Vacanza obbligata, in campagna

di
genere
etero

Altro che mare! Quell’anno, con la bocciatura in quinta liceo, la famiglia lo aveva mandato a prendere aria buona in campagna, dagli zii che vivevano nella cascina che era stata dei nonni, nel bel mezzo della Bassa padana. Marcello era disperato; sarebbe stato relegato in un posto in fondo al nulla, per un intero mese; altro che spiagge, ragazze in bikini e sere in discoteca. Agli amici del mare aveva telefonato, prima di lasciare la città e, con una voce da funerale, aveva detto loro che si sarebbero visti l’anno dopo, ma proprio se fosse andato tutto bene.
Il padre lo aveva accompagnato in auto, con la Centoventiquattro giardinetta, carica più di libri, i libri delle materie che Marcello avrebbe dovuto obbligatoriamente ripassare, che degli scarsi bagagli del ragazzo. Arrivati, si fermarono nell’aia polverosa e assolata della cascina; smontarono dall’auto e, pian piano, videro arrivare, quasi uno alla volta, i componenti della famiglia. Saluti, baci e pacche sulle spalle: zii, cuginetti e il cugino grande, Pietrino, con Teresa, sua sposina da un due anni scarsi.
Il padre di Marcello, dopo i convenevoli, prese la sorella a braccetto e cominciò a parlare, con aria piuttosto alterata e a voce alta, facendosi sentire da tutti:

“Capito Maria, tu, a questo lavativo, prendilo a calci nel sedere, se non lo vedi piegato a studiare, giorno e sera, perdio… Per un anno intero, ha fatto di tutto meno che quello: amici, le ragazzine dietro al motorino, il campo scuola con questa benedetta atletica, il cinema, i fumetti e tutte queste castronerie. Un anno mi ha perso, questo lavativo, un anno! Era sempre andato bene a scuola ed io, a settembre, se mi fosse passato, già me lo vedevo con me in ditta, col diploma in tasca…”

Marcello, muto, non sapeva dove guardare. I cuginetti piccoli, lo scrutavano seri, con un che di accusatorio, la zia Maria e lo zio Oreste mostravano sguardi tra il severo e il comprensivo e Pietrino, che aveva cinque o sei anni più di lui, lo osservava placido con il suo sguardo perennemente calmo, per non dire assonnato, se non addirittura inerte. Gli unici occhi che sembravano veramente contenti di vederlo erano quelli vivaci della Teresa, la sposina.
Il padre di Marcello, nemmeno si fermò a cena. L’indomani la ditta era aperta e lui doveva stare al timone, “come al solito”, precisò guardando fisso Marcello, con l’idea di far capire al figlio che in famiglia non mancava certo il senso del dovere e del sacrificio.

La zia gli fece vedere la camera, appartata, piccola e tranquilla, con una finestrella affacciata sul boschetto e non verso le stalle o la porcilaia. Lo portò su e gli disse:
“Marcellino, qui sei un po’ lontano dal resto delle camere; però almeno sei anche lontano dalle vacche e dai maiali, ché sei di città e non sei abituato, e l’odore ti può dar fastidio; come a tua mamma, che quando viene qua sta sempre male, i primi giorni. La stanza è piccola, ma va, dà retta a me, che ci dormi bene. Poi, per studiare puoi andare nella sala da pranzo di Pietrino, che non c’è mai nessuno, è fresca ed è lontana dalla camera del bambino. Neanche lo senti piangere, quando si mette a strillare...” e gli diede un affettuoso scappellotto tra capo e collo, la zia, con la sua mano larga come una pagnotta.

La mattina dopo, sul presto, si mise a girare per la fattoria, un po’ di cattivo umore. Pensava di essere in una prigione o in un eremo dove non passa una ragazza neanche a pregare e, riguardo i divertimenti, neanche a cercarli col lanternino. Salì in camera, si mise i pantaloncini da corsa, la maglietta della scuola e cominciò a correre per i viottoli del podere. Occhio e croce poteva farsi un bel circuito di un due chilometri. Iniziò a correre e si fece una bella ora e mezza, girando in tondo: prima piano, poi forte, poi scatti da circa duecento. Nel podere nemmeno un cane: capace che lo zio e Pietrino fossero in paese, all’agraria a far compere, o dal meccanico, che la sera prima si lamentavano del trattore grande.
Tornò che era sudato fradicio e accaldato, prese la canna, quella con l’acqua del pozzo, e si bagnò tutta la testa, la faccia e le braccia. Sull’aia spuntò fuori Teresa che lo chiamò.
“Cosa hai fatto Marcellino? Hai fatto il bagno in un fosso, che sei bagnato come un pulcino? Vieni con me, va, che devo portare i cavalli al recinto, che sono chiusi da ieri pomeriggio e si devono muovere, povere bestie.”
Marcello le trotterellò dietro e, senza accorgersene, si accorse di stare a guardarla. Lei aveva un vestitino in stoffa leggera, piuttosto corto, sbracciato. Camminava muovendo la coda di cavallo, con una bella andatura di ragazza snella. Aveva il bambino di un anno in braccio e lo teneva senza sforzo, allegra.
“Dai che mi aiuti, che ho il bimbo che mi impaccia. Apri le porte e spingi i cavalli, che li conosci tutti e ti danno retta.”
Marcello, in silenzio, fece tutto quello che Teresa gli comandava.
L’ultimo cavallo era un bel morello, vivace e col manto lucido.

“Brenno! Bello! Come stai?” gli fece Marcello tutto allegro.
“Ah, già. Con lui sei proprio amico. Anzi, non glielo hai dato tu, ‘sto nome strano?” gli fece Teresa.
“Sì, Brenno, come il capo dei barbari che devastò Roma. Ti ricordi che da puledrino entrò nel campo di cavoli facendo danni a non finire? Glielo misi per quello, dovemmo ricacciarlo noi via dal campo, come fece Furio Camillo da Roma con i Galli di Brenno. Per questo il nome…”
“Beh! Sarai stato pure bocciato, ma ne sai di sicuro più di me, che sono andata poco a scuola!”

Brenno sembrava contento di salutare Marcello, ma, una volta entrato nel recinto, si volse ad annusare Teresa e a strusciare il muso contro di lei. Nel mentre -davanti ad un imbarazzato Marcello- il membro del cavallo cominciò ad allungarsi ed ergersi. Lo scuoteva e sembrava cercare l’approccio con la ragazza, come fosse una delle puledre che giravano per il recinto.
Teresa, invece, se la rideva e diceva al cavallo:
“Stupido Brenno, son femmina ma mica son cavalla, sai?” e l’allontanava col braccio libero, ridendo.
Marcello, a vedere la scenetta, sentì qualcosa muoversi nei pantaloncini e cominciò a sentirsi morire di vergogna.

“Marcellino, sei cugino di Pietrino… ma a vedere cosa si muove lì sotto sembri più cugino di Brenno!” e si mise a ridere, lasciandolo lì, in piedi, vergognoso e con le due mani davanti.

Mezz’ora dopo, Marcello era a fare la doccia, cercando di lavarsi anche la figuraccia di dosso, ma si trovò con il pisello duro come la pietra e con un prurito da matti e si sentì costretto a cominciare a menarselo. Si mise a pensare che, fino ai tredici anni, sembrava avesse un cosino da niente, per poi vederlo crescere a dismisura ed averlo l’anno dopo come una pertica. Presero a prenderlo in giro ad atletica, sotto le docce, e anche con le ragazze non sembrava un vantaggio. Due compagne di classe, in terza, si impegnarono nel menarglielo e solo quello. In quarta si mise con Luisa, che leccava e glielo toccava, ma se lui si azzardava a puntarlo contro di lei ad altezza mutandina se la filava di corsa. Qualche mese fa, sembrava aver trovato una interessata al suo armamentario, ma erano entrambi imbranati quanto assatanati e, nonostante lei lo volesse molto, non riuscirono mai a concludere per incapacità tecniche. Non può passare un cammello attraverso la cruna di un ago, -a meno che non si usi molta lubrificazione- ma i due non sapevano niente sull’argomento e fecero innumerevoli tentativi, che portarono solo a molti pasticci, qualcheduno anche divertente, se proprio volevano accontentarsi di briciole di piacere. Era dunque sotto la doccia a menarselo, con la mente che vagava, e si accorse di stare a pensare proprio a Teresa. Teresa che muoveva, camminando, la coda di cavallo, che sorrideva davanti all’eccitazione di Brenno, il cavallo, e sorrideva al suo imbarazzato membro che le ricordava, per l’appunto, il cavallo. Pensò al suo vestitino, alle gambe snelle e scoperte, le braccia e quel po’ di scollatura; allontanò il pensiero che lei era la moglie di suo cugino e finalmente venne, che erano ben due giorni che non si masturbava. Un record di astinenza.

Passò due giorni a studiare. La mattina e il pomeriggio, andava a studiare nella sala da pranzo di Pietrino e Teresa, cercando di leggere, prendere appunti; ma, ogni volta che la ragazza passava vicino con un’espressione maliziosa e un po’canzonatoria, i suoi pensieri lasciavano gli studi e galoppavano altrove... soprattutto dietro al vestitino corto di Teresa.

Il terzo giorno successe una cosa strana e straordinaria. Per una cosa o per un’altra, la cascina si svuotò: lo zio, la zia e i cugini piccoli dovettero andare dalla sorella dello zio, la signora Adalgisa, che Marcello ricordava come spesso malata, immaginaria eppure assillante e cronica. Partirono la mattina in macchina, con armi e bagagli, perché il viaggio era lungo e sarebbe stato un soggiorno magari non breve. La zia lasciò al ragazzo il frigorifero pieno, che non si fidava della cucina di Teresa, e se ne partì. Rimase dunque con Pietrino, Teresa e il bambino piccolo. Il giorno dopo, partì anche Pietrino, che gli avevano telefonato per informarlo che aveva ottenuto un colloquio, in un’azienda a Reggio Emilia. Partì, tutto speranzoso, con la previsione di stare tre giorni fuori casa, tra colloqui e test, inseguendo il sogno di trovare, con il suo diploma di tornitore, finalmente una fuga dalla vita di campagna.

Appena andato via Pietrino, Teresa si presenta in sala da pranzo, con un vestitino dei suoi, quindi corto, sbracciato e scollato.
“Vienimi ad aiutare, seguimi!”
Marcello la segue, in silenzio, e, nel pantaloncino corto, se lo sente già barzotto.

“Stenditi sul letto Marcellino, che devo prender le misure, perché devo tagliare delle lenzuola e farle il bordo. Sei un po’ più alto di Pietrino, ma fa niente.”
Marcello si stende nel mezzo del letto, dritto e rigido come un baccalà. Lei lo vede così e scoppia in una risata. Gli salta sopra con un balzo e atterra allegra sopra la sua pancia.
Comincia a muoversi con le anche e ride:
“Sai che sei un bel tipo? Eh?” Marcello resta muto, sente il tepore delle cosce della ragazza, sente il suo odore fresco e comincia ad avvampare e a muovere a destra e a manca la testa, come un prigioniero sotto tortura.
“Dai… Dimmi un po’: davvero ce l’hai grosso, Marcellino? Ho visto bene giorni fa?”
E comincia a strusciare il sedere, scendendo dalla pancia di lui verso il basso.
Marcello pigola come un pulcino: “Teresa dai, sei la moglie di mio cugino… ti prego, fa la brava…”

Lei si muove un po’ più giù e le natiche toccano l’affare che a lei ricordava quello di Brenno, il cavallo.
“Dio! Ma è proprio vero o hai messo qualcosa nei pantaloni per prendermi in giro?”
“Cavolo ti viene in mente, Teresina… Togliti, ti prego…” quasi piagnucola.

Teresina non molla. Comincia a strusciare l’inguine su quell’affare che sente guizzare come un’anguilla. Marcello non si muove, è fermo come una statua.
Lei alza le anche, scende verso il bordo del letto e con le mani gli sbottona il pantaloncino, tira fuori il membro e dopo essere restata qualche secondo a bocca aperta a rimirarlo, comincia a leccarlo, mugolando.

Fa alzare Marcello dal letto e si mette in ginocchio davanti a lui, sputa sull’affare e cerca di prendere in bocca più che può. Marcello una cosa del genere non l’aveva mai provata e pensa alle ragazzine che leccavano e smanettavano inesperte e maldestre. Ora ha invece Teresina che lo prende in bocca, lo slingua e lo succhia, che mugola, prende fiato per dirgli. “Non venire subito che voglio giocarci così; ancora un pochino, dai…”
E lui, a pensare al Leopardi, al Manzoni, a qualcosa di triste e noioso che glielo faccia ammosciare: “Ei fu siccome immobile, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro…”
Ancora due o tre minuti di quella goduria e poi esplode. Vede i fuochi d’artificio, le lucine e un calore intenso. Viene come un idrante, sembra non finire mai…
“Dio, Teresina, Dio, ma che sei…”

Teresina ingoia, si pulisce viso, braccia e vestitino, con un asciugamano che è andata a prendere di corsa in bagno. Poi torna e si spoglia. Lo fa piano, guardandolo fisso negli occhi, con un mezzo sorrisetto impertinente stampato sul viso.
“Che carina che sei Teresa, non sembra che sei una donna che ha avuto un figlio, sei proprio una ragazza…”
“Scemo che sei, ho un figlio, ma non ho ancora ventidue anni. Sono una ragazza.”

Lo prende con la mano e lo porta sul letto. Se la fa leccare per bene prima di prenderlo e lui entra dentro, prima piano e poi la scopa con foga e la bacia in bocca, anche per non farla gridare troppo. Non c’è nessuno in cascina, ma non vuole far svegliare il bambino, che dorme nella cameretta accanto.
Fino al giorno del ritorno di Pietrino scopano come ricci. Non le contano le volte al giorno. Lo fanno dovunque, anche nel pollaio, in piedi, mentre dovrebbero governare le galline, anche nella scuderia dei cavalli, sulle balle di fieno, con Brenno che guarda e sembra non gradire.

Torna Pietrino e poi tornano tutti. Marcello per non pensarci studia, va a correre e si fa delle gran seghe in cameretta pensando a Teresa, che gli ha fuso il cervello.

Poi, due giorni prima di partire…

Il pomeriggio è caldo e pieno di sole. Marcello è fuori nell’aia e nessuno si sente né si vede. Al sabato, è probabile che anche in campagna si usi il pisolino, quando fa troppo caldo per uscire. Con le mani in tasca, rasenta i muri, stando nell’ombra. Ecco che, da una delle porte di casa spunta Teresa, con uno dei suoi soliti vestitini corti e una borsetta a tracolla. Ha l’indice sulla bocca e gli fa segno di far silenzio. “Seguimi” sussurra passandogli vicino.
Rasentano i muri, attraversano quasi di corsa un cortiletto e vanno al piano sopra di una delle stalle, dove conservano il fieno appena tagliato. Salgono le scale e si intrufolano tra le balle di fieno e, poi, lei lo porta in una specie di stanzino, fresco e nascosto.
“Siamo lontani da tutti e voglio che tu mi faccia una cosa, prima di andare via, Marcellino mio...”
Marcello deglutisce, mentre lei si spoglia con un solo gesto, completamente nuda sotto il vestitino. Poi, apre la borsetta e tira fuori un cartoccio. “Burro” fa lei guardandolo negli occhi “fa miracoli”. Marcello deglutisce ancora.

Lei bacia il ragazzo, con passione, ma con tristezza, anche.
Si volta e si china in avanti, offrendogli le natiche tonde e bianche. Marcello si scuote dal torpore che gli era preso e prende il burro. Prima bagna con la saliva, la passera e poi le natiche, e comincia a scopare, mentre con il burro, passa e ripassa sul buchetto posteriore. Lo vede aprirsi e fremere, mentre la scopa davanti. Dopo poco lei viene e, mentre gode e mugola, gli dice: “mettilo dietro, ora!”
Marcello esce e passa nell’altra apertura, che vede aperta e unta. Poggia e spinge, spinge.
Teresa mugola, tra piacere e dolore: “lo voglio, lo voglio, anche se mi spacchi. È da giorni che non penso ad altro. Voglio sentirti dentro, mio fino in fondo, fino a morire.”
Marcello prende da subito un bel ritmo; vorrebbe frenare i colpi, ma non ci riesce, è troppa l’eccitazione. La prende per i fianchi, forte, e la monta, come un animale. Forte, forte, ed è dentro, ormai fino in fondo. Teresa non mugola neanche più. Lui la prende per il seno e viene e non capisce più niente: il tempo si ferma e ha come un lampo in testa. Quasi crolla su di lei che, ormai, è a quattro zampe.
Esce, si pulisce con un fazzoletto che ha portato lei. Si baciano a lungo e lei gli dice: “una cosa così non la proverò mai più…”
Si baciano forte, si stringono l’uno all’altra e…

La porta cigola, si apre, e c’è Pietrino con la faccia stravolta e piangente.


Due mesi dopo:
Rosso e affannato, con l’intercalare cittadino ormai sparito, come mai ci fosse stato: “Orca di quella zozza, Marcello! Ma benedetto figliolo, ma… ma tua madre ed io non riusciamo a dormire una notte che sia una, che fate tremare le mura al villino intero, perdiobuono! Ma come cazzo fai - e fammelo dire! - a trombare la Teresa tutta la notte, facendo un casino che neanche a Napoli di Capodanno, e alzarti la mattina e andare in ditta e poi a frequentare le serali, che, se quest’anno, se non prendi il diploma da ragioniere - mondo ladro! - ti mando ad Alcatraz, sai? Altro che Teresina, che te l’ho presa in casa come fosse tua moglie, che, per questo casino che m’hai combinato, non parlo più con mia sorella e… porca di una miseria!… non hai manco diciannove anni… porca vacca…”


di
scritto il
2022-09-29
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