Il venditore ambulante

di
genere
trio

Cammino sul bagnasciuga, tette al vento e passera quasi. Sì, va bene, tettine. Mio marito mi segue guardando per terra. Cerca conchiglie, ma l'andatura corrispondente alla mia dà l'idea a chi ci vede che mi stia seguendo per osservarmi da dietro. Non rappresento una novità, per lui: sono più di quindici anni che mi vede.
In senso opposto al nostro procede un ambulante col suo carretto di indumenti da mare: costumi, copricostume, gonnelline, pantaloncini e accessori vari. Gran parte sono abiti che non tutte le donne indosserebbero, neanche al mare. Ma chissà perché, riflettendoci, questi ambulanti hanno soltanto indumenti femminili e raramente qualche costume maschile? Mi viene il dubbio che magari mirino al baratto con una scopata. Do per certo che quasi nessuna indosserebbe quegli indumenti per girare in città. Magari io sì, ma l'eccezione non fa testo. Mi piace passeggiare sentendomi pronta per farmi scopare; pronta nel fisico e nell'abbigliamento. Oppure per farmi una donna. Poco importa se di venti o di settant'anni.
Noto che mio marito cambia direzione e si reca verso la pineta. Forse deve fare pipì. Per quanto interessante (soprattutto per noi donne) possa essere la grossezza del suo uccello, non è il caso che lo esibisca qui, per poca che sia la gente.
Chiedo all'ambulante di mostrarmi qualcosa che mi si addica. Mi guarda e vuol sapere se io desideri qualcosa di completamente diverso da ciò che sto indossando o qualcosa sulla falsariga. I suoi occhi su di me sono talmente fissi da sembrare paralizzati. Penso mi voglia sbranare. Ottima idea, se ce l'ha. La passera comincia a palpitare. Gli rispondo che mi faccia vedere qualcuno dei vestitini. Di quelli succinti, intendo: lui dà l'impressione di capire perfettamente. Me ne mostra uno di rosso, uno nero e uno fucsia. Dice che esaltano la mia abbronzatura. Sorrido compiaciuta, ma vedo un grande scialle traforato e una camicia in pizzo in stile Positano. Me ne mostra qualcuno. Guardandolo fisso negli occhi gli chiedo se sia possibile provarli. Con un atteggiamento profondamente porco dichiara il proprio entusiastico assenso. Però non s'aspetta che io mi tolga il perizoma per avvolgermi nello scialle. Benché si sforzi a nasconderlo, ansima, gli si gonfiano le vene. Presumo anche quelle del cazzo, ma non si vede e resto nell'incertezza. Per il momento. Gli chiedo se abbia uno specchio, anche non grande, o se debba accontentarmi delle sue reazioni per capire come io possa stare. Ovviamente non ha capito la mia ironia, perciò con libidinoso servilismo estrae uno specchio e me lo consegna. Mi guardo il viso; per il corpo è più convincente l'espressione del tizio. Vedo mio marito spiare da qualche metro di distanza. Platealmente mi libero dello scialle e indosso la camicia di pizzo che, come mi aspettavo, arriva appena sotto l'inguine. È trasparente come una finestra aperta. Benissimo. Le vene dell'ambulante dimostrano doti di elevata elasticità nel gonfiarsi. Anche quelle del cazzo, che non si vedono ma sanno dimostrare visibilmente il loro effetto facendo assumere una particolare configurazione alle sue brache. Un effetto che mi piace e soprattutto piace alla mia passera che comincia a sbavare. Mi giro e mi rigiro, continuando ad osservare un po' l'ambulante e di sottecchi un po' anche di mio marito. Non vedo l'ora di essere presa senza rispetto. L'ambulante decide che è l'ora di provarci. Io ritenevo lo fosse già da diversi minuti. Gli propongo uno scambio: una scopata in cambio della camicia. Finalmente s'è accorto della mia concentrazione sul suo inguine. Si fa avanti, mi tocca. Mi giro con la schiena rivolta verso il mare, in modo che lui abbia mio marito alle spalle e non lo veda sopraggiungere. Neanche fosse un segnale convenuto, mio marito s'accosta a noi mentre i movimenti dell'ambulante si stanno spingendo oltre i preliminari, che per quanto brevi non mi erano necessari: ero già pronta a prendermelo in corpo da un bel po'. Mi penetra senza difficoltà nella passera. Ce l'ha parecchio lungo, sicuramente più di mio marito, ma quanto a grossezza mio marito lo duplica. La voce di un uomo interrompe il nostro duello testé iniziato. Il venditore si blocca di soprassalto. Quando poi mio marito reclama, in quanto tale, la sua parte, l'altro impallidisce e sento la sua asta che dentro di me (molto dentro) perde forza e consistenza. Cerco di massaggiarlo coi miei movimenti. Il suo calo di tensione rallenta e si blocca. Avere in corpo un ospite così non è niente male, ma lo preferisco nella versione precedente. Sono io a suggerirgli di sdraiarsi per impalarmi sopra di lui. Nello spostarci gli si completa e giunge, penso, al massimo l'indurimento. Ora lo sento ancor di più. Mi sembra mi arrivi nello stomaco. Intanto mio marito si mette dietro di me e mi penetra. Riceverlo dietro è sempre un momento di dolore, ampio e profondo dolore. La presenza dell'altro cazzo nella mia figa rende la questione ancor meno agevole. La spinta di mio marito è tale che, voglia o no, l'entrata riesce rapidamente. Rimango senza fiato, immersa in un mondo nero. Presto torna la luce e altrettanto rapidamente i due prendono il ritmo. Non capisco più niente. Sono soltanto godimento e fuochi artificiali. Vorrei continuasse così finché non muoio. Intanto il tipo mi viene dentro. Le sue pulsazioni inventano altro piacere. Però non cala e io continuo a muovermi come prima. Come prima in una specie d'infernale paradiso. Potrei svenire e non capisco se sia la mia resistenza o la loro irruenza ad impedirmelo. Non che m'importi granché di comprendere: l'unico interesse è non perdere un attimo, una sensazione, una vibrazione o una mossa.
Mi brucia parecchio l'ano e mi duole abbastanza la passera, mentre cammino di fianco a mio marito indossando una nuova camicia bianca di lino, trasparente dove i lembi di tessuto sono presenti, ma ancor più fresca in corrispondenza dei mille fori del ricamo. In una mano tengo un ampio scialle di pizzo, morbido, che può farmi da vestito. Nell'altra il calore della mano di mio marito. Fra le gambe il residuo luccicante colare di noi due e dell'ambulante che si perde in lontananza. Gli ho lasciato il mio perizoma bello zuppo come ricordo, visto che camicia e scialle mi sono stati lasciati come in pagamento. Una specie di baratto, insomma. Chi ci ha guadagnato sono stata io, anche mettendo come passivo il dolore e il bruciore moltiplicati per dieci.
di
scritto il
2022-10-28
6 . 3 K
visite
0
voti
valutazione
0
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

Frammenti d'estate (2)

racconto sucessivo

Pomeriggio d'autummo
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.