Mal d'Africa: Laura e Said

di
genere
sentimentali

di Tilde e Chicken

Sozousa, 16 aprile 1931

Una tartana a vele latine scivolava sulle onde del placido mare turchese, argentato dalla luce del mattino, a largo delle coste della Cirenaica. Sulla barca una giovane donna, dalle ciocche castane mosse nel vento, che scrutava la riva in cerca del mujahidin che sarebbe dovuto essere lì per riceverla.

Nessuna traccia dell'uomo; sul molo solo quattro pescatori intenti a scaricare casse di pesce dai loro gozzi.
A bordo, il capitano Chinnici avvertì la passeggera:

“Signorina siamo arrivati; viro per l'attracco, fate attenzione al boma che stramberà di colpo"
“Sì, vi ringrazio capitano”
“Adesso che ci siamo, mi potreste dire come mai questa traversata di notte?”
“Meno sapete e meglio è, credetemi capitano!”
“Ma una bella ragazza come voi che ci fa quaggiù? non stavate meglio a Bengasi? da chi fuggite?”
“Non sto fuggendo, buon amico"
”Comunque fidatevi di nessuno, che qui non è più il regno d'Italia, i mezzi egizi non vedono di buon occhio le donne; si copra bene!”
“Siete molto gentile, sarò accorta. Voi non vi trattenete più del dovuto”
“Già; eccoci! adesso potete scendere, ma vorrei…”
“Datemi retta... vi prometto che mi rivedrete!”

S'avvolse nel nijab e, aggrappatasi ad un canapo dell'approdo, lasciò quel legno lucido per la terra ferma.

Superò i pescatori, sentì i loro occhi sulla pelle e qualche commento in arabo. Sorrise.
Alla fine della banchina apparve un beduino in sella ad un dromedario, giusto un cenno dell'uomo fece intendere chi fosse.
Lo raggiunse di passo svelto lasciando intravedere le caviglie sottili e le gambe chiare sotto la veste di lino color verde acqua.
Il miliziano si presentò in un ottimo italiano:

“Bene arrivata, signorina D'Oriano, sono Said e sarò la vostra guida e scorta personale…”
“anche solo Laura… piacere, finalmente ci conosciamo. l'ultimo vostro biglietto al caffè del lido non si leggeva, ho anche avuto timore di sbagliare approdo...”
“Sapevo che non vi sareste sbagliata, voi siete donna intelligente e… molto più bella di quanto pensassi. Ho visto il capitano Salvo riprendere il largo…”
“Vi conoscete?”
“Sì, ci fornisce viveri e munizioni da quando le truppe della vostra gente pattugliano il confine con l'Egitto”
“Sono nata ad Istanbul, ho già viaggiato nella mia vita e visto anime diverse; ho amici in molte città in cui sono stata ed i miei genitori mi hanno cresciuta tra arte e cultura; non sono certo un’ammiratrice del duce!”
“Fate… fai, bene… dai, sali sulla sella, che partiamo; la strada è lunga e parleremo camminando”

Il piccolo borgo si perse rapidamente dietro le loro spalle, inoltrandosi nella valle. Incrociarono due piccole carovane lungo il tragitto con le insegne littorie sui teloni. Probabilmente coloni veneti o forse soldati camuffati. Laura non riconobbe alcun viso.

“Vedi, Laura, non ci sarebbero ostilità da parte nostra se solo voi non ci rubaste case e terre"
“Said, io…”
“Sì, lo so… altrimenti non avrei cercato te!”
“Come è Omar?”
“Il nostro tutto: capo spirituale e militare. Ha tanta cultura e ti piacerà, soprattutto il vederlo forte e combattivo, nonostante i suoi settant'anni. Guarda me, ne ho cinquanta e, forse, ne dimostro anche di più, ma questo non è mai stato motivo per fare un passo indietro. Avrei potuto tornare alla mia vita, alla mia famiglia, da mia moglie, ma so che il mio posto è qui, accanto a lui...”
“Per il vostro paese...”

Laura squadrò Said, poteva leggere sulla sua pelle i segni degli anni nel deserto e della guerra, ma gli occhi ed il tono della voce sapevano essere freschi come quelli di un coetaneo.
Lui riprese ridendo:

“Già, esatto! Sembro retorico, vero? Abbiamo ancora un lungo cammino davanti e non è il caso di appesantire un viaggio già faticoso di suo. Dai, dimmi di te - con un guizzo nella voce - ho saputo che sei una cantante!”
“Ma no, ho solo provato. A Parigi. Per tre anni ho studiato e provato il canto, ma non è andata benissimo, poi un mese fa mi sono ritrovata a Misurata”
“E allora cantami qualcosa: è la prima volta che ho la fortuna di avere una giovane donna per allietare qualche ora di questo vecchio brontolone”

Risero con leggerezza, Laura si coprì la bocca con una mano, in un gesto di elegante pudicizia, che colse Said di tenera sorpresa, rimanendone stregato.
La ragazza intonò un’aria dall’ampia malinconica melodia.
Lo sguardo di Said rimase fisso su di lei. Ma di tanto in tanto, quando la giovane donna incontrava i suoi occhi, lui tornava a guardare le dune all’orizzonte; quasi imbarazzato di essersi fatto scoprire in un attimo di debolezza.
Quando le ultime note del canto si spensero lievi non ci furono applausi scroscianti, ma una lacrima rigò il volto del senussita.

“Senti, sei così giovane, non passerai inosservata. Incontreremo truppe italiane e fingeremo che io sia un savari in congedo temporaneo, accompagnato dalla propria donna, ti sarà facile convincerli.”
Lei annuì.
“Ma ancora io mi chiedo…chi te lo fa fare di rischiare la vita per gente che non conosci e che perderà?”
“Non perderete se mi date ascolto; il macellaio lo conosco fin da piccola e di me si fida. L'altra notte è stato con…”
“No, non me ne parlare; preferisco non sapere. Cerca di capirmi, fino a due ore fa non mi importava di te, ma adesso…”
“Che fai, il geloso?”

Laura si lasciò scappare una risatina impertinente, a cui Said rispose con uno sguardo sbieco ma allegro

“Dobbiamo essere convincenti, gli italiani non si faranno raggirare facilmente... E tu, sei disposta a vestire i panni della giovane sposa di questo vecchio arnese?”
“Ma certo, mio diik!”
“Sei andata vicina: Dajaj è il mio soprannome!”
“Buffo, come nome da battaglia, non brilla in coraggio...”
“E’ perché sono bianco e spelacchiato, non perché mi manchi coraggio, la mia signorina bella!”
“Sei divertente, fai delle facce e delle mosse… “

Continuarono a lungo a prendersi in giro e ridere, fino a che lei quasi cascò dalla sella.
Lui la riprese avvolgendola con le sue braccia, il nijab le offuscò il volto e lui istintivamente la baciò sulle labbra da quel telo nascoste. Lei rimase sorpresa, si scostò spingendosi con le mani dalle sue spalle, ma lui non cedette; ella, allora, si scoprì dal velo e ricambiò il bacio. Un sapore di sabbia impalpabile si mescolò ai loro in un rito ancestrale.

Il vento sferzava, alzando polvere e intensità, sotto un sole capace d'incendiare le carni ed i sassi. I due ripresero a camminare, sorridendosi, mano nella mano. Solo alcuni metri dopo vennero intercettati da una pattuglia di meharisti sulle loro cavalcature, Laura con lo sguardo zittì Said.

“Voi due! Beduini, fermatevi!”
“Siamo italiani, mio marito ed io”
“Che ci fate qua? la colonia è lontana!”
“E’ vero, ma siamo qui da giorni e volevamo raggiugere Beida”
“Siete matti, sono quasi venti miglia, dovrei portarvi al comando! Che avete sotto quella coperta attaccata alla sella?”

Said e Laura si guardarono, il timore che il loro segreto fosse scoperto ed il loro viaggio si interrompesse molto prima del previsto serpeggiò negli animi, ma lei non ebbe esitazioni e prontamente incalzò con voce suadente

“Niente, solo quella, volete vedere? per il comando... non lo farete, vero?”
“Per una bella donna come voi non lo faremo e, con la voce che avete, mi fido della parola vostra. Ditemi, invece, vostro marito è muto?”
“No, solo una laringite, da cui è quasi guarito”
“Mah!... non è un gioco, donna, qui è pericoloso con quei ribelli senussiti a piede libero. A tre miglia, c'è una zawiya confiscata e sicura, andate lì”
“Lo faremo di certo, grazie. Onore a Graziani!"
“Brava! onore al generale; ed al duce… “
“Ovviamente; spero di rivedervi”
“Anche io, buona giornata!”

I militari, poco convinti, si allontanarono in una nuvola di polvere giallastra; Said strinse a sé Laura perdendosi in un bacio poi, insieme, risalirono in groppa e partirono velocemente. Non arrivarono al rifugio, ma piegarono fra le rocce in direzione degli arbusti in lontananza, inerpicandosi sulla montagna sempre più verde del Gebel.

Il cielo si rabbuiò improvvisamente, un vento teso risaliva dalla costa con il suo carico di salsedine. Le prime gocce li colpirono che erano ancora alle propaggini del bosco; raggiunsero correndo un piccolo anfratto che si apriva sul fianco del monte, seminascosto da un grosso cespuglio di mirto ed un corbezzolo.
Si gettarono al suo interno mentre la pioggia aumentava di forza e il frastuono di tuoni e lampi squarciava l'aria.
Buio, nessun riflesso, il suono che si perdeva in lontananza: tutto faceva pensare che fosse l'antro di una grotta molto più grande.
Said trasse un accendino dalla tasca e disse quasi sottovoce: "aspetta qui, vado a vedere laggiù".
Poi, al chiarore ambrato di quella fiammella tremolante, si addentrò.
Dopo non molto gli parve sicuro e disabitato, così tornò sui suoi passi

“Allah protegge il nostro cammino, giovane Laura. Potremo passare qui la notte, in attesa che passi la tempesta...”

Aveva cominciato a parlare da lontano, quando la figura della ragazza era solo una sagoma scura all’ingresso della fenditura, stagliata contro il cielo illuminato dai lampi. Quando le fu vicino, Said, poté distinguere l'armonia del corpo fasciato negli abiti zuppi d’acqua e la curva dei seni; non più celata dallo stesso tessuto comodo che, in quel momento, vi aderiva languidamente.

D’istinto distolse lo sguardo con fare imbarazzato. L’uomo era confuso ed emozionato, timoroso di mostrare alla donna i propri occhi credendo che, da essi, lei percepisse il desiderio che lo stava corrodendo in quel momento.

“Cosa c’è Dajaj? A me lo puoi dire, sono la tua finta moglie, no? Dai, coraggio, fammi strada”

Lui, senza proferir parola, allungò il braccio verso di lei, porgendole la mano che lei prese; avanzando nella penombra.

“Vieni, Laura, voglio mostrarti una cosa; non temere”

Alla luce della fiamma la condusse verso l’interno della grotta; mentre avanzavano, un rumore d’acqua scrosciante si faceva sempre più forte assieme ad un chiarore crescente. La caverna si aprì in uno spazio più ampio. Da un’apertura in alto, allungata come un occhio orientale, penetrava la luce del giorno, assieme alla magia di una piccola cascata di pioggia, musicale ed iridescente, che terminava in uno specchio liquido e limpido fra l'ocra delle rocce.

“Potremo lavarci qui, è da tempo che batto le strade del deserto. Chi, come noi, vive scappando e nascondendosi sa quanto certi regali del cielo siano benedetti…”

La ragazza si limitò a sorridere con una lieve malizia: quell’avventura si tingeva improvvisamente di un colore inaspettato.

Approfittò lui per primo, spogliandosi delle vesti fino a poco prima solo impolverate, lanciandosi sotto il flagello di quel getto d'acqua; ogni suo muscolo sembrava sciogliersi sotto la pioggia. Strofinandosi il viso e pulendo il corpo indurito dagli anni di battaglie, sussurrò parole di ringraziamento al misericordioso per quel dono.
Ma quello che vide quando riaprì gli occhi gli parve una benedizione ancor maggiore.

“Said?… Dajaj… che hai?"

Laura si era liberata dalle sue vesti fradice ed era lì, di fronte a lui, inerme e disponibile, irresistibile nella sue forme sode ed eleganti, fresca come la pioggia.

Non abbassò lo sguardo stavolta. Allungò la mano che lei prese dolcemente, un piccolo passo e si trovarono uniti sotto la cascata.
Una pudica esitazione ancora, poi le loro labbra si incontrarono e le loro mani si cercarono e trovarono.

Said si chinò a baciarle il ventre giovane, rigato dalle acque, le dita di lei sul suo capo un invito ad osare; lui continuò ad assaporarne la pelle, un delicato verso come di animale ferito le sfuggì dalle labbra al suo profanarne l’ombelico con la lingua.
Lui serrò le mani sui suoi fianchi e poggiò la testa sulla sua pancia, sospirando

“Laura…”
“Dimmi”
“Perché io?”
“Che domanda stupida, Dajaj.”

Lei lo costrinse dolcemente a tornare in piedi, gli prese una mano portandosela sul seno e si strinse a lui; ne sentì l'eccitazione premere turgida sul proprio ventre e le sue dita non poterono che scendere ad accarezzare quell'asta, regalando a lui un altro sospiro.
Un bacio ancora li unì.

Lui la sollevò, sostenendola per le cosce lisce; lei si aggrappò con le gambe ai suoi fianchi, braccia sulle spalle, affogò la faccia di lui sul proprio petto; poi la spinse contro la parete di roccia levigata; incerto se lei si potesse sentire violata.

Ostaggio di lui, prigioniera delle rocce, Laura si abbandonò invece docile alle mani di Said che seguirono la curva dei suoi glutei, un territorio vergine da esplorare, pieghe da scoprire con le dita.
L’uomo la guardava negli occhi tremanti mentre i suoi polpastrelli le sfioravano il clitoride e lei gemeva nel piacere del proprio sesso inumidito di voglia.

La mano della ragazza ne afferrò il cazzo, masturbandolo lentamente, mentre lui le baciava i seni e godeva del sapore di donna da troppo tempo negato, torturandone i piccoli capezzoli; quasi un dolore che lei stava amando.
Il loro respiri si fecero uno, i loro battiti si unirono; nella brama crescente di un di più, di un pudore caduto; di un tocco audace; improvviso, implorante perdono, soffocato nella volontà di ripeterlo, nel desiderio di rigoderlo.

Laura gemette quando Said penetrò con un dito l’orlo più nascosto; sospirò spingendo sé stessa su quella mano grande, su quelle dita che la stavano scopando.
Ad occhi chiusi gettò lo sguardo al cielo poi tornò alle iridi nere di lui; languida, ansimò; un gemito ancora, un respiro profondo in un piccolo "Sì, ancora..." a fil di voce.

Quando le fu ormai impossibile resistere, si liberò della presa e si chinò, a baciargli il glande, a coccolarlo con le labbra morbide fra schizzi d'acqua, come le era già successo di fare a Parigi, ma l’uomo si irrigidì

“Co… cosa fai?”
“Said… quando la smetterai di parlare?”

Lei riprese a solleticare e succhiare l'intimità dell’uomo.
Dapprima lui cercò di sottrarsi a quelle attenzioni poi, sorpreso ed eccitato, si arrese e si stampò con la schiena alle pietre fradice, sorretto a stento dalle gambe divenute molli.
Appoggiò le mani sulla testa di lei, che non accennava a rallentare leccando e tormentando la sua asta ed i pendagli, poi ne strinse le tempie iniziando a spingere e scopare quella bocca calda e filante di saliva, quasi soffocandola.
Ebbe un sussulto ed avrebbe voluto uscire da lei, ma Laura lo afferrò per le natiche stringendolo a sé e lui proruppe nella sua gola, lasciandosi sfuggire oscure parole in dialetti arabi sconosciuti.

Restarono per un po’ immobili, statue ansimanti. Soltanto il capo di lei tradiva piccoli e lenti movimenti, custodendone ancora la sua intimità ora stanca e svuotata.

La luce si era ormai affievolita e la notte incombeva.
Benché avesse smesso di piovere già da almeno un'ora nessuno dei due aveva voglia di lasciare il posto.
Said aveva detto che ci sarebbero volute almeno due ore di cammino veloce per raggiungere il campo.
Slegarono, quindi, la coperta dalla sella e si sdraiarono su di una lastra di pietra, accogliente e levigata come se quel dio avesse voluto preparare per loro una comoda alcova, nudi l'uno nell'altra con essa si coprirono.

Alla sella restò, in bella vista, un mitragliatore.
Forse britannico.

****
liberamente ispirato alla figura di Laura d'Oriano
(Istanbul, 27 settembre 1911 – Roma, 16 gennaio 1943), agente segreta italiana naturalizzata svizzera, per conto degli Alleati durante la Seconda guerra mondiale.
scritto il
2024-05-08
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