Il tango dell'oblio
di
Chicken1973
genere
trio
Aveva un vestito leggero, beige, il colore un po’ triste c’è da dire, ma corto e svolazzante attorno alle ginocchia, ed ampio sul petto, per lasciare aria al seno delicato, forse già libero dall’intimo.
Camminava davanti a noi, guidandoci su un letto di foglie secche attraversando il boschetto in cui si celava quello spazio circolare, simile ad una tenda di tuareg, da cui provenivano le pulsazioni di un tango eseguito con flauto, basso e pianoforte.
Mia moglie, accanto a me, vestita più sciatta, sempre in combattimento con l’accettazione del proprio corpo.
Una camiciola rossa informe, dei pantaloni al polpaccio.
“porco”, mi aveva appena sussurrato, senza cattiveria, con un velato sorriso.
“Ammettilo, anche tu: chiamami quando lo farai, verrò a gustarmi lo spettacolo!” era stata la mia frase a scatenare la sua risposta
“Ti porteresti a letto Paola se lei ci stesse?” era la domanda iniziale ad aver generato quel breve scambio.
Sotto quella tenda, quella notte, avremmo guardato la nostra Paola ballare senza sosta, con uomini sempre diversi, i piedi in due scarpette con il tacco alto, lo sguardo perso, quando gli occhi non erano chiusi.
Tutti e due rapiti dal suo rapimento, seduti alla periferia di questo spazio da sabba delle streghe.
Sulle labbra un sorriso.
Negli occhi una lacrima.
Che noi tre, Laura, Paola ed io, portavamo la stessa tristezza nel cuore.
A cui Paola rispondeva danzando, noi stordendoci guardandola.
Si avvicina a noi uscendo dal gruppo di corpi che si muovono a ritmo.
“Laura, vieni a ballare, sentiti libera”
“No Paola, grazie”
Paola si rivolge a me, china, i miei occhi lottano per non insinuarsi nel suo decoltee a sbirciarne i capezzoli.
“Paolo: balla con me”
In altri tempi non avrei esitato.
In questa serata storta la mia bocca riesce solo a dire:
“Mi piacerebbe” poggiandole una mano sulla gamba.
“mi piacerebbe” immaginando di poterne accarezzare i fianchi, odorarne l’odore.
“ma no, oggi non è sera”.
E non c’entra nulla la presenza al mio fianco di Laura.
Lei avrebbe approvato.
Lo so.
Paola ci guarda, occhi negli occhi.
Un sospiro.
E mentre attorno turbinano le note in tre quarti, a ricordare i figli di una terra che conobbe la dittatura, lì ci siamo solo noi tre.
Tre genitori accomunati dalle preoccupazioni per dei figli che si stanno perdendo.
Dal futuro incerto.
Recuperati più volte in questura per i motivi più disparati.
Numeri sconosciuti che ti chiamano sul cellulare
“Mi scusi, è il padre di…?”
“Sono io, cosa è successo stavolta?”
Brevi messaggi di risposta a raccomandazioni di non fare tardi
“Papo, sono in questura, la polizia ci ha fermato perché…” e via con la spiegazione.
Sospiro fissando Paola negli occhi.
“Siamo stanchi”
Riesco solo a dire
“Siamo tanto stanchi”
Paola ci guarda in silenzio.
Le si inumidiscono le ciglia.
Si stringono le labbra.
Paola ci accarezza il viso, Laura chiude gli occhi e china la testa da un lato, i capelli crespi e lunghi, senza forma, ma che sarebbero bellissimi, a nascondere la mano dell’amica.
Paola ci prende per mano, ci alziamo lentamente, fermi troppo a lungo nelle nostre posizioni rannicchiate.
Paola ci porta fuori dalla sala, nel bosco illuminato da lanterne e da fiammelle tremule.
La musica continua, mentre nel bosco siamo tre genitori, tre amici, legati dalle stesse preoccupazioni.
Rubo una bottiglia di rosso dal tavolaccio su cui sono abbandonate pietanze a caso, fresche mozzarelle e patatine da discount.
Faccio girare la bottiglia, ognuno beve una sorsata avida.
Siamo un piccolo tempio di tre corpi, nel buio della notte.
E Paola dolcemente bacia Laura.
Che non fa resistenza.
Prima si sfiorano le labbra, leggere, poi le bocche si aprono.
Giurerei che sia stata la mia Laura la prima ad esplorare con la lingua l’amica, una mano che si insinua dietro al collo dai riccioli morbidi.
I corpi che si avvicinano, i seni che si strusciano.
Bevo un’altra sorsata di vino.
“Siamo tanto stanchi” sussurra Laura staccando la bocca da quella dell’amica.
“vorrei svuotare il cervello, vorrei non pensare più”
Paola mi ruba la bottiglia, beve, due, tre sorsate, credo che del vino rosso le scenda lungo il collo, ma è buio, non sono sicuro.
E torna a baciare Laura, furiosa, afferrandole un seno.
Mi avvicino, avvicino il mio naso al suo collo, e la mia bocca a cercare il vino sulla sua pelle.
Un mugolio, Laura mi accarezza la guancia, alla cieca, mentre affonda la sua lingua nella bocca dell’amica.
“Vorrei non pensare più”
E la droga dei nostri corpi e di gesti proibiti s’impossessa della nostra notte di dolorosa libertà.
Mentre scivoliamo in ginocchio, mentre affondiamo nelle foglie secche.
Mentre mia moglie ed io, nella complicità di anni di matrimonio, liberiamo Paola del sottile velo del suo vestito senza il bisogno di parlarci.
I suoi seni nudi, illuminati dalle fredde luci della luna e delle lanterne appese ai rami, il suo inguine nascosto da una mutandina bianca che splende nella notte.
Laura si distende accanto all’amica, l’abbraccia sul letto di foglie e la bacia, le gambe intrecciate.
Le contemplo così: e quella scena occupa tutti i miei pensieri, oscena s’impossessa dello spazio nella mia mente, fregandosene di valori e doveri e priorità.
“vorrei non pensare più” ripeto come un automa.
E Paola allarga le gambe, offrendomi il suo inguine nascosto dal tessuto bianco che mi guida nel buio del bosco notturno.
Ed il suo odore è l’ultima cosa che ricordo, il suo corpo una cosa sola con quello della mia laura.
Il tango che risuona lontano sotto le stelle.
Camminava davanti a noi, guidandoci su un letto di foglie secche attraversando il boschetto in cui si celava quello spazio circolare, simile ad una tenda di tuareg, da cui provenivano le pulsazioni di un tango eseguito con flauto, basso e pianoforte.
Mia moglie, accanto a me, vestita più sciatta, sempre in combattimento con l’accettazione del proprio corpo.
Una camiciola rossa informe, dei pantaloni al polpaccio.
“porco”, mi aveva appena sussurrato, senza cattiveria, con un velato sorriso.
“Ammettilo, anche tu: chiamami quando lo farai, verrò a gustarmi lo spettacolo!” era stata la mia frase a scatenare la sua risposta
“Ti porteresti a letto Paola se lei ci stesse?” era la domanda iniziale ad aver generato quel breve scambio.
Sotto quella tenda, quella notte, avremmo guardato la nostra Paola ballare senza sosta, con uomini sempre diversi, i piedi in due scarpette con il tacco alto, lo sguardo perso, quando gli occhi non erano chiusi.
Tutti e due rapiti dal suo rapimento, seduti alla periferia di questo spazio da sabba delle streghe.
Sulle labbra un sorriso.
Negli occhi una lacrima.
Che noi tre, Laura, Paola ed io, portavamo la stessa tristezza nel cuore.
A cui Paola rispondeva danzando, noi stordendoci guardandola.
Si avvicina a noi uscendo dal gruppo di corpi che si muovono a ritmo.
“Laura, vieni a ballare, sentiti libera”
“No Paola, grazie”
Paola si rivolge a me, china, i miei occhi lottano per non insinuarsi nel suo decoltee a sbirciarne i capezzoli.
“Paolo: balla con me”
In altri tempi non avrei esitato.
In questa serata storta la mia bocca riesce solo a dire:
“Mi piacerebbe” poggiandole una mano sulla gamba.
“mi piacerebbe” immaginando di poterne accarezzare i fianchi, odorarne l’odore.
“ma no, oggi non è sera”.
E non c’entra nulla la presenza al mio fianco di Laura.
Lei avrebbe approvato.
Lo so.
Paola ci guarda, occhi negli occhi.
Un sospiro.
E mentre attorno turbinano le note in tre quarti, a ricordare i figli di una terra che conobbe la dittatura, lì ci siamo solo noi tre.
Tre genitori accomunati dalle preoccupazioni per dei figli che si stanno perdendo.
Dal futuro incerto.
Recuperati più volte in questura per i motivi più disparati.
Numeri sconosciuti che ti chiamano sul cellulare
“Mi scusi, è il padre di…?”
“Sono io, cosa è successo stavolta?”
Brevi messaggi di risposta a raccomandazioni di non fare tardi
“Papo, sono in questura, la polizia ci ha fermato perché…” e via con la spiegazione.
Sospiro fissando Paola negli occhi.
“Siamo stanchi”
Riesco solo a dire
“Siamo tanto stanchi”
Paola ci guarda in silenzio.
Le si inumidiscono le ciglia.
Si stringono le labbra.
Paola ci accarezza il viso, Laura chiude gli occhi e china la testa da un lato, i capelli crespi e lunghi, senza forma, ma che sarebbero bellissimi, a nascondere la mano dell’amica.
Paola ci prende per mano, ci alziamo lentamente, fermi troppo a lungo nelle nostre posizioni rannicchiate.
Paola ci porta fuori dalla sala, nel bosco illuminato da lanterne e da fiammelle tremule.
La musica continua, mentre nel bosco siamo tre genitori, tre amici, legati dalle stesse preoccupazioni.
Rubo una bottiglia di rosso dal tavolaccio su cui sono abbandonate pietanze a caso, fresche mozzarelle e patatine da discount.
Faccio girare la bottiglia, ognuno beve una sorsata avida.
Siamo un piccolo tempio di tre corpi, nel buio della notte.
E Paola dolcemente bacia Laura.
Che non fa resistenza.
Prima si sfiorano le labbra, leggere, poi le bocche si aprono.
Giurerei che sia stata la mia Laura la prima ad esplorare con la lingua l’amica, una mano che si insinua dietro al collo dai riccioli morbidi.
I corpi che si avvicinano, i seni che si strusciano.
Bevo un’altra sorsata di vino.
“Siamo tanto stanchi” sussurra Laura staccando la bocca da quella dell’amica.
“vorrei svuotare il cervello, vorrei non pensare più”
Paola mi ruba la bottiglia, beve, due, tre sorsate, credo che del vino rosso le scenda lungo il collo, ma è buio, non sono sicuro.
E torna a baciare Laura, furiosa, afferrandole un seno.
Mi avvicino, avvicino il mio naso al suo collo, e la mia bocca a cercare il vino sulla sua pelle.
Un mugolio, Laura mi accarezza la guancia, alla cieca, mentre affonda la sua lingua nella bocca dell’amica.
“Vorrei non pensare più”
E la droga dei nostri corpi e di gesti proibiti s’impossessa della nostra notte di dolorosa libertà.
Mentre scivoliamo in ginocchio, mentre affondiamo nelle foglie secche.
Mentre mia moglie ed io, nella complicità di anni di matrimonio, liberiamo Paola del sottile velo del suo vestito senza il bisogno di parlarci.
I suoi seni nudi, illuminati dalle fredde luci della luna e delle lanterne appese ai rami, il suo inguine nascosto da una mutandina bianca che splende nella notte.
Laura si distende accanto all’amica, l’abbraccia sul letto di foglie e la bacia, le gambe intrecciate.
Le contemplo così: e quella scena occupa tutti i miei pensieri, oscena s’impossessa dello spazio nella mia mente, fregandosene di valori e doveri e priorità.
“vorrei non pensare più” ripeto come un automa.
E Paola allarga le gambe, offrendomi il suo inguine nascosto dal tessuto bianco che mi guida nel buio del bosco notturno.
Ed il suo odore è l’ultima cosa che ricordo, il suo corpo una cosa sola con quello della mia laura.
Il tango che risuona lontano sotto le stelle.
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