La suocera mi ha dato una mano (Pt 1)

di
genere
etero

Un crescendo di emozioni mi stava travolgendo. Ogni ora sembrava un'eternità, ogni giorno un’attesa spasmodica. Il pensiero di diventare papà per la prima volta mi riempiva di una gioia immensa, ma anche di un’ansia che non mi abbandonava un attimo.

L’arrivo di nostro figlio era previsto come imminente, ma mia moglie aveva avuto delle complicazioni durante la gravidanza e i medici avevano preferito farla ricoverare qualche giorno prima della data presunta del parto.

Io, come un pendolo, oscillavo tra il lavoro e l’ospedale. Di giorno mi sforzavo di concentrarmi sulle mie mansioni, ma la mia mente era altrove, era con lei, con il nostro bambino che stava finalmente per arrivare. A fine giornata lavorativa, fatta una doccia, mi precipitavo all’ospedale, ansioso di vedere il suo volto, di stringere la sua mano, di sentire la sua voce rassicurante.

Una sera, avevo appena chiuso il rubinetto dell'acqua, quando il campanello di casa ha iniziato a suonare con insistenza. «Chi può essere a quest'ora, se non lei?» mi sono chiesto irritato. Ho messo l'accappatoio in fretta, non riuscivo a trovare la sua cintura. Con l'indumento premuto su di me con un braccio per tenerlo chiuso, mi sono diretto verso la porta di ingresso.

Era lei, mia suocera, come immaginavo. Doveva salire in macchina insieme e andare all'ospedale a trovare sua figlia. Era arrivata con 20 minuti di anticipo sull'orario concordato telefonicamente, e io, ancora bagnato dalla doccia, non ero pronto per uscire di casa.

Mia suocera, una donna divorziata da qualche anno dopo che il marito aveva scoperto la sua infedeltà, era un personaggio che mi lasciava sempre un po’ perplesso. In paese la conoscevano come una donna dai costumi facili, solo mio suocero la ha scoperta in ritardo. Inoltre aveva la tendenza a intromettersi in tutto, e la sua presenza era spesso fonte di irritazione.

Me la sono vista in piedi sulla porta, con quel suo sguardo penetrante e quel sorriso un po’ beffardo. Non ha perso tempo a rimproverarmi: «Elia, ma che diavolo stavi combinando? Dobbiamo sbrigarci!». Ne è scaturito un diverbio. «Clelia, arrivo subito! le ho risposto, cercando di evitare il suo sguardo. «Posso aiutarti in qualcosa?». «Non serve, ho già tutto pronto!». «Accomodati e serviti qualcosa da bere. Io nel frattempo mi asciugo i capelli e mi vesto».

«Lascia che ti aiuto io con i capelli, altrimenti facciamo notte» mi ha detto con fermezza. Mi sono sentito completamente a disagio. Non ero certo abituato di farmi sistemare i capelli da lei. Ma prima di poter oppormi, mi ha preso per per un braccio e, senza lasciarmi il tempo di reagire, mi ha tirato verso il bagno, spingendomi davanti allo specchio che sta sopra al lavandino.

La ho vista fermarsi alle mie spalle, il phon in una mano e la spazzola sull'altra. Seguivo i suoi movimenti guardandola riflessa sullo specchio. Ha iniziato ad asciugare i miei capelli con una certa energia. La mia attenzione era totalmente focalizzata sulle sue mani che mi accarezzavano i capelli, sui suoi movimenti decisi e sulle parole che mi sussurrava all’orecchio.

In quel momento, il suo ruolo di suocera è svanito. Ero solo un giovane uomo che, con un po’ di imbarazzo, si lasciava coccolare da una donna che conosceva la vita, che aveva vissuto e che, forse, aveva qualcosa di piacevole da offrirmi. All'improvviso, ho avvertito un forte desiderio. Era come se la sua presenza, il suo calore, mi avvolgessero in un abbraccio sensuale.

Mi trovavo in una situazione delicata, considerando che lei era mia suocera. C'era il rischio che io avessi frainteso le sue intenzioni e la sua disponibilità e quindi avrei ottenuto un netto rifiuto da parte sua. Questo avrebbe potuto portarla a parlarne con sua figlia, mettendo così in pericolo il nostro matrimonio.

La ho messa alla prova spostando il braccio che teneva chiuso l'accappatoio. I lembi dell'indumento si sono leggermente allargati, quel tanto che basta per far notare la sagoma del mio membro, in parte ancora coperta dall'accappatoio. Ero convinto che lei lo potesse notare nell'immagine riflessa allo specchio. Clelia ostentava indifferenza mentre il mio stato di eccitazione veniva amplificato da un crescente desiderio.

Il mio pene, cambiando aspetto e dimensioni, ha cominciato ad allungarsi e a sollevarsi. E uscito allo scoperto dalla fessura che divideva i lembi dell'accappatoio. Il cuore mi batteva forte, in attesa di una mossa da parte sua. Per lei era impossibile, ormai, fingere di non vederlo. Se ne stava ritto, fiero e desideroso di attenzioni da parte sua.

Clelia ha spento il phon e nel silenzio che è calato i nostri sguardi si sono incontrati nello specchio. Senza esitare mi ha spinto l'accappatoio giù dalle spalle lasciandolo scivolare a terra, poi con la mano destra ha impugnato il mio pene e con la sinistra mi ha stretto le palle procurandomi un certo fastidio. «Da quanto tempo non le svuoti più?» mi ha chiesto con un tono caldo e rauco della voce. «Da quando Anna è stata ricoverata» ho risposto io. «Ma vacci piano che me le stai spremendo».

Ho osservato le unghie feline laccate di rosso quando la sua mano si è stretta attorno al mio membro. Ha iniziato a masturbarmi lentamente fino a quando ho raggiunto la massima erezione. Mordicchiandomi il lobo dell'orecchio mi ha sussurrato «Ti piace così?». Il mio glande era diventato gonfio, di color rosso cupo ed umido di liquido pre-spermatico.

Il ritmo della sua mano è andato accelerando come quello della mia respirazione. Dalla bocca socchiusa mi uscivano dei flebili lamenti. Quando lei ha visto irrigidirsi i muscoli delle mie gambe, ha rallentato. Qualche istante dopo il primo schizzo di sperma è partito come una fucilata colpendo il rubinetto. Mi è sfuggito un gemito profondo e poi un altro schizzo ed un altro ancora che sono finiti nella tazza del lavandino… (CONTINUA)

© SUPERSEX
scritto il
2024-06-28
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