Il tatuaggio di Erica
di
XXX - Comics
genere
incesti
“Cazzo vuoi?”
“Fammi entrare! Dai, solo per stanotte.”
“Te lo sogni, torna da mamma.”
“Se non apri mi metto urlare qui in strada!”
Quella lo fa davvero.
Clic.
Così mi becco in casa quella stronzetta di mia sorella.
Entra: anfibi slacciati, medaglioni e braccialetti, treccine rasta, camicetta corta in vita e piercing ad ombelico e sulla lingua. Da pompinara. Ha anche un tatuaggio, molto intrigante, seminascosto dall'elastico dei leggings neri. Li tiene bassi, il filo del perizoma esce sui fianchi.
Non la vedevo da un anno, da Halloween. “Come cazzo ti conci? Non hai più sedici anni...”
“Io da mamma non ci torno! Ho bisogno per due o tre giorni poi sparisco.”
Ho già selezionato il numero di mamma: “, Mamma? Ho qui Erica che...”
“Non conosco nessuna Erica!” e riattacca.
Richiamo. Erica mi guarda come se fosse tutto inutile. Invece mamma risponde: “Senti Mirko, mi spiace per te, ma io quella troia non la voglio più in casa. Basta! Mi tira scema e non voglio rovinarmi la vita per lei. Per lei non conto nulla, fa solo quello che le pare, porta i suoi amici a casa mia, mi tratta da serva. Sono sua madre!, mi merito almeno il rispetto, non chiedo altro, io con mia madre...” Riattacco io.
Inspiro profondamente: ”Cazzo hai combinato?”
“Io?!! Adesso dai retta a quella pazza?, sai benissimo com'è!... Quattro giorni, ti giuro!, e poi parto col gruppo. Quest'estate facciamo un tour in Spagna, abbiamo un sacco di contatti, ci manca solo di trovare un camper decente.”
“Tu cosa suoni?”
“Io sono la cantante!” La stronzetta si raddrizza meglio; tiene le mani sui fianchi e la testa leggermente di lato. Concedo, potrebbe avere successo, ma non certo per le doti canore, tutto in lei è una sfacciata dichiarazione di scopabilità... ed è maledettamente figa. Sì, sul palco avrebbe successo.
Mi si tirano i coglioni: “Okay adesso proviamo a ragionare! Lo racconti a mamma che vai in Spagna; in quella cazzo di casa ci sono dieci stanze e potete stare anche un mese senza vedervi. Qui ne abbiamo due più la cucina. Non ci stiamo. Non venire a romperci il cazzo, capito!”
“Dai, lo so che ti sei mollato con Angela.”
“Tu non sai nulla e non capisci un cazzo, capito?!”
“Scusa.” La stronzetta prova a recitare con me. Nasconde il volto premendosi il pugno contro la bocca e sforza lacrime che non vengono. “Non so dove andare!... Mamma ora vive anche il suo compagno, non lo conosci, è uno stronzo... Non sono io, è lei che non mi vuole tra i piedi, è pazza... è gelosa di me.”
“Chi è?” Chiedo veramente incuriosito.
“Un lurido!” Mi guarda dritta negli occhi per convincermi. “Dice d'essere un impresario e le fa credere di poterla riportare in televisione, mentre vuole solo scoparsela ed avere una che gli lava la roba.” Legge il mio chissenefrega. “A me invece spiace per lei, non mi va che quello la prenda per il culo... Gliel'ho detto, ma lei pensa che io sia invidiosa di lei. Dice che voglio andarci io in televisione...”
“Capito, t'ha beccata con lui!”
“...!? Okay, hai indovinato... un pompino. Quello è un porco, voleva mettermelo in bocca dal primo giorno.”
“... e tu sei una verginella! Ma vàffanculo!”
“Minchia, fai il moralista di merda con me? Io non t'ho mai chiesto nulla a te! Solo ora, un piacere per pochi giorni, una settimana al massimo. Cucino e ti pulisco casa.”
“Adesso è diventata una settimana, perfetto! No, non se ne parla, va' dai tuoi musicisti del cazzo, a me non racconti balle!”
“Mirko ti prego, ti prego, non so dove andare, almeno stanotte!, giuro!!!”
“Quel porco avrà una casa, no? Va' a farti ingroppare da lui.”
“:...! Come fai a essere così bastardo?”
“Okay, okay... ma domattina prendi la tua roba e sparisci.”
“No!!! Me ne vado adesso. Stronzo!” Mi dà una manata alla spalla per allontanarmi. “Non so come cazzo m'è venuto in mente di chiedere a te! Lo sapevo ch'eri stronzo... scusa, non voglio romperti i coglioni.” Si china indietro e finge di raccogliere il borsone. Mi guarda dal basso. “... Ti vado bene solo quando fa comodo a te.”
Eccola al dunque! Vuole ricattarmi.
È successo ad Halloween, m'ha chiamato d'andarla a prendere, ad una festa del cazzo. Io ero bevuto, se mi fermavano mi ritiravano la patente a vita. L'ho beccata in strada, un trucco pesante da vampira che le colava sul viso. Non voleva dirmi nulla. Anche lei ubriaca. Era sudata, sapeva di sesso.
“Ero ubriaco... Ho sbagliato e non ci voglio più pensare, okay?... Okay???” La strattono. “Cazzo!, lo può capire anche una troia come te: è per questo che non puoi rimanere qui!” Sono accaldato, abbasso la voce. “Non si può! Punto e basta.”
“E perché? Basta che non bevi, no?... o hai paura di non resistere?”
“Cazzo credi stronza? Ma guardati!” Rido nervoso. “Sei conciata come una puttana. Lo puoi rizzare solo a quegli strafatti dei tuoi amici che ti scopano nelle cantine! Fai schifo.”
Erica mi fissa severa, incapace di rispondere. Le vedo la rabbia montare negli occhi e poi mutare all'improvviso in disprezzo: “Sei solo un povero meschino. Capisco Angela che t'ha mollato.”
Non ci vedo più! Raccolgo il borsone e l'abbranco con l'altro braccio per spingerla verso la porta, ma non ho più mani per aprire e buttarla fuori; ce la schiaccio contro stringendola al petto, sul seno morbido. Si divincola bestemmiando e colpendomi. Lottiamo senza parole, a spintoni per la stanza, e finiamo contro il divano. La blocco col peso piegandola sullo schienale.
Si quieta. Il borsone è a terra Abbiamo entrambi l'affanno. Respira con la bocca aperta. Ho le sue chiappe calde contro il pacco ed il cazzo mi s'indurìsce facendomi mancare. Le tappo la bocca anche se non urla. “Fa' la brava.”, dico per dir qualcosa.
Ondeggia la testa avanti ed indietro, ma, non appena allento un poco la presa alla bocca, sibila minacciosa: “Lasciami o urlo!”
Scoppio a ridere. “... E chi chiami? La mamma?” La torturo senza pietà affondando le dita nei suoi fianchi nudi.
“No! Il solletico no, ti prego! Basta... non ce la faccio, ahia ahia, no Mirko, okay okay, basta...” Mi si contorce tra le mani cercando di evitare grattatine e pizzicotti e mi tira deboli pugni, ma si trattiene, ride bellissima. Scivoliamo sul divano, lei sempre sotto di me, con le ginocchia raccolte contro il petto, che tenta di proteggersi ed allontanarmi. “Smettila, Mirko, mi fai male.” Un anfibio cade a terra. È sudata. “Okay, okay, hai vinto”.
Mi fermo.
“Allora te ne vai?” Le domando, sempre chino su di lei.
“Non ci credo, tu non vuoi mandarmi via.” Sorride e strofina lentamente il collo del piede contro sotto i coglioni.
“Non fare la troia con me!” La punisco tormentandola a fianchi ed ascelle, ma ben presto anche ai capezzoli, che pizzico facendola squittire come una ragazzina. Erica si volta su un fianco e si ripara con braccia e gambe, rannicchiandosi a uovo. “Ahahah, basta! Okayokay, basta, ti prego ti prego.”, ma è solo una finta: non appena rallento mi colpisce con un pugno allo stomaco.
Vuole riprendere il gioco. Lottiamo ancora.
Alla fine mi becco una manata ben assestata alle palle che mi manda steso al tappeto, piegato in due.
Erica esulta vittoriosa: “Ho vinto io! Hurrà... Hai perso, ammettilo.” Ma si preoccupa subito, visto che non dico nulla e non mi muovo da terra, con le mani schiacciate sull'inguine. “Come stai?, non volevo colpire forte... Non mi sembra di...” Scende dal divano e s'inginocchia di lato.
Scatto come un serpente. Uso peso, gambe, ginocchia e spalla per bloccarla sul tappeto e le torco il capezzolo fissandola negli occhi. Geme tra i denti, inarcando indietro la testa.
“Allora? Chi ha vinto?”
È un istante: solleva il capo e mi bacia in bocca. Una frazione di secondo, giusto un lampo in cui sento il piercing sulla punta della lingua. Una cosa così veloce (e travolgente) da non capire cos'è successo.
La fisso, è bellissima, la ribacio. Ma lei mi nega le labbra, voltando la testa: “Non possiamo.”
Cazzo, ha ragione. Mi raddrizzo sulle ginocchia e mi sollevo da lei, ma non mi sposto; rimango cavalcioni sui suoi fianchi. Erica allunga le braccia sopra la testa e si sfila i braccialetti, uno ad uno. Intanto le carezzo i seni.
La sento scalciare dietro me, sento il tonfo dell'anfibio che cade a terra. Le allargo la camicetta annodata in vita. Lo faccio ad occhi chiusi, baciandole i seni caldi e scivolando con le labbra fino al piercing all'ombelico. E più giù.
Le abbasso l'elastico e scopro il tatuaggio nascosto.
È un ideogramma cinese, quello della passione, mi dice.
“Fammi entrare! Dai, solo per stanotte.”
“Te lo sogni, torna da mamma.”
“Se non apri mi metto urlare qui in strada!”
Quella lo fa davvero.
Clic.
Così mi becco in casa quella stronzetta di mia sorella.
Entra: anfibi slacciati, medaglioni e braccialetti, treccine rasta, camicetta corta in vita e piercing ad ombelico e sulla lingua. Da pompinara. Ha anche un tatuaggio, molto intrigante, seminascosto dall'elastico dei leggings neri. Li tiene bassi, il filo del perizoma esce sui fianchi.
Non la vedevo da un anno, da Halloween. “Come cazzo ti conci? Non hai più sedici anni...”
“Io da mamma non ci torno! Ho bisogno per due o tre giorni poi sparisco.”
Ho già selezionato il numero di mamma: “, Mamma? Ho qui Erica che...”
“Non conosco nessuna Erica!” e riattacca.
Richiamo. Erica mi guarda come se fosse tutto inutile. Invece mamma risponde: “Senti Mirko, mi spiace per te, ma io quella troia non la voglio più in casa. Basta! Mi tira scema e non voglio rovinarmi la vita per lei. Per lei non conto nulla, fa solo quello che le pare, porta i suoi amici a casa mia, mi tratta da serva. Sono sua madre!, mi merito almeno il rispetto, non chiedo altro, io con mia madre...” Riattacco io.
Inspiro profondamente: ”Cazzo hai combinato?”
“Io?!! Adesso dai retta a quella pazza?, sai benissimo com'è!... Quattro giorni, ti giuro!, e poi parto col gruppo. Quest'estate facciamo un tour in Spagna, abbiamo un sacco di contatti, ci manca solo di trovare un camper decente.”
“Tu cosa suoni?”
“Io sono la cantante!” La stronzetta si raddrizza meglio; tiene le mani sui fianchi e la testa leggermente di lato. Concedo, potrebbe avere successo, ma non certo per le doti canore, tutto in lei è una sfacciata dichiarazione di scopabilità... ed è maledettamente figa. Sì, sul palco avrebbe successo.
Mi si tirano i coglioni: “Okay adesso proviamo a ragionare! Lo racconti a mamma che vai in Spagna; in quella cazzo di casa ci sono dieci stanze e potete stare anche un mese senza vedervi. Qui ne abbiamo due più la cucina. Non ci stiamo. Non venire a romperci il cazzo, capito!”
“Dai, lo so che ti sei mollato con Angela.”
“Tu non sai nulla e non capisci un cazzo, capito?!”
“Scusa.” La stronzetta prova a recitare con me. Nasconde il volto premendosi il pugno contro la bocca e sforza lacrime che non vengono. “Non so dove andare!... Mamma ora vive anche il suo compagno, non lo conosci, è uno stronzo... Non sono io, è lei che non mi vuole tra i piedi, è pazza... è gelosa di me.”
“Chi è?” Chiedo veramente incuriosito.
“Un lurido!” Mi guarda dritta negli occhi per convincermi. “Dice d'essere un impresario e le fa credere di poterla riportare in televisione, mentre vuole solo scoparsela ed avere una che gli lava la roba.” Legge il mio chissenefrega. “A me invece spiace per lei, non mi va che quello la prenda per il culo... Gliel'ho detto, ma lei pensa che io sia invidiosa di lei. Dice che voglio andarci io in televisione...”
“Capito, t'ha beccata con lui!”
“...!? Okay, hai indovinato... un pompino. Quello è un porco, voleva mettermelo in bocca dal primo giorno.”
“... e tu sei una verginella! Ma vàffanculo!”
“Minchia, fai il moralista di merda con me? Io non t'ho mai chiesto nulla a te! Solo ora, un piacere per pochi giorni, una settimana al massimo. Cucino e ti pulisco casa.”
“Adesso è diventata una settimana, perfetto! No, non se ne parla, va' dai tuoi musicisti del cazzo, a me non racconti balle!”
“Mirko ti prego, ti prego, non so dove andare, almeno stanotte!, giuro!!!”
“Quel porco avrà una casa, no? Va' a farti ingroppare da lui.”
“:...! Come fai a essere così bastardo?”
“Okay, okay... ma domattina prendi la tua roba e sparisci.”
“No!!! Me ne vado adesso. Stronzo!” Mi dà una manata alla spalla per allontanarmi. “Non so come cazzo m'è venuto in mente di chiedere a te! Lo sapevo ch'eri stronzo... scusa, non voglio romperti i coglioni.” Si china indietro e finge di raccogliere il borsone. Mi guarda dal basso. “... Ti vado bene solo quando fa comodo a te.”
Eccola al dunque! Vuole ricattarmi.
È successo ad Halloween, m'ha chiamato d'andarla a prendere, ad una festa del cazzo. Io ero bevuto, se mi fermavano mi ritiravano la patente a vita. L'ho beccata in strada, un trucco pesante da vampira che le colava sul viso. Non voleva dirmi nulla. Anche lei ubriaca. Era sudata, sapeva di sesso.
“Ero ubriaco... Ho sbagliato e non ci voglio più pensare, okay?... Okay???” La strattono. “Cazzo!, lo può capire anche una troia come te: è per questo che non puoi rimanere qui!” Sono accaldato, abbasso la voce. “Non si può! Punto e basta.”
“E perché? Basta che non bevi, no?... o hai paura di non resistere?”
“Cazzo credi stronza? Ma guardati!” Rido nervoso. “Sei conciata come una puttana. Lo puoi rizzare solo a quegli strafatti dei tuoi amici che ti scopano nelle cantine! Fai schifo.”
Erica mi fissa severa, incapace di rispondere. Le vedo la rabbia montare negli occhi e poi mutare all'improvviso in disprezzo: “Sei solo un povero meschino. Capisco Angela che t'ha mollato.”
Non ci vedo più! Raccolgo il borsone e l'abbranco con l'altro braccio per spingerla verso la porta, ma non ho più mani per aprire e buttarla fuori; ce la schiaccio contro stringendola al petto, sul seno morbido. Si divincola bestemmiando e colpendomi. Lottiamo senza parole, a spintoni per la stanza, e finiamo contro il divano. La blocco col peso piegandola sullo schienale.
Si quieta. Il borsone è a terra Abbiamo entrambi l'affanno. Respira con la bocca aperta. Ho le sue chiappe calde contro il pacco ed il cazzo mi s'indurìsce facendomi mancare. Le tappo la bocca anche se non urla. “Fa' la brava.”, dico per dir qualcosa.
Ondeggia la testa avanti ed indietro, ma, non appena allento un poco la presa alla bocca, sibila minacciosa: “Lasciami o urlo!”
Scoppio a ridere. “... E chi chiami? La mamma?” La torturo senza pietà affondando le dita nei suoi fianchi nudi.
“No! Il solletico no, ti prego! Basta... non ce la faccio, ahia ahia, no Mirko, okay okay, basta...” Mi si contorce tra le mani cercando di evitare grattatine e pizzicotti e mi tira deboli pugni, ma si trattiene, ride bellissima. Scivoliamo sul divano, lei sempre sotto di me, con le ginocchia raccolte contro il petto, che tenta di proteggersi ed allontanarmi. “Smettila, Mirko, mi fai male.” Un anfibio cade a terra. È sudata. “Okay, okay, hai vinto”.
Mi fermo.
“Allora te ne vai?” Le domando, sempre chino su di lei.
“Non ci credo, tu non vuoi mandarmi via.” Sorride e strofina lentamente il collo del piede contro sotto i coglioni.
“Non fare la troia con me!” La punisco tormentandola a fianchi ed ascelle, ma ben presto anche ai capezzoli, che pizzico facendola squittire come una ragazzina. Erica si volta su un fianco e si ripara con braccia e gambe, rannicchiandosi a uovo. “Ahahah, basta! Okayokay, basta, ti prego ti prego.”, ma è solo una finta: non appena rallento mi colpisce con un pugno allo stomaco.
Vuole riprendere il gioco. Lottiamo ancora.
Alla fine mi becco una manata ben assestata alle palle che mi manda steso al tappeto, piegato in due.
Erica esulta vittoriosa: “Ho vinto io! Hurrà... Hai perso, ammettilo.” Ma si preoccupa subito, visto che non dico nulla e non mi muovo da terra, con le mani schiacciate sull'inguine. “Come stai?, non volevo colpire forte... Non mi sembra di...” Scende dal divano e s'inginocchia di lato.
Scatto come un serpente. Uso peso, gambe, ginocchia e spalla per bloccarla sul tappeto e le torco il capezzolo fissandola negli occhi. Geme tra i denti, inarcando indietro la testa.
“Allora? Chi ha vinto?”
È un istante: solleva il capo e mi bacia in bocca. Una frazione di secondo, giusto un lampo in cui sento il piercing sulla punta della lingua. Una cosa così veloce (e travolgente) da non capire cos'è successo.
La fisso, è bellissima, la ribacio. Ma lei mi nega le labbra, voltando la testa: “Non possiamo.”
Cazzo, ha ragione. Mi raddrizzo sulle ginocchia e mi sollevo da lei, ma non mi sposto; rimango cavalcioni sui suoi fianchi. Erica allunga le braccia sopra la testa e si sfila i braccialetti, uno ad uno. Intanto le carezzo i seni.
La sento scalciare dietro me, sento il tonfo dell'anfibio che cade a terra. Le allargo la camicetta annodata in vita. Lo faccio ad occhi chiusi, baciandole i seni caldi e scivolando con le labbra fino al piercing all'ombelico. E più giù.
Le abbasso l'elastico e scopro il tatuaggio nascosto.
È un ideogramma cinese, quello della passione, mi dice.
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