Il ritorno di Chiara (I parte)

di
genere
confessioni

Le schizzai in faccia, in bocca, ovunque. Fu una liberazione, le riempii i capelli, il viso, ne ingoiò una parte. Mi stesi sul letto esausto e sfinito.
Chiara si alzò per andare a pulirsi il viso, tornò e mi abbracciò; rimanemmo in silenzio per, forse, un minuto; le accarezzavo i capelli mentre lei aveva il viso sul mio petto. Mi bagnò con le lacrime e mi disse che era stata benissimo, ma che quella sera, sarebbe stata anche l’ultima trascorsa insieme.
“So già che non mi perdonerò mai per quello che abbiamo fatto stasera, ma so anche che se non lo avessimo fatto, saremmo rimasti sempre nel limbo, facendoci male noi e continuando a farlo a lei. Stasera sento che ci siamo amati, ma la nostra storia deve finire ora”.
Senza aggiungere altro, si rivestì e senza guardarmi, piangendo, andò via.

Chiara, la cugina della mia compagna. Ci eravamo lasciati così, dopo il nostro primo, ed unico, rapporto sessuale.

Era trascorso qualche mese da quel giorno.
In quel periodo, c’era stato qualche messaggio, qualche timido tentativo, da parte mia, di ripetere quell’esperienza, ma Chiara si era completamente chiusa. Mi aveva detto sarebbe stata l’unica volta, e così sembrava essere.
Mi ero rassegnato, ma un pomeriggio, a prim’ora, mi arrivò un messaggio vocale.
Era lei, con la sua voce sensualmente roca:
“Ciao…sto scendendo. A casa ho detto che arrivo domani, in realtà tra una decina di chilometri sarò in Puglia. Se stasera sei solo, ci vediamo”.
Lo riascoltai, sia per essere certo di aver sentito bene, sia perché il solo sentire la sua voce, mi faceva rizzare il cazzo.
Quindi risposi, scrivendo:
“Sarò a casa. Ti aspetto”
“Ti avviso quando sarò a dieci minuti da casa tua”
“Ok”.

Andai a casa nel tardo pomeriggio ed aspettai la chiamata di Chiara.
Intorno alle 19.00 arrivò la notifica di un messaggio vocale
“Sono in città, il tempo di arrivare da te”
Abitavo al mare e dalla città ci volevano dai 15 ai 20 minuti, a seconda del traffico.
Infatti erano passate da poco le 19.20, quando suonò il citofono. Aprii il cancello ed uscii in giardino. La vidi, indossava un top bianco ed uno short verde acceso, corto e di tessuto leggero ed un po’ largo.
Ci abbracciammo e ci baciammo; rimanendo così incollati, Chiara mi spinse seduto sul primo lettino a portata di mano, in giardino, mi si sedette a cavalcioni e si strusciò con la figa sul mio pacco.
Era senza slip; dagli short si intravedevano le labbra della figa
“Mettimelo dentro”, mi disse
Aprii i bermuda, presi il cazzo e lo infilai nella sua figa, scostando il lembo laterale dei suoi pantaloncini.
Era talmente bagnata che me lo inghiottì.
Chiara era abbracciata a me, con il cazzo interamente dentro la propria figa; si muoveva lentamente, gustandosi ogni momento della penetrazione. Mi leccò il collo, succhiò il lobo dell’orecchio, mi sussurrò che aveva passato diverse notti, a toccarsi, ricordando la nostra precedente, unica scopata. Era scesa in Puglia con un unico pensiero, il mio cazzo.
Iniziò a gemere e dopo poco godette
“mmmmhh…siiii, continua….siiii, cosìììììì, cazzo come godo…dio mio…vengoooooooooooo”
Incurante di essere in giardino, ci lasciammo andare a gemiti sonori e baci rumorosi.

Mi guardò e sorrise, si alzò con gli shorts completamente fradici dei suoi umori.
Prese il cazzo in mano, lo segò, si piegò per leccarlo, ma dopo un po’ lo rimise a posto
“Che fai?”, le chiesi
“Lo facciamo riposare. Adesso facciamo una doccia, usciamo a mangiare una pizza e stanotte ti sfinisco”.

Andò in macchina a prendere il trolley ed entrammo in casa.
La guardai spogliarsi ed entrare nella doccia. Mi venne un’idea.
Mi spogliai velocemente e la raggiunsi; la presi e la baciai
“Inginocchiati”, le dissi con tono perentorio
Chiara mi guardò e si inginocchiò davanti al mio cazzo.
Lo presi in mano ed iniziai a pisciare.
Non si scostò, anzi, si fece investire in faccia, dal mio getto di piscio. Aprì la bocca per assaporarne qualche sorso e quando terminai, lo inghiottì tra le labbra per pulirlo.

Iniziò a leccare la cappella, il glande, il prepuzio, lo infilò in bocca, lo succhiò, si mise a pompare; lo fece crescere a dismisura, la feci alzare e la misi di spalle, in piedi, nel box doccia; appoggiò le mani al muro, si piegò leggermente, arcuando la schiena; la presi per i fianchi e la scopai nuovamente. La penetrai, afferrandole le enormi tette; le strinsi, le palpai, giocai con i capezzoli, la sentii ansimare, incitarmi a continuare, godette, ancora, un’altra volta.
Si girò, mi baciò, sapeva di piscio.
“Troia”, le dissi, “Ti piace farti pisciare in faccia?”
“Sì”, mi rispose, “adesso sborrami in bocca”
si inginocchiò, lo prese di nuovo in bocca e mi fece sgorgare numerosi schizzi di sperma direttamente nella sua gola.

Ci facemmo la doccia insieme, ridendo e provocandoci.
Ci asciugammo e ci vestimmo.
Uscimmo da casa e Chiara, sorridendomi, disse:
“Facciamo in fretta, troviamo una pizzeria qui vicina; ho fame ed ho ancora voglia di te”.

Andammo a mangiare in un locale poco distante da casa mia.
Chiara aveva infilato una camicia, lasciandola sbottonata abbastanza da far intravedere il seno, e, su mia richiesta, non aveva indossato indumenti intimi a coprirlo.
Il cameriere sudava ogni volta si avvicinava e Chiara, con una malizia che non le pensavo possedere, si divertì a stuzzicarlo.
Parlammo delle nostre vacanze, del periodo trascorso senza sentirci.
Lei mi confidò che in vacanza in Sud America, durante la giornata in estremo a 6.000 metri di altezza, sola con sé stessa e lontana dal mondo, aveva pensato spesso a noi due e si era convinta quanto fosse peccato non viverci, seppur nei brevissimi periodi che potevamo concederci.
Mi chiese, quando fossimo stati insieme, di non parlare mai di quel che facevo con la mia compagna, sua cugina. Lei avrebbe fatto in modo da cancellare, dalla sua mente, quella presenza, almeno quando ci vivevamo, lei ed io.
“Soprattutto”, mi disse, tenendomi la mano, “Non essere mai pericoloso nei tuoi comportamenti; non rischiare mai che possano scoprirci. Non messaggiarmi quando sei con lei; non parlare a nessuno, ma proprio nessuno, di noi due”.
Terminammo di mangiare. Avevamo fretta di tornare a casa, ma avevamo anche voglia di trascorrere quei momenti rilassanti tra noi due.

Finita la pizza, il cameriere venne a togliere i piatti; si soffermò in maniera sfacciata per sbirciare la scollatura di Chiara, che di tutta risposta, allentò un altro bottone.

Azzardai, e le dissi:
“Vai in bagno, fatti seguire dal cameriere”
“Tu sei matto”, mi rispose, ma incuriosita, mi chiese: “e cosa vorresti che facessi?”
“Quello che vuoi, fallo sborrare sulle tette”
“Tu sei matto”, ripeté, ma dicendolo, sorridendo, scostò la sedia, vide dove fosse il ragazzo che ci aveva servito e con lo sguardo, lo fissò cercando di fargli capire le sue intenzioni.
Non la vidi, questo me lo disse lei successivamente:
Passò la lingua sul labbro superiore e con una mano allentò ancora un altro bottone, scoprendo quasi completamente il seno.
Gli chiese dove fosse la toilette.
Chiara fece in modo da farsi accompagnare sin dentro, con la scusa che le serviva una mano per smacchiare la camicia, accidentalmente sporcatasi.
“Forse meglio se me la tolgo”, disse al cameriere, incredulo.
Chiara si sfilò la camicia, restando a seno nudo. Il ragazzo le palpò le tette, Chiara, senza perder tempo, si inginocchiò, slacciò la cinta, abbassò la cerniera del pantalone, mise la mano dentro e tirò fuori il cazzo iniziandolo a leccare. Quando lo giudicò abbastanza duro, lo mise tra le tette e, prendendosi il seno tra le mani, lo segò con una spagnola.
Lo vide crescere, pulsare, aver voglia di godere.
Abbassò lo sguardo verso la cappella, sempre più irrorata di sangue. Tirò fuori la lingua per leccarla, mentre con le mani, strinse il seno per segarlo con più foga.
Il ragazzo sborrò con un, primo, violento schizzo che la colpì sul mento e sulle labbra, continuando a sborrare copiosamente su tutto il petto di Chiara.
Il cameriere si ricompose in fretta, si scusò, ma temeva di essere scoperto per la prolungata assenza dalla sala ed uscì velocemente, lasciandola ancora inginocchiata.
Chiara sorrise, leccò il labbro inferiore, bagnato di sperma, tolse con la mano, lo schizzo caduto sul mento e si spalmò quelli sul petto; si leccò le dita, sentendo la figa bagnarsi.
Si alzò, recuperò la camicia, abbottonando solo i bottoni più bassi e, con la scollatura vistosa, tornò al tavolo, passando attraverso il locale, catturando più di qualche sguardo.
Mi sorrise e disse: “Andiamo? Ho voglia di raccontarti tutto”
scritto il
2024-09-03
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