A Venezia
di
Flavia1988
genere
saffico
“La letteratura è nata il giorno in cui un ragazzino, correndo via dalla valle Neanderthal, gridò "Al lupo, al lupo" senza avere nessun lupo alle calcagna."
Da qualche mese mi gira in testa questa frase di Nabokov (“Ancora lui…”) e due giorni fa mi rimbombava nuovamente nei pensieri. Solo che io non correvo fuori da nessuna valle, ero semplicemente al telefono con mia madre.
- Cosa mi nascondi? Devo preoccuparmi?
- Nulla mamma, nulla. Solo che mi sto trovando così bene e voglio godermela ancora un po’, tanto lì non ho nulla e nessuno che mi aspetta.- Mi stavo riposando in Campo San Tomà mentre parlavo al telefono con mia madre. Poi l’occhio mi cadde sul manifesto di uno spettacolo teatrale e improvvisai un’aggiunta alla mia storia. Mi sembrava di essere tornata a scuola e dovermi giustificare e il passo da “Al lupo! Al lupo!” a “A teatro! A teatro!” era stato breve.
- E poi grazie alla reception dell’hotel ho trovato un biglietto per Il Mercante di Venezia, domani sera. Sono anni che voglio rivederlo, lo sai.
Si convinse. O comunque finse benissimo di esserlo.
- Cosa ti nascondo mamma…forse è meglio tu non lo sappia…- sussurro, mentre ripenso a quella telefonata e, leggermente affannata, cammino fra la folla per raggiungere la stazione. Un’occhiata all’app per vedere binario e puntualità. Ancora non ci credo a quello che sta succedendo. Anzi, per dirla meglio, la parte più intima di me ha il terrore di arrivare al binario e non veder scendere nessuno. Eppure la foto che mi ha mandato alla partenza è sul mio telefono. Eppure i messaggi e la telefonata non sono stati un sogno. Ma ho paura. Ma sono la bambina che aspetta i regali a Natale. ‘Ma…un cazzo, Ale…siete adulte e maggiorenni!! E poi ormai hai prenotato il nuovo hotel, quindi pensa solo a godertela!” Il mio inconscio zittisce i miei dubbi, mentre supero il Ponte degli Scalzi e arrivo a destinazione.
- Linda…
- Alessia…
Siamo entrambe in imbarazzo. Siamo entrambe coscienti di quanto ci siamo dette. Siamo entrambe piene di paura. Ci abbracciamo e teniamo strette, mentre la folla di turisti e pendolari si muove intorno a noi.
Corse.
Attese.
Saluti.
Addii.
Lasciamo che il mondo continui a correre. Il nostro microcosmo resta lì. Nella zona di conforto di quell’abbraccio e di quelle mani, una dietro la nuca dell’altra, che non lasciano scampo. Sospiro un ringraziamento. Lei si stacca dal mio petto e i suoi occhi celesti mi guardano smarriti e dubbiosi. Mi accarezza la guancia e chiede una spiegazione. E io sono di nuovo la bambina davanti all'albero di Natale e dico l’unica cosa che mi passa per la mente.
- Non lo so.
- Ah beh…allora prego.
Ridiamo. La tensione si allenta. Decidiamo di andare a mangiare qualcosa, prima di andare in hotel. Le spiego di averne trovato uno a Murano e di aver anche prenotato ad un ristorante lì vicino.
- Lo so Ale, lo so. Me l’hai già detto ieri sera. Ora mi dirai che al ristorante abbiamo il tavolo alle 20. E io risponderò “Così ho il tempo di farmi una doccia.” E tu a quel punto farai un’allusione sul fatto che…
- Ok! Ok! Ok! Messaggio ricevuto! Sto rincoglionendo, ma non è il caso di farmelo notare così drasticamente! Mentre usciamo dalla stazione, provo ad orientarmi per capire dove andare. Ma la verità è solo che ho paura di guardarla negli occhi e scoprire quanto desiderio abbiamo una dell’altra. E a quel punto non riuscire più a tornare indietro. Ma è lei ad affondare il colpo.
- Ma io non stavo facendo notare nulla su di te. Dicevo solo che sicuramente in hotel avrò voglia di fare una doccia, tutto qui.
“Maledetta, finta innocente, bambina. Sai come colpire.” I nostri sguardi si incrociano.
Le reticenze crollano.
Non mi spogliavo davanti a qualcuno dall’ultima notte in cui ho dormito con Francesco. Una settimana dopo, lui lasciava la casa e io lasciavo la vita di sempre per scoprirne un po' alla volta una nuova. E ora ho una ventiduenne che si sta facendo la doccia a pochi metri da me.
La voce del mio inconscio mi dice di fregarmene e di togliermi anche l’ultimo indumento. Ma l’immagine che lo specchio mi restituisce è quella di una donna piena di dubbi, con le gambe scoperte e una camicia bianca a grossi pois neri con solo più due bottoni chiusi. Gli occhi vagano sul mio corpo. Sul viso. Si fissano. Tremano. Come tremavano prima le mie labbra mentre, appena chiusa la porta della stanza, Linda aveva lasciato cadere il suo zaino e aveva cercato la mia bocca. All’inizio ne ero rimasta sorpresa, poi avevo risposto a quel bacio e le nostre lingue avevano iniziato a cercarsi e danzare fra loro.
- Alessia…- aveva sussurrato il mio nome, mentre mi lasciava senza fiato, staccandosi da me -…finalmente le tue labbra non sono più solo una foto sul cellulare…- e mi aveva sorriso, passando delicatamente un dito sul mio labbro inferiore.
Lo zaino è ancora lì.
Vicini, i suoi vestiti.
Ancora frastornata l’avevo guardata spogliarsi.
I capelli neri, mossi, all’altezza delle spalle. Un corpo piccolo, quasi fragile, con un seno appena accennato e dei fianchi modellati, quasi perfetti. Un piccolo tatuaggio poco sopra l’inguine: una luna e due minuscole stelle. Come se fosse la cosa più naturale del mondo l’ho vista entrare in bagno, chiudere la porta a vetri e aprire l’acqua della doccia, lasciandomi attonita a fissare quella porta smerigliata e la patina di vapore che lentamente si stava creando su di essa.
“E ora?”, era stato il mio unico pensiero in quel momento.
Avevo iniziato a spogliarmi anch’io, ma subito dopo essermi tolta il pantalone mi ero accasciata sul letto ancora intatto e da seduta avevo affondato il viso fra le mani.
“E ora?”. Linda mi sorprende con ancora questo pensiero in testa. Non mi sono nemmeno accorta che avesse finito la doccia e che fosse uscita dal bagno, capelli gocciolanti e accappatoio bianco indosso.
- Alessia…tutto bene?
- È…è che…
- È che è tutto strano?
Mi giro verso di lei. Non c’è bisogno di altre parole. Capisce. Si siede vicino a me. Mi prende le mani fra le sue. Ci guardiamo negli occhi.
- Lo è anche per me. Non hai idea dei dubbi che ho avuto fino a questa mattina. Ma poi ho fatto un enorme respiro e sono salita sul treno. Ed eccomi qui. Eccoci qui.
Annuisco. Sono convinta di piangere a breve e distolgo lo sguardo. Resisto. Respiro. Guardandola dallo specchio, vedo che si agita, volgendo lo sguardo per la stanza.
- Dov’è?
- Cosa?
- La tua fedele compagna di avventura…ooh, eccola!- Si alza per prendere la mia fotocamera. - Dai! Vestiamoci e usciamo. Ho voglia di essere la tua modella in queste calli. Secondo me, ora c’è una luce bellissima e dobbiamo sfruttarla prima di andare a cena.
Si sfila l’accappatoio e comincia a rivestirsi.
- A proposito, per che ora hai prenotato?
- Per le ven…- vedo il suo sorriso beffardo - Ma vaffanculo!
Su un ponte, fronte Campo San Donato. Prima di spalle, mentre guarda il canale e la città davanti a lei. Poi girata verso di me.
In un campiello. Si era fermata a guardare una vetrina. La sua immagine riflessa.
Una calle talmente stretta da entrarci appena entrambe. Lei che mi fissa sorridente.
Lei piena di gioia e vita. In un vestito che mischiava giallo e arancio e che si fondeva perfettamente con i colori dei muri e con la luce che a tratti entrava nelle calli più interne o che si spandeva nei campi più larghi.
Il mio volto. Prima pieno di stupore nell’osservare il lavoro di un mastro vetraio, poi la sorpresa, esplosa in un urlo quando lui stesso aveva fatto scoppiare il palloncino che aveva appena creato.
Il mio provare a giocare a campana dopo decenni quando ne avevamo trovate le tracce di gesso colorato davanti ad una scuola.
E tante altre foto. Mie e sue. I suoi primi piani. I suoi occhi. Il suo profilo. Io inebriata da ogni immagine che riuscivo a catturare. Lei furba e attenta ad aggirare la mia attenzione per cogliermi di sorpresa.
- Da tempo non mi divertivo così! Vedi che facevo bene a ringraziarti?
Ci sorridiamo, mentre ammetto la mia condizione e alzo il calice di vino bianco che ho davanti. Un brindisi che facciamo guardandoci negli occhi. Carichi di elettricità e di tante cose non dette. Occhi che per tutta la giornata ci hanno guidato per luoghi sconosciuti e che venivano accompagnati da carezze, da mani tese a cercarsi, da un furtivo bacio. La vergogna ci ha fatto allontanare subito. La voglia ci ha fatto stringere ancora di più nel successivo abbraccio.
- Mi chiedo perchè ci siamo staccate da quel bacio.- mi coglie di sorpresa con questa frase - Nell’inconscio abbiamo avuto paura di…cosa? Essere viste da qualcuno che ci conosce? Direi di no. Essere due donne? Forse. Essere due donne di età così diversa? Ottima altra alternativa.
- Beh, se pensi che il cameriere ha chiesto solo a te se bevessi o no…
Ridiamo di nuovo alla scena di inizio cena.
- “La signorina beve?”...ma che cazzo!!!
Ride di gusto. Quando ride così le si arrossiscono leggermente le gote.
- Non credo però sia la prima volta che ti danno un’età più piccola di quella che hai. O sbaglio?
- Ogni tanto capita, si. A te, invece, non dà fastidio che ti chiamino “signora”?
- No, no. Figurati. Anche perchè, tecnicamente ancora lo sono!!- sorrido riprendendo di nuovo il vino - Poi spesso è semplice educazione. Anzi, lo preferisco a quelli che dal nulla ti danno subito del tu.
Mi giro verso la finestra alla nostra sinistra. Il tavolo è all’angolo della stanza, al primo piano del ristorante. Dietro di me e, appunto, alla nostra sinistra, due ampie finestre danno sul canale che entra a Murano dalla laguna e in fondo, fino a poco fa, si intravedevano i profili di palazzi e campanili della città. Ora il tramonto è completamente sceso e ormai solo le luci danno un’idea minima di quanto ci sia all’orizzonte.
Mi rigiro verso Linda. Ha uno strano sguardo mentre gioca con il cucchiaino del dolce appena consumato. Allunga la mano sul tavolo. Le nostre dita si sfiorano. Gioca con i miei polpastrelli. Poi con le dita. Fino a solleticarmi dolcemente il palmo della mano. Di riflesso, chiudo la mano, catturando le sue dita. Un lungo sospiro. Mio e suo.
- Alessia…anzi, signora Alessia! Ora torniamo in camera e voglio essere sua. Ma prima la bacerò, appena usciti da questo posto in cui i camerieri non sanno riconoscere le età o consigliare vino. E poi la bacerò ancora in quella calle buia prima del ponte, magari anche toccando quel meraviglioso seno che tanto sto iniziando ad invidiare e desiderare. E poi la bacerò ancora su quel ponte, magari mentre un vaporetto pieno di gente passa e ci guarda. E poi le terrò la mano per tutto il tempo, anche quando entreremo in hotel. E poi finalmente sentirò il suo sapore sulle mie labbra. E lei sentirà il mio.
L’avevo ascoltata, stringendo sempre più forte prima la sua mano e poi il suo polso. Quasi avessi paura di cadere. Mi sentivo in bilico. Ma mi sentivo anche piena di desiderio per questa piccola ragazza apparsa da un sottopasso.
- Linda…- e stringo ancora più forte la mano al suo braccio. - Linda… Vedi…le uniche due volte nella mia vita che ho baciato una donna, prima di oggi, erano al liceo: la prima solo per la curiosità di sapere come fosse, la seconda solo per far contenti dei compagni di classe ubriachi. Ma erano giochi. Non c’erano desideri. Non c’era voglia.- ora è lei a stringere il mio braccio - Poi sono arrivati questi giorni. Tutt’altra cosa. Anche nell'incoscienza di essere qui stasera. Anche nella completa, probabile, stupidità di affidare dei sentimenti ad una sconosciuta.- aveva provato ad interrompermi ma subito aveva capito non fosse il caso - Anche nel continuo bisogno di un contatto con te. Già dopo quel tuo primo messaggio. Che poi sono diventati cento. O mille. E tutto il resto. E ora…
Provo a guardarla negli occhi, ma non ce la faccio. Butto sguardi a destra e sinistra.
“E ora, che questo contatto è a portata di mano, sono quel ragazzino che corre fuori dalla valle di Neanderthal con tutte le sue paure che lo inseguono, altro che inventare letteratura.”, penso prima di sussurrare: - Al lupo! Al lupo!
Le sue labbra si muovono in un dolce sorriso.
Allontana lievemente la sedia dal tavolo e inizia ad alzarsi, porgendomi la mano.
- Non c’è nessun lupo. E non c’è nemmeno luna piena. Vieni Ale. Diamo una forma a tutto questo.
Da qualche mese mi gira in testa questa frase di Nabokov (“Ancora lui…”) e due giorni fa mi rimbombava nuovamente nei pensieri. Solo che io non correvo fuori da nessuna valle, ero semplicemente al telefono con mia madre.
- Cosa mi nascondi? Devo preoccuparmi?
- Nulla mamma, nulla. Solo che mi sto trovando così bene e voglio godermela ancora un po’, tanto lì non ho nulla e nessuno che mi aspetta.- Mi stavo riposando in Campo San Tomà mentre parlavo al telefono con mia madre. Poi l’occhio mi cadde sul manifesto di uno spettacolo teatrale e improvvisai un’aggiunta alla mia storia. Mi sembrava di essere tornata a scuola e dovermi giustificare e il passo da “Al lupo! Al lupo!” a “A teatro! A teatro!” era stato breve.
- E poi grazie alla reception dell’hotel ho trovato un biglietto per Il Mercante di Venezia, domani sera. Sono anni che voglio rivederlo, lo sai.
Si convinse. O comunque finse benissimo di esserlo.
- Cosa ti nascondo mamma…forse è meglio tu non lo sappia…- sussurro, mentre ripenso a quella telefonata e, leggermente affannata, cammino fra la folla per raggiungere la stazione. Un’occhiata all’app per vedere binario e puntualità. Ancora non ci credo a quello che sta succedendo. Anzi, per dirla meglio, la parte più intima di me ha il terrore di arrivare al binario e non veder scendere nessuno. Eppure la foto che mi ha mandato alla partenza è sul mio telefono. Eppure i messaggi e la telefonata non sono stati un sogno. Ma ho paura. Ma sono la bambina che aspetta i regali a Natale. ‘Ma…un cazzo, Ale…siete adulte e maggiorenni!! E poi ormai hai prenotato il nuovo hotel, quindi pensa solo a godertela!” Il mio inconscio zittisce i miei dubbi, mentre supero il Ponte degli Scalzi e arrivo a destinazione.
- Linda…
- Alessia…
Siamo entrambe in imbarazzo. Siamo entrambe coscienti di quanto ci siamo dette. Siamo entrambe piene di paura. Ci abbracciamo e teniamo strette, mentre la folla di turisti e pendolari si muove intorno a noi.
Corse.
Attese.
Saluti.
Addii.
Lasciamo che il mondo continui a correre. Il nostro microcosmo resta lì. Nella zona di conforto di quell’abbraccio e di quelle mani, una dietro la nuca dell’altra, che non lasciano scampo. Sospiro un ringraziamento. Lei si stacca dal mio petto e i suoi occhi celesti mi guardano smarriti e dubbiosi. Mi accarezza la guancia e chiede una spiegazione. E io sono di nuovo la bambina davanti all'albero di Natale e dico l’unica cosa che mi passa per la mente.
- Non lo so.
- Ah beh…allora prego.
Ridiamo. La tensione si allenta. Decidiamo di andare a mangiare qualcosa, prima di andare in hotel. Le spiego di averne trovato uno a Murano e di aver anche prenotato ad un ristorante lì vicino.
- Lo so Ale, lo so. Me l’hai già detto ieri sera. Ora mi dirai che al ristorante abbiamo il tavolo alle 20. E io risponderò “Così ho il tempo di farmi una doccia.” E tu a quel punto farai un’allusione sul fatto che…
- Ok! Ok! Ok! Messaggio ricevuto! Sto rincoglionendo, ma non è il caso di farmelo notare così drasticamente! Mentre usciamo dalla stazione, provo ad orientarmi per capire dove andare. Ma la verità è solo che ho paura di guardarla negli occhi e scoprire quanto desiderio abbiamo una dell’altra. E a quel punto non riuscire più a tornare indietro. Ma è lei ad affondare il colpo.
- Ma io non stavo facendo notare nulla su di te. Dicevo solo che sicuramente in hotel avrò voglia di fare una doccia, tutto qui.
“Maledetta, finta innocente, bambina. Sai come colpire.” I nostri sguardi si incrociano.
Le reticenze crollano.
Non mi spogliavo davanti a qualcuno dall’ultima notte in cui ho dormito con Francesco. Una settimana dopo, lui lasciava la casa e io lasciavo la vita di sempre per scoprirne un po' alla volta una nuova. E ora ho una ventiduenne che si sta facendo la doccia a pochi metri da me.
La voce del mio inconscio mi dice di fregarmene e di togliermi anche l’ultimo indumento. Ma l’immagine che lo specchio mi restituisce è quella di una donna piena di dubbi, con le gambe scoperte e una camicia bianca a grossi pois neri con solo più due bottoni chiusi. Gli occhi vagano sul mio corpo. Sul viso. Si fissano. Tremano. Come tremavano prima le mie labbra mentre, appena chiusa la porta della stanza, Linda aveva lasciato cadere il suo zaino e aveva cercato la mia bocca. All’inizio ne ero rimasta sorpresa, poi avevo risposto a quel bacio e le nostre lingue avevano iniziato a cercarsi e danzare fra loro.
- Alessia…- aveva sussurrato il mio nome, mentre mi lasciava senza fiato, staccandosi da me -…finalmente le tue labbra non sono più solo una foto sul cellulare…- e mi aveva sorriso, passando delicatamente un dito sul mio labbro inferiore.
Lo zaino è ancora lì.
Vicini, i suoi vestiti.
Ancora frastornata l’avevo guardata spogliarsi.
I capelli neri, mossi, all’altezza delle spalle. Un corpo piccolo, quasi fragile, con un seno appena accennato e dei fianchi modellati, quasi perfetti. Un piccolo tatuaggio poco sopra l’inguine: una luna e due minuscole stelle. Come se fosse la cosa più naturale del mondo l’ho vista entrare in bagno, chiudere la porta a vetri e aprire l’acqua della doccia, lasciandomi attonita a fissare quella porta smerigliata e la patina di vapore che lentamente si stava creando su di essa.
“E ora?”, era stato il mio unico pensiero in quel momento.
Avevo iniziato a spogliarmi anch’io, ma subito dopo essermi tolta il pantalone mi ero accasciata sul letto ancora intatto e da seduta avevo affondato il viso fra le mani.
“E ora?”. Linda mi sorprende con ancora questo pensiero in testa. Non mi sono nemmeno accorta che avesse finito la doccia e che fosse uscita dal bagno, capelli gocciolanti e accappatoio bianco indosso.
- Alessia…tutto bene?
- È…è che…
- È che è tutto strano?
Mi giro verso di lei. Non c’è bisogno di altre parole. Capisce. Si siede vicino a me. Mi prende le mani fra le sue. Ci guardiamo negli occhi.
- Lo è anche per me. Non hai idea dei dubbi che ho avuto fino a questa mattina. Ma poi ho fatto un enorme respiro e sono salita sul treno. Ed eccomi qui. Eccoci qui.
Annuisco. Sono convinta di piangere a breve e distolgo lo sguardo. Resisto. Respiro. Guardandola dallo specchio, vedo che si agita, volgendo lo sguardo per la stanza.
- Dov’è?
- Cosa?
- La tua fedele compagna di avventura…ooh, eccola!- Si alza per prendere la mia fotocamera. - Dai! Vestiamoci e usciamo. Ho voglia di essere la tua modella in queste calli. Secondo me, ora c’è una luce bellissima e dobbiamo sfruttarla prima di andare a cena.
Si sfila l’accappatoio e comincia a rivestirsi.
- A proposito, per che ora hai prenotato?
- Per le ven…- vedo il suo sorriso beffardo - Ma vaffanculo!
Su un ponte, fronte Campo San Donato. Prima di spalle, mentre guarda il canale e la città davanti a lei. Poi girata verso di me.
In un campiello. Si era fermata a guardare una vetrina. La sua immagine riflessa.
Una calle talmente stretta da entrarci appena entrambe. Lei che mi fissa sorridente.
Lei piena di gioia e vita. In un vestito che mischiava giallo e arancio e che si fondeva perfettamente con i colori dei muri e con la luce che a tratti entrava nelle calli più interne o che si spandeva nei campi più larghi.
Il mio volto. Prima pieno di stupore nell’osservare il lavoro di un mastro vetraio, poi la sorpresa, esplosa in un urlo quando lui stesso aveva fatto scoppiare il palloncino che aveva appena creato.
Il mio provare a giocare a campana dopo decenni quando ne avevamo trovate le tracce di gesso colorato davanti ad una scuola.
E tante altre foto. Mie e sue. I suoi primi piani. I suoi occhi. Il suo profilo. Io inebriata da ogni immagine che riuscivo a catturare. Lei furba e attenta ad aggirare la mia attenzione per cogliermi di sorpresa.
- Da tempo non mi divertivo così! Vedi che facevo bene a ringraziarti?
Ci sorridiamo, mentre ammetto la mia condizione e alzo il calice di vino bianco che ho davanti. Un brindisi che facciamo guardandoci negli occhi. Carichi di elettricità e di tante cose non dette. Occhi che per tutta la giornata ci hanno guidato per luoghi sconosciuti e che venivano accompagnati da carezze, da mani tese a cercarsi, da un furtivo bacio. La vergogna ci ha fatto allontanare subito. La voglia ci ha fatto stringere ancora di più nel successivo abbraccio.
- Mi chiedo perchè ci siamo staccate da quel bacio.- mi coglie di sorpresa con questa frase - Nell’inconscio abbiamo avuto paura di…cosa? Essere viste da qualcuno che ci conosce? Direi di no. Essere due donne? Forse. Essere due donne di età così diversa? Ottima altra alternativa.
- Beh, se pensi che il cameriere ha chiesto solo a te se bevessi o no…
Ridiamo di nuovo alla scena di inizio cena.
- “La signorina beve?”...ma che cazzo!!!
Ride di gusto. Quando ride così le si arrossiscono leggermente le gote.
- Non credo però sia la prima volta che ti danno un’età più piccola di quella che hai. O sbaglio?
- Ogni tanto capita, si. A te, invece, non dà fastidio che ti chiamino “signora”?
- No, no. Figurati. Anche perchè, tecnicamente ancora lo sono!!- sorrido riprendendo di nuovo il vino - Poi spesso è semplice educazione. Anzi, lo preferisco a quelli che dal nulla ti danno subito del tu.
Mi giro verso la finestra alla nostra sinistra. Il tavolo è all’angolo della stanza, al primo piano del ristorante. Dietro di me e, appunto, alla nostra sinistra, due ampie finestre danno sul canale che entra a Murano dalla laguna e in fondo, fino a poco fa, si intravedevano i profili di palazzi e campanili della città. Ora il tramonto è completamente sceso e ormai solo le luci danno un’idea minima di quanto ci sia all’orizzonte.
Mi rigiro verso Linda. Ha uno strano sguardo mentre gioca con il cucchiaino del dolce appena consumato. Allunga la mano sul tavolo. Le nostre dita si sfiorano. Gioca con i miei polpastrelli. Poi con le dita. Fino a solleticarmi dolcemente il palmo della mano. Di riflesso, chiudo la mano, catturando le sue dita. Un lungo sospiro. Mio e suo.
- Alessia…anzi, signora Alessia! Ora torniamo in camera e voglio essere sua. Ma prima la bacerò, appena usciti da questo posto in cui i camerieri non sanno riconoscere le età o consigliare vino. E poi la bacerò ancora in quella calle buia prima del ponte, magari anche toccando quel meraviglioso seno che tanto sto iniziando ad invidiare e desiderare. E poi la bacerò ancora su quel ponte, magari mentre un vaporetto pieno di gente passa e ci guarda. E poi le terrò la mano per tutto il tempo, anche quando entreremo in hotel. E poi finalmente sentirò il suo sapore sulle mie labbra. E lei sentirà il mio.
L’avevo ascoltata, stringendo sempre più forte prima la sua mano e poi il suo polso. Quasi avessi paura di cadere. Mi sentivo in bilico. Ma mi sentivo anche piena di desiderio per questa piccola ragazza apparsa da un sottopasso.
- Linda…- e stringo ancora più forte la mano al suo braccio. - Linda… Vedi…le uniche due volte nella mia vita che ho baciato una donna, prima di oggi, erano al liceo: la prima solo per la curiosità di sapere come fosse, la seconda solo per far contenti dei compagni di classe ubriachi. Ma erano giochi. Non c’erano desideri. Non c’era voglia.- ora è lei a stringere il mio braccio - Poi sono arrivati questi giorni. Tutt’altra cosa. Anche nell'incoscienza di essere qui stasera. Anche nella completa, probabile, stupidità di affidare dei sentimenti ad una sconosciuta.- aveva provato ad interrompermi ma subito aveva capito non fosse il caso - Anche nel continuo bisogno di un contatto con te. Già dopo quel tuo primo messaggio. Che poi sono diventati cento. O mille. E tutto il resto. E ora…
Provo a guardarla negli occhi, ma non ce la faccio. Butto sguardi a destra e sinistra.
“E ora, che questo contatto è a portata di mano, sono quel ragazzino che corre fuori dalla valle di Neanderthal con tutte le sue paure che lo inseguono, altro che inventare letteratura.”, penso prima di sussurrare: - Al lupo! Al lupo!
Le sue labbra si muovono in un dolce sorriso.
Allontana lievemente la sedia dal tavolo e inizia ad alzarsi, porgendomi la mano.
- Non c’è nessun lupo. E non c’è nemmeno luna piena. Vieni Ale. Diamo una forma a tutto questo.
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