Leggende in Lomellina 2 – Tra verità, storie e un pizzico di sesso
di
Vandal
genere
etero
LEGGENDE IN LOMELLINA 2 – tra verita’, storie e un pizzico di sesso
Giulia afferra una cipolla rossa e e mela volge come la strega fece con Biancaneve "Dunque, questa è la dolcissima?" chiede
"Esatto, una cipolla rossa dolce che rivaleggia con la più nota di Tropea" risponde "D.O.P. In giugno si celebra la sagra e attira gente da Piemonte, Lombardia e Liguria, principalmente"
"E sel apeli non ti metti a piangere?"
"Meno rispetto alla sua sorella bionda"
Siamo a Breme, un piccolo centro in Lomellina a bordo del fiume Po, nota località famosa per la produzione della cipolla rossa, con la sua fetta di storia, Ci troviamo all’interno dell’ex complesso abaziale di San Pietro, ora sede del Municipio “X° secolo” dico “Anche se, la maggior parte dell’edificio attuale risale al XVI° secolo.” Indico un lato del porticato a destra e e lo sposto subito a sinistra “Di questo edificio, la cripta è l'unica parte rimasta dell'antica abbazia risalente al decimo secolo; presenta varie colonne che dividono le tre piccole navate. Altri ambienti visitabili sono il refettorio monastico, la cucina e la ghiacciaia. Alcuni ambienti del chiostro sono oggi utilizzati come spazi per uffici e associazioni”
“Parli come una guida turistica” dice lei facendosi stretta a me
“Mi piace questo paese. Ci vengo spesso a fare un giro. Per avere solo settecento abitanti, ha molte fiere da offrire: quella dell’artigianato a marzo, la cipolla rossa a giugno, la cipolla bionda ad agosto, la fiera d’autunno in ottobre e il mercatino di Natale a dicembre” la conduco verso la zona delle vecchie cucine dei frati “Ora ti faccio vedere il presunto luogo ove si avvertono strane presenze”
Si scende da scalini larghi consunti. Una scritta sul muro indica che bisogna accendere le luci. Alla fine della scala, sulla sinistra, le vecchie cucine dove i fraticelli sfornavano il pane e altre prelibatezze. Sulla destra tre stanze adibite a museo contadino. Attrezzi di vario genere come falci, roncole, vecchie bici, o pietre ancora più antiche risalenti alla costruzione originale dell’abazia. Ultima, la ghiacciaia. Dentro, sul fondo, è stato posizionato un piccolo faro che illumina le pareti spoglie della vecchia ghiaccia. Non senza timore, Giulia si stringe nel giubbotto e si avvicina di un metro alla stretta ringhiera “Non ci vedo quel granché” commenta. Ma non si arrischia ad avvicinarsi oltre
Stiamo lì cinque minuti. Giulia cerca di fare l’indifferente mentre gira per la stanza piena di antichi ricordi “Fa freddino qui”
“Beh, la ghiacciaia”
“Ho voglia di sole” dicembre Risaliamo in silenzio senza dire nulla. Nella grande corte circondata dal porticato, si posiziona al sole allargando le braccia “Ah, questo sì che và”
“Sai cosa sento ogni volta che scendo li giù?”
“Oltre al freddo?”
“Nulla”
“Forse perché non sei suggestionabile” dice lei “Magari se non mi dicevi nulla, andavo giù tranquilla, senza pensieri”
Rido “Vieni, facciamo due passi a piedi” passiamo davanti al municipio e scendiamo per un viottolo che conduce fino ad un grosso parcheggio. Costeggiamo le mura del municipio fino alla strada asfaltata. Sulla destra si arriva fino all’argine, sulla destra si torna in paese
“Non c’è un posto dove possiamo appartarci e dare libero sfogo a tu sai cosa”
“Qui in paese no”
“Uffa, neanche una sveltina?”
Tornati all’auto, mi dirigo verso l’argine del Po. Scavallo, scendendo fino al fiume e fermandomi nei pressi di un ponte di legno. Cartelli indicano di non andare oltre, proprietà privata Riserva di caccia “C’è un mistero da svelare?”
“Facciamo due passi?” la invito
Passeggiamo sulle assi scricchiolanti del ponte, oltre un pioppeto si intravede una grossa villa ottocentesca che sembra abbandonata. In periodo di caccia diventa un’oasi per cacciatori. Ora, resta solo un edificio vuoto in attese dell’inverno. Oltrepassiamo e tiriamo fino ad una grossa quercia. Vicino, qualcuno ci ha messo un pentolone e un cartello con scritto “Albero del Sabba”
“Un vero albero delle streghe” fa lei “Riti misteriosi, sacrifici umani?”
“Niente del genere. Un fantoccio, se lo vuoi chiamare, solo per turisti”
“Mi aspettavo qualcosa di leggendario”
“Una volta mi hanno raccontato che, sul finire del novecento, una giovane e un giovane si sdraiarono nudi tra le radici di quest’albero. Da lì a poco giunse a lei una giumenta di bianco mantello, con un corno in mezzo alla fronte”
“Unicorni, ma dai” ride lei
“I due non fecero nulla. Si limitarono a rimanere lì, con la giumenta che li osservava da lontano.
I due giovani, spinti da un’irrefrenabile voglia, si misero ad amoreggiare ai piedi della quercia, sotto gli occhi dell’Unicorno. Tale fu ardente accoppiamento che, la giumenta si avvicinò ai due, attratta dall’energia sessuale dei due amanti. Fu lì, a pochi passi da loro che,l’energia sessuale sprigionata venne inspirata dall’apparizione e fu lì, che qualcosa di diabolico fu concepito.
La giumenta si accoppiò con la giovane che, tolti ogni freno, si lasciò alla libido scatenata. Un grande fallo la penetrò e la possedette, mentre il lui della coppia, giaceva scomposto tra le radici. Fu un accoppiamento selvaggio, che la ragazza riuscì a domare ed accettare. Nonostante la grandezza fallica che la penetrava da dietro e davanti, la ragazza domò la fiera.
Alla fine, ella cadde scomposta sul suolo, ricoperta di seme nero. E la giumenta ora aveva il manto scuro come una notte senza stelle. Al suo risveglio, nuda ed infreddolita, la giovane non seppe dire se era sogno o realtà. E, del giovane con cui aveva iniziato la copula, non vi era traccia.
Raccontò il fatto alla gente del paese ma nessuno le credette. Solo pazzia era il suo epiteto. Ma, quando giunsero alla base della quercia e vi trovarono impronte scure sulla terra a forma di ferro di cavallo, qualche dubbio nacque in loro”
“E il lui?”
“Più visto o sentito. Pare che nessuno sapesse chi fosse. Attribuirono tutto alla fantasia della ragazza che, desiderosa di avere un rapporto sessuale, si inventò questa fantasia di unicorni e principi azzurri”
“Insomma, secondo gli abitanti del villaggio, venuta qui sgrillettarsi , si è addormentata facendo sogni torbidi e poi via?”
“Via così”
“Quanto c’è di vero in questa leggenda?”
“Come tutte le leggende, un fondo di verità c’è sempre. Qui non saprei dirtelo. Se vuoi possiamo fare una prova”
“Con il rischio che ci vedano?”
“Se esiste non può funzionare. Gli unicorni sono attratti dai vergini”
Alla fine si è lasciata andare. Ci siamo abbassati le zip e liberato i nostri sessi. Lei contro la corteccia della quercia e io che la premevo contro. Mi ha accolto con la giusta frenesia, attenti a non essere disturbati da eventuali intrusi. E’ riuscita ad avere anche un piccolo orgasmo.
Un rumore alle nostre spalle ci fa sussultare. Ci voltiamo appena in tempo per vedere un cervo fare capolino da un boschetto, per poi scappare via spaventato
Ritiro l’attrezzatura e scoppio a ridere. La soggezione fa dei brutti scherzi. “Devo svuotare la vescica” dico spostandomi verso il boschetto. Non avevo voglia di pisciare contro le radici di quella vecchia quercia
“Attento al cervo” avverte ridendo Giulia
“Ah, ah” faccio sarcastico
Svuoto per bene e mi ritiro su la cerniera. Sto per venire via quando, l’occhio mi cade più o meno dove abbiamo visto il cervo. Mi avvicino di un metro e osservo bene. Alzo lo sguardo sospettoso, scrutando tra gli alberi e, un brivido mi scorre lungo la schiena. Una forma indefinita si muove al limite del mio campo visivo.
Torno da Giulia, faccia seria. La prendo sottobraccio e la esorto a muovere il passo “Ehi, che ti prende? Hai visto un fantasma?”
“Esatto” rispondo
Solo quando abbiamo riattraversato il ponte di legno e saliti in auto, le dico cosa ho visto nella radura “Un’impronta scura di uno zoccolo ferrato” metto in moto e torno verso il paese
Lei non dice nulla, indecisa se credermi oppure no “Spero si sia divertito almeno”
Prima di ridiscendere verso il basso dell’argine, l’occhio si sposta allo specchietto retrovisore. E lui è là, che ci osserva, nitido, dal nero manto, con il suo corno piantato sulla fronte. Sorrido “Lo spero anche io”
Giulia afferra una cipolla rossa e e mela volge come la strega fece con Biancaneve "Dunque, questa è la dolcissima?" chiede
"Esatto, una cipolla rossa dolce che rivaleggia con la più nota di Tropea" risponde "D.O.P. In giugno si celebra la sagra e attira gente da Piemonte, Lombardia e Liguria, principalmente"
"E sel apeli non ti metti a piangere?"
"Meno rispetto alla sua sorella bionda"
Siamo a Breme, un piccolo centro in Lomellina a bordo del fiume Po, nota località famosa per la produzione della cipolla rossa, con la sua fetta di storia, Ci troviamo all’interno dell’ex complesso abaziale di San Pietro, ora sede del Municipio “X° secolo” dico “Anche se, la maggior parte dell’edificio attuale risale al XVI° secolo.” Indico un lato del porticato a destra e e lo sposto subito a sinistra “Di questo edificio, la cripta è l'unica parte rimasta dell'antica abbazia risalente al decimo secolo; presenta varie colonne che dividono le tre piccole navate. Altri ambienti visitabili sono il refettorio monastico, la cucina e la ghiacciaia. Alcuni ambienti del chiostro sono oggi utilizzati come spazi per uffici e associazioni”
“Parli come una guida turistica” dice lei facendosi stretta a me
“Mi piace questo paese. Ci vengo spesso a fare un giro. Per avere solo settecento abitanti, ha molte fiere da offrire: quella dell’artigianato a marzo, la cipolla rossa a giugno, la cipolla bionda ad agosto, la fiera d’autunno in ottobre e il mercatino di Natale a dicembre” la conduco verso la zona delle vecchie cucine dei frati “Ora ti faccio vedere il presunto luogo ove si avvertono strane presenze”
Si scende da scalini larghi consunti. Una scritta sul muro indica che bisogna accendere le luci. Alla fine della scala, sulla sinistra, le vecchie cucine dove i fraticelli sfornavano il pane e altre prelibatezze. Sulla destra tre stanze adibite a museo contadino. Attrezzi di vario genere come falci, roncole, vecchie bici, o pietre ancora più antiche risalenti alla costruzione originale dell’abazia. Ultima, la ghiacciaia. Dentro, sul fondo, è stato posizionato un piccolo faro che illumina le pareti spoglie della vecchia ghiaccia. Non senza timore, Giulia si stringe nel giubbotto e si avvicina di un metro alla stretta ringhiera “Non ci vedo quel granché” commenta. Ma non si arrischia ad avvicinarsi oltre
Stiamo lì cinque minuti. Giulia cerca di fare l’indifferente mentre gira per la stanza piena di antichi ricordi “Fa freddino qui”
“Beh, la ghiacciaia”
“Ho voglia di sole” dicembre Risaliamo in silenzio senza dire nulla. Nella grande corte circondata dal porticato, si posiziona al sole allargando le braccia “Ah, questo sì che và”
“Sai cosa sento ogni volta che scendo li giù?”
“Oltre al freddo?”
“Nulla”
“Forse perché non sei suggestionabile” dice lei “Magari se non mi dicevi nulla, andavo giù tranquilla, senza pensieri”
Rido “Vieni, facciamo due passi a piedi” passiamo davanti al municipio e scendiamo per un viottolo che conduce fino ad un grosso parcheggio. Costeggiamo le mura del municipio fino alla strada asfaltata. Sulla destra si arriva fino all’argine, sulla destra si torna in paese
“Non c’è un posto dove possiamo appartarci e dare libero sfogo a tu sai cosa”
“Qui in paese no”
“Uffa, neanche una sveltina?”
Tornati all’auto, mi dirigo verso l’argine del Po. Scavallo, scendendo fino al fiume e fermandomi nei pressi di un ponte di legno. Cartelli indicano di non andare oltre, proprietà privata Riserva di caccia “C’è un mistero da svelare?”
“Facciamo due passi?” la invito
Passeggiamo sulle assi scricchiolanti del ponte, oltre un pioppeto si intravede una grossa villa ottocentesca che sembra abbandonata. In periodo di caccia diventa un’oasi per cacciatori. Ora, resta solo un edificio vuoto in attese dell’inverno. Oltrepassiamo e tiriamo fino ad una grossa quercia. Vicino, qualcuno ci ha messo un pentolone e un cartello con scritto “Albero del Sabba”
“Un vero albero delle streghe” fa lei “Riti misteriosi, sacrifici umani?”
“Niente del genere. Un fantoccio, se lo vuoi chiamare, solo per turisti”
“Mi aspettavo qualcosa di leggendario”
“Una volta mi hanno raccontato che, sul finire del novecento, una giovane e un giovane si sdraiarono nudi tra le radici di quest’albero. Da lì a poco giunse a lei una giumenta di bianco mantello, con un corno in mezzo alla fronte”
“Unicorni, ma dai” ride lei
“I due non fecero nulla. Si limitarono a rimanere lì, con la giumenta che li osservava da lontano.
I due giovani, spinti da un’irrefrenabile voglia, si misero ad amoreggiare ai piedi della quercia, sotto gli occhi dell’Unicorno. Tale fu ardente accoppiamento che, la giumenta si avvicinò ai due, attratta dall’energia sessuale dei due amanti. Fu lì, a pochi passi da loro che,l’energia sessuale sprigionata venne inspirata dall’apparizione e fu lì, che qualcosa di diabolico fu concepito.
La giumenta si accoppiò con la giovane che, tolti ogni freno, si lasciò alla libido scatenata. Un grande fallo la penetrò e la possedette, mentre il lui della coppia, giaceva scomposto tra le radici. Fu un accoppiamento selvaggio, che la ragazza riuscì a domare ed accettare. Nonostante la grandezza fallica che la penetrava da dietro e davanti, la ragazza domò la fiera.
Alla fine, ella cadde scomposta sul suolo, ricoperta di seme nero. E la giumenta ora aveva il manto scuro come una notte senza stelle. Al suo risveglio, nuda ed infreddolita, la giovane non seppe dire se era sogno o realtà. E, del giovane con cui aveva iniziato la copula, non vi era traccia.
Raccontò il fatto alla gente del paese ma nessuno le credette. Solo pazzia era il suo epiteto. Ma, quando giunsero alla base della quercia e vi trovarono impronte scure sulla terra a forma di ferro di cavallo, qualche dubbio nacque in loro”
“E il lui?”
“Più visto o sentito. Pare che nessuno sapesse chi fosse. Attribuirono tutto alla fantasia della ragazza che, desiderosa di avere un rapporto sessuale, si inventò questa fantasia di unicorni e principi azzurri”
“Insomma, secondo gli abitanti del villaggio, venuta qui sgrillettarsi , si è addormentata facendo sogni torbidi e poi via?”
“Via così”
“Quanto c’è di vero in questa leggenda?”
“Come tutte le leggende, un fondo di verità c’è sempre. Qui non saprei dirtelo. Se vuoi possiamo fare una prova”
“Con il rischio che ci vedano?”
“Se esiste non può funzionare. Gli unicorni sono attratti dai vergini”
Alla fine si è lasciata andare. Ci siamo abbassati le zip e liberato i nostri sessi. Lei contro la corteccia della quercia e io che la premevo contro. Mi ha accolto con la giusta frenesia, attenti a non essere disturbati da eventuali intrusi. E’ riuscita ad avere anche un piccolo orgasmo.
Un rumore alle nostre spalle ci fa sussultare. Ci voltiamo appena in tempo per vedere un cervo fare capolino da un boschetto, per poi scappare via spaventato
Ritiro l’attrezzatura e scoppio a ridere. La soggezione fa dei brutti scherzi. “Devo svuotare la vescica” dico spostandomi verso il boschetto. Non avevo voglia di pisciare contro le radici di quella vecchia quercia
“Attento al cervo” avverte ridendo Giulia
“Ah, ah” faccio sarcastico
Svuoto per bene e mi ritiro su la cerniera. Sto per venire via quando, l’occhio mi cade più o meno dove abbiamo visto il cervo. Mi avvicino di un metro e osservo bene. Alzo lo sguardo sospettoso, scrutando tra gli alberi e, un brivido mi scorre lungo la schiena. Una forma indefinita si muove al limite del mio campo visivo.
Torno da Giulia, faccia seria. La prendo sottobraccio e la esorto a muovere il passo “Ehi, che ti prende? Hai visto un fantasma?”
“Esatto” rispondo
Solo quando abbiamo riattraversato il ponte di legno e saliti in auto, le dico cosa ho visto nella radura “Un’impronta scura di uno zoccolo ferrato” metto in moto e torno verso il paese
Lei non dice nulla, indecisa se credermi oppure no “Spero si sia divertito almeno”
Prima di ridiscendere verso il basso dell’argine, l’occhio si sposta allo specchietto retrovisore. E lui è là, che ci osserva, nitido, dal nero manto, con il suo corno piantato sulla fronte. Sorrido “Lo spero anche io”
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