Metamorfosi d'amore. Due donne. (seconda parte)

di
genere
saffico

Resto stupita da questa donna che mi abbraccia e mi passa le sue mani sulla schiena arrivando a toccarmi il sedere. In effetti non c'era tutta questa urgenza di riscaldarmi. Ma mi lascio trasportare dal suo massaggio caldo e dal contatto del suo seno sul mio, del suo ventre contro il mio. Guardo il suo viso, tutto concentrato nell'azione di frizionarmi, e mi viene istintivo di mettere le mie mani sui suoi fianchi.
“Sembriamo le due farfalle di prima, abbracciate nel fresco della notte. Tu quella chiara e io quella bruna.” Le dico inseguendo col mio sguardo il suo viso affaccendato. Lei si ferma e mi guarda negli occhi; le sue mani attorno ai miei fianchi e le mie a cingerle la vita.
“Sai?”, riprende lei a parlare, “vi ho visto mentre vi calavate dalle cascate sul torrente, appese alle corde. In quei momenti ho avuto una riminiscenza che non so spiegarmi, un turbamento, mentre inseguivo un ricordo, una vaga idea che mi sfuggiva.”
“Come ti è successo poco fa?” le rispondo sforzandomi di capire, “quando ho usato quella frase: non ce n'è abbastanza...”
“No, ce n'è per tutte e due” Mi corregge.
“Ecco, sì, che cosa ti è preso?”
“Non so, è da un po' che mi capita di avere dei pensieri, dei sogni che non so più se sono a occhi aperti o mentre dormo.”
La guardo senza capire. Lei dopo una pausa, prosegue.
“E poi, quando vi ho visti appesi alle corde, ho avuto una specie di déjà vu: la sensazione di calarmi anch'io su una corda.”
“Fai alpinismo anche tu?”
“No, assolutamente. È per questo che forse non sono mai riuscita ad afferrare questa
sensazione, finché vi ho visti scendere sulle corde. È come se mi fosse venuto un lampo, come se si fosse diradata una nebbia e anche solo per un attimo avessi visto tutto chiaramente. Ma poi la nebbia si è richiusa e si è nuovamente diradata quando tu hai detto quella frase. Non riesco a spiegarmi. Eri tu, forse sulla corda, e io vivevo sensazioni di riminiscenze che non riesco a concretizzare.”
“Fruuut?” Dico io, e subito mi stupisco di questa frase senza senso che involontariamente mi è fuggita tra le labbra.
Ma lei si gela davanti ai miei occhi; mi guarda come paralizzata, gli occhi sbarrati. E nello stesso istante anch'io comincio a sentire qualcosa.
Le sue mani intanto mi sono scivolate sotto il costume, sul sedere, e mi sento stringere e
attirare contro il suo corpo, il mio pube sul suo monte di Venere.
Piego indietro la schiena per poterla vedere meglio. Siamo quasi appiccicate, come le due
farfalline di prima, e nell'oscurità incipiente il suo viso assume contorni non più così ben definiti.
“Hai detto fruuut?” Chiede lei con un tono incerto.
Annuisco e un'idea vaga prende forma sotto i miei occhi, ma subito scappa nell'oblio. Eppure sento la mia voce riprendere un discorso interrotto chissà quando e in quale circostanza che non ricordo: “Anche a me capita una cosa simile e non sapevo cosa fosse, non mi capacitavo di cosa mi stesse capitando, fino a ora, fino a quando tu stessa non mi hai raccontato di queste tue strane turbe.”
Ora è lei a fissarmi intensamente, mentre cerco di riordinare idee confuse e frammentate che solo ora prendono forma, come se mi fosse stata fornita finalmente una chiave di interpretazione di eventi che attraversavano il mio vissuto senza mai arrivare a livello della coscienza.
“Spiegami, Yuko, ti prego, che cosa senti, cosa provi.”
Quello che sento, adesso è soprattutto il suo odore. Un sentore familiare, qualcosa di noto eppure indefinito, una sensazione che inseguo senza scorgere e che solo ora assume contorni più definiti, eppure ancora così incerti.
“Ma non so, Valeria, solo vaghe forme, un colore verde acceso, e poi la sensazione di un lungo sonno, protetta in un ambiente accogliente, in attesa di un qualcosa in divenire... Non so, non sono mai riuscita a capire nulla di questi flash che mi capitano all'improvviso. E non so perchè sto dicendo tutte queste cose a te. Ti conosco solo da dieci minuti, eppure...”
“Eppure?”
“Non riesco a capire. C'è un qualcosa in te... mi vengono in mente cose cui non riesco a dare un senso, come quel suono: fruuut; mi è venuto da dirlo quando tu hai parlato di corde, ma non so perchè.”
Sento le sue dita che affondano nei miei glutei.
“È come se avessi già pronunciato questa parola. 'Fruuut e scendi sulla corda' o qualcosa di simile. Mi viene in mente e mi riesce naturale dirlo a te, eppure non capisco da dove e come mi venga questo istinto.”
Lei continua ad affondare le sue dita nel mio sedere.
Rilasso il mio corpo, come un giunco, assecondando quelle braccia che mi stringono a lei, il mio ventre si appoggia di nuovo al suo e io allungo le mia braccia attorno alla sua schiena come per avvolgerla in un abbraccio protettivo. E tutto questo non ha senso, oppure ha un significato cui non riesco a dare un nome. Mi lascio attirare dalle sue braccia e lei cede alle mie.
Il mio seno si appoggia nuovamente al suo e lei ha un piccolo scatto al contatto col mio
costume bagnato.
“Oh! Scusami!” Mi ritraggo per non bagnarla.
“Ma figurati!” Mi risponde e sembra volermi stringere di più. Le sue mani mi accarezzano sotto agli slip, sembrano volersi spingere più sotto, tra le mie cosce.
“Non voglio bagnarti” e osservo la sua maglietta chiazzata dell'acqua del mio reggiseno. I
capezzoli si intravvedono sotto quei pochi centimetri di tessuto umido.
“Non preoccuparti” mi risponde e sembra che con la bocca voglia avvicinarsi al mio collo.
“Aspetta” dico io. Lascio l'abbraccio con cui l'avvolgevo e mi slaccio il reggiseno, rimanendo questa volta io a seno nudo davanti a lei. “Così non ti bagno”. Il pezzo sopra del bikini scivola dalle mie mani sul prato che ci circonda.
Valeria guarda il mio seno e a me fa piacere mostrarglielo, mi eccita che lei mi guardi.
Sento le sue mani che scendono nel mio slip e le sue dita si riuniscono tra le mie cosce, mi sfiorano la vulva, si muovono cercandomi e allargandomi.
Vengo scossa da un sussulto di piacere. Un gran calore mi si diffonde tra le gambe, la
sensazione del liquido caldo che affiora in superficie, mentre le sue dita incontrano la mia tiepida marea. Inarco la schiena e le offro il mio seno. Le mie braccia ritornano ad avvolgerle la vita e prima di chiudere gli occhi la vedo che si china sul mio petto.
Ed ecco, i suoi delicati baci, le sue labbra calde sui miei capezzoli freddi e dritti.
Gemo e sospiro e col mio bacino mi spingo verso il suo, la voglio sentire contro di me, la
cerniera dei suoi calzoni sul mio monte di Venere.
Lei affonda il suo volto tra i miei seni e le mie mani trovano la strada sotto la sua maglietta, le risalgono sulla schiena e si arrestano sulle sue scapole.
La stringo al mio corpo mentre sento le sue dita che entrano in me.
Allargo le gambe sotto le sue carezze, sotto quei baci caldi, quella lingua che mi scivola sui capezzoli, che li accudisce, li accarezza, quelle labbra che mi succhiano e le sue mani che mi tengono sotto le cosce, mi aprono e si infilano al mio interno.
Mi si piegano le ginocchia e mi accascio, sorretta dal suo abbraccio.
Lei mi adagia a terra e mi è sopra. Mi sfila gli slip e io la assecondo alzando il sedere da terra per liberarmi dell'indumento.
La sua bocca mi bacia i seni, scorre sui capezzoli e mi naviga sul petto, la sua mano ora scivola sul mio ventre, si perde nei miei peli e approda sul clitoride mentre i miei gemiti si intensificano come un lamento, un canto notturno all'astro della notte.
I nostri volti finalmente si incontrano, le labbra si toccano e si aprono e la mia lingua invade la sua bocca. La cerco e la trovo, la sua lingua si consegna al corteggiamento della mia. Calda, umida, in continuo movimento unita alla mia.
Il suo sapore, il suo respiro che si infrange sulle mie narici, i miei gemiti soffocati nella sua gola mentre quelle dita impazienti mi scivolano sul clitoride e mi entrano dentro.
Le mie mani si affannano sull'apertura dei suoi calzoni. Lei si muove un poco e se li slaccia, li sfila con rabbia, senza perdere tempo, e consegna il suo pube, la sua intimità alle mie mani.
La sento calda; calda e bagnata. I suoi umori mi bagnano le dita mentre la posseggo, mentre ripeto dentro di lei quello che lei sta già facendo dentro di me.
Due dita la massaggiano, scivolano nel suo nido, si perdono nei suoi meandri e finalmente la sento gemere, unendo la sua canzone melodiosa alla mia.
Due donne si amano distese nell'erba fresca sul bordo di un torrente, mentre l'oscurità le avvolge e i loro gemiti si mescolano ai rumori della notte.
Il mio respiro si fa affannoso, ma non voglio lasciare quella bocca, non voglio perdere il suo fiato che si mescola al mio respiro.
Lei geme dentro di me e io spingo le mie dita nel suo profondo, risalgo al vertice del suo
piacere, lo cerco, lo riconosco e lo accarezzo. Piccola resistenza acuminata in un letto di morbide mucose.
Sento le sue dita che mi dilatano, che affondano nel mio ventre, si allargano e mi scivolano fuori per poi rientrarmi dentro più profonde, più intense.
Mi massaggiano le pareti interne, mi corteggiano il clitoride, mi stuzzicano le pieghe esterne.
Con le dita bagnate del suo piacere le sollevo la maglietta e le prendo il seno in una mano. Con l'altra la stringo e me, e sempre la sento che mi entra dentro e che mi abbandona per ritornare con più forza e più passione.
Abbandono il suo bacio per affondare sul suo petto, per prendermi in bocca i suoi seni, come frutti tropicali intensi e maturi. Ora è lei a subire i miei assalti. Mi mette le mani sulla nuca, le sue dita nei miei capelli e io mi immergo nella morbida consistenza di quel petto dolce come il miele, soffice come un velluto ricamato su una nube.
La sua voce mi giunge indistinta, pronuncia il mio nome e mi invoca.
Declino sul suo ventre costellandolo di baci, la mia lingua delinea i contorni del suo ombelico prima di affondare tra i suoi peli.
Il suo soffice monte si sporge in cerca dei miei assalti.
Io la mordo, la bacio, la succhio.
Ma intanto come un lento sospiro mi inoltro tra le sue cosce. Mi sposto tra le sue gambe, gliele allargo e mi ci infilo in mezzo.
Le mie mani le dilatano gli inguini e la mia lingua preme là dove più caldo geme il suo fluido.
La bacio e spingo le labbra mie tra le sue, più calde e bagnate. Le cerco il clitoride con la punta del mio gusto e ne assaporo l'aroma, le mie mani risalgono a imprigionare le sue tette, le sue mi artigliano i capelli, trascinandomi nel gorgo dell'abisso della sua vulva.
Io affondo e bacio, lei geme e stringe e quando arriva al colmo, mi serra le cosce sulla testa e in un roco urlo mi regala il suo orgasmo e un fiotto dei suoi umori. Si scuote sulla mia bocca in urla successive, prima di abbandonarsi alla processione dei miei baci che, dal suo monte di Venere,
risalgono sulla morbida convessità del suo ventre, poi al torace che presto si innalza nei suoi seni. Piccola sosta a riverire i capezzoli gonfi di nettare per approdare di nuovo alla sua bocca.
Il suo respiro è affannoso quando lo raccolgo ancora nella mia bocca. Ogni sua molecola di aria deve passare da me prima di ritornare al prato.
La salgo addosso, con la mia vulva aderisco alla sua e mentre mi stringe nel suo abbraccio, con le mie cosce avvolgo i suoi fianchi.
Ora le sue dita mi sfiorano il sedere cercando le mie entrate.
In un bacio continuo una sua mano mi serra sul suo petto mentre l'altra seguendo la linea tra i miei glutei trova la mia entrata e la conquista.
Strofino il mio pube sul suo, sento il suo clitoride sul mio, le sue pieghe bagnate accolgono i miei umori filanti che colano dentro di esse.
E con le dita mi penetra e mi devasta, guida i miei movimenti sulla sua vulva.
Scivolo su di lei, le nostre nature femminili a contatto con un bacio infinito come le nostre bocche e le nostre lingue.
Spingo il clitoride contro il suo ventre e con le dita le permetto di esplorare e penetrare, finchè anch'io mi lascio andare in urla e gemiti che lei accoglie pietosamente nel suo respiro.
Mi segue mentre il mio orgasmo divampa, esplode. Dal mio interno cola il mio piacere su di lei, come vivace lava dalle bocche di un vulcano, mescolandosi ai suoi flutti, lambendo le sue pieghe più interne.
Gemente mi sciolgo su di lei, il mio corpo non ha più forma, è solo fatto di fluidi di piacere, di morbido mollusco in caldo disfacimento; aderisco ai suoi seni, al suo ventre e alla sua vulva come un essere liquido, abbandonato alle sue carezze.
I nostri respiri si uniscono, si placano, si sedano insieme mentre le nostre mani disegnano coreografie arabescate sulle nostre pelli setose, sulle nostre superfici di velluto.
Io, nuda, sul suo corpo nudo, nelle ombre della notte. A lei avvolta, a lei unita. La riscaldo, la copro, la avvolgo, la proteggo.
E lei mi cinge, mi stringe e ancora mi cerca, mi brama, mi desidera.
Mi appoggio con un gomito di fianco ai suoi capelli e con l'altra mano le sposto una ciocca della frangia dalla fronte.
“Valeria...” sussurro, e intanto la guardo in quei suoi occhi da cerbiatta, in quel velo di lacrime che si condensa e brilla sotto i primi raggi della luna.
“Da dove ti viene tutto questo sapore di basilico?”
“Ma cosa dici? Sarà mica il pesto?” E si mette a ridere mostrando una corona di denti bianchissimi.
“Basilico.” Sussurro io, e un altro pensiero lontano ritrova la superficie della mia coscienza e si impone deciso nelle mie sensazioni e nei miei ricordi. “Ti dice qualcosa?”
“Un sogno, solo un'immagine indistinta, che piano piano prende forma nella mia memoria.” Riprende lei, e mentre parla muove leggermente il capo, e si sforza di definire qualcosa che sembra sfuggirle. “Ecco, sì, un'immagine di un orto estivo, la sensazione del calore e di un lontano frinire di cicale, e una pianta di basilico al centro, con due piccole larve intente a mangiare una foglia.”
Mi sento svenire, le forze mi mancano ed è come se tutto il mio corpo si sollevasse come portato in alto da leggere ali di farfalla. Guardo questo volto a pochi centimetri da me e vengo stravolta da una sensazione di affetto e tenerezza che mai ho provato prima. Stringo le mie braccia attorno a questo corpo nudo e tremolante di freddo, avvicino la mia bocca alla ragazza che mi offre la sua, che si apre, mi desidera e mi cerca nell'oscurità ormai profonda della notte.
“Piccola bruchina verde...” Sussurra Valeria, e sembra che i suoi occhi brillino nella notte. O forse sono io che nell'oscurità riesco a vedere meglio e a cogliere particolari che in piena luce mi sfuggirebbero.
“Ti amo, Viridiana!” sento pronunciare una voce che esce da me, un'essenza che sussurra attraverso la mia bocca, poco prima di crollare sul volto della ragazza che sto abbracciando.
Mi butto su di lei con la bocca aperta e le nostre labbra ancora si incontrano.
Con le mie braccia la stringono forte al mio petto e con tutto il mio corpo l'avvolgo e la proteggo in un abbraccio senza confini e senza tempo.

*FINE*
di
scritto il
2022-11-14
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