Masturbazioni 3 - Hangover / il buon samaritano

di
genere
etero

Cammino nei dintorni del locale disseminato di ragazzi e mi cade l’occhio su una coppia di tipi dall’aria poco raccomandabile, che parlottano tra di loro, fumando.
Uno regge un cellulare, l’altro si aggiusta il pacco in maniera volgare, i loro sguardi che fissano insistentemente una direzione nella notte.

Provo a seguire quelle occhiate per capire cosa stiano scandagliando.
Quello che vedo mi piace e non mi piace.

I tizi hanno una brutta aria.
Continuo a guardarmi attorno, indeciso, sono lì per un motivo ben preciso e non è per loro.
Né per il gruppetto di ragazze sconvolte riverse a terra, che hanno evidentemente individuate come prede.

Ricontrollo la geolocalizzazione sul cellulare, scuoto la testa e lascio andare un vaffanculo, fermandomi.
Mi giro e mi dirigo nella direzione indicata dallo sguardo dei due tizi, i loro occhi come traccianti nella notte.

E’ un gruppetto di tre ragazze, buttate sul prato, semincoscienti, in mezzo a fazzoletti, cicche di sigaretta e immondizia spicciola varia.
Mi siedo vicino a quella con il tubino nero, supina, il tessuto troppo corto che le lascia scoperte le cosce e non solo.
Facendo finta di conoscerle, braccia incrociate sulle ginocchia, intercetto lo sguardo dei due tizi: ci fissiamo per secondo infiniti.
Uno sputa per terra, l'altro gli risponde con qualche parola che non colgo.

“Che cazzo vuoi, vecchio?”
Un’adorabile voce di ragazza emerge da qualche oscena apertura sul regno dei morti, vicino a me.

La tipa in tubino nero ha sollevato solo la testa, puntando i gomiti sull’erba, guardando nella mia direzione con aria torva.
Le sue amiche riverse a terra con la faccia nel prato sudicio non danno segni di vita.

“Non hai le mutande”
“Che c’è?”
“Non hai le mutande”
“E tu che cazzo vuoi? A te che ti frega?”
“Non è importante quello che voglio io. Ma di certo tu non vuoi quello che vogliono quei due tizi lì!"

Faccio un cenno con la testa, che lei segue con lo sguardo, individuando le due figure che la fissano ancora di traverso, guardando per terra, fingendo indifferenza, uno che si concentra oltremodo sul pulirsi con l'erba la suola delle Nike bianche che luccicano nella notte.

“Uh, e tu che ne sai? Magari mi sarei voluta far sbattere da quei due!”
“Sì, certo!”
La ragazza si aggrappa al fondo del vestito, agitandosi sull’erba come un lombrico, coprendosi.

“Contento?”
“Ma sei sempre così acida?”
“Solo con quelli che mi piacciono.” il suo tono neutro
“Devi avere un successone!”

Vedo che mi sta per rispondere, la sua bocca che si apre, un dito che si solleva puntando al mio viso, ma rimane congelata così per un attimo. Poi le scappa un “ommadonna”

Si volta di scatto, si mette a carponi culo all'aria.
E vomita.
Sul prato già ridotto in condizioni disgustose.
Un getto liquido, che evidentemente non aveva molto nello stomaco.
Un attimo di pausa, ed un altro conato la scuote, la mano le scivola sull’erba e lei finisce in parte con la faccia e con i capelli nel liquame acido che prima era dentro di lei, ed ora è fuori di lei.

“Cazzo, macchè...” mi sfugge.

Lei resta così, ansimante per lo sforzo.
L’unica nota positiva è che la scena disgustosa convince i due tizi a cambiare preda, le loro espressioni deformate dallo schifo.
Persino quelli sembrano avere dell’amor proprio.

Le amiche di tubino-nero non si accorgono di nulla, continuano a dormire ignare.
La ragazza è ancora scossa da piccoli conati, o forse sono singhiozzi, non lo riesco a capire.

Dalla mia tracolla, estraggo uno dei miei inseparabili piccoli asciugamani targati ikea (soffro il caldo, ok?) ed una bottiglietta d’acqua.
Ci impregno la spugna e sollevo la ragazza per una spalla, pulendole il viso, ed i capelli, come meglio posso.

“Dai, fatti aiutare” le sussurro con fare paternalista, a cui lei risponde con cristi-santi indirizzati a non si sa chi.
Altra acqua sull’asciugamano e di nuovo il tessuto che strofina i suoi capelli e poi le sue guance.

Ha un bel viso, lineamenti eleganti.
Mi fa tenerezza, non riesco a non trovarla attraente.

“Tieni" porgendole la bottiglietta "Sciacquati la bocca, ma non bere.”
“Che fai, mi dai lezioni di hangover?”

Allargo le braccia esasperato.
Lei si accorge di aver esagerato.
Le sfugge un “grazie” a bassa voce mentre accetta l'aiuto.
Si versa un piccolo sorso, le guance che si gonfiano, lei che sciacqua e sputa non troppo distante.

“Grazie per l’acqua... e per quei due.” Pausa. “Ma tu che ci facevi qui? Figlie?”
“Un figlio. Quindici anni. Che da questo pomeriggio si è reso irrintracciabile. E allora ho provato a vedere se per caso non fosse qui fuori dalla discoteca”
“L’hai trovato?”
“No, ha disabilitato la geolocalizzazione. Ci sta facendo passare una cazzo di estate di inferno.”
“Mi spiace... anche io ho fatto cazzate alla sua età... forse...”
“Saranno stati contenti i tuoi”
“E’ il loro lavoro.” poi, con estrema finezza, si lascia scappare l’ennesima confessione: ”Cazzo, devo fare pipì!”

La ragazza prova ad alzarsi, ha una scarpa ad un piede, l’altro nudo.
Ma appena cerca di mettersi eretta, crolla con un “opporcaputtana”, le gambe non le reggono. Sta messa anche peggio di quanto non sembrasse.

Cerco di aiutarla.
“Spero non vorrai farla qui”
“Ti piacerebbe, ve?”
Senza commentare, mi tiro in piedi, non trovo una posizione migliore che stare davanti a lei, le mani infilate sotto le ascelle, le gambe divaricate e un po’ flesse (non farò l’errore di piegarmi a novanta per tirarla su di forza, ci manca che mi becco io il colpo della strega qui in questo letamaio).
Il suo viso è inevitabilmente all’altezza della patta dei miei pantaloni.

“Ecco che il paparino ci prova, lo sapevo che voleva un pompino!” sogghigna, forse cercando di darsi un tono e sembrare meno indifesa di quanto non sia ora, in quelle condizioni.
“Ma allora sei proprio stronza! Forza, tirati su.”

Lei usa quello zero-virgola di energie che le restano per mettersi in piedi, tutta storta.
Di fianco a lei, un braccio che la cinge, mi guardo attorno per cercare un posto in cui potrebbe pisciare senza esser vista. E ci incamminiamo, verso le architetture razionaliste alternate ad aiuole malmesse che ci circondano.
Riesco a trovare un punto in cui possa accucciarsi e fare ciò che deve fare.
Mi giro, sento il suono del tessuto del vestito strusciare sulla sua pelle.
Tanto le mutande già non ce le aveva.

Il rumore liquido della sua minzione, a cui cerco di mostrare indifferenza.
Per non tralasciare nulla, il concerto è coronato da un piccolo peto.

Di nuovo allargo le braccia, guardando verso un’invisibile platea.
Fossi al cinema, direbbero che sto sfondando la quarta parete.
“Ma dai, cazzo!”
“Scusa. Non volevo.”
“Lo spero bene!”
Un istante di pace.
“Mi aiuti?”

Mi giro e cerco di sollevarla, per un attimo rimane con il ventre scoperto, il pube curato, una lieve peluria dai contorni geometrici, che sta decisamente meglio della sua acconciatura, in questo momento.
I soldi per l’estetista spesi meglio di quelli per il parrucchiere.
Si tira giù il tubino per coprirsi, ma devo ancora reggerla, che proprio le sue gambe si rifiutano di collaborare. Si aggrappa a me, il suo peso mi sbilancia e finiamo a terra.

“Cazzo come sto messa... però ne è valsa la pena.”
“Sarà!” commento laconico.
E ce ne rimaniamo lì buttati a terra, su uno scampolo di prato sudicio nella notte romana, il suo corpo che preme contro il mio. Io che mi chiedo dove sia mio figlio.

Lei puzza di serata sconvolta, alcool a casaccio che deve averle impregnato il vestito, odore di sudore e di sigaretta, ma mi ritrovo a combattere con le oscene fantasie che si affacciano alla mia mente.
Son troppi anni che non mi ritrovo così vicino il corpo di una ragazza della sua età, che immagino peraltro essere non esattamente santarellina.

Mi si accoccola addosso, le accarezzo i capelli sudici, pentendomene poco dopo.

Per cercare di distrarmi, tiro fuori dalla tracolla il mio cubo di Rubik.
C’è stato un tempo in cui me la cavavo.
Non ero certo un esperto ma ero comunque soddisfatto dei 3 minuti che ci mettevo all’epoca. Mi bastava quello, e sapere di saperlo fare. In metropolitana andando a lavoro facevo un figurone, attirando sempre qualche sguardo ammirato.
La sublimazione dell'impossibilità di rimorchiare vista la mia età.

Ed ora stavo faticosamente cercando di ricordare la sequenza di figure ed algoritmi, qualche scampolo di memoria muscolare che ancora si cela nelle mie dita.
Il cubo, non usato per troppo tempo, cigola ed è meno fluido di quanto ricordassi.

“Dai qua”
L’elegante mano giovanile della ragazza mi toglie il gioco dalle mani.

Si gira e resta mezza sollevata (deve avere addominali non da poco, per reggere in quella posizione), passa qualche secondo a studiarlo e rigirarlo.
Poi, dopo averlo soppesato, lascia partire una sequenza di movimenti che non riesco quasi a seguire.
La croce in basso.
I primi due strati.
La faccia superiore.
Non è una speed-cuber, ma di certo è più brava di me e mi restituisce il cubo risolto nella metà del tempo che ci avrei messo io.

“Complimenti!”
“Grazie”
“come hai imparato?”
“Non te lo dico.” e torna ad abbandonarsi sul mio petto.

Il silenzio tra di noi mi permette di ascoltare i rumori attorno, della tecno ovattata che esce da qualche macchina lì attorno, rumori di bottiglie e di brindisi, turpiloqui vari e risate.
Penso a mio figlio.
Sono stanco, che cazzo ci faccio lì?

E poi sento la sua mano.

Che lentamente si fa strada sulla patta dei pantaloni, a massaggiarmi attraverso il tessuto.
Il mio cazzo non si fa pregare, non riesco ad evitare di avere un’erezione.
Lei mi infila una mano nei pantaloni, si insinua nelle mutande e mi massaggia il membro con calma.
Non la fermo.

“Vedi? Alla fine sei come tutti gli altri…”
“E tu sei un po’ puttanella, delle altre non so che dire”

La lascio fare, perché sono proprio stanco, e forse mi merito una sega in una notte come quella, l’alternativa sarebbe continuare a macerare nella frustrazione per l’incazzatura nei confronti di mio figlio.
Quindi scelgo la sega.
E scelgo di non sottrarmi, quando lei mi slaccia i pantaloni, tirandomi fuori il cazzo continuando a masturbarmi.

Poi, dopo un minuto scarso così, rotolando su di me, la mia faccia che affonda nelle sue tette, si mette a cavalcioni delle mie cosce.
Si tira di nuovo su il vestito, e posso vederle la fica ora.
E so che è quello che vuole, che sa benissimo che mi farà perdere gli ultimi scampoli di controllo, mentre continua a masturbarmi.

“Sei stato carino con me, sweet daddy, anche se sono una puttanella e forse non me lo meritavo!”
“Sì, penso si possa dire che sono stato proprio una personcina a modo!”

Non mi fa entrare subito in lei.
Prima si massaggia la ferita in mezzo alle gambe con tutta l’asta della mia intimità, avanti e indietro, premendo il suo clitoride su di me, le sue mani sulla mia pancia.

Cazzo quanto mi piace, me lo sta bagnando, mi chiedo quanto c’entri l’MD che si sarà sicuramente calata, ma forse è solo gentile con me, finalmente.
E allora la prendo per i fianchi, sollevandola un poco, lei mi afferra il cazzo, puntandolo sulla sua vulva e lascia che le entri dentro.
Ho una cazzo di voglia di scoparla, e non faccio nulla per nasconderlo.
Lei sa muoversi, eccome se sa muoversi.
Le scopro i seni: se la puttana deve fare, che lo faccia per bene e mi lasci godere della vista delle sue tette.
Due stupendi piccoli capezzoli, quei due stupendi capezzoli catturano tutta la mia attenzione e mi salvano dalla tentazione di baciarla, che l’acido sapore di vomito probabilmente me lo farebbe ammosciare.
Le afferro un seno per portarmelo alla bocca, per succhiarlo mentre lei, sempre con le mani sulla mia pancia, continua a muoversi avanti e indietro, avanti e indietro, e a scoparmi.
Ogni tanto si tira su, così che le sue labbra mi bacino la punta del glande, così che la mia erezione incontri il suo clitoride, e poi scende di nuovo di peso su di me, le mie palle che sbattono sul suo culo.

“Vienimi dentro, cazzo, dai. Vienimi dentro paparino!”
Per assicurare il risultato, la sento premere di più con il suo corpo, la sua cervice sembra succhiarmi la punta del glande, ma è vederla infilare una mano sotto il suo pube per sgrillettarsi che mi fa impazzire.
E’ quello che mi dà l’ultima spinta verso l’orgasmo.

Sborrarle dentro. Non so fare altro, non voglio fare altro che sborrarle dentro, per non pensare a mio figlio che sta chissà dove a combinare chissà quali cazzate.
Lei accompagna le mie contrazioni con un “Bravo, paparino, bravo...così!” stringendomi la testa al petto e carezzandomela.

Quattro, cinque fiotti, finché si esauriscono, sempre più deboli.
Poi lei torna a concentrarsi sul proprio piacere, chiudendo gli occhi, il mento che preme sul proprio petto, i capelli che le nascondono il viso, mentre le sue dita continuano a frizionare il clitoride.

La sento che viene su di me, mentre il mio seme cola fuori da lei, sporcandoci, le pareti della sua fica che si contraggono, stringendomi il cazzo che va afflosciandosi dopo l’orgasmo.
E lei mi crolla addosso, il viso rivolto verso di me, la sua bocca che quasi mi bacia il mento, la barba che le punge le labbra.

Solo una frase emerge dalle mia soddisfatta stanchezza in quel momento.
Un’ultima preoccupazione per la mia adorabile puttanella, che ora ha un che di angelico ai miei occhi.

“Ho delle mentine... ho delle mentine, tesoro... che la tua bocca è una fogna...”
“Uh?”
“Sono senza zucchero, tranquilla”
“Mavaffanculo” e abbandona di nuovo la testa sul mio petto ansimante.
Puzza da far schifo.
scritto il
2024-08-08
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