Verso Venezia
di
Flavia1988
genere
saffico
Più di due ore da quando stamattina sono uscita di casa.
Ancora più di un’ora di treno.
Destinazione Venezia.
Valigia leggera. Tanta voglia di svagarmi dopo un periodo buio. E l’ormai immancabile macchina fotografica.
A quasi quarant’anni, sto ricominciando a ricostruirmi una vita. E la passione della fotografia mi sta aiutando a non farmi pensare troppo ad altro.
Il treno è uno di quei “regionali veloci” che partono da una regione e finiscono in un’altra: le meraviglie lessicali delle ferrovie nostrane. A due piani, io ho preferito stare in alto e la visione che adesso ho della banchina piena di gente a questa fermata intermedia mi fa echeggiare nella testa una canzone di Max Mandredi: “non c’è bisogno di vetrine colorate o forse sì, ma solo come una finestra, per il regno delle fate.”
Mi viene naturale prendere la fotocamera e fare qualche scatto.
Passo in rassegna alcuni angoli, alcune ombre, alcuni volti.
Attimi.
Vite.
Quello scorcio di umanità che, diventato ritratto, diventa eterno.
Ed ecco che la vedo.
Proprio mentre parte l’annuncio dell'imminente partenza e l’avvertimento agli accompagnatori di scendere, entra di corsa nel mio obiettivo, salendo dal sottopasso. Si sbraccia verso il controllore poco più avanti, gridando un - Aspetta!!!- al quale riceve un annuire tranquillo e sorridente. Subito dietro, un ragazzo che trascina una valigia. Avranno entrambi una ventina d’anni. Lei minuta, capelli neri scompigliati, carnagione quasi lattea, un vestito azzurro che svolazza nella convulsione dei suoi movimenti. Non resisto e scatto un paio di foto alle onde create da quei capelli corvini. Lui quasi completamente rasato, vestito di nero, occhiali da sole, più tatuaggi che pelle libera. Le mette la valigia sul treno e scende subito. Si baciano velocemente, poco prima che le porte si chiudano.
Ripenso a quando, per qualche mese, io e mio marito (“Ex marito, Alessia…ex…”) abbiamo vissuto in città diverse. Questi momenti erano stati quasi settimanali, ma ricordo anche la normalità che ad un certo punto era entrata nei nostri saluti: rapidi, veloci, un - Ciao, ci sentiamo- buttato lì fra il suo dover entrare a lavoro e il mio dover partire verso la filiale dove ero in formazione e dove poi lui mi avrebbe raggiunto.
“Beata gioventù”, penso e sorrido fra me e me, “Ormai parli come una vecchietta…”
Sento il suo salire le scale, facendo fatica a portare la valigia, che ad una prima occhiata pare pesare più di lei. Non vedo nessuno alzarsi ad aiutarla e d’istinto lo faccio io.
- Vieni, ti aiuto
Ricevo un affannoso ringraziamento. Decidiamo di sistemarla nello spazio fra due sedili e poi torno ad occupare il mio posto. Lei mi segue e si siede davanti a me.
- Grazie ancora. Di solito mi aiuta il mio ragazzo, ma oggi abbiamo fatto tardi e non è riuscito a salire.
- Capita di fare tardi, quando si è giovani. Sorridiamo insieme, probabilmente ognuna con le proprie immagini in testa.
Solo allora mi accorgo della sua fine bellezza. I capelli circondano un viso delicato dai lineamenti non troppo marcati, occhi celesti intensissimi, un intenso rossetto regala risalto ad un bocca dalle labbra sottili.
Continuo, alzando leggermente la voce.
- Certo che qualche maschietto che poteva aiutarti ci sarebbe anche qui sopra…- le faccio l’occhiolino, indicando i due ragazzi dietro di me -...ma a noi donne tocca sempre fare tutto da sole.- Lei sorride. Poi vedo che le squilla il telefono, si scusa prima di rispondere - Ciao amore. Si tutto bene…-
Lascio stare, tornando a guardare fuori dal finestrino.
Apro lentamente gli occhi. Sento silenzio e tutto ovattato intorno a me. Non capisco. Mi sento leggera. E sento dell’aria fredda sulla pelle. La maglietta leggermente alzata, non sento più il reggiseno e un seno è nudo. Provo a coprirmi, sentendo il capezzolo grosso e sensibile sotto la mano. Lei mi dice di stare tranquilla. Mi accarezza il viso. Scende lungo il collo.
- Ho visto che mi hai fotografato. - è un sussurro, mentre vedo che ora con le mani comincia a sbottonarsi la camicetta - Ma forse vuoi fare di meglio. Ti piaccio?
Riallontandosi mostra un seno piccolo. Anche lei ha i capezzoli duri che puntano da un areola quasi impercettibile.
Mi sfiora il seno e poi mi prende una mano e mi lascia sfiorare il suo, mentre chiude gli occhi. Guardo intorno a noi. Non capisco le sensazioni contrastanti che ho: ho paura ci possano vedere, ma allo stesso tempo so benissimo che siamo sole. Non sento rumori. Solo il nostro respiro calmo e a sincrono. Lo sento nell’orecchio, nelle tempie e sotto la mano che tocca la sua pelle nuda. Ho confusione ed eccitazione. Penso a cosa sto facendo. A cosa sta succedendo. Apre gli occhi e mi sorride, rispondendo lei ai miei dubbi.
- Succede che mi vuoi e che anche io ti voglio. Ecco cosa succede Alessia mia.
E poi sento la sua mano toccarmi il ginocchio.
Apro gli occhi di scatto e la vedo vicino a me. E in piedi al suo fianco il controllore che mi chiede il biglietto.
Devo essermi appisolata. E ora sono scossa e imbarazzata allo stesso tempo.
“Cazzo Ale, cazzo…”
Mi scuso con il controllore e dentro di me lo maledico allo stesso tempo, facendogli notare che già me l’aveva controllato. Si scusa andando via.
- Mi scuso anche io, non volevo svegliarla di colpo, ma quello insisteva.
- Non preoccuparti, fa solo il suo lavoro.
- E poi spero non le dia fastidio che mi sia seduta vicino a lei. Ogni tanto mi dà noia viaggiare in treno e preferisco restare seduta nella direzione del senso di marcia-, mi parla con una voce flebile. Accento leggermente del sud, direi, ma comunque impercettibile. Le dico di non preoccuparsi. E di darmi del tu senza problemi.
Noto sulle sue gambe un libro: “La veneziana” di Nabokov. Si accorge del mio sguardo e lo prende in mano.
- Lo conosce?
- No. Di Nabokov conosco ovviamente un’altra opera, ma questo no. Ma visto che sono diretta a Venezia, il titolo mi sembra una bella coincidenza.
- Viaggio di lavoro?
- No no, per carità. Puro svago. Da sola. -Ah…
- No, guarda, sto imparando che da soli si sta molto meglio che con certe persone. Soprattutto quando sono certi stronzi. - sorrido - Ormai ho solo lei come unica compagnia.
E indico la borsa della fotocamera davanti a me.
- Scusa la nota amara e personale. Tu invece? A giudicare dal peso della valigia stai traslocando!
Ridiamo. Lei più sommessamente, quasi nascondendosi con la mano. “Paura inconscia di mostrarsi?”, penso “Eppure le labbra sono così delicate.” Mi ritrovo a fissarle, ma torno subito a guardarla negli occhi.
L’orecchio percepisce il suo parlare (il ragazzo di Ferrara con cui ha appena finito due settimane di vacanze, il vivere e studiare a Trieste, il cambio alla stazione di Venezia…), ma la testa non si libera dell’immagine della timidezza del suo sorriso e soprattutto di quanto appena sognato. “Alessia, smettila…”
Mi accorgo che mi sta fissando.
- Scusami?
- Le…ti…ti chiedevo che tipo di foto facessi.
- In verità non ho un vero e proprio genere, mi piacciono sia i paesaggi che i ritratti. O mi piace banalmente girare per strada e trovare il momento giusto per scattare, per rubare uno sguardo, una luce.- mi fissa negli occhi e quello sguardo mi fa leggermente vibrare - Come ad esempio l’agitarsi di una ragazza con i capelli neri mentre rischia di perdere il treno.
Mi fissa stupita.
- Lo ammetto: mi sei entrata nell'obiettivo appena salita in banchina e l’istinto mi ha fatto scattare. Ti dico subito che il volto non si vede. Cerco di rubare meno privacy possibile in certe situazioni. Anche perchè poi quelle mi piacciono di più le carico su Instagram, il mio unico vezzo social. - cerco di capire le sue reazioni a questa confessione, ma non fa altro che fissarmi negli occhi. Forse non osa dire qualcosa. Oso io.
- Vuoi vederla? Ovviamente vista dal display della fotocamera non sarà un granchè.
- Fa nulla. Ora mi hai messo curiosità! Al massimo me la mandi via mail…o ti scovo io su Instagram!
La sua risata mi fa vibrare. E fa vibrare l’aria intorno a lei. Argentina, limpida, riempie di gioia il volto e lo sguardo. Vorrei poterla fotografare in questo momento, quando la timidezza è andata via, per distrazione o per scelta sua, e finalmente vedo la vita che vuole uscire e la curiosità di cui mi stava parlando.
Le porgo la fotocamera. E lascio che guardi da sola la foto scattata.
- Visto quanto ti sono piaciuti i miei capelli al vento dovresti venire a trovarmi a Trieste: avresti vento in abbondanza! - poi comincia a guardarsi intorno - Invece ora cosa vorresti fotografare? Ci sono soggetti interessanti sulla carrozza? Oppure quei campi che si perdono all’orizzonte?
Mi giro verso il finestrino, cercando nel panorama quanto lei mi stesse indicando. E dopo qualche secondo sento uno scatto alle mie spalle. Mi rigiro. Un altro scatto.
- Ma…
Continua a scattare spostando leggermente l’angolo dell’inquadratura ad ogni foto.
- Volevo restituire il favore. E poi sei così fotogenica. Ma dubito qualcuno te l’abbia mai detto. Vero?
Ride. Mentre io sono sempre più stupita e rispondo di getto e mentre lei non smette di fotografarmi.
- In verità mio marito diceva lo fossi…cioè, il mio ex marito…ma è una storia lunga…
- E sicuramente erano tutt’altro tipo di fo…
Torna a guardarmi senza il filtro dell’obiettivo, mettendosi la mano davanti la bocca, con gli occhi sbarrati.
- Oddio scusami, scusami, scusami, scusami!!!!! Non so cosa mi sia preso. Tieni. Scusami ancora. Anche per l’allusione volgare che ti ha fatto ricordare tuo marito…cioè, il tuo ex marito…- mi sorride dolcemente.
Dovrei smetterla e mandarla a farsi fottere. Ma la verità è che sono debole e piena di paura di perdermi in tristezze che alla fine non mi servono a nulla. E non mi portano a nulla. Ho il magone che butto giù. E le faccio una smorfia che doveva essere un sorriso, ma non sono così convinta lo sia stato. “La verità è che stare da soli è una merda…”, scuoto la testa per scacciare quest’ultimo pensiero. Lei mi mette una mano sulla gamba e si scusa ancora.
Annuisco e inizio a guardare le foto che mi ha fatto.
- Hai un buon occhio…molto più di… -...del “cioè tuo ex marito”?
Ridiamo. Ora di gusto.
- Esatto.- mi viene da darle un piccolo buffetto al braccio. - Senti, nel paese dove vivo, sono molto amica di un fotografo. Faccio stampare la tua foto e te la spedisco. Magari la faccio stampare come se fosse un segnalibro, che dici? Così smetti di torturare i libri facendo le orecchie alle pagine.
Abbassa lo sguardo sul libro e ne accarezza la copertina sorridendo. Poi si gira di colpo verso di me.
- Fammene un’altra.
- Scusa?
- Ho detto: fammene un’altra. Così quella di prima la pubblichi e quest’ultima me la mandi e sarà nei miei libri.
Si mette in posa, slacciandosi il primo bottone della camicetta. Le mani dietro la testa a portarsi davanti i capelli che vanno a coprirle leggermente il sorriso. Gli occhi scintillanti.
Ci guardiamo. Inquadro. Scatto. Ci guardiamo di nuovo.
L'altoparlante che annuncia l’arrivo a Venezia Mestre ci riporta alla realtà. - È quella dove cambio per Trieste. Mi aiuti con la valigia?
- Certo.
Sto per alzarmi ma mi fermo. Prendo un foglio di carta dallo zaino e ci scrivo sopra il mio numero e la mail.
- Due cose. La prima è questo foglio: un anticipo del segnalibro con i miei contatti. La seconda è…beh…piacere, Alessia. Ridiamo di nuovo entrambe. Più di un’ora che parliamo e non ci eravamo nemmeno presentate.
Lei mi stringe la mano.
- Linda. È stato…bello. Un vero piacere. E grazie per questo primo segnalibro.
Apre il libro. Toglie la piegatura all’angolo che aveva fatto e lo mette all’interno.
Il treno sta rallentando e noi siamo davanti la porta. Lei pronta a scendere. Io con le mie cose che ho già preso, in attesa della prossima fermata a Venezia Santa Lucia. Siamo strette dalla gente che si sta accalcando per scendere, io alle sue spalle. La sua mano si sporge dietro e cerca la mia. La stringo. Le bacio delicatamente i capelli. Lei stringe il corpo al mio, schiacciando la sua schiena al mio seno. Di nuovo mi pare di non sentire altro che il nostro respiro. “Starò sognando di nuovo?” Poi uno scossone del treno in frenata ci fa quasi cadere tutti. E l’atmosfera si rompe, fra risate e alcune imprecazioni in più lingue.
L’aiuto a portare giù la valigia e dandole un leggero bacio sulla guancia la ringrazio di nuovo della compagnia. E di avermi fatto da modella.
Risalgo sul treno per l’ultimo tratto di viaggio. Attraversiamo la laguna e il profilo di Venezia si fa sempre più vicino.
Vibra il telefono. Un messaggio da numero sconosciuto. Lo sapevo. E non lo sapevo. Lo speravo. E non lo speravo.
- Questa volta ho trovato un maschietto che mi ha aiutata! Nulla però in confronto alla mia nuova fotografa preferita! Guarda che ci conto su quel segnalibro.
- Linda, non temere. Sarà bellissimo. E tutto tuo.
- …e tutto nostro.
“Linda…nostro…”
Ancora più di un’ora di treno.
Destinazione Venezia.
Valigia leggera. Tanta voglia di svagarmi dopo un periodo buio. E l’ormai immancabile macchina fotografica.
A quasi quarant’anni, sto ricominciando a ricostruirmi una vita. E la passione della fotografia mi sta aiutando a non farmi pensare troppo ad altro.
Il treno è uno di quei “regionali veloci” che partono da una regione e finiscono in un’altra: le meraviglie lessicali delle ferrovie nostrane. A due piani, io ho preferito stare in alto e la visione che adesso ho della banchina piena di gente a questa fermata intermedia mi fa echeggiare nella testa una canzone di Max Mandredi: “non c’è bisogno di vetrine colorate o forse sì, ma solo come una finestra, per il regno delle fate.”
Mi viene naturale prendere la fotocamera e fare qualche scatto.
Passo in rassegna alcuni angoli, alcune ombre, alcuni volti.
Attimi.
Vite.
Quello scorcio di umanità che, diventato ritratto, diventa eterno.
Ed ecco che la vedo.
Proprio mentre parte l’annuncio dell'imminente partenza e l’avvertimento agli accompagnatori di scendere, entra di corsa nel mio obiettivo, salendo dal sottopasso. Si sbraccia verso il controllore poco più avanti, gridando un - Aspetta!!!- al quale riceve un annuire tranquillo e sorridente. Subito dietro, un ragazzo che trascina una valigia. Avranno entrambi una ventina d’anni. Lei minuta, capelli neri scompigliati, carnagione quasi lattea, un vestito azzurro che svolazza nella convulsione dei suoi movimenti. Non resisto e scatto un paio di foto alle onde create da quei capelli corvini. Lui quasi completamente rasato, vestito di nero, occhiali da sole, più tatuaggi che pelle libera. Le mette la valigia sul treno e scende subito. Si baciano velocemente, poco prima che le porte si chiudano.
Ripenso a quando, per qualche mese, io e mio marito (“Ex marito, Alessia…ex…”) abbiamo vissuto in città diverse. Questi momenti erano stati quasi settimanali, ma ricordo anche la normalità che ad un certo punto era entrata nei nostri saluti: rapidi, veloci, un - Ciao, ci sentiamo- buttato lì fra il suo dover entrare a lavoro e il mio dover partire verso la filiale dove ero in formazione e dove poi lui mi avrebbe raggiunto.
“Beata gioventù”, penso e sorrido fra me e me, “Ormai parli come una vecchietta…”
Sento il suo salire le scale, facendo fatica a portare la valigia, che ad una prima occhiata pare pesare più di lei. Non vedo nessuno alzarsi ad aiutarla e d’istinto lo faccio io.
- Vieni, ti aiuto
Ricevo un affannoso ringraziamento. Decidiamo di sistemarla nello spazio fra due sedili e poi torno ad occupare il mio posto. Lei mi segue e si siede davanti a me.
- Grazie ancora. Di solito mi aiuta il mio ragazzo, ma oggi abbiamo fatto tardi e non è riuscito a salire.
- Capita di fare tardi, quando si è giovani. Sorridiamo insieme, probabilmente ognuna con le proprie immagini in testa.
Solo allora mi accorgo della sua fine bellezza. I capelli circondano un viso delicato dai lineamenti non troppo marcati, occhi celesti intensissimi, un intenso rossetto regala risalto ad un bocca dalle labbra sottili.
Continuo, alzando leggermente la voce.
- Certo che qualche maschietto che poteva aiutarti ci sarebbe anche qui sopra…- le faccio l’occhiolino, indicando i due ragazzi dietro di me -...ma a noi donne tocca sempre fare tutto da sole.- Lei sorride. Poi vedo che le squilla il telefono, si scusa prima di rispondere - Ciao amore. Si tutto bene…-
Lascio stare, tornando a guardare fuori dal finestrino.
Apro lentamente gli occhi. Sento silenzio e tutto ovattato intorno a me. Non capisco. Mi sento leggera. E sento dell’aria fredda sulla pelle. La maglietta leggermente alzata, non sento più il reggiseno e un seno è nudo. Provo a coprirmi, sentendo il capezzolo grosso e sensibile sotto la mano. Lei mi dice di stare tranquilla. Mi accarezza il viso. Scende lungo il collo.
- Ho visto che mi hai fotografato. - è un sussurro, mentre vedo che ora con le mani comincia a sbottonarsi la camicetta - Ma forse vuoi fare di meglio. Ti piaccio?
Riallontandosi mostra un seno piccolo. Anche lei ha i capezzoli duri che puntano da un areola quasi impercettibile.
Mi sfiora il seno e poi mi prende una mano e mi lascia sfiorare il suo, mentre chiude gli occhi. Guardo intorno a noi. Non capisco le sensazioni contrastanti che ho: ho paura ci possano vedere, ma allo stesso tempo so benissimo che siamo sole. Non sento rumori. Solo il nostro respiro calmo e a sincrono. Lo sento nell’orecchio, nelle tempie e sotto la mano che tocca la sua pelle nuda. Ho confusione ed eccitazione. Penso a cosa sto facendo. A cosa sta succedendo. Apre gli occhi e mi sorride, rispondendo lei ai miei dubbi.
- Succede che mi vuoi e che anche io ti voglio. Ecco cosa succede Alessia mia.
E poi sento la sua mano toccarmi il ginocchio.
Apro gli occhi di scatto e la vedo vicino a me. E in piedi al suo fianco il controllore che mi chiede il biglietto.
Devo essermi appisolata. E ora sono scossa e imbarazzata allo stesso tempo.
“Cazzo Ale, cazzo…”
Mi scuso con il controllore e dentro di me lo maledico allo stesso tempo, facendogli notare che già me l’aveva controllato. Si scusa andando via.
- Mi scuso anche io, non volevo svegliarla di colpo, ma quello insisteva.
- Non preoccuparti, fa solo il suo lavoro.
- E poi spero non le dia fastidio che mi sia seduta vicino a lei. Ogni tanto mi dà noia viaggiare in treno e preferisco restare seduta nella direzione del senso di marcia-, mi parla con una voce flebile. Accento leggermente del sud, direi, ma comunque impercettibile. Le dico di non preoccuparsi. E di darmi del tu senza problemi.
Noto sulle sue gambe un libro: “La veneziana” di Nabokov. Si accorge del mio sguardo e lo prende in mano.
- Lo conosce?
- No. Di Nabokov conosco ovviamente un’altra opera, ma questo no. Ma visto che sono diretta a Venezia, il titolo mi sembra una bella coincidenza.
- Viaggio di lavoro?
- No no, per carità. Puro svago. Da sola. -Ah…
- No, guarda, sto imparando che da soli si sta molto meglio che con certe persone. Soprattutto quando sono certi stronzi. - sorrido - Ormai ho solo lei come unica compagnia.
E indico la borsa della fotocamera davanti a me.
- Scusa la nota amara e personale. Tu invece? A giudicare dal peso della valigia stai traslocando!
Ridiamo. Lei più sommessamente, quasi nascondendosi con la mano. “Paura inconscia di mostrarsi?”, penso “Eppure le labbra sono così delicate.” Mi ritrovo a fissarle, ma torno subito a guardarla negli occhi.
L’orecchio percepisce il suo parlare (il ragazzo di Ferrara con cui ha appena finito due settimane di vacanze, il vivere e studiare a Trieste, il cambio alla stazione di Venezia…), ma la testa non si libera dell’immagine della timidezza del suo sorriso e soprattutto di quanto appena sognato. “Alessia, smettila…”
Mi accorgo che mi sta fissando.
- Scusami?
- Le…ti…ti chiedevo che tipo di foto facessi.
- In verità non ho un vero e proprio genere, mi piacciono sia i paesaggi che i ritratti. O mi piace banalmente girare per strada e trovare il momento giusto per scattare, per rubare uno sguardo, una luce.- mi fissa negli occhi e quello sguardo mi fa leggermente vibrare - Come ad esempio l’agitarsi di una ragazza con i capelli neri mentre rischia di perdere il treno.
Mi fissa stupita.
- Lo ammetto: mi sei entrata nell'obiettivo appena salita in banchina e l’istinto mi ha fatto scattare. Ti dico subito che il volto non si vede. Cerco di rubare meno privacy possibile in certe situazioni. Anche perchè poi quelle mi piacciono di più le carico su Instagram, il mio unico vezzo social. - cerco di capire le sue reazioni a questa confessione, ma non fa altro che fissarmi negli occhi. Forse non osa dire qualcosa. Oso io.
- Vuoi vederla? Ovviamente vista dal display della fotocamera non sarà un granchè.
- Fa nulla. Ora mi hai messo curiosità! Al massimo me la mandi via mail…o ti scovo io su Instagram!
La sua risata mi fa vibrare. E fa vibrare l’aria intorno a lei. Argentina, limpida, riempie di gioia il volto e lo sguardo. Vorrei poterla fotografare in questo momento, quando la timidezza è andata via, per distrazione o per scelta sua, e finalmente vedo la vita che vuole uscire e la curiosità di cui mi stava parlando.
Le porgo la fotocamera. E lascio che guardi da sola la foto scattata.
- Visto quanto ti sono piaciuti i miei capelli al vento dovresti venire a trovarmi a Trieste: avresti vento in abbondanza! - poi comincia a guardarsi intorno - Invece ora cosa vorresti fotografare? Ci sono soggetti interessanti sulla carrozza? Oppure quei campi che si perdono all’orizzonte?
Mi giro verso il finestrino, cercando nel panorama quanto lei mi stesse indicando. E dopo qualche secondo sento uno scatto alle mie spalle. Mi rigiro. Un altro scatto.
- Ma…
Continua a scattare spostando leggermente l’angolo dell’inquadratura ad ogni foto.
- Volevo restituire il favore. E poi sei così fotogenica. Ma dubito qualcuno te l’abbia mai detto. Vero?
Ride. Mentre io sono sempre più stupita e rispondo di getto e mentre lei non smette di fotografarmi.
- In verità mio marito diceva lo fossi…cioè, il mio ex marito…ma è una storia lunga…
- E sicuramente erano tutt’altro tipo di fo…
Torna a guardarmi senza il filtro dell’obiettivo, mettendosi la mano davanti la bocca, con gli occhi sbarrati.
- Oddio scusami, scusami, scusami, scusami!!!!! Non so cosa mi sia preso. Tieni. Scusami ancora. Anche per l’allusione volgare che ti ha fatto ricordare tuo marito…cioè, il tuo ex marito…- mi sorride dolcemente.
Dovrei smetterla e mandarla a farsi fottere. Ma la verità è che sono debole e piena di paura di perdermi in tristezze che alla fine non mi servono a nulla. E non mi portano a nulla. Ho il magone che butto giù. E le faccio una smorfia che doveva essere un sorriso, ma non sono così convinta lo sia stato. “La verità è che stare da soli è una merda…”, scuoto la testa per scacciare quest’ultimo pensiero. Lei mi mette una mano sulla gamba e si scusa ancora.
Annuisco e inizio a guardare le foto che mi ha fatto.
- Hai un buon occhio…molto più di… -...del “cioè tuo ex marito”?
Ridiamo. Ora di gusto.
- Esatto.- mi viene da darle un piccolo buffetto al braccio. - Senti, nel paese dove vivo, sono molto amica di un fotografo. Faccio stampare la tua foto e te la spedisco. Magari la faccio stampare come se fosse un segnalibro, che dici? Così smetti di torturare i libri facendo le orecchie alle pagine.
Abbassa lo sguardo sul libro e ne accarezza la copertina sorridendo. Poi si gira di colpo verso di me.
- Fammene un’altra.
- Scusa?
- Ho detto: fammene un’altra. Così quella di prima la pubblichi e quest’ultima me la mandi e sarà nei miei libri.
Si mette in posa, slacciandosi il primo bottone della camicetta. Le mani dietro la testa a portarsi davanti i capelli che vanno a coprirle leggermente il sorriso. Gli occhi scintillanti.
Ci guardiamo. Inquadro. Scatto. Ci guardiamo di nuovo.
L'altoparlante che annuncia l’arrivo a Venezia Mestre ci riporta alla realtà. - È quella dove cambio per Trieste. Mi aiuti con la valigia?
- Certo.
Sto per alzarmi ma mi fermo. Prendo un foglio di carta dallo zaino e ci scrivo sopra il mio numero e la mail.
- Due cose. La prima è questo foglio: un anticipo del segnalibro con i miei contatti. La seconda è…beh…piacere, Alessia. Ridiamo di nuovo entrambe. Più di un’ora che parliamo e non ci eravamo nemmeno presentate.
Lei mi stringe la mano.
- Linda. È stato…bello. Un vero piacere. E grazie per questo primo segnalibro.
Apre il libro. Toglie la piegatura all’angolo che aveva fatto e lo mette all’interno.
Il treno sta rallentando e noi siamo davanti la porta. Lei pronta a scendere. Io con le mie cose che ho già preso, in attesa della prossima fermata a Venezia Santa Lucia. Siamo strette dalla gente che si sta accalcando per scendere, io alle sue spalle. La sua mano si sporge dietro e cerca la mia. La stringo. Le bacio delicatamente i capelli. Lei stringe il corpo al mio, schiacciando la sua schiena al mio seno. Di nuovo mi pare di non sentire altro che il nostro respiro. “Starò sognando di nuovo?” Poi uno scossone del treno in frenata ci fa quasi cadere tutti. E l’atmosfera si rompe, fra risate e alcune imprecazioni in più lingue.
L’aiuto a portare giù la valigia e dandole un leggero bacio sulla guancia la ringrazio di nuovo della compagnia. E di avermi fatto da modella.
Risalgo sul treno per l’ultimo tratto di viaggio. Attraversiamo la laguna e il profilo di Venezia si fa sempre più vicino.
Vibra il telefono. Un messaggio da numero sconosciuto. Lo sapevo. E non lo sapevo. Lo speravo. E non lo speravo.
- Questa volta ho trovato un maschietto che mi ha aiutata! Nulla però in confronto alla mia nuova fotografa preferita! Guarda che ci conto su quel segnalibro.
- Linda, non temere. Sarà bellissimo. E tutto tuo.
- …e tutto nostro.
“Linda…nostro…”
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