Il regalo di nozze (parte 6)

di
genere
sadomaso

Le sembrò nuovamente di impazzire quando la prepararono per essere donata.
Tutto sommato il periodo trascorso da quei Padroni fu buono, pur considerando la schiavitù se confrontata con l’uso degli altri due schiavi.
Venne fatta lavare, profumare. Fu adornata con un bellissimo collare in acciaio lucido che avvolgeva perfettamente il suo collo.
Ai polsi ed alle caviglie altri anelli di acciaio, questi satinati.
Tutti e 5 avevano un anello grande quanto bastava per poter svolgere la sua funzione pur restando proporzionato.
Anche lei a suo tempo si era recata nei negozi ove è possibile acquistare monili più per il vezzo dei Padroni che per fare un regalo all’oggetto posseduto.
Anna venne messa in una gabbia per il trasporto.
A differenza di quando era stata portata lì, messa dentro a spintoni e legata stretta al collare per non farla muovere, adesso venne fatta entrare con attenzione in una gabbia più ampia e spaziosa, al solo fine di non rovinare il lavoro di preparazione del regalo.
Intorno alla cassa venne messo un telo con un fiocco rosso in cima, come se fosse un regalo di Natale.
All’interno del nodo venne infilata una orchidea ed il telo che la ricopriva venne spruzzato con un profumo femminile il cui aroma le era noto.
Accanto a lei, all’interno della gabbia, c’era un astuccio di cuoio, il cui contenuto le era sconosciuto ma che doveva avere la sua importanza posto che aveva sentito il Padrone (ormai ex Padrone) dire alla Padrona di ricordarsi di prenderlo, quale evidente componente del regalo.
Durante il viaggio si pose mille domande tra un battito di cuore e l’altro, tutti forti per la paura dell’ignoto. Ovviamente per le risposte avrebbe dovuto attendere, avendo ormai noto solamente che i destinatari erano la figlia ed il genero.
Nemmeno dedicò attenzione a quell’astuccio, pensando vi fosse un monile da schiava al suo interno, forse un attrezzo per il suo uso sessuale, posto che collare, cavigliere e polsiere di ottima fattura già le aveva indosso.
I facchini incaricati del trasporto ebbero maggiore cura nel caricare la merce nel furgone rispetto al viaggio che l’aveva portata lì.
Capiva che l’attenzione era dovuta alla presenza dei clienti che seguivano il trasporto, e non certo per rispetto dell’oggetto nella gabbia del quale conoscevano la natura.
Il viaggio fu infinito e, delle poche certezze che una schiava può avere, vi era quella che la vita “facile” era finita, visto che il posto nel quale era stata era solo una stazione del viaggio il cui scopo era di prepararla, senza rovinarla, all’uso futuro che, presumibilmente, sarebbe stato analogo a quello della coppia di schiavi coi quali aveva condiviso gli ultimi tempi e coi quali non aveva mai instaurato alcun rapporto umano.
I pensieri durante il trasporto in quella gabbia buia, erano troppi al punto da non averne nemmeno uno quando venne depositata in casa a terra.
Sentiva le voci attutite. Cercava di capire qualcosa ma il telo spesso che ricopriva la gabbia non le consentiva di capire bene i timbri vocali sui quali, peraltro, nemmeno si stava concentrando, in quanto non era una informazione che, in quel momento, pensava potesse esserle utile.
Era più concentrata sul cercare di capire i contenuti dei discorsi dei quali, però, percepiva solo la gioia per il regalo ricevuto.
Il cuore e la testa, che già le sembravano a mille, ebbero altra accelerazione quando sentì che stavano aprendo il pacco, la cui rivelazione l’avrebbe vista in ginocchio piegata in avanti, con gli avambracci a terra e la testa tenuta da un moschettone con la fronte sul pavimento della gabbia, quale unica costrizione, avendole lasciate polsi e caviglie libere, per quanto tali possano essere nel ristretto spazio di una gabbia.
Una volta liberata alla vista dei donatari, il suo cervello registrò un tono di stupore diverso rispetto a chi vede che nella gabbia c’è una schiava.
C’era qualcosa che non andava, come se la sorpresa non fosse l’oggetto in sé ma quell’oggetto in particolare.
Le venne il sospetto o, anzi, il timore, di essere stata regalata a qualcuno che la conosceva.
Stupidamente, si rese conto, non pensò che anche lei avrebbe potuto conoscere i suoi nuovi Padroni.
Dalle voci non più filtrate dal telo che ricopriva la gabbia ebbe un mancamento al cuore ed il respiro mozzato, come avesse ricevuto un calcio fortissimo alla bocca dello stomaco.
Non conosceva la nuova Padrona ma, invece, conosceva il nuovo Padrone, cioè il suo ex compagno di vita che, al pari della sua nuova moglie, era molto eccitato all’idea di averla quale schiava, regalata dai suoi suoceri.
Presa dall’ansia e dall’angoscia, vittima di quel fortissimo calcio morale allo stomaco, cercò di dimenarsi in un impossibile e patetico tentativo di liberarsi dalla costrizione, procurandosi male al collo trattenuto dal moschettone a terra e causando solo risate di divertimento nei suoi Padroni, nuovi ed ex.
“Guardate nell’astuccio”.
La voce eccitata della suocera le ingenerò altra ansia per quell’oggetto che inizialmente aveva trascurato.
Edith, la sua nuova Padrona, la moglie del suo ex compagno di vita, eccitata infilò la mano tra le sbarre per sciogliere il laccetto di cuoio che teneva fermo l’astuccio dello stesso materiale.
Seguirono altre grida eccitate.
“Mamma! Papà! ma è bellissimo, grazie!”.
Le fece altro male sentire come si stava rivolgendo a Diego.
“Amore, guarda! E’ bellissimo! facciamolo subito!”.
Anna non sapeva più su quale novità concentrarsi. Era come gettata da una rupe dalla quale non vedeva il fondo. Fu nel corso della caduta libera che sentì Diego pronunciare quella che sarebbe stata l’anticipazione della sua sorte in quella casa.
“Meraviglioso! Marchiamola subito! vado ad accendere il fuoco”.
Altre risate di divertimento seguirono nel vederla dimenarsi in gabbia, anticipando ed amplificando il piacere che avrebbero provato nel marchiare quelle giovani carni per segnare su essa la loro assoluta proprietà.
Dovettero ricorrere al frustino per farla uscire e tenerla, quasi impazzita dalla somma delle circostanze, del tutto dimentica della calma e rassegnazione che l’aveva guidata dal momento in cui era entrata nel centro di addestramento.
La bloccarono a terra legandola fortemente, con tanta fatica quanto era il divertimento e l’eccitazione.
Una volta stesa a terra sul ventre e immobilizzata. Diego le pose una scarpa sul collo per tenerla giù, più per affermare il suo potere e sottolineare la sua nuova posizione che per l’inutile scopo di bloccarla.
Il ferro rovente con le iniziali di Diego e di Edith era tenuto dalla Padrona che, con eccitazione di tutti, lo pose sulla scapola destra appena sotto alla clavicola.
Si eccitarono anche per le sue urla.
Anche la Padrona le pose una scarpa sulla schiena, pesando quel tanto che basta per affermare il suo potere.
“Sei la nostra schiava!”.
Era una frase evidentemente pronunciata più per il piacere di sentirsela dire che per comunicare l’ovvio alla schiava marchiata tenuta sotto le scarpe.
Edith le camminò sopra, facendole male col tacco.
Le pesò di più, non per i chili ma per il significato, quando le camminò sopra anche Diego. Poi, a turno, anche i “suoceri”, tutti diretti a prendersi un aperitivo in giardino lasciandola ancora incatenata a terra, ad assorbire il dolore della marchiatura, disinteressandosi di lei.
Il segno apposto indelebilmente sulla pelle cominciò ad entrare attraverso le carni della schiava per arrivare nel profondo della sua anima e lì annidarsi come un macigno più insopportabile del dolore fisico.
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2023-09-25
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