Pigmei – nuovamente schiava (parte 2)
di
Kugher
genere
sadomaso
“Vediamo subito la merce”.
Altra risata che, a differenza della precedente, era carica di desiderio erotico.
“In ginocchio puttane”.
L’eccitazione che già si era impadronita degli uomini fu resa più evidente dal lavoro di bocca delle schiave.
“Sono brave queste bestie!”
“Renderanno bene”.
“Sono pure francesi. Materiale di prima scelta”.
“Questa che me lo sta succhiando ha l’aria di essere una nobile”.
“Allora sbrigati, voglio godere nella figa di una contessa”.
La notte fu insonne per le tre donne.
Il ferro delle catene e dei collari le abbatté nell’anima prima che nei corpi.
Le corde avevano un significato forte, ma le catene erano ben altra cosa. Non erano più abituate a uomini grandi e grossi e, davanti a loro, si sentirono ancor più nude di quanto i vestiti strappati già non le facessero sentire.
La mattina dopo, al risveglio i Padroni trovarono uno di loro seduto con la schiena appoggiata ad un albero intento a prendere il primo piacere della giornata.
Monique era tra le sue gambe intenta a succhiargli il cazzo.
“Muoviti che dobbiamo riprendere il viaggio, la nave non ci aspetta e queste puttane ci hanno già fatto perdere tempo per inseguirle”.
Non si erano nemmeno accorte di averli avuti alle calcagna.
Pensavano di essere state brave. Invece, con buone probabilità, i pigmei avevano desistito dal loro inseguimento perché si erano accorti che sulle loro tracce c’erano anche quegli uomini bianchi, grossi, a cavallo e meglio armati.
Chanel, come le altre, aveva sentito il riferimento ad una nave. Forse sarebbero tornate nel loro continente, comunque più vicine a casa ma in ben altra schiavitù.
Nel loro ambiente erano abituate alle serve. Non aveva mai sentito l'esistenza di schiave. Si chiese in quale nazione sarebbero state portate.
Si aprivano mille varianti: la nazione di destinazione, il mercato delle schiave, cosa a loro sconosciuta prima, i nuovi Padroni che, con ogni probabilità, per poter acquistare e tenere schiave, dovevano avere ben altre protezioni personali.
In alcune zone, un nobile, se ben introdotto nell’ambiente, poteva fare quasi tutto ciò che voleva nelle sue terre. Figurarsi acquistare schiave e tenerle da qualche parte incatenate.
In tutti i castelli nei quali Chanel era stata ospitata non aveva mai visto persone in schiavitù, ma era anche vero che non aveva mai girato tutte le proprietà degli ospiti.
“Muovetevi, bestie!”.
Tutte e tre vennero incitate con lo scudiscio, meno ingombrante di una frusta.
Quegli uomini stavano dimostrando di essere più crudeli dei pigmei che, almeno, finché ubbidivano non esageravano con le torture.
Per questi ultimi il frustino serviva per essere ubbiditi o, eventualmente, per ottenere una migliore e più precisa e puntuale esecuzione dell’ordine impartito. Ciò avveniva principalmente ai primi tempi dopo la cattura, quando le schiave ancora non capivano il significato degli ordini ed i Padroni, come accade per gli animali, le dovevano addomesticare.
Questa la sensazione vissuta quando si trovavano al campo nella tribù, quella di essere un animale nei cui confronti non ha senso essere crudeli se non per ottenere prestazioni migliori.
Cosa ben diversa in questa nuova prigionia in mano agli uomini inglesi.
Per questi erano mere schiave, qualcosa di ancora più inferiore degli animali. Nei confronti dei loro cavalli, si comportavano con più rispetto e minor crudeltà.
Mentre per i pigmei erano utili per la vita della tribù, per gli inglesi erano solo merce da vendere e con la quale divertirsi.
“Cammina, bestia!”.
La frustata colpì Chanel sulla schiena, ultima della fila, forse messa appositamente in quella posizione.
Aveva una catena attaccata al suo collare in ferro, che le pesava sul collo e sull’anima. La stessa catena era attaccata ai collari di Camille e di Monique e, poi, alle altre 4 schiave del gruppo. Nessuna di loro era francese. Erano tre inglesi e una tedesca. Anch’esse completamente nude.
Il carro che le precedeva ed al quale erano attaccate, era piccolo. Serviva giusto per le vettovaglie, i rifornimenti, il cibo e le casse per l’acqua.
A differenza dei pigmei, che si nutrivano strada facendo, rifornendo anche le schiave al pari loro, questi non erano attrezzati e viaggiavano carichi.
Ogni tanto si rifornivano ma non andavano a cercare cibo giorno per giorno.
Sul carro un solo uomo per volta che governava il solo cavallo utile per il traino.
Altri due uomini, a cavallo, seguivano la carovana, stando dietro il carro.
“Tieni, troia!”.
Chanel, sotto questo colpo impietoso di frusta, che aveva preso il posto dello scudiscio per poter essere usata dal cavallo, stava per cadere ma riuscì a restare in piedi.
Aveva paura della reazione dei Padroni se fosse caduta.
Qualche ora addietro era accaduto ad Inge, la tedesca che, colpita a tradimento dalla frusta, era caduta. Il carro non si era fermato e per qualche metro era stata trascinata a terra.
Le schiave inglesi stettero ferme, senza intervenire, mentre Chanel e le sue compagne di sventura cercarono di aiutarla.
Le mani erano libere, in quanto la catena era solo al collo.
“State ferme, animali. Si arrangi quella puttana!”.
Camille e Chanel furono colpite da altrettante frustate sulle loro schiene.
Monique, che non aveva nemmeno fatto in tempo a toccare la ragazza caduta, fu risparmiata.
Ogni tanto, a turno, tutte venivano colpite dalla frusta, senza nessun motivo, per il mero piacere e divertimento di uno dei Padroni.
Non avevano paura di segnare la merce.
Evidentemente o erano destinate ad un mercato con poche pretese, tipo i postriboli, oppure contavano sul fatto che il tempo necessario perché la nave raggiungesse la destinazione, avrebbe portato la loro pelle a ritornare normale e, quindi, a mantenere inalterato il loro valore commerciale.
Faceva caldo nelle ore centrali.
Gli uomini avevano cappelli e, in sella ai cavalli o al carro, non avevano fatica che portasse il corpo a riscaldarsi.
Inoltre avevano accesso alla scorta di acqua che alle schiave veniva negata e razionata nelle poche soste.
Chanel non poteva evitare un confronto con l’attenzione dei pigmei verso le schiave, per loro merce utile alla vita del campo e per le quali, al pari degli animali, avevano le attenzioni dovute per la corretta conservazione.
“Porca troia!”.
Il conducente del carro fermò il mezzo. Il cavallo, già stanco ed azzoppato, si era ulteriormente infortunato nel terreno accidentato e sconnesso.
“Questa bestia non ce la fa più a tirare questo cazzo di carro!”.
Il malumore si diffuse negli altri due, prontamente risolto da Harry, colui che guidava il carro.
Scese, liberò il cavallo e lo lasciò andare via. Oramai per loro inutile.
James era preoccupato ma Harry aveva già la soluzione.
Liberò le schiave che, attonite e spaventate, spinte in malo modo, presero il posto del cavallo liberato.
Una libertà guadagnata veniva sostituita con una peggiore schiavitù.
In un modo o nell’altro Harry legò le 7 schiave al posto del cavallo.
Le donne si guardarono l’un l’altra col terrore negli occhi.
Gli altri due uomini proruppero in una risata, mista di eccitazione e di divertimento.
“Harry sei un genio”.
L’uomo risalì sul carro e iniziò impietosamente a frustare le nuove cavalle da tiro.
“Forza, bestie, la strada è ancora lunga!”
Le schiave facevano fatica, molta, e l’uomo non si sognava certo di scendere per alleggerire il carro.
“Forza!”.
Altre frustate finché le cavalle non riuscirono a mettersi in movimento e, poi, a mantenere una velocità abbastanza costante.
Dovevano necessariamente rallentare la marcia rispetto al cavallo ma, almeno, erano in movimento.
I Padroni non erano eccessivamente preoccupati e, quindi, pensavano comunque di riuscire raggiungere la nave per tempo.
Nessuno di loro disse alle nuove cavalle quanto fosse la distanza da percorrere né il tempo ipotizzato.
“Forza bestie”.
Questo l’incitamento che ogni volta accompagnava l’uso della frusta che, indiscriminatamente, colpiva a caso le schiave.
Altra risata che, a differenza della precedente, era carica di desiderio erotico.
“In ginocchio puttane”.
L’eccitazione che già si era impadronita degli uomini fu resa più evidente dal lavoro di bocca delle schiave.
“Sono brave queste bestie!”
“Renderanno bene”.
“Sono pure francesi. Materiale di prima scelta”.
“Questa che me lo sta succhiando ha l’aria di essere una nobile”.
“Allora sbrigati, voglio godere nella figa di una contessa”.
La notte fu insonne per le tre donne.
Il ferro delle catene e dei collari le abbatté nell’anima prima che nei corpi.
Le corde avevano un significato forte, ma le catene erano ben altra cosa. Non erano più abituate a uomini grandi e grossi e, davanti a loro, si sentirono ancor più nude di quanto i vestiti strappati già non le facessero sentire.
La mattina dopo, al risveglio i Padroni trovarono uno di loro seduto con la schiena appoggiata ad un albero intento a prendere il primo piacere della giornata.
Monique era tra le sue gambe intenta a succhiargli il cazzo.
“Muoviti che dobbiamo riprendere il viaggio, la nave non ci aspetta e queste puttane ci hanno già fatto perdere tempo per inseguirle”.
Non si erano nemmeno accorte di averli avuti alle calcagna.
Pensavano di essere state brave. Invece, con buone probabilità, i pigmei avevano desistito dal loro inseguimento perché si erano accorti che sulle loro tracce c’erano anche quegli uomini bianchi, grossi, a cavallo e meglio armati.
Chanel, come le altre, aveva sentito il riferimento ad una nave. Forse sarebbero tornate nel loro continente, comunque più vicine a casa ma in ben altra schiavitù.
Nel loro ambiente erano abituate alle serve. Non aveva mai sentito l'esistenza di schiave. Si chiese in quale nazione sarebbero state portate.
Si aprivano mille varianti: la nazione di destinazione, il mercato delle schiave, cosa a loro sconosciuta prima, i nuovi Padroni che, con ogni probabilità, per poter acquistare e tenere schiave, dovevano avere ben altre protezioni personali.
In alcune zone, un nobile, se ben introdotto nell’ambiente, poteva fare quasi tutto ciò che voleva nelle sue terre. Figurarsi acquistare schiave e tenerle da qualche parte incatenate.
In tutti i castelli nei quali Chanel era stata ospitata non aveva mai visto persone in schiavitù, ma era anche vero che non aveva mai girato tutte le proprietà degli ospiti.
“Muovetevi, bestie!”.
Tutte e tre vennero incitate con lo scudiscio, meno ingombrante di una frusta.
Quegli uomini stavano dimostrando di essere più crudeli dei pigmei che, almeno, finché ubbidivano non esageravano con le torture.
Per questi ultimi il frustino serviva per essere ubbiditi o, eventualmente, per ottenere una migliore e più precisa e puntuale esecuzione dell’ordine impartito. Ciò avveniva principalmente ai primi tempi dopo la cattura, quando le schiave ancora non capivano il significato degli ordini ed i Padroni, come accade per gli animali, le dovevano addomesticare.
Questa la sensazione vissuta quando si trovavano al campo nella tribù, quella di essere un animale nei cui confronti non ha senso essere crudeli se non per ottenere prestazioni migliori.
Cosa ben diversa in questa nuova prigionia in mano agli uomini inglesi.
Per questi erano mere schiave, qualcosa di ancora più inferiore degli animali. Nei confronti dei loro cavalli, si comportavano con più rispetto e minor crudeltà.
Mentre per i pigmei erano utili per la vita della tribù, per gli inglesi erano solo merce da vendere e con la quale divertirsi.
“Cammina, bestia!”.
La frustata colpì Chanel sulla schiena, ultima della fila, forse messa appositamente in quella posizione.
Aveva una catena attaccata al suo collare in ferro, che le pesava sul collo e sull’anima. La stessa catena era attaccata ai collari di Camille e di Monique e, poi, alle altre 4 schiave del gruppo. Nessuna di loro era francese. Erano tre inglesi e una tedesca. Anch’esse completamente nude.
Il carro che le precedeva ed al quale erano attaccate, era piccolo. Serviva giusto per le vettovaglie, i rifornimenti, il cibo e le casse per l’acqua.
A differenza dei pigmei, che si nutrivano strada facendo, rifornendo anche le schiave al pari loro, questi non erano attrezzati e viaggiavano carichi.
Ogni tanto si rifornivano ma non andavano a cercare cibo giorno per giorno.
Sul carro un solo uomo per volta che governava il solo cavallo utile per il traino.
Altri due uomini, a cavallo, seguivano la carovana, stando dietro il carro.
“Tieni, troia!”.
Chanel, sotto questo colpo impietoso di frusta, che aveva preso il posto dello scudiscio per poter essere usata dal cavallo, stava per cadere ma riuscì a restare in piedi.
Aveva paura della reazione dei Padroni se fosse caduta.
Qualche ora addietro era accaduto ad Inge, la tedesca che, colpita a tradimento dalla frusta, era caduta. Il carro non si era fermato e per qualche metro era stata trascinata a terra.
Le schiave inglesi stettero ferme, senza intervenire, mentre Chanel e le sue compagne di sventura cercarono di aiutarla.
Le mani erano libere, in quanto la catena era solo al collo.
“State ferme, animali. Si arrangi quella puttana!”.
Camille e Chanel furono colpite da altrettante frustate sulle loro schiene.
Monique, che non aveva nemmeno fatto in tempo a toccare la ragazza caduta, fu risparmiata.
Ogni tanto, a turno, tutte venivano colpite dalla frusta, senza nessun motivo, per il mero piacere e divertimento di uno dei Padroni.
Non avevano paura di segnare la merce.
Evidentemente o erano destinate ad un mercato con poche pretese, tipo i postriboli, oppure contavano sul fatto che il tempo necessario perché la nave raggiungesse la destinazione, avrebbe portato la loro pelle a ritornare normale e, quindi, a mantenere inalterato il loro valore commerciale.
Faceva caldo nelle ore centrali.
Gli uomini avevano cappelli e, in sella ai cavalli o al carro, non avevano fatica che portasse il corpo a riscaldarsi.
Inoltre avevano accesso alla scorta di acqua che alle schiave veniva negata e razionata nelle poche soste.
Chanel non poteva evitare un confronto con l’attenzione dei pigmei verso le schiave, per loro merce utile alla vita del campo e per le quali, al pari degli animali, avevano le attenzioni dovute per la corretta conservazione.
“Porca troia!”.
Il conducente del carro fermò il mezzo. Il cavallo, già stanco ed azzoppato, si era ulteriormente infortunato nel terreno accidentato e sconnesso.
“Questa bestia non ce la fa più a tirare questo cazzo di carro!”.
Il malumore si diffuse negli altri due, prontamente risolto da Harry, colui che guidava il carro.
Scese, liberò il cavallo e lo lasciò andare via. Oramai per loro inutile.
James era preoccupato ma Harry aveva già la soluzione.
Liberò le schiave che, attonite e spaventate, spinte in malo modo, presero il posto del cavallo liberato.
Una libertà guadagnata veniva sostituita con una peggiore schiavitù.
In un modo o nell’altro Harry legò le 7 schiave al posto del cavallo.
Le donne si guardarono l’un l’altra col terrore negli occhi.
Gli altri due uomini proruppero in una risata, mista di eccitazione e di divertimento.
“Harry sei un genio”.
L’uomo risalì sul carro e iniziò impietosamente a frustare le nuove cavalle da tiro.
“Forza, bestie, la strada è ancora lunga!”
Le schiave facevano fatica, molta, e l’uomo non si sognava certo di scendere per alleggerire il carro.
“Forza!”.
Altre frustate finché le cavalle non riuscirono a mettersi in movimento e, poi, a mantenere una velocità abbastanza costante.
Dovevano necessariamente rallentare la marcia rispetto al cavallo ma, almeno, erano in movimento.
I Padroni non erano eccessivamente preoccupati e, quindi, pensavano comunque di riuscire raggiungere la nave per tempo.
Nessuno di loro disse alle nuove cavalle quanto fosse la distanza da percorrere né il tempo ipotizzato.
“Forza bestie”.
Questo l’incitamento che ogni volta accompagnava l’uso della frusta che, indiscriminatamente, colpiva a caso le schiave.
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