sue tette.
Al di là del seno in sé, credo che mi piacesse quel suo modo di reagire ed infiammarsi al mio alternare dolcezza e lascivia nello stuzzicarle i capezzoli.
Siamo all'apice dell'eccitazione quando le sfilo le calze. Lei indossa ancora le mutandine mentre le bacio l'interno coscia, sapendo di farle perdere la ragione. Non ne può più, toglie anche quell'ultimo lembo di stoffa e mi presenta la sua figa bagnata e vibrante di desiderio, perché io possa devastarla di piacere.
Il gioco continua e si fa sempre più intenso, il nostro è un continuo cercare e cercarsi per vivere il proprio piacere nel godimento dell'altro.
Mi fermo all'improvviso, e mi sposto veloce verso il comodino. Lei sa cosa vuol dire, la guardo e le leggo l'eccitazione negli occhi.
Prendo il preservativo e ne strappo l'involucro. È di certo il momento meno sensuale e romantico, ma con il suo aiuto ad infilarlo riusciamo comunque a renderlo nostro.
Ricominciamo a danzare in quella coreografia per cui non abbiamo bisogno di fare prova alcuna, ci muoviamo in sincronia al ritmo di una musica che solamente noi possiamo sentire.
Il passaggio tra desiderio e piacere è continuo, fino a quando inarrestabile sento salire l'orgasmo. Lo percepisce anche lei perché il mio muovermi diventa più irruento ed aggressivo, e so che la cosa le piace. Geme e ripete sillabe e parole delle quali intuisco soltanto "Sì...", poi vengo, viene, veniamo e mi stringe ancora più forte.
Mi sciolgo controvoglia da quel nodo che avevano creato i nostri corpi, e veloce entro ed esco dal bagno per tornare subito da lei.
Recupero il piumino che era finito a terra e coprendola mi ci infilo sotto. Siamo entrambi nudi e sudati. Lei trema, ma non è il freddo, è il suo modo di vivere l'orgasmo, sempre intensamente fisico. La stringo forte, le faccio sentire la mia presenza, la mia passione, il mio amore. Perché di questo si trattava, di un amore folle, disordinato ed insensato, ma incredibilmente sincero. Un amore come non mi sarei mai aspettato di vivere, completamente diverso da ogni altra storia piccola o grande vissuta in precedenza.
Rimaniamo abbracciati, lei a poco a poco smette di tremare e mi bacia con dolcezza sul petto, quindi si distende accanto a me e sussurra "Resterei qui così per sempre...".
Lo so che è vero soltanto in parte. O meglio, è vero ora, ma tra qualche istante potrebbe non esserlo più. Potrei anch'io riprendere da dove avevamo lasciato prima del regalo e delle lacrime, fare lo stronzo e rovinare questo momento di poesia amorosa semplicemente chiedendole "E gli altri? Non farai tardi con i tuoi amici?", ma questa volta no. Sembra esserci qualcosa di diverso. Nessuno dei due fa o dice nulla che possa in un attimo sciupare questo delicato equilibrio.
In effetti per qualche giorno le cose sono andate a meraviglia, nonostante per motivi diversi ci siamo visti pochissimo.
Di comune accordo abbiamo trascorso la notte di Capodanno separati, ma senza che la cosa rappresenti un problema. Entrambi volevamo ripartire, con calma e forse iniziare a gettare le basi per una relazione che la smetta di essere una continua alternanza di alti e bassi.
Qualche giorno dopo Capodanno, Chiara mi scrive che sarebbe andata a cena da un'amica. Le rispondo che non c'è problema, che magari ci saremmo visti l'indomani.
Il giorno successivo, con un semplice messaggio è cambiato tutto.
"Ho bisogno di un po' di tempo, devo pensare. Forse è meglio se per un po' non ci sentiamo."
"Va bene." Ho ritenuto fosse una risposta sufficiente, forse avrei dovuto insistere, ma aveva senso? Ero stanco. Forse avevo bisogno di tempo anch'io.
Non le ho più scritto, né telefonato e lei ha fatto lo stesso.
Ci siamo rivisti di sfuggita diverse volte ma ogni volta o entrambi o uno dei due era in macchina, quindi il tutto si è risolto con un semplice cenno di saluto, cui nessuno ha dato seguito.
Il Natale successivo ci siamo incontrati in in un negozio di giocattoli del centro commerciale ad acquistare i regali per i figli di altri, come abbiamo commentato ridendo.
L'educato saluto è divenuto dialogo, il dialogo, inspiegabilmente, un abbraccio.
"Che strano, eh...cioè, io e te. Mi fa strano, insomma...io ogni tanto ci penso, a noi...anche tu ci pensi?" mi chiede sussurrando.
"Sì, ogni tanto. È stato quel che è stato. Strano, come dici tu, ma bello." le dico sciogliendomi dal suo abbraccio, prima che sia troppo tardi. "Ora vado. Buon Natale, Chiara."
Quella sera di un anno prima avevamo fatto l'amore per l'ultima volta. Era finito qualcosa che forse non era nemmeno mai iniziato.
"Dimenticai di colpo
un passato folle
in un tempo piccolo."
Era questa la domanda che mi ponevo ogni qual volta uno dei due diceva di averne abbastanza, che eravamo all'epilogo.
Ma io e Chiara avevamo messo fine alla nostra storia così tante volte da non essere più credibili nemmeno a noi stessi.
Dopo poco entrambi cercavamo di nuovo la presenza dell'altro. Non era sempre lo stesso a fare il primo passo, non c'erano il forte ed il debole. Ambedue eravamo armati ma privi di qualsiasi protezione e finimmo per soccombere l'uno sotto i colpi dell'altra.
Il Natale era trascorso da qualche giorno. Con un tempismo praticamente perfetto, avevamo litigato il 22 dicembre, e dopo un'alternanza di messaggi e silenzi, lei risponde finalmente ad una mia telefonata il 28. Avevo deciso che dovevamo troncare, e volevo farlo di persona.
"Ti aspetto questa sera alle nove, a casa mia." le dico al telefono.
"Non so se..."
"Ci vediamo alle nove, o anche prima se vuoi, io dopo le otto sono a casa. Ciao." e le chiudo il telefono in faccia, senza aspettare risposta.
Non era la prima volta che accadeva, dentro di me sapevo che come sempre sarebbe venuta ma non ne avevo mai l'assoluta certezza.
Il citofono suona verso le 20.45, riconosco la sua voce in risposta al mio "Chi è?", anche se mi sembra davvero impossibile sia arrivata così presto.
Apro la porta e me la trovo davanti: è perfettamente truccata, ma ha messo la tonalità di rossetto che a me non piace, indossa un piumino corto, minigonna, calze coprenti e stivali al ginocchio. L'eau de toilette è delicato, ma pone un ulteriore accento alla sua femminilità. Gran figa, come sempre del resto.
"Vai da qualche parte?" chiedo quasi con strafottenza per non farle notare quanto sia ammaliato dalla sua bellezza.
"Sì, dopo esco con gli altri, per questo sono venuta prima. Ho fretta." risponde lei sbrigativa. Gli "altri" sono la sua compagnia di amici, che in questi quattro mesi ho conosciuto solo marginalmente.
Ovviamente, è tutto architettato per darmi fastidio e lei lo sa che lo so, ma sa anche che ne sono infastidito comunque.
"Dai, entra" le dico voltandomi.
Non serve che la faccia accomodare, conosce alla perfezione il mio appartamento. Posa la borsa sul divano, apre il piumino ma lo tiene addosso, io nel frattempo spengo la televisione e sposto due sedie, lasciando intendere che si saremo seduti a tavola, per mantenere il più possibile una neutra distanza.
Ci sediamo, iniziamo a parlare, ma nessuno dei due dice sostanzialmente nulla, persino ogni mio proposito di farla finita sembra sfumato. Chiara si guarda nervosamente in giro, l'occhio le cade sul piccolo albero di Natale finto che lei stessa mi ha fatto comprare e che abbiamo addobbato assieme, unica decorazione del mio appartamento.
"C'è un regalo sotto l'albero." mi fa notare con voce non del tutto incolore.
"Sì. È per te." le dico passandole con finta distrazione il pacchettino. Il mio cuore inizia a battere, avrei voluto darglielo dopo, il colpo di scena finale, ma forse a questo punto ci avrebbe aiutati ad uscire dall'impasse. "Buon Natale!" aggiungo con un finto sarcasmo mal riuscito.
Chiara posa davanti a sé la piccola scatolina nera chiusa da un nastro di raso rosso.
"Io non ti ho portato niente." mi dice guardandomi.
"Non ti ho fatto un regalo perché ne volessi uno a mia volta. Aprilo, dai..." le rispondo sorridendo. Adesso la curiosità mi divora, voglio vedere la sua reazione.
Scioglie il fiocco ed apre la scatola. In un primo momento non dice nulla, alterna soltanto lo sguardo tra me ed il contenuto, mentre lentamente gli occhi si riempiono di lacrime.
"Ma...ma non è possibile! Ma come hai fatto?"
Non avevo alcun dubbio che l'avrei sorpresa. Mi prendo qualche secondo di vanagloriosa soddisfazione mentre lei continua a chiedermi spiegazioni, poi le rivelo il piccolo "segreto" che si celava dietro quel regalo così azzeccato.
Lei si alza in silenzio e si siede sulle mie ginocchia.
Le sfioro con le labbra la guancia segnata dalla matita che sciogliendosi le sta colando sul viso.
"Le lacrime vanno baciate via.", le sussurro.
In quel momento siamo consapevoli che anche questa volta sarebbe finita come ogni altra volta, le mie labbra si posano sulle sue e le sfilo il piumino.
Nel tragitto dal soggiorno alla camera da letto non smettiamo mai di baciarci. Lei si siede sul letto, vorrei spogliarla, ma è più veloce ad aprirmi i pantaloni e prima che io possa porre obiezione il mio uccello è già alla mercé della sua lingua.
Iniziamo quel gioco fatto di istanti, in bilico tra il trattenersi ed il lasciarsi andare al piacere. Lei lecca, bacia, succhia, sa perfettamente come arrivare a farmi impazzire ma anche quando fermarsi.
Con un passo indietro mi sottraggo alla sua arte ed impaziente mi levo i vestiti, lei inizia a fare lo stesso, ma le faccio capire che non voglio si tolga le calze.
È una visione magnifica, lei nuda sul letto con i collant neri ed il copripiumino grigio a farle da cornice.
Un pensiero fugace non può non andare alla mia reflex, a quanto erotico ed esteticamente perfetto sarebbe quel momento per scattarle delle fotografie, ma lei non vuole, lo so e quindi nemmeno glielo chiedo, per nessuna ragione vorrei rischiare di rovinare qualcosa della magia che si è venuta a creare.
Salgo sul letto e la faccio distendere, mi sorride maliziosa e si mette a pancia in giù. Si lascia andare al mio dedicarle tutto me stesso, disegno strade invisibili con la mia lingua esplorando ogni punto di pelle scoperta, le sussurro all'orecchio parole che profumano d'amore e di sesso, le bacio i piccoli nei sulla schiena e le braccia, ma dopo pochissimo, con ferma dolcezza la faccio girare, come un alcolizzato ho un bisogno assoluto ed immediato del mio liquore preferito: le sue tette.
Al di là del seno in sé, credo che mi piacesse quel suo modo di reagire ed infiammarsi al mio alternare dolcezza e lascivia nello stuzzicarle i capezzoli.
Siamo all'apice dell'eccitazione quando le sfilo le calze. Lei indossa ancora le mutandine mentre le bacio l'interno coscia, sapendo di farle perdere la ragione. Non ne può più, toglie anche quell'ultimo lembo di stoffa e mi presenta la sua figa bagnata e vibrante di desiderio, perché io possa devastarla di piacere.
Il gioco continua e si fa sempre più intenso, il nostro è un continuo cercare e cercarsi per vivere il proprio piacere nel godimento dell'altro.
Mi fermo all'improvviso, e mi sposto veloce verso il comodino. Lei sa cosa vuol dire, la guardo e le leggo l'eccitazione negli occhi.
Prendo il preservativo e ne strappo l'involucro. È di certo il momento meno sensuale e romantico, ma con il suo aiuto ad infilarlo riusciamo comunque a renderlo nostro.
Ricominciamo a danzare in quella coreografia per cui non abbiamo bisogno di fare prova alcuna, ci muoviamo in sincronia al ritmo di una musica che solamente noi possiamo sentire.
Il passaggio tra desiderio e piacere è continuo, fino a quando inarrestabile sento salire l'orgasmo. Lo percepisce anche lei perché il mio muovermi diventa più irruento ed aggressivo, e so che la cosa le piace. Geme e ripete sillabe e parole delle quali intuisco soltanto "Sì...", poi vengo, viene, veniamo e mi stringe ancora più forte.
Mi sciolgo controvoglia da quel nodo che avevano creato i nostri corpi, e veloce entro ed esco dal bagno per tornare subito da lei.
Recupero il piumino che era finito a terra e coprendola mi ci infilo sotto. Siamo entrambi nudi e sudati. Lei trema, ma non è il freddo, è il suo modo di vivere l'orgasmo, sempre intensamente fisico. La stringo forte, le faccio sentire la mia presenza, la mia passione, il mio amore. Perché di questo si trattava, di un amore folle, disordinato ed insensato, ma incredibilmente sincero. Un amore come non mi sarei mai aspettato di vivere, completamente diverso da ogni altra storia piccola o grande vissuta in precedenza.
Rimaniamo abbracciati, lei a poco a poco smette di tremare e mi bacia con dolcezza sul petto, quindi si distende accanto a me e sussurra "Resterei qui così per sempre...".
Lo so che è vero soltanto in parte. O meglio, è vero ora, ma tra qualche istante potrebbe non esserlo più. Potrei anch'io riprendere da dove avevamo lasciato prima del regalo e delle lacrime, fare lo stronzo e rovinare questo momento di poesia amorosa semplicemente chiedendole "E gli altri? Non farai tardi con i tuoi amici?", ma questa volta no. Sembra esserci qualcosa di diverso. Nessuno dei due fa o dice nulla che possa in un attimo sciupare questo delicato equilibrio.
In effetti per qualche giorno le cose sono andate a meraviglia, nonostante per motivi diversi ci siamo visti pochissimo.
Di comune accordo abbiamo trascorso la notte di Capodanno separati, ma senza che la cosa rappresenti un problema. Entrambi volevamo ripartire, con calma e forse iniziare a gettare le basi per una relazione che la smetta di essere una continua alternanza di alti e bassi.
Qualche giorno dopo Capodanno, Chiara mi scrive che sarebbe andata a cena da un'amica. Le rispondo che non c'è problema, che magari ci saremmo visti l'indomani.
Il giorno successivo, con un semplice messaggio è cambiato tutto.
"Ho bisogno di un po' di tempo, devo pensare. Forse è meglio se per un po' non ci sentiamo."
"Va bene." Ho ritenuto fosse una risposta sufficiente, forse avrei dovuto insistere, ma aveva senso? Ero stanco. Forse avevo bisogno di tempo anch'io.
Non le ho più scritto, né telefonato e lei ha fatto lo stesso.
Ci siamo rivisti di sfuggita diverse volte ma ogni volta o entrambi o uno dei due era in macchina, quindi il tutto si è risolto con un semplice cenno di saluto, cui nessuno ha dato seguito.
Il Natale successivo ci siamo incontrati in in un negozio di giocattoli del centro commerciale ad acquistare i regali per i figli di altri, come abbiamo commentato ridendo.
L'educato saluto è divenuto dialogo, il dialogo, inspiegabilmente, un abbraccio.
"Che strano, eh...cioè, io e te. Mi fa strano, insomma...io ogni tanto ci penso, a noi...anche tu ci pensi?" mi chiede sussurrando.
"Sì, ogni tanto. È stato quel che è stato. Strano, come dici tu, ma bello." le dico sciogliendomi dal suo abbraccio, prima che sia troppo tardi. "Ora vado. Buon Natale, Chiara."
Quella sera di un anno prima avevamo fatto l'amore per l'ultima volta. Era finito qualcosa che forse non era nemmeno mai iniziato.
"Dimenticai di colpo
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