Come iniziare 5
di
zorrogatto
genere
gay
Quegli ultimi due mesi (scarsi!) del 1969 mi avevano portato ad esplorare una -vera!- fica ed a elaborarmi uno straccio di strategia per soddisfare le mie pulsioni.
Valutai che, al momento, avevo poche probabilità di trovare una persona di genere femminile che potesse decidere di fare qualcosa di sessuale con me e che, in attesa di tempi migliori, avrei potuto accontentarmi dei maschi.
Con una madre indagatrice (nel senso che amava fare domande per il gusto di farle!) come la mia era abituato a... coprire le mie tracce ed ad avere pronta una giustificazione plausibile per ogni domanda “pericolosa”; questa è la ragione per cui avevo già imparato a valutare movimenti, tempistiche ed eventuali scusanti.
Ormai avevo scoperto dove era il paradiso (nel Ghetto!) ed avevo anche valutato che, essendo libero ormai di muovermi nel pomeriggio come e dove preferissi, se fossi entrato ed uscito dal ghetto facendo attenzione di non essere notato da conoscenti di mia madre (i parenti di mio padre erano in un'altra regione e lui non mi aveva mai presentato a qualche suo conoscente, a parte qualche «Ah, questo è il mio “piccino”...», facendo sfoggio di autoironia, visto che a 14 anni ero già alto come lui e che, ovviamente, la mia crescita non si sarebbe fermata per ancora un po' di anni), per cui, muovendomi con cautela, potevo entrare ed uscire da quell'area che era “off limits” per le 'personeperbene'.
E così ci tornai; le prime volte pieno di esitazioni e paure e poi, via via, sempre con maggior disinvoltura.
Solo una volta provai un momento di vero sgomento quando, lasciatomi dietro di una decina di metri uno dei caruggi del Ghetto, mi sentii chiamare per nome: mi girai, desiderando di sprofondare o -alternativamente!- di morire esattamente lì, in quel preciso momento, e vidi mia zia Anna -la sorella più piccola di mia madre- che tutta sorridente veniva verso di me.
«Sai, son venuta a comprare certe spezie in una drogheria fornitissima qui dietro... E tu, cosa ci fai qui?» mi chiese con un radioso sorriso affettuosamente curioso.
«Eh.. uhmm.. ehh... Sì, insomma... sto girando... si ecco: sto girando perché... perché non conosco questa parte del centro e...» e sorrisi, cercando di farmela complice.
Lei sorrise di rimando, mi raccomandò di non fare tardi e di stare attento e corse via, “perché doveva trovare ancora tante cose!”
Quella volta mi ero davvero spaventato e perciò, quando tornai a frequentare quella zona diversi giorni dopo, mi ricordavo sempre la paura e il rischio corso e perciò usai sempre la massima cautela per arrivare e tornare da lì.
Perchè ci tornai dopo circa una settimana dall'esperienza con quella signora e, quella volta, potei finalmente soddisfare curiosità e voglie.
Sullo stesso portone di 'quella signora', c'era un travestito, col fisico da scaricatore, alto, massiccio e la voce baritonale che dopo avermi chiesto se volevo salire (ed avendo saputo da me che sarei anche salito volentieri, ma che non avevo una lira), mi fece salire nel suo monolocale al secondo piano e, dopo un breve periodo di preliminari, finalmente me lo piantò nel culetto!
Fu delicata e solo quando mi abituai al suo cazzo che mi scorreva nel culo, prese velocità e impeto e mi chiavò ben ben, fino a sborrarmi dentro. Fu un'esperienza assolutamente appagante e piacevolissima e, dopo quella prima volta, tornai da lei ancora e ancora (credo non più di cinque o sei volte in tutto), fino al giorno che non la trovai.
Mi ero affezionato a lei ed un po' mi sentivo di tradirla, ma già che ero lì, tanto valeva prendere un po' di cazzo nel culo ad ogni modo.
Da quella volta non la vidi più, ma dopo essermi fatto scopare da altri travestiti,conobbi la più famosa tra di loro, che chiamerò Regina.
Anche lei mi usò sessualmente, con mio grande piacere nonostante una dotazione decisamente non memorabile, insegnandomi sia a leccarlo e succhiarlo, sia a prenderlo dietro “da professionista”, cioè imparando a fare «le pompe col culo», cioè stringere e rilasciare ritmicamente lo sfintere mentre il maschio mi incula.
Mi chiese se avessi problemi a ingoiare e -ripensando sorridendo tra me ai miei inizi- l'assicurai che non c'era alcun problema e lei fu soddisfatta di questa mia risposta.
Dopo questo... addestramento, mi propose di... guadagnare qualche soldino con lei: si trattava semplicemente di entrare nel basso dove esercitava e poi starmene buono a leggere fumetti chiuso nel cesso e, se il cliente che Regina adescava voleva “il pivello”, allora entravo in ballo anche (o solo, secondo persone) io e potevo prendermi un po' di cazzi.
Regina era contenta che io (ed il mio culetto) fossimo così volenterosi, però la seconda metà del pomeriggio non era particolarmente buona, come fascia oraria e mi chiese se avessi potuto venire qualche sera a “lavorare”.
Le dissi che avrei pensato a come fare mentre avrei continuato, ogni tanto, a farmi vivo nel pomeriggio.
E, in effetti, c'era la possibilità di andare da Regina anche la sera: mia madre, ormai ogni sera, subito dopo cena si metteva un po' elegante e con la sua 500 andava a giocare a carte in un circolo d'arma e tornava solo dopo l'una del mattino, spesso anche dopo le due.
A volte, il sabato sera, mi portava con lei e io avevo modo di annoiarmi a morte, in attesa che, in pratica, i gestori del circolo mettessero alla porta gli ultimi giocatori, per poter chiudere e che poi accompagnassimo la sua amica Ketty a casa, fermandosi a ciarlare davanti al portone anche fino oltre le tre, mentre io cercavo di sopravvivere alle camionate di noia che mi travolgevano.
Però, avevo cogitato,nse io mi fossi messo in movimento alle 21, subito dopo che mia madre fosse andata via, sarei arrivato alla fermata giusto in tempo per prendere il bus che, passando relativamente vicino a casa mia, mi avrebbe lasciato a poca distanza dal Ghetto.
Per il ritorno, avrei dovuto prendere l'ultima corsa, che partiva alle 23,50, per non rischiare di dovermi fare i sette chilometri a piedi fino a casa.
Le probabilità che mia madre tornasse inaspettatamente prima, erano praticamente pari a zero e la faccenda aveva il giusto tasso di... avventurosità da stuzzicarmi.
L'unico problema era che l'abbonamento che avevo per il bus -per andare a scuola- mi consentiva di prendere anche la linea che mi andava bene la sera, ma solo fino alla prima fermata successiva a quella in comune con quellaa alla quale ero abbonato, ancora una decina di fermate prima della mia, giusta.
Contai sulla improbabilità di incappare in controllori e poi mi andò bene quasi sempre: solo una volta, in andata, venni beccato oltre i limiti, ma riuscii a commuovere il controllore raccontandogli che ero solo in casa, che la mia mamma era di turno in fabbrica e che la nonna mi aveva telefonato che si sentiva male e stavo correndo da lei, inventandomi un indirizzo plausibile.
Così mi passavo il mio paio d'ore chiuso nel cesso, con i giornalini e l'odore di orina e sperma, tuttora, mi fa tornare a quei tempi.
Capitava che, magari, in una serata nessuno oppure un solo un cliente voleva il pivello o, in altre, anche quattro, uno di seguito all'altro.
Ovviamente sapeva della mia necessità di prendere l'ultimo autobus e anzi stava attenta anche lei che non lo perdessi.
Quando avevo finito ed ero pronto ad andare alla fermata, mi salutava e mi metteva in mano qualche moneta ed io ero tutto contento che non solo avevo fatto sesso, ma -addirittura!- mi pagavano!
Poi gli anni, l'esperienza mi hanno ripensare a quei miei trascorsi e, ai valori di oggi, è come se, alla fine delle mie prestazioni, mi avesse dato una decina di euro, mentre magari lei ne ricavava cinquanta da ogni mio “cliente”.
Ma è solo una considerazione accademica: mi andava bene allora e non è cambiato il mio atteggiamento, nei confronti di quegli antichi eventi.
In fondo, al di là del solo sesso, mi divertiva avere una doppia vita sconosciuta a tutti: oltre a mia madre, arroccata nel suo piccolo egocentrismo, mi divertita anche andare la mattina a scuola, facevo la terza media, e pensare a quanto io sapessi del sesso, nei confronti dei miei compagni e delle mie compagne, compresa Wilma C., che se la tirava da “donna esperta”, ma era solo una quattordicenne che fingeva di essere un qualcosa che non avrebbe poi neanche saputo descrivere nel dettaglio.
Pensavo alla prof di italiano che aveva un atteggiamento da chioccia con tutti noi e mi scappava da ridere ad immaginare che faccia avrebbe fatto se mi avesse visto farmi inculare da “vecchi”.
-segue-
Valutai che, al momento, avevo poche probabilità di trovare una persona di genere femminile che potesse decidere di fare qualcosa di sessuale con me e che, in attesa di tempi migliori, avrei potuto accontentarmi dei maschi.
Con una madre indagatrice (nel senso che amava fare domande per il gusto di farle!) come la mia era abituato a... coprire le mie tracce ed ad avere pronta una giustificazione plausibile per ogni domanda “pericolosa”; questa è la ragione per cui avevo già imparato a valutare movimenti, tempistiche ed eventuali scusanti.
Ormai avevo scoperto dove era il paradiso (nel Ghetto!) ed avevo anche valutato che, essendo libero ormai di muovermi nel pomeriggio come e dove preferissi, se fossi entrato ed uscito dal ghetto facendo attenzione di non essere notato da conoscenti di mia madre (i parenti di mio padre erano in un'altra regione e lui non mi aveva mai presentato a qualche suo conoscente, a parte qualche «Ah, questo è il mio “piccino”...», facendo sfoggio di autoironia, visto che a 14 anni ero già alto come lui e che, ovviamente, la mia crescita non si sarebbe fermata per ancora un po' di anni), per cui, muovendomi con cautela, potevo entrare ed uscire da quell'area che era “off limits” per le 'personeperbene'.
E così ci tornai; le prime volte pieno di esitazioni e paure e poi, via via, sempre con maggior disinvoltura.
Solo una volta provai un momento di vero sgomento quando, lasciatomi dietro di una decina di metri uno dei caruggi del Ghetto, mi sentii chiamare per nome: mi girai, desiderando di sprofondare o -alternativamente!- di morire esattamente lì, in quel preciso momento, e vidi mia zia Anna -la sorella più piccola di mia madre- che tutta sorridente veniva verso di me.
«Sai, son venuta a comprare certe spezie in una drogheria fornitissima qui dietro... E tu, cosa ci fai qui?» mi chiese con un radioso sorriso affettuosamente curioso.
«Eh.. uhmm.. ehh... Sì, insomma... sto girando... si ecco: sto girando perché... perché non conosco questa parte del centro e...» e sorrisi, cercando di farmela complice.
Lei sorrise di rimando, mi raccomandò di non fare tardi e di stare attento e corse via, “perché doveva trovare ancora tante cose!”
Quella volta mi ero davvero spaventato e perciò, quando tornai a frequentare quella zona diversi giorni dopo, mi ricordavo sempre la paura e il rischio corso e perciò usai sempre la massima cautela per arrivare e tornare da lì.
Perchè ci tornai dopo circa una settimana dall'esperienza con quella signora e, quella volta, potei finalmente soddisfare curiosità e voglie.
Sullo stesso portone di 'quella signora', c'era un travestito, col fisico da scaricatore, alto, massiccio e la voce baritonale che dopo avermi chiesto se volevo salire (ed avendo saputo da me che sarei anche salito volentieri, ma che non avevo una lira), mi fece salire nel suo monolocale al secondo piano e, dopo un breve periodo di preliminari, finalmente me lo piantò nel culetto!
Fu delicata e solo quando mi abituai al suo cazzo che mi scorreva nel culo, prese velocità e impeto e mi chiavò ben ben, fino a sborrarmi dentro. Fu un'esperienza assolutamente appagante e piacevolissima e, dopo quella prima volta, tornai da lei ancora e ancora (credo non più di cinque o sei volte in tutto), fino al giorno che non la trovai.
Mi ero affezionato a lei ed un po' mi sentivo di tradirla, ma già che ero lì, tanto valeva prendere un po' di cazzo nel culo ad ogni modo.
Da quella volta non la vidi più, ma dopo essermi fatto scopare da altri travestiti,conobbi la più famosa tra di loro, che chiamerò Regina.
Anche lei mi usò sessualmente, con mio grande piacere nonostante una dotazione decisamente non memorabile, insegnandomi sia a leccarlo e succhiarlo, sia a prenderlo dietro “da professionista”, cioè imparando a fare «le pompe col culo», cioè stringere e rilasciare ritmicamente lo sfintere mentre il maschio mi incula.
Mi chiese se avessi problemi a ingoiare e -ripensando sorridendo tra me ai miei inizi- l'assicurai che non c'era alcun problema e lei fu soddisfatta di questa mia risposta.
Dopo questo... addestramento, mi propose di... guadagnare qualche soldino con lei: si trattava semplicemente di entrare nel basso dove esercitava e poi starmene buono a leggere fumetti chiuso nel cesso e, se il cliente che Regina adescava voleva “il pivello”, allora entravo in ballo anche (o solo, secondo persone) io e potevo prendermi un po' di cazzi.
Regina era contenta che io (ed il mio culetto) fossimo così volenterosi, però la seconda metà del pomeriggio non era particolarmente buona, come fascia oraria e mi chiese se avessi potuto venire qualche sera a “lavorare”.
Le dissi che avrei pensato a come fare mentre avrei continuato, ogni tanto, a farmi vivo nel pomeriggio.
E, in effetti, c'era la possibilità di andare da Regina anche la sera: mia madre, ormai ogni sera, subito dopo cena si metteva un po' elegante e con la sua 500 andava a giocare a carte in un circolo d'arma e tornava solo dopo l'una del mattino, spesso anche dopo le due.
A volte, il sabato sera, mi portava con lei e io avevo modo di annoiarmi a morte, in attesa che, in pratica, i gestori del circolo mettessero alla porta gli ultimi giocatori, per poter chiudere e che poi accompagnassimo la sua amica Ketty a casa, fermandosi a ciarlare davanti al portone anche fino oltre le tre, mentre io cercavo di sopravvivere alle camionate di noia che mi travolgevano.
Però, avevo cogitato,nse io mi fossi messo in movimento alle 21, subito dopo che mia madre fosse andata via, sarei arrivato alla fermata giusto in tempo per prendere il bus che, passando relativamente vicino a casa mia, mi avrebbe lasciato a poca distanza dal Ghetto.
Per il ritorno, avrei dovuto prendere l'ultima corsa, che partiva alle 23,50, per non rischiare di dovermi fare i sette chilometri a piedi fino a casa.
Le probabilità che mia madre tornasse inaspettatamente prima, erano praticamente pari a zero e la faccenda aveva il giusto tasso di... avventurosità da stuzzicarmi.
L'unico problema era che l'abbonamento che avevo per il bus -per andare a scuola- mi consentiva di prendere anche la linea che mi andava bene la sera, ma solo fino alla prima fermata successiva a quella in comune con quellaa alla quale ero abbonato, ancora una decina di fermate prima della mia, giusta.
Contai sulla improbabilità di incappare in controllori e poi mi andò bene quasi sempre: solo una volta, in andata, venni beccato oltre i limiti, ma riuscii a commuovere il controllore raccontandogli che ero solo in casa, che la mia mamma era di turno in fabbrica e che la nonna mi aveva telefonato che si sentiva male e stavo correndo da lei, inventandomi un indirizzo plausibile.
Così mi passavo il mio paio d'ore chiuso nel cesso, con i giornalini e l'odore di orina e sperma, tuttora, mi fa tornare a quei tempi.
Capitava che, magari, in una serata nessuno oppure un solo un cliente voleva il pivello o, in altre, anche quattro, uno di seguito all'altro.
Ovviamente sapeva della mia necessità di prendere l'ultimo autobus e anzi stava attenta anche lei che non lo perdessi.
Quando avevo finito ed ero pronto ad andare alla fermata, mi salutava e mi metteva in mano qualche moneta ed io ero tutto contento che non solo avevo fatto sesso, ma -addirittura!- mi pagavano!
Poi gli anni, l'esperienza mi hanno ripensare a quei miei trascorsi e, ai valori di oggi, è come se, alla fine delle mie prestazioni, mi avesse dato una decina di euro, mentre magari lei ne ricavava cinquanta da ogni mio “cliente”.
Ma è solo una considerazione accademica: mi andava bene allora e non è cambiato il mio atteggiamento, nei confronti di quegli antichi eventi.
In fondo, al di là del solo sesso, mi divertiva avere una doppia vita sconosciuta a tutti: oltre a mia madre, arroccata nel suo piccolo egocentrismo, mi divertita anche andare la mattina a scuola, facevo la terza media, e pensare a quanto io sapessi del sesso, nei confronti dei miei compagni e delle mie compagne, compresa Wilma C., che se la tirava da “donna esperta”, ma era solo una quattordicenne che fingeva di essere un qualcosa che non avrebbe poi neanche saputo descrivere nel dettaglio.
Pensavo alla prof di italiano che aveva un atteggiamento da chioccia con tutti noi e mi scappava da ridere ad immaginare che faccia avrebbe fatto se mi avesse visto farmi inculare da “vecchi”.
-segue-
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