Un italiano in vacanza 1 - Abbi Fede

di
genere
trio

Avete presente quelle situazioni in cui sapete perfettamente di essere in procinto di fare una cazzata, una enorme cazzata.
Ma, nonostante l’apparente momento di lucidità, non riuscite a fermarvi prima di compiere quell’atto.
Che sia una risposta ad michiam alla vostra compagna.
O un messaggio whatsapp inviato ad un’ora inopportuna
O un evitabile acquisto su Amazon.

Nel mio caso fu la pubblicazione di una storia su Instagram, da condire con opportuno tag.
Tanto per far sapere - a non si sa chi, poi - dove fossi in vacanza.

Portogallo, con la moglie.
Tra le poche coppie italiane, la popolazione di turisti composta soprattutto da francesi e spagnoli, apparentemente.
Raramente qualche gruppetto dalla lingua anglosassone.
Italiani meno del previsto.
Tanto che, quando ci si incontrava, per strada, in coda ad un museo o in un ristorante, ci si riconosceva, facendo scattare le inevitabili chiacchiere tribali.
Occasioni più per parlar male del proprio paese che bene di quello ospitante.
Con la prevedibile e trita esclusione del tema “cibo”.

Nel nostro caso, fu una coppia gay in un ristorante a Coimbra.
Trentenni del sud trasferitisi a Torino, uno dei due professore di italiano.
Ed una singolare somiglianza con il sottoscritto quando ero più giovane.
Casualità che si agganciò perfettamente con uno dei leit-motiv delle conversazioni tra me e mia moglie durante la vacanza.

Io che continuavo a cercare di capire quale fosse il tipo di uomo che le facesse sesso.
Indicando di volta in volta un prestante turista nordico, il busker che assomigliava a Ben Harper, o il latino premuroso padre di famiglia.
“Stai scherzando? Quello? Ma quando mai!... ma non lo so… è complesso!”
Unico dato certo: lei, a me, mi si era accattato; quindi evidentemente non le dispiacevo.
O almeno non le ero dispiaciuto venti anni fa, con più capelli, neri persino, la barbetta, sufficientemente ma non eccessivamente alto, non magro ma non grasso, occhiali e l’aria intellettuale.
O radical-chic, se si voleva essere maligni.
E la prospettiva di un futuro nel mondo della musica.
Descrizione che, a meno dell’altezza vera e della carriera professionale desiderata, corrispondeva con il professore gay del sud trasferito a Torino, con cui discorrevamo amabilmente in attesa delle portate, in un pretenzioso ristorante del centro storico di Coimbra.
Il suo compagno molto meno espansivo, senza però essere scortese.
(Il giorno successivo, un ristorante più alla buona, tovaglie di carta, pagamento solo in contanti, carte di credito rifiutate, si rivelò una scelta gastronomicamente molto più azzeccata. Tks Google Maps!)

Una cosa però mi era chiara a quel punto della vacanza.
La mia fantasia sessuale di vedermi a letto con due donne, mia moglie una delle due (che io sono un marito fedele!) non aveva speranza.
Le inclinazioni saffiche della mia Laura apparentemente inesistenti, neanche con la nostra amica storica che spesso occupava le nostre chiacchiere vagamente sconce.
E non per pudore.
Perché invece, durante il sesso, la moglie non si faceva problemi ad ammettere il desiderio di aver a che fare con due cazzi contemporaneamente.
Uno possibilmente in bocca mentre l’altro la scopava.
Quindi la mia dolce metà non era certo priva di un interiore mondo osceno da abitare con qualcuno che non fosse suo marito.

La guardavo quindi con un vago sospetto, mentre chiacchierava animatamente con il professore gay del sud trasferito a Torino, una certa somiglianza con il sottoscritto quando ero più giovane.
Io e il suo compagno che ogni tanto ci scambiavamo occhiate di circostanza.
Soprattutto quando mia moglie ed il suo compagno condivisero l’intenzione di andare a visitare il vicino santuario di Fatima.
Un pellegrinaggio fuori programma.
Il mio sodale che dichiara lo scarso interesse, il prof che si offre di accompagnarci in macchina, noi che – per la nostra vacanza - avevamo optato per spostamenti in treno, Flixbus e Uber, sentendoci molto giovanili.

E pellegrinaggio fu.
In tre.
Ai miei dubbi, mia moglie mi rispose con un “Abbi fede”

Indubbiamente l’architettura del santuario aveva il suo fascino.
Volumi ciclopici.
Gli ampi spazi che sarebbero potuti apparire freddi e respingenti erano però abitati dall’afflato mistico delle persone.
Gruppetti che si spostavano da un punto all’altro dell’area.
La vecchia chiesa che custodiva le salme dei tre pastorelli.
La nuova sterminata chiesa da 9000 posti.
La cappellina centrale con il luogo dell’apparizione, in cui si svolgevano messe e rosari (facemmo entrambe le cose)
E poi un singolare forno a nafta a cielo aperto.
In cui la gente gettava candele a ritmo continuo.
Avete capito bene.
Non andavano ad accendere le candele.
Le buttavano direttamente dentro il fuoco inestinguibile, tutte intere.
A mazzi.
Provammo a chiedere spiegazioni del rito ad un addetto, ricevendo una laconica risposta.
“Sono cose personali, non si può spiegare”
Google, di nuovo, fu meno laconico.
Intenzioni alla madonna.
Mazzi di intenzioni alla madonna e richieste di grazia.
Sotto forma di ceri da gettare dentro un forno che aveva più dell’infernale (a mio modesto parere) che altro.
Ceri anche piuttosto grossi, di una cera non bianchissima, ma tendente al beige, evidentemente molto economica, vista la fine che dovevano fare.
Grossi ceri dal diametro di 7-10 centimetri, che fedeli impugnavano uno in ogni mano, prima di gettarli tra le fiamme.

Ecco questa era l’immagine che per qualche motivo avevo negli occhi in quel momento.
Nella camera d’albergo.
Mia moglie seduta sul bordo del letto, nuda, le gambe oscenamente allargate.
Le sue mani che masturbavano due cazzi, uno per mano.
Come quei fedeli che portavano ceri al fornetto votivo.
Un lieve strato di sudore sulla sua pelle arrossata per il sole cocente della giornata passata sulla spianata del santuario;
o forse per i troppi baci e per le troppe affamate carezze.
Un cazzo per mano. Come ceri votivi.
Il mio e quello del prof gay del sud trasferito a Torino.
Che aveva accettato l’invito di Laura a fare un pellegrinaggio a Fatima in tre e, successivamente, di condividere le grazie del sottoscritto tra loro due.

Io che le avevo inizialmente espresso qualche perplessità, lei che aveva risposto ai miei dubbi con un “Abbi fede”
Il compagno di lui non pervenuto, mai saputo se fosse complice o inconsapevole.

Io ero in uno strano stato di trance, in piedi di fianco al tipo che mi assomigliava, quasi non saprei dire come fossi arrivato a quella situazione.
Forse c’entravano i postumi dell’afflato mistico del pellegrinaggio.
Ma intanto ero accanto a lui, mentre Laura si dedicava alternativamente all’uno e all’altro membro.
Persa nell’inestinguibile foga del pompino, evidentemente del tutto fuori controllo, le sue labbra che assaggiavano prima un glande, poi l’altro.
Solo la geometria da aggiustare un poco, vista la differenza di altezza.
Le sue mani strette alla base dell’asta, per assicurarsi che i due cazzi fossero debitamente scappellati.

Lo stesso stato di trance mi fece ridurre l’esperienza ad una serie di quadretti, una oscena iconostasi di scene apparentemente senza connessione logica (o logistica) tra di loro.
Il mio membro ora tra le labbra del prof di italiano (suppongo fosse il minimo sindacale previsto dall’accordo tra le parti) mentre mia moglie lo masturba.
Mia moglie supina su letto, gambe divaricate, io che la scopo alla missionaria mentre lei con la bocca si dedica al membro del prof gay del sud emigrato a Torino, in piedi fuori dal letto all’altezza del suo viso. Lui che con una delicata cadenza campana inaspettatamente la copre di volgarità.

“Ma che puttanella che è questa elegante signora!” si lascia sfuggire rivolto a me, forse pensando di farmi un complimento, io ancora alle prese con una certa dissonanza cognitiva, che cerco di mantenere l’erezione.

Persino, incoraggiato dalla mia elegante signora, io che provo l’esperienza di un pompino fatto ad un altro uomo; la mia testa che passa in rassegna tutte le tecniche con cui mi piacerebbe qualcuno si dedicasse al mio cazzo, sulla lingua il sapore misto del suo sesso e di quello di mia moglie (che nel frattempo s’era fatta scopare da lui mentre mi masturbava).
“Abbi fede!”
Lei in pieno controllo della situazione, io in balia delle sue fantasie lasciate libere di realizzarsi.
Così.

Questo era lo stato in cui mi trovavo quella sera.
Dopo il pellegrinaggio a Fatima.

Quindi mi fu impossibile quella notte intercettare la shit-storm che si era scatenata sul mio profilo di Instagram.
Che io lo sapevo che l’ultima cosa da fare sui social è dell’ironia sulla religione.
Soprattutto quando buona parte delle tue amicizie, per la tua storia, per la storia del tuo matrimonio, provengono dal mondo della chiesa.
E quindi sapevo benissimo che stavo facendo una cazzata nel postare una lenta ma inesorabile carrellata sugli ex-voto in vendita presso lo shop del santuario di Fatima.
Una incredibile sequenza di oggetti in cera raffiguranti mani, teste, braccia, gambe, anche piccoli feti.
Accompagnando il video con la colonna sonora del film “Venerdì 13”, in un evidente intento comico.
E taggando la località di Fatima.
Facendo sì che la mia storia finisse direttamente nei reel del profilo instagram del Santuario stesso.
Alla mercè di migliaia di fedeli.
Ormai non solo vecchine devote a Padre Pio, ma orde di genitori da Family Day avvezzi ai social; CattoNerd vari, avidi lettori dei post di Costanza Miriano.
Che non apprezzarono la blasfemia di un italiano in vacanza, normalmente irreprensibile.

Un italiano in vacanza in Portogallo con la moglie ma, in quella nefasta notte, impegnato a incarnare le di lei oscene fantasie, quando la sua intenzione iniziale era tutt’altra.
Che lui avrebbe voluto trovarsi a dividere il letto con Laura e con la loro amica storica.
E invece si trovava a mischiare il proprio sudore con quello di un trentenne professore di italiano gay del sud, emigrato a Torino, dalla vaga somiglianza con lui quando era più giovane.
Ma un po’ più basso.
scritto il
2024-07-26
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