A dull girl - 3

di
genere
etero

5)

Per tutta la settimana successiva non ci siamo visti. Il giorno dopo la cena sei partito per Roma, mentre io e la mia coscienza restavamo a vagare fra il matrimonio e il lavoro. Ci eravamo lasciati baciandoci dolcemente poco prima di arrivare sotto casa mia. Non avrei mai voluto scendere ma la realtà doveva tornare a scorrere. E la realtà divenne quella fatta da brevi messaggi. Due telefonate. Lavoro. Battute. Sembrava che per te non fosse successo nulla. A me scoppiava la testa per i troppi pensieri. Un disagio che mi portavo dentro. Un peso che non mi regalava serenità. Ormai ti volevo. Ti desideravo. Sentivo la mancanza del tuo parlarmi, della tua presenza a lavoro.

In un momento di follia entrai nel tuo ufficio. Iniziai a guardarmi intorno e cercavo qualsiasi appiglio per placare la mia agitazione. Presi il telefono e mi feci un selfie con il poster di Vertigo alle spalle e te lo mandai. Nessuna tua risposta. Delusa, mi girai verso il poster. Una sagoma nera che cadeva in un vortice di bianco e rosso. Ero io? Mi venne da allungare una mano e sfiorare quella figura. Lentamente, me ne stavo accorgendo sempre di più, stavo cadendo in questo vortice. Piccoli flash di quanto successo iniziarono ad apparirmi. I nostri baci. Le tue mani. Il mio seno esposto all’aria. Il tuo sesso duro. Mi morsi le labbra. Lo volevo ancora. Il tuo sapore nella mia bocca. Eccitante nettare. Cosa stavo pensando? Mai l’avevo fatto prima. Eppure era stato così naturale. Tutto. Anche il lungo e profondo bacio che ci eravamo scambiati subito dopo. Brividi al ricordo di cosa mi sussurrasti: “È solo l’inizio Sofia.” Gli occhi si stavano perdendo inseguendo il vortice nel poster. Li chiusi. Ed ebbi di nuovo davanti a me il tuo sesso. Li riaprii di scatto. Ma riconobbi in me la voglia e l'eccitazione. I capezzoli dritti attraverso la stoffa. Il senso di umido nelle mutandine. Il tremore di un dito che lentamente stavo avvicinando alla bocca. Simulacro? Desiderio? Necessità? Sospirai il tuo nome. Ti volevo. Ancora. La figura nera iniziava a girare. Risucchiata sempre di più. Le dita si mossero da sole verso il mio seno. E poi più giù. Il rosso e il bianco cominciarono a mescolarsi fra loro. Le mie labbra avide cercarono quel dito tremante. Affamate e insaziabili. Rosso. Bianco. Occhi chiusi. Il tuo avermi di nuovo e spingermi verso di te. Il nero che confonde. Le tue dita che mi toccano. La tua voce che mi vuole. Vertigo. Vertigine. Ti voglio. Indietreggio. Quasi barcollo dall’emozione. Urto la scrivania. Rumore di qualcosa che cade. Torno alla realtà. “Cazzo…”
Mi chino a raccogliere la tazza che usi come portapenne. Sistemo alla meglio tutto sulla scrivania. Un ultimo sguardo a quella figura sul muro, mentre mi do un’ultima e veloce sistemata alla camicetta. Non ho più dubbi: sono io quell’ombra nera. “È solo l’inizio.”

6)

Leggo e rileggo il tuo messaggio. È domenica mattina. Paolo è uscito per il suo solito giro in bicicletta e io sono seduta a tavola e stavo per iniziare la colazione quando ho sentito vibrare il telefono. “Domani a lavoro vieni in gonna.” Un leggero giramento di testa, prima di posare nuovamente il telefono ed iniziare ad avere mille pensieri. Pensieri che si traducevamo in messaggi di risposta scritti, cancellati, riscritti e nessuno inviato. Dai più ironici o sobri, fino a quelli più folli ed erotici. Ancora un tuo messaggio, a rompere i miei freni. “Ti desidero e non voglio aspettare ancora. Vieni in gonna. Ti scoperò. Devo solo decidere come e dove.” Il telefono mi trema in mano. La vista si annebbia. Un flash di eccitazione mi attraversa tutto il corpo. Ma so anche che dovrei dare un freno a tutto questo. “Che eleganza…” rispondo, provando a resistere più di quanto il mio stesso corpo voglia fare. “Ti metti a fare la santarellina? Lo vuoi anche tu. O hai cambiato idea?” Lascio il telefono da parte. Non rispondo più. Come non faccio nemmeno al successivo messaggio in cui mi chiedevi se ci fossi ancora. Desisti. E io provo ad iniziare la mia domenica casalinga come se nulla fosse.

Con mio marito e un’altra coppia di amici ci troviamo in centro per un aperitivo. Piazza San Carlo. Via Roma. Piazza Castello. I bambini giocano con l’acqua delle fontane. Un gruppo di persone applaude una coppia di ragazzi che suonano e cantano. Ci fermiamo anche noi, prima di dirigerci verso il Quadrilatero per cercare un locale dove sedersi.
La serata scorre rapida, mentre i discorsi si fanno ad un certo punto quasi spinti, anche se in modo piuttosto gogliardico. I nostri amici avevano scoperto sul telefonino del figlio dei video porno, arrivati da qualche compagno di liceo, e, a parte la logica incazzatura iniziale, commentavano quanto fossero fantasiose certe idee e posizioni. Seguivo il discorso, ridevo con loro, pensavo “Altro che spiaggia caraibica, sapessero com’è bella Torino dalla collina!”, volevo scriverti ma resistevo.
Salutati i nostri amici, presi sottobraccio mio marito e insieme ci avviammo verso la metro. Strusciavo il seno sul suo braccio. Gli sussuravo banalità nell’orecchio. Sulla banchina della stazione lo baciai voluttuosamente. Rimase stupito, ma l’eccitazione che sentivo contro il mio ventre gli fece subito abbassare ogni barriera. “Sofia…cos’è questa esuberanza stasera?” “Forse non dovevi farmi bere così tanto…” E di nuovo lo baciai. “Speriamo passi in fretta questa metro…non vedo l'ora di essere a casa…”, dissi sfiorandogli distrattamente il sesso duro con la mano mentre mi staccavo da lui. I suoi occhi fiammeggiavano di voglia. Mi desideravano. E io desideravo godere.

Ci baciamo per tutto il viaggio in metropolitana. Lo stuzzicavo chiedendogli che desideri avesse. Ormai su di giri, feci quella decina di metri che separavano la stazione della metro a casa nostra con la mano nella sua tasca sentendo pulsare la sua eccitazione sotto le dita.
Entrati a casa non resistemmo più. Lo spinsi sul divano e iniziai a spogliarmi in piedi davanti a lui. Lui si spogliò velocemente ed eccitato iniziò a toccarsi, guardandomi. Mi misi sopra di lui e inizia a cavalcarlo veloce. Ad occhi chiusi ansimavo, sentendo le sue mani sulla schiena, il suo incitarmi ansimando, i suoi baci e la sua lingua sul seno a cui l’avevo stretto mettendogli le mani fra i capelli. Dicevo il suo nome. Sentivo il suo sesso. E pensavo a te. “Oddio che cazzo che hai!” Ancora te. Provavo a non volerti, ma eri lì a ripetermi che ero anche io a volerlo. “Scopami! Scopami! Scopami!” Non mi riconoscevo per come parlavo. Mentre gridavo con mio marito, godevo con te. Venni, buttando indietro la testa, con un lungo e unico grido di piacere e stringendo Paolo sempre più stretto a me. Lui venne poco dopo di me e mi sentii riempire del suo piacere. Ci baciammo. Ci sussurrammo amore. Mi sentivo colpevole. Ma il piacere e l’orgasmo provato erano solo le ennesime prove di quanto stessi mentendo a me stessa.
scritto il
2024-06-02
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