Un italiano in vacanza 2 - Non tutti i mali
di
Chicken1973
genere
sentimentali
Fu un rientro col botto.
Nel senso che la povera moglie, il primo giorno a casa dopo la vacanza in Portogallo, pensò bene di scivolare sulle scale, franando rovinosamente contro la nostra stupenda asimmetrica libreria rossa, lussandosi una spalla.
Probabilmente la stanchezza per il caldo improvviso che ci era stato risparmiato nella culla del Fado.
Oppure una vendetta divina per la notte blasfema in vacanza.
8 ore di pronto-soccorso, da cui riemergere con una singola lastra, 27 secondi di colloquio con un ortopedico, una incerta diagnosi, ma la certezza della necessità di un tutore: non era esattamente il rientro soft che speravamo.
E sembrava essere una tradizione di famiglia: io che l’altr’anno, nello stesso periodo, lottavo in un corpo a corpo contro la bella dottoressa che mi aveva diagnosticato un distacco della retina, diagnosi che ci avrebbe negato il soggiorno in montagna.
La mia povera moglie, al contrario di me, aveva avuto almeno la saggezza di infortunarsi al rientro delle vacanze.
Si sa che le donne hanno sempre una marcia in più.
Ma un tutore per una spalla lussata, in questo luglio incandescente, era l’ultima cosa che si potesse desiderare.
E vedere la moglie così incaprettata, non essendo neanche particolarmente amante del mondo BDSM, era un tuffo al cuore.
Fortunatamente, la mia laurea in ingegneria mi venne in soccorso nel destreggiarmi con lo smontaggio e rimontaggio della complessa struttura di tiranti, controventature e agganci in velcro che costituivano il tutore.
C’era però un unico aspetto positivo in questa situazione.
Ero indispensabile in tutte le operazioni di vestizione, svestizione e lavaggio.
Il suo corpo dolorante a mia disposizione, indifeso.
Il sottile piacere erotico di essere chiamato in causa ogni volta che c’erano abiti da indossare, reggiseni da allacciare, mutandine da sfilare.
Gesti lenti per evitare fitte improvvise alla spalla contusa, il tessuto che scorre sulla pelle nuda, i suoi seni in balia delle mie mani nel sistemarle il reggiseno.
L’erotismo di una gamba sollevata per far scivolare una mutandina su per il polpaccio e la coscia, io in ginocchio davanti a lei, il suo ventre a pochi millimetri dal mio viso.
Trattenere un tenero bacio sulla sua carne mi è praticamente impossibile, la sua mano che mi accarezza la testa.
Assicurarmi che lo slip non si arrotoli attorno ai glutei, fasciare il sedere con il cotone e rubare un affondo del mio viso nella sua intimità, per gustarne il profumo.
Ogni giorno una danza coreografata più e più volte.
E poi l’altra incombenza che, complice l’afa e la costrizione delle fasce elastiche che ne imprigionavano il torso, si rendeva necessaria e che attendevo sempre con un certo fremito.
Lavarla.
Laura che, seduta in vasca, si fa scorrere l’acqua addosso, gli occhi chiusi: lei gode del piacere della pelle finalmente libera, io mi beo della vista delle sue intimità, mentre insapono una spugna.
“Ok, ora inizia dalla spalla sinistra, ma fai piano mi raccomando!”
“Certo, amore.” con tono accondiscendente, io che sfioro con la spugna ruvida la pelle nel punto più dolorante, con la cura con cui si maneggia una reliquia, attorno alle articolazioni, sotto le ascelle.
“Va bene ora, dietro il collo e la schiena” le tracce rosse del passaggio sulla sua pelle, a ravvivare la circolazione affaticata dalle tensioni del tutore e dalla pressione dei sacchetti di ghiaccio per sfiammare l’articolazione.
Senza che mi dica nulla, mi dedico al suo seno, seguendone l’attaccatura, sotto le sue dolci mammelle, prima di circumnavigare le areole scure.
“Oooohhhh, sì! Bravo, così!” il suo piacere è evidente. Ed è il mio piacere.
La spugna insaponata che scende sul suo ventre, la sua peluria scura lambita dall’acqua, le sue labbra finalmente rinfrescate, liberate dalle mutandine.
Delicate bolle di sapone che compongono una giocosa architettura attorno ai suoi peli ricci.
“Ok, adesso sciacquami, per favore”
Prendo la doccia e lascio cadere l’acqua sulle sue spalle, lei che si massaggia il collo e la pelle con la mano buona, sospirando per il piacere della frescura dopo una giornata in balia dell’anticiclone.
Piccoli fiumi che scorrono lungo l’orografia della sua schiena, le scapole delicate, quella fossetta in basso al centro, poco prima dei suoi lombi accoglienti, su cui non resisto a passare la mano, facendo aderire il palmo all’avvallamento.
Poi passo davanti: l’acqua che scorre sui seni, i piccoli getti che titillano i capezzoli. La scusa ancora per carezzarle il seno.
E finalmente il getto che scende oltre.
“Hey, che fai?”
Ho diretto i piccoli aghi liquidi direttamente al centro della sua vulva.
“Io? Nulla!” rispondo con fare innocente, il getto ancora indirizzato sul suo clitoride
“Dai, smettila!”
“Perché? Ti dà fastidio?”
Avvicino il doccino alla sua carne, un leggero moto circolare attorno alla sua intimità, mentre una mano le sfiora nuovamente il seno.
“Non fare il cretino !”
“E chi fa il cretino, ti sto lavando. Hai avuto una giornata pesante, mi dedico a te, no?”
“Sai cosa intendo…” muove il bacino lievemente in avanti, a favorire l’azione del getto d’acqua.
Ed io la vedo.
La vedo la sua eccitazione che lentamente cresce, nel silenzio delle parole, nel delicato rumore dello scrosciare d’acqua.
Il getto che impertinente si insinua nelle pieghe della sua vagina.
E non resisto.
La mia mano che non si trattiene dal carezzare la ferita aperta, le sue gambe incrociate che la lasciano indifesa, sentire le cedevolezze e gli avvallamenti della sua carne umida sotto le mie dita.
Adoro esplorarla, adoro la sensazione al tatto della sua carne, la resina che stilla dalle profondità della sua vulva, perfettamente riconoscibile nella sua viscosità nonostante il getto d’acqua continua che le tormenta il clitoride.
La bacio così.
Lei stupenda, con i capelli lunghi raccolti in una crocchia, il collo scoperto, e seni sormontati da capezzoli ora turgidi.
La mia mano sulla sua fica, la sua fica che è anche un po’ mia.
E facciamo l’amore così, lei nella vasca, dolorante, io accoccolato di fuori, baciandoci, la mia mano che lentamente ne esplora l’intimità, lei ad occhi chiusi che può immaginare di essere in spiaggia sul bagnasciuga, per ingannare la frustrazione di un’estate negata, mentre la masturbo.
Sono solo un marito che si dedica a sua moglie, in maniera disinteressata.
Un’erezione che passa inevitabilmente inosservata.
A testimoniare che il piacere è tutto mio.
Nel senso che la povera moglie, il primo giorno a casa dopo la vacanza in Portogallo, pensò bene di scivolare sulle scale, franando rovinosamente contro la nostra stupenda asimmetrica libreria rossa, lussandosi una spalla.
Probabilmente la stanchezza per il caldo improvviso che ci era stato risparmiato nella culla del Fado.
Oppure una vendetta divina per la notte blasfema in vacanza.
8 ore di pronto-soccorso, da cui riemergere con una singola lastra, 27 secondi di colloquio con un ortopedico, una incerta diagnosi, ma la certezza della necessità di un tutore: non era esattamente il rientro soft che speravamo.
E sembrava essere una tradizione di famiglia: io che l’altr’anno, nello stesso periodo, lottavo in un corpo a corpo contro la bella dottoressa che mi aveva diagnosticato un distacco della retina, diagnosi che ci avrebbe negato il soggiorno in montagna.
La mia povera moglie, al contrario di me, aveva avuto almeno la saggezza di infortunarsi al rientro delle vacanze.
Si sa che le donne hanno sempre una marcia in più.
Ma un tutore per una spalla lussata, in questo luglio incandescente, era l’ultima cosa che si potesse desiderare.
E vedere la moglie così incaprettata, non essendo neanche particolarmente amante del mondo BDSM, era un tuffo al cuore.
Fortunatamente, la mia laurea in ingegneria mi venne in soccorso nel destreggiarmi con lo smontaggio e rimontaggio della complessa struttura di tiranti, controventature e agganci in velcro che costituivano il tutore.
C’era però un unico aspetto positivo in questa situazione.
Ero indispensabile in tutte le operazioni di vestizione, svestizione e lavaggio.
Il suo corpo dolorante a mia disposizione, indifeso.
Il sottile piacere erotico di essere chiamato in causa ogni volta che c’erano abiti da indossare, reggiseni da allacciare, mutandine da sfilare.
Gesti lenti per evitare fitte improvvise alla spalla contusa, il tessuto che scorre sulla pelle nuda, i suoi seni in balia delle mie mani nel sistemarle il reggiseno.
L’erotismo di una gamba sollevata per far scivolare una mutandina su per il polpaccio e la coscia, io in ginocchio davanti a lei, il suo ventre a pochi millimetri dal mio viso.
Trattenere un tenero bacio sulla sua carne mi è praticamente impossibile, la sua mano che mi accarezza la testa.
Assicurarmi che lo slip non si arrotoli attorno ai glutei, fasciare il sedere con il cotone e rubare un affondo del mio viso nella sua intimità, per gustarne il profumo.
Ogni giorno una danza coreografata più e più volte.
E poi l’altra incombenza che, complice l’afa e la costrizione delle fasce elastiche che ne imprigionavano il torso, si rendeva necessaria e che attendevo sempre con un certo fremito.
Lavarla.
Laura che, seduta in vasca, si fa scorrere l’acqua addosso, gli occhi chiusi: lei gode del piacere della pelle finalmente libera, io mi beo della vista delle sue intimità, mentre insapono una spugna.
“Ok, ora inizia dalla spalla sinistra, ma fai piano mi raccomando!”
“Certo, amore.” con tono accondiscendente, io che sfioro con la spugna ruvida la pelle nel punto più dolorante, con la cura con cui si maneggia una reliquia, attorno alle articolazioni, sotto le ascelle.
“Va bene ora, dietro il collo e la schiena” le tracce rosse del passaggio sulla sua pelle, a ravvivare la circolazione affaticata dalle tensioni del tutore e dalla pressione dei sacchetti di ghiaccio per sfiammare l’articolazione.
Senza che mi dica nulla, mi dedico al suo seno, seguendone l’attaccatura, sotto le sue dolci mammelle, prima di circumnavigare le areole scure.
“Oooohhhh, sì! Bravo, così!” il suo piacere è evidente. Ed è il mio piacere.
La spugna insaponata che scende sul suo ventre, la sua peluria scura lambita dall’acqua, le sue labbra finalmente rinfrescate, liberate dalle mutandine.
Delicate bolle di sapone che compongono una giocosa architettura attorno ai suoi peli ricci.
“Ok, adesso sciacquami, per favore”
Prendo la doccia e lascio cadere l’acqua sulle sue spalle, lei che si massaggia il collo e la pelle con la mano buona, sospirando per il piacere della frescura dopo una giornata in balia dell’anticiclone.
Piccoli fiumi che scorrono lungo l’orografia della sua schiena, le scapole delicate, quella fossetta in basso al centro, poco prima dei suoi lombi accoglienti, su cui non resisto a passare la mano, facendo aderire il palmo all’avvallamento.
Poi passo davanti: l’acqua che scorre sui seni, i piccoli getti che titillano i capezzoli. La scusa ancora per carezzarle il seno.
E finalmente il getto che scende oltre.
“Hey, che fai?”
Ho diretto i piccoli aghi liquidi direttamente al centro della sua vulva.
“Io? Nulla!” rispondo con fare innocente, il getto ancora indirizzato sul suo clitoride
“Dai, smettila!”
“Perché? Ti dà fastidio?”
Avvicino il doccino alla sua carne, un leggero moto circolare attorno alla sua intimità, mentre una mano le sfiora nuovamente il seno.
“Non fare il cretino !”
“E chi fa il cretino, ti sto lavando. Hai avuto una giornata pesante, mi dedico a te, no?”
“Sai cosa intendo…” muove il bacino lievemente in avanti, a favorire l’azione del getto d’acqua.
Ed io la vedo.
La vedo la sua eccitazione che lentamente cresce, nel silenzio delle parole, nel delicato rumore dello scrosciare d’acqua.
Il getto che impertinente si insinua nelle pieghe della sua vagina.
E non resisto.
La mia mano che non si trattiene dal carezzare la ferita aperta, le sue gambe incrociate che la lasciano indifesa, sentire le cedevolezze e gli avvallamenti della sua carne umida sotto le mie dita.
Adoro esplorarla, adoro la sensazione al tatto della sua carne, la resina che stilla dalle profondità della sua vulva, perfettamente riconoscibile nella sua viscosità nonostante il getto d’acqua continua che le tormenta il clitoride.
La bacio così.
Lei stupenda, con i capelli lunghi raccolti in una crocchia, il collo scoperto, e seni sormontati da capezzoli ora turgidi.
La mia mano sulla sua fica, la sua fica che è anche un po’ mia.
E facciamo l’amore così, lei nella vasca, dolorante, io accoccolato di fuori, baciandoci, la mia mano che lentamente ne esplora l’intimità, lei ad occhi chiusi che può immaginare di essere in spiaggia sul bagnasciuga, per ingannare la frustrazione di un’estate negata, mentre la masturbo.
Sono solo un marito che si dedica a sua moglie, in maniera disinteressata.
Un’erezione che passa inevitabilmente inosservata.
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