Storia di un matrimonio (ep. 6) – Il lato oscuro di mia moglie
di
Lizbeth Gea
genere
dominazione
In effetti ora toccava a me, stranamente la mia sicurezza giunse a meno. Sapevo che appena ponevo le mie firme su questo documento sarebbe tutto finito.
“Pensavi che fosse più facile, vero?” - mio marito mi aveva letto nella mente, come era capitato spesso in passato - “È facile, impugni la penna, fai un bel respiro, ma poi ti passa davanti tutta la vita, la nostra vita” - odiavo quando aveva ragione.
“Se vuoi ti posso dare una mano” - da quanto aveva firmato sembrava più sicuro di se.
“E come mi aiuteresti”
Prese la sua borsa, ne estrasse un fascicolo - “Ora che ho firmato lo posso ammettere, ti ho tradito” - detta l'ultima parola estrasse tre foto dalla cartella e le mise sul tavolo - “Neppure tu sei stata una santa”.
Guardai le foto, ero ritratta con una donna. La mamma di Francesca.
“Come le hai avuto” - non rispose.
La mia avventura con Miriam, la signora ritratta nelle foto, è durata un paio di anni. Ed è stata una delle avventure più avvincenti e sexy della mia vita. Avevo decisa di tenermela per me.
È iniziato tutto una domenica mattina. Ero sposata da circa tre anni e vivevo dentro una routine noiosa. Quel giorno la madre di Francesca mi telefonò perché aveva bisogno di una mano. Sua figlia era partita una settimana con quello che sarebbe diventato il suo futuro marito. Ormai la conoscevo da anni e per me era diventata come una zia. Quindi non mi sorprese la sua richiesta e mi sembrò normale andarla a trovare.
Era una donna sulla cinquantina, aveva divorziato da poco e, anche se l'eta l'aveva resa più formosa, la sua bellezza rimaneva intatta. Mora, capelli lunghi, occhi di un nero profondo, seno generoso, morbido e ancora naturale. Non nascondo che quando ero ancora ragazzina fantasticavo sulle sue grazie.
La mia relazione con sua figlia, rese la mia avventura con lei ancora più sexy. Immaginate andare a letto con la madre e con la figlia, purtroppo non contemporaneamente, sarebbe stato troppo anche per me.
Arrivai a casa sua alle tre del pomeriggio. Appena mi apri la porta notai qualcosa di strano. Innanzitutto non l'avevo mai vista cosi sexy, tranne quando usciva per un appuntamento galante. Indossava un corpetto di pelle, con dei lacci sul decoltè. Una gonna nera anch'essa di pelle, molto aderente. Sembrava che avesse trafugato nell'armadio di sua figlia.
Ma quello che mi sorprese fu il suo comportamento. Era sempre stata accogliente e generosa con me. Quella volta mi sembrò fredda e seria.
“Finalmente sei arrivata”
Mi fece accomodare nel salone come sempre e non perse tempo.
“Da quanto hai una relazione con mia figlia”
Arrossii e mentii - “Scusa, cosa, Miriam perché dici questo?”
“Prima di tutto mi devi dare del lei”
Ancora una volta rimasi imbambolata. Era da quando avevo quattordici anni che non le davo del lei.
“Ti ripeto da quanto vai a letto con mia figlia?”
“Miriam non so di che parli”
Si alzò in piedi - “Ti ho detto che mi devi dare del lei” - mi fissò negli occhi - “Da quando hai leccato la figa a mia figlia, hai perso tutti i tuoi privilegi”
“Ascoltami Miriam” - insistetti con il tu - “non so chi ti ha messo in testa queste idee, ma sono tutte bugie”.
Mi diede una sberla - “Quella che racconta bugie sei tu, mia cara” - si risedette - “Vi ho viste. Vi ho viste sabato sera. Eravate su questo divano e gli stavi leccando il seno”.
Aveva ragione, assurdo che non mi fossi accorta di lei, ma continuai a mentire - “Ma cosa dici, te lo sarai sognato”.
Prese il suo cellulare. Mi mostrò alcune foto. Anche se erano buie, si poteva vedere tranquillamente me e Francesca amoreggiare su quel dannato divano.
“Queste sono di Sabato sera e questa” - Mostrandomi una foto dove stavo sodomizzando la mia amica - “è di Mercoledì”.
“Beh” - ormai era inutile mentire e cercai di giustificarmi - “Siamo due giovani ragazze, con voglie”
“Chissà cosa penserebbe tuo marito di queste foto”.
“In verità lo sa” - questo era vero, e questa volta quella sorpresa fu lei. Rimanemmo in silenzio per qualche secondo finché non lo interruppe lei.
“Voglio provare”
“Come scusi” - stranamente mi venne di darle del lei.
“E' un anno che ho divorziato e sono stanca di non fare sesso” - mi toccò il ginocchio destro - “Sono cosi disperata che farei sesso pure con una donna, però a modo mio”.
Avevo davanti una delle fantasie della mia vita, mi bloccava solo il pensiero di sua figlia, in qualche modo l'avrei tradita - “Francesca lo saprà mai”
“Ovvio che non lo saprò mai, come non lo saprà mai neppure tuo marito”
Mi convinse, del resto non potevo perdere una occasione simile. Mi prese per mano e ci dirigemmo verso camera sua - “Ti prometto che ci divertiremmo, almeno lo spero”.
Aprì la porta che conduceva alle sue stanze, non c'ero mai stata, per me la privacy è tutto. Mi fece uno strano effetto, era come se entrassi in un santuario.
La prima cosa che notai fu il suo violoncello. Sapevo che da ragazza lo suonava, ma non pensavo che lo tenesse ancora. Notai un letto a baldacchino e proprio davanti a esso un mobile al quanto particolare. Assomigliava molto a quei cavalli che venivano usati negli esercizi ginnici, in più aveva delle cinghie laterali.
“Iniziamo” - Si mise davanti a me, ero agitata, mi baciò. Mi sbottonò la camicetta elegantemente. Mi morse il petto, e con una destrezza, data da anni di esperienza, mi slacciò il reggiseno e rimani in topless.
“Ora signorina ti devi fidare di me”
“Si signora” - Stavo entrando nella parte.
Le sue dita scorsero sulla zia dei jeans fino in fondo. Con una delicatezza incredibile introdusse le dita dentro alla ricerca delle mie mutandine.
Rimasi affascinata.
Le sue dita premettero contro il tessuto, sulla mia pelle comparvero piccoli rilievi cutanei, avevo i brividi.
“Ora togliti i jeans”
Mi levai le scarpe. Sfilai prima il gambale destro, poi quello sinistro e rimasi solo con le mie mutandine di pizzo. Ironia della sorte me le aveva regalate sua figlia per il mio compleanno. Mentre mi spogliavo, lei non era rimasta ferma e aveva completato il suo completo con autoreggenti di pelle e con delle scarpe con tacco chilometrico.
La vidi avvicinarsi a quel cavallo con i passi sensuali che l'avevano resa tra gli amici e i conoscenti di Francesca. Diede una pacca sul cuscino nero - “Questo l'ho noleggiato per te” - estrasse le ginocchiere - “le ragazze come te devono essere punite” - spolverò ancora una volta il cuscinetto - “appoggia i tuoi addominali qui sopra”.
Anche se mi sentivo insicura, eseguii i suoi ordini e mi sdraiai su quello strumento di tortura. Il freddo percorse in un attimo il mio corpo nudo e in quel momento giunse la prima sculacciata. Mai nella vita avrei pensato che avesse una mano così pesante.
Leccò la mia schiena, prese una cinghia e la passò sopra di essa. La strinse esattamente sotto il mio gomito sinistro. Arrivò un altra sculacciata e introdusse due dita dentro l'ano. Le estrasse e le succhio.
Era arrivato il momento di bloccarmi anche le gambe. Per prima sentii stringere attorno alla mia coscia destra, poi intorno alla coscia sinistra. Strinse cosi forte che mi lacerò la pelle su entrambe le gambe, quasi all'altezza delle ginocchia.
La mia ansia crebbe all'estremo che sentii il mio cuore battere su quell'arnese infernale.
La sentii aprire un cassetto alle mie spalle. Una punta a forma di spatola percorse il mio corpo dalle gambe al collo, aveva preso un frustino da cavallerizza. Arrivò fino alla mia bocca e mi ordinò di leccarlo. In quel momento scattò la prima foto con il cellulare.
Sporsi la lingua e leccai la punta. Era ruvido. Lo spinse nella gola. Soffocai. Mi venne un getto di vomito. Ripassò quella punta umida sulla mia schiena. Con un gesto rapido colpì il mio seno destro - “questo per aver leccato le tette di mia figlia” - cercai di protestare, ma un proiettile raggiunse il mio sedere. Cercai di trattenere una lacrima.
Me l'asciugò lei con la sua lingua e mi baciò - “Non piangere” - Si rialzò. Notai la sua gonna alzata e la sua passera pelosa. Mi afferrò i capelli. Mi spinse verso il suo inguine. Annusai il suo profumo e leccai istintivamente.
Assaporai voluttuosamente quella passera matura. Sentivo che stava ansimando, la stavo facendo godere. La sua presa si addolcì. La sua passera si umidificava assieme alla mia lingua.
Mi afferrò la nuca e si scostò. Dopo aversi accarezzato la passera si leccò le dita. Sparì ancora una volta, la sentivo trafficare nell'armadio. Tornò davanti a me con indosso una cintura fallica - “questa l'ho trovato in camera di mia figlia” - lo sapevo bene l'avevo comprato io. Nella mano destra invece aveva un bavaglio con morso Ball Gag.
Passò la cappella di gomma davanti alla mia faccia e mi ordinò di aprire la bocca, obbedii ancora una volta.
Mi imboccò con quel pene di gomma e me lo spinse fino alle tonsille. Datemi della maiala ma quel gesto mi aveva fatto aprire le acque e i miei umori scorrevano lungo le gambe.
Le sue mani mi afferrarono la faccia e mi sbatto la bocca. I suoi movimenti erano rapidi e decisi - “Succhia puttanella, chissà quante volte l'hai fatto con mia figlia”.
I miei capezzoli frizionavano contro il cuscino sottostante. Tutto quello durò pochi secondo, ma per me sembrarono minuti. La pallina di gomma sostituì il fallo. Facevo fatica a respirare, figurati parlare. Le scorse la sua mano sul pene di gomma - “Brava la mia troietta, l'hai proprio lubrificato bene”. Si pose dietro di me. Mi sculacciò con quel cazzo enorme. Mi massaggiò la passera con ampi movimenti circolari. Il delirio mi invase. Volevo sputare tutto il mio godimento, ma non potevo. Le labbra si schiusero con la pressione della sua lingua rigida. Era una maestra nel sesso orale. Mi succhio il clito. Riprese il frustino e mi schiaffeggiò la natica destra.
Introdusse lo strap-on dentro di me, senza chiedere il permesso. Quel fallo enorme, invase la mia vagina. Ogni mio muscolo ebbe uno spasmo. Raggiungeva ogni millimetro del mio cavo vaginale.
Afferrò il cellulare e scattò la seconda foto.
Lo estrasse rapidamente, sembrò che la mia passera tornasse e respirare. Mi leccò la schiena e tornò a introdursi nel mio corpo, questa volta nel culo. Mi afferrò per i fianchi, nessun uomo mi aveva mai sbattuta con tale impeto.
Anche qui lo estrasse di colpo. Non voleva farmi raggiungere l'orgasmo questo era evidente.
Diede piccoli colpi sulla passera con il frustino - “È ora di fare sul serio”
Le mie labbra si spalancarono di nuovo. Stavolta il suo ritmo era lento e costante. Sentivo che l'amplesso stava sopraggiungere, ogni suo gesto era stato scelto ed eseguito per raggiungere quel momento. Mi slacciò il bavaglio e subito dissi che stavo per venire.
Alle mie parole si bloccò - “E no tesoro, sono io che decide chi venire e chi no” - estrasse la sua spada dalla mia custodia. Si tolse la cintura, che gettò sul letto. Dove vi si diresse e vi si sdraio - “Fammi vedere come fai godere Francesca”
Era giunto il momento di far godere la mia signora.
Gli leccai i tacchi, proseguii sulle calze. Puntai alla meta principale. Trovai la sua fessura già bagnata e la leccai. La penetrai con tre dita. Si slacciò il corpetto e il suo maestoso seno da madre ne fuoriusci. Assomigliava molto a quello di sua figlia, anche se meno sodo.
Gli lo afferrai, ci giocai con la mia bocca. La tortura subito fino ad allora mi aveva esaltato. Ora non mi impartiva più ordini. Ricordai che lo strap-on era vicino a noi e lo afferrai. Prima lo leccai, poi mi feci aiutare da lei. Lo indossai.
“Ora ti faccio vedere come scopo tua figlia, e ricordati l'hai voluto tu”
Lo spinsi di getto dentro a quella passera pelosa. Già bella lubrificata. Le morsi le tette. Pensavo solo a possederla. La baciai, la limonai. Ero una furia.
Mi strangolò - “Sono io la signora e comando io”.
Non so come mi ritrovai al suo posto, con la schiena sul materasso e lei sopra di me. Le sue tette ballarono sopra di me. Erano cosi belle che decisi di afferrare il suo telefonino e scattarle una foto.
Si sdraio sopra di me. I nostri seni si scontrarono. Le sue mani erano dappertutto. Era cosi bagnata che ogni volta che la penetrava sentivo come se un sasso fosse gettato in un lago. Mi prese a sberle il seno, mi ansimò nella bocca e raggiunse l'orgasmo con la sua lingua contro la mia.
Crollò al mio fianco. Era sudatissima, respirata a fatica.
Mi tolsi lo strap-on. Gli baciai il seno. E mi masturbai. Mi bloccò la mano.
“Ci penso io signorina” - era tornata la Miriam che conoscevo.
Se sedette sul letto con le gambe aperte e accoglienti. Bussò sul materasso - “Siediti qui”
Mi accolse dentro di se, avevo la mia schiena appoggiata al suo seno. Mi spostò i capelli, la sua mano sinistra mi coprì il seno e lo strinse. Le dita della mano destra si infilarono all'interno della mia fessura. Ero il suo strumento. Mi tornarono alla memoria immagini di lei che si rilassava con il violoncello. Nella mia mente sentii risuonare la suonata 65 di Chopin. Era una musica e lei la stava eseguendo con il mio corpo, sgrillettandomi la vagina.
“Sono nelle sue mani signora” - Bastò un attimo, una piccola notata, una piccola variante e le lenzuola si riempirono dei miei umori.
Prima di salutarmi mi disse solo una cosa - “Ci vediamo ogni venerdì sera” - e fu così per due anni di fila. Fu un periodo pieno di emozioni e d'esperimenti.
“Ma poi è finita” - Tornai con il mio sguardo su mio marito.
“Perché”
“Perché si fidanzò con il suo attuale compagno”
“Se io ti ho perdonata, perché non lo puoi fare pure tu?”
“Non è la stessa cosa, non ti azzardare a paragonare le due situazioni” - sapevo di avere ragione - “come fai ad avere le foto, erano una nostra cosa privata”
Lui non rispose ma dentro di me sapevo già la risposta. O era andato direttamente alla fonte, o gli le aveva procurate una persona molto vicina all'interessata. Francesca.
Scrissi la prima firma.
“Pensavi che fosse più facile, vero?” - mio marito mi aveva letto nella mente, come era capitato spesso in passato - “È facile, impugni la penna, fai un bel respiro, ma poi ti passa davanti tutta la vita, la nostra vita” - odiavo quando aveva ragione.
“Se vuoi ti posso dare una mano” - da quanto aveva firmato sembrava più sicuro di se.
“E come mi aiuteresti”
Prese la sua borsa, ne estrasse un fascicolo - “Ora che ho firmato lo posso ammettere, ti ho tradito” - detta l'ultima parola estrasse tre foto dalla cartella e le mise sul tavolo - “Neppure tu sei stata una santa”.
Guardai le foto, ero ritratta con una donna. La mamma di Francesca.
“Come le hai avuto” - non rispose.
La mia avventura con Miriam, la signora ritratta nelle foto, è durata un paio di anni. Ed è stata una delle avventure più avvincenti e sexy della mia vita. Avevo decisa di tenermela per me.
È iniziato tutto una domenica mattina. Ero sposata da circa tre anni e vivevo dentro una routine noiosa. Quel giorno la madre di Francesca mi telefonò perché aveva bisogno di una mano. Sua figlia era partita una settimana con quello che sarebbe diventato il suo futuro marito. Ormai la conoscevo da anni e per me era diventata come una zia. Quindi non mi sorprese la sua richiesta e mi sembrò normale andarla a trovare.
Era una donna sulla cinquantina, aveva divorziato da poco e, anche se l'eta l'aveva resa più formosa, la sua bellezza rimaneva intatta. Mora, capelli lunghi, occhi di un nero profondo, seno generoso, morbido e ancora naturale. Non nascondo che quando ero ancora ragazzina fantasticavo sulle sue grazie.
La mia relazione con sua figlia, rese la mia avventura con lei ancora più sexy. Immaginate andare a letto con la madre e con la figlia, purtroppo non contemporaneamente, sarebbe stato troppo anche per me.
Arrivai a casa sua alle tre del pomeriggio. Appena mi apri la porta notai qualcosa di strano. Innanzitutto non l'avevo mai vista cosi sexy, tranne quando usciva per un appuntamento galante. Indossava un corpetto di pelle, con dei lacci sul decoltè. Una gonna nera anch'essa di pelle, molto aderente. Sembrava che avesse trafugato nell'armadio di sua figlia.
Ma quello che mi sorprese fu il suo comportamento. Era sempre stata accogliente e generosa con me. Quella volta mi sembrò fredda e seria.
“Finalmente sei arrivata”
Mi fece accomodare nel salone come sempre e non perse tempo.
“Da quanto hai una relazione con mia figlia”
Arrossii e mentii - “Scusa, cosa, Miriam perché dici questo?”
“Prima di tutto mi devi dare del lei”
Ancora una volta rimasi imbambolata. Era da quando avevo quattordici anni che non le davo del lei.
“Ti ripeto da quanto vai a letto con mia figlia?”
“Miriam non so di che parli”
Si alzò in piedi - “Ti ho detto che mi devi dare del lei” - mi fissò negli occhi - “Da quando hai leccato la figa a mia figlia, hai perso tutti i tuoi privilegi”
“Ascoltami Miriam” - insistetti con il tu - “non so chi ti ha messo in testa queste idee, ma sono tutte bugie”.
Mi diede una sberla - “Quella che racconta bugie sei tu, mia cara” - si risedette - “Vi ho viste. Vi ho viste sabato sera. Eravate su questo divano e gli stavi leccando il seno”.
Aveva ragione, assurdo che non mi fossi accorta di lei, ma continuai a mentire - “Ma cosa dici, te lo sarai sognato”.
Prese il suo cellulare. Mi mostrò alcune foto. Anche se erano buie, si poteva vedere tranquillamente me e Francesca amoreggiare su quel dannato divano.
“Queste sono di Sabato sera e questa” - Mostrandomi una foto dove stavo sodomizzando la mia amica - “è di Mercoledì”.
“Beh” - ormai era inutile mentire e cercai di giustificarmi - “Siamo due giovani ragazze, con voglie”
“Chissà cosa penserebbe tuo marito di queste foto”.
“In verità lo sa” - questo era vero, e questa volta quella sorpresa fu lei. Rimanemmo in silenzio per qualche secondo finché non lo interruppe lei.
“Voglio provare”
“Come scusi” - stranamente mi venne di darle del lei.
“E' un anno che ho divorziato e sono stanca di non fare sesso” - mi toccò il ginocchio destro - “Sono cosi disperata che farei sesso pure con una donna, però a modo mio”.
Avevo davanti una delle fantasie della mia vita, mi bloccava solo il pensiero di sua figlia, in qualche modo l'avrei tradita - “Francesca lo saprà mai”
“Ovvio che non lo saprò mai, come non lo saprà mai neppure tuo marito”
Mi convinse, del resto non potevo perdere una occasione simile. Mi prese per mano e ci dirigemmo verso camera sua - “Ti prometto che ci divertiremmo, almeno lo spero”.
Aprì la porta che conduceva alle sue stanze, non c'ero mai stata, per me la privacy è tutto. Mi fece uno strano effetto, era come se entrassi in un santuario.
La prima cosa che notai fu il suo violoncello. Sapevo che da ragazza lo suonava, ma non pensavo che lo tenesse ancora. Notai un letto a baldacchino e proprio davanti a esso un mobile al quanto particolare. Assomigliava molto a quei cavalli che venivano usati negli esercizi ginnici, in più aveva delle cinghie laterali.
“Iniziamo” - Si mise davanti a me, ero agitata, mi baciò. Mi sbottonò la camicetta elegantemente. Mi morse il petto, e con una destrezza, data da anni di esperienza, mi slacciò il reggiseno e rimani in topless.
“Ora signorina ti devi fidare di me”
“Si signora” - Stavo entrando nella parte.
Le sue dita scorsero sulla zia dei jeans fino in fondo. Con una delicatezza incredibile introdusse le dita dentro alla ricerca delle mie mutandine.
Rimasi affascinata.
Le sue dita premettero contro il tessuto, sulla mia pelle comparvero piccoli rilievi cutanei, avevo i brividi.
“Ora togliti i jeans”
Mi levai le scarpe. Sfilai prima il gambale destro, poi quello sinistro e rimasi solo con le mie mutandine di pizzo. Ironia della sorte me le aveva regalate sua figlia per il mio compleanno. Mentre mi spogliavo, lei non era rimasta ferma e aveva completato il suo completo con autoreggenti di pelle e con delle scarpe con tacco chilometrico.
La vidi avvicinarsi a quel cavallo con i passi sensuali che l'avevano resa tra gli amici e i conoscenti di Francesca. Diede una pacca sul cuscino nero - “Questo l'ho noleggiato per te” - estrasse le ginocchiere - “le ragazze come te devono essere punite” - spolverò ancora una volta il cuscinetto - “appoggia i tuoi addominali qui sopra”.
Anche se mi sentivo insicura, eseguii i suoi ordini e mi sdraiai su quello strumento di tortura. Il freddo percorse in un attimo il mio corpo nudo e in quel momento giunse la prima sculacciata. Mai nella vita avrei pensato che avesse una mano così pesante.
Leccò la mia schiena, prese una cinghia e la passò sopra di essa. La strinse esattamente sotto il mio gomito sinistro. Arrivò un altra sculacciata e introdusse due dita dentro l'ano. Le estrasse e le succhio.
Era arrivato il momento di bloccarmi anche le gambe. Per prima sentii stringere attorno alla mia coscia destra, poi intorno alla coscia sinistra. Strinse cosi forte che mi lacerò la pelle su entrambe le gambe, quasi all'altezza delle ginocchia.
La mia ansia crebbe all'estremo che sentii il mio cuore battere su quell'arnese infernale.
La sentii aprire un cassetto alle mie spalle. Una punta a forma di spatola percorse il mio corpo dalle gambe al collo, aveva preso un frustino da cavallerizza. Arrivò fino alla mia bocca e mi ordinò di leccarlo. In quel momento scattò la prima foto con il cellulare.
Sporsi la lingua e leccai la punta. Era ruvido. Lo spinse nella gola. Soffocai. Mi venne un getto di vomito. Ripassò quella punta umida sulla mia schiena. Con un gesto rapido colpì il mio seno destro - “questo per aver leccato le tette di mia figlia” - cercai di protestare, ma un proiettile raggiunse il mio sedere. Cercai di trattenere una lacrima.
Me l'asciugò lei con la sua lingua e mi baciò - “Non piangere” - Si rialzò. Notai la sua gonna alzata e la sua passera pelosa. Mi afferrò i capelli. Mi spinse verso il suo inguine. Annusai il suo profumo e leccai istintivamente.
Assaporai voluttuosamente quella passera matura. Sentivo che stava ansimando, la stavo facendo godere. La sua presa si addolcì. La sua passera si umidificava assieme alla mia lingua.
Mi afferrò la nuca e si scostò. Dopo aversi accarezzato la passera si leccò le dita. Sparì ancora una volta, la sentivo trafficare nell'armadio. Tornò davanti a me con indosso una cintura fallica - “questa l'ho trovato in camera di mia figlia” - lo sapevo bene l'avevo comprato io. Nella mano destra invece aveva un bavaglio con morso Ball Gag.
Passò la cappella di gomma davanti alla mia faccia e mi ordinò di aprire la bocca, obbedii ancora una volta.
Mi imboccò con quel pene di gomma e me lo spinse fino alle tonsille. Datemi della maiala ma quel gesto mi aveva fatto aprire le acque e i miei umori scorrevano lungo le gambe.
Le sue mani mi afferrarono la faccia e mi sbatto la bocca. I suoi movimenti erano rapidi e decisi - “Succhia puttanella, chissà quante volte l'hai fatto con mia figlia”.
I miei capezzoli frizionavano contro il cuscino sottostante. Tutto quello durò pochi secondo, ma per me sembrarono minuti. La pallina di gomma sostituì il fallo. Facevo fatica a respirare, figurati parlare. Le scorse la sua mano sul pene di gomma - “Brava la mia troietta, l'hai proprio lubrificato bene”. Si pose dietro di me. Mi sculacciò con quel cazzo enorme. Mi massaggiò la passera con ampi movimenti circolari. Il delirio mi invase. Volevo sputare tutto il mio godimento, ma non potevo. Le labbra si schiusero con la pressione della sua lingua rigida. Era una maestra nel sesso orale. Mi succhio il clito. Riprese il frustino e mi schiaffeggiò la natica destra.
Introdusse lo strap-on dentro di me, senza chiedere il permesso. Quel fallo enorme, invase la mia vagina. Ogni mio muscolo ebbe uno spasmo. Raggiungeva ogni millimetro del mio cavo vaginale.
Afferrò il cellulare e scattò la seconda foto.
Lo estrasse rapidamente, sembrò che la mia passera tornasse e respirare. Mi leccò la schiena e tornò a introdursi nel mio corpo, questa volta nel culo. Mi afferrò per i fianchi, nessun uomo mi aveva mai sbattuta con tale impeto.
Anche qui lo estrasse di colpo. Non voleva farmi raggiungere l'orgasmo questo era evidente.
Diede piccoli colpi sulla passera con il frustino - “È ora di fare sul serio”
Le mie labbra si spalancarono di nuovo. Stavolta il suo ritmo era lento e costante. Sentivo che l'amplesso stava sopraggiungere, ogni suo gesto era stato scelto ed eseguito per raggiungere quel momento. Mi slacciò il bavaglio e subito dissi che stavo per venire.
Alle mie parole si bloccò - “E no tesoro, sono io che decide chi venire e chi no” - estrasse la sua spada dalla mia custodia. Si tolse la cintura, che gettò sul letto. Dove vi si diresse e vi si sdraio - “Fammi vedere come fai godere Francesca”
Era giunto il momento di far godere la mia signora.
Gli leccai i tacchi, proseguii sulle calze. Puntai alla meta principale. Trovai la sua fessura già bagnata e la leccai. La penetrai con tre dita. Si slacciò il corpetto e il suo maestoso seno da madre ne fuoriusci. Assomigliava molto a quello di sua figlia, anche se meno sodo.
Gli lo afferrai, ci giocai con la mia bocca. La tortura subito fino ad allora mi aveva esaltato. Ora non mi impartiva più ordini. Ricordai che lo strap-on era vicino a noi e lo afferrai. Prima lo leccai, poi mi feci aiutare da lei. Lo indossai.
“Ora ti faccio vedere come scopo tua figlia, e ricordati l'hai voluto tu”
Lo spinsi di getto dentro a quella passera pelosa. Già bella lubrificata. Le morsi le tette. Pensavo solo a possederla. La baciai, la limonai. Ero una furia.
Mi strangolò - “Sono io la signora e comando io”.
Non so come mi ritrovai al suo posto, con la schiena sul materasso e lei sopra di me. Le sue tette ballarono sopra di me. Erano cosi belle che decisi di afferrare il suo telefonino e scattarle una foto.
Si sdraio sopra di me. I nostri seni si scontrarono. Le sue mani erano dappertutto. Era cosi bagnata che ogni volta che la penetrava sentivo come se un sasso fosse gettato in un lago. Mi prese a sberle il seno, mi ansimò nella bocca e raggiunse l'orgasmo con la sua lingua contro la mia.
Crollò al mio fianco. Era sudatissima, respirata a fatica.
Mi tolsi lo strap-on. Gli baciai il seno. E mi masturbai. Mi bloccò la mano.
“Ci penso io signorina” - era tornata la Miriam che conoscevo.
Se sedette sul letto con le gambe aperte e accoglienti. Bussò sul materasso - “Siediti qui”
Mi accolse dentro di se, avevo la mia schiena appoggiata al suo seno. Mi spostò i capelli, la sua mano sinistra mi coprì il seno e lo strinse. Le dita della mano destra si infilarono all'interno della mia fessura. Ero il suo strumento. Mi tornarono alla memoria immagini di lei che si rilassava con il violoncello. Nella mia mente sentii risuonare la suonata 65 di Chopin. Era una musica e lei la stava eseguendo con il mio corpo, sgrillettandomi la vagina.
“Sono nelle sue mani signora” - Bastò un attimo, una piccola notata, una piccola variante e le lenzuola si riempirono dei miei umori.
Prima di salutarmi mi disse solo una cosa - “Ci vediamo ogni venerdì sera” - e fu così per due anni di fila. Fu un periodo pieno di emozioni e d'esperimenti.
“Ma poi è finita” - Tornai con il mio sguardo su mio marito.
“Perché”
“Perché si fidanzò con il suo attuale compagno”
“Se io ti ho perdonata, perché non lo puoi fare pure tu?”
“Non è la stessa cosa, non ti azzardare a paragonare le due situazioni” - sapevo di avere ragione - “come fai ad avere le foto, erano una nostra cosa privata”
Lui non rispose ma dentro di me sapevo già la risposta. O era andato direttamente alla fonte, o gli le aveva procurate una persona molto vicina all'interessata. Francesca.
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