A Venezia - 4
di
Flavia1988
genere
saffico
Per quasi un’ora ho vagato per la città. Prima attraversando le calli che avrebbero potuto portare Linda verso il battello per Murano, sperando di raggiungerla. Ma troppe alternative, troppe strade, troppi moli. Poi girando a caso per Cannaregio e Castello, soprattutto ripensando a come fosse iniziata la serata e a come avessi rovinato tutto.
Raggiunto un campo, ho anche avvertito dei rumori vicini, ma era solo un cane che correva e che doveva aver urtato qualcosa. Nella mia follia non ho nemmeno avuto paura: semplicemente ho pensato fosse Linda che mi cercasse.
- Perchè Ale…perchè…
Colma di lacrime. Con ancora sulla guancia la forza e il calore di quello schiaffo, ho rinunciato a cercare. Forse anche a sperare.
Era come se fossi in un gioco di ruolo: un protagonista dentro un labirinto di cui conosce la mappa generale, ma che senza avere nessuna informazione dei particolari è costretto a girare alla cieca. Così ero io. Cieca, anche di rabbia verso me stessa.
Anche la batteria del telefono mi aveva abbandonato, quindi dovevo andare a memoria con l’ultima immagine di Google Maps vista prima che il telefono morisse.
La mezzanotte era passata da non molto e camminavo nelle calli deserte, accompagnata solo dal ticchettio dei miei tacchi: una figura elegante che sfidava una leggerissima nebbia che saliva dalla laguna e si infilava vischiosa e silenziosa fra i canali.
Una piazzetta.
Un sottoportico.
Una calle.
E così fino a quest’ultimo tratto che avevo percorso, dove la calle si trasformava in fondamenta e arrivava all’incrocio di due rii.
La casa all’angolo aveva un piccolo portico che dava sul rio più piccolo e, fra due dei tre pilastri, una panchina in pietra su cui mi ero seduta. Stanca. I piedi doloranti. La testa pulsante. Cominciavo anche ad avere freddo. E come se non bastasse dovevo fare pipì.
Pensavo di fermarmi due o tre minuti, ma devono esserne passati parecchi di più. E in tutti quei minuti erano solo passati un paio di turisti abbracciati: gli avevo sorriso e loro avevano ricambiato, abbozzando un “Buonnaseri”. Per il resto sono sola, in una bolla tutta mia fatta di pensieri e rumori indistinti e lontani.
“Ancora qualche minuto di riposo e poi torno in hotel, è inutile restare in giro a prendere solo freddo.” Provo a distrarmi alzando lo sguardo e guardandomi intorno. Poco più avanti, la calle continua fino al ponticello che ricordavo di aver visto sulla mappa: da lì sarebbero bastati due o trecento metri e sarei arrivata alla fermata del vaporetto alle Fondamente Nove. “Ok, sono sulla strada giusta…” penso mentre continuo a fare girare lo sguardo intorno a me: l’angolo in cui mi sto riposando è interamente occupato dalle vetrine buie di una libreria e dalla rientranza creata per la porta d’ingresso. “Ora mi manca solo di vedere esposto un libro di Poe! Così capisco che è solo un brutto sogno…” trovo la forza di sorridere. Invece niente Poe, ma, con la coda dell’occhio, vedo una copertina conosciuta: L’acchiappasogni di Stephen King. “Ecco…appunto…”
Continuo a guardarmi in giro, quando sento un brusio di voci e rumori sempre più chiaro, sempre più vicino. Un motore. Una risata sguaiata. Un tonfo in acqua di qualcosa. Risate e maledizioni ancora più forti.
Nel rio passa lentamente un motoscafo. Tre ragazzi ubriachi cantano e gridano. Uno mi guarda. Batte sulla spalla dell'amico alla guida e mi indica. Rallentano e si avvicinano. Sempre il primo, alza la bottiglia che ha in mano in segno di saluto. Io lo ignoro.
- Cos’è? Non si saluta? Non ti hanno insegnato l’educazione, bella signora?
Nonostante senta la rabbia montarmi dentro, continuo ad ignorarlo.
- Smettila Tommy. Lascia stare la signora. Lo scusi, è ubriaco.
Gli amici provano a mettergli un freno.
- Si, certo…come se voi foste lucidi e sobri!- con la coda dell'occhio vedo che si volta nuovamente verso di me e si stringe volgarmente e con insistenza fra le gambe - Vaffanculo bella signora di sto cazzo!
Non sapendo nemmeno dove trovo il coraggio di farlo, reagisco. Soprattutto stupita di farlo in quel modo.
Mi alzo, voltandomi completamente verso di loro. Metto un piede sulla panchina. Alzandomi il vestito. Li vedo strabuzzare gli occhi. Chi stava alla guida, si distrae per un momento prima di riprendere il controllo e fermarsi completamente.
- Sai che c’è, caro…Tommy? Che tu una signora come me non l’avrai mai. Quindi si, vado a fare in culo, tanto è la cosa più gettonata della mia serata. Ma prima ti faccio vedere cosa ti perdi.
Mi sporgo ancora più in avanti e scostandomi le mutandine inizio a fare pipì nel canale, davanti a loro. Sono esposta davanti ai tre ragazzi. Dopo l’iniziale sorpresa, applaudono e gridano, eccitati. Mi fissano. Improvvisamente silenziosi. Vedo Tommy che insiste a toccarsi.
Io finisco e mi risistemo.
- Ora che avete avuto il vostro spettacolo, filate via.
- Eh no, signora! Il buon Tommy ha ragione: l’educazione prima di tutto.
Una voce maschile alle mie spalle.
Sorpresa, mi giro. Sorpresa, sento una mano tapparmi la bocca, un’altra stringermi la gola e spingermi verso uno dei pilastri. Sorpresa e impaurita, vedo Mirko sorridente a pochi centimetri dal mio viso.
- Ho salutato i miei e vi ho seguite. Vi ho anche sentite litigare. Che gelosona nostra signora!- stacca la mano dalla mia gola e la sento scendere sul mio corpo - All'inizio è stata dura starti dietro. Ammetto anche di averti perso. Poi la fortuna ha voluto che tu iniziassi a girare praticamente in tondo e che ti rivedessi in una piazza. Un maledetto cane stava quasi per farmi scoprire.
Mi lecca una guancia, assaporando una lacrima, mentre la mano ha preso possesso del mio seno. Ormai mi sussurra sul viso. Sento il suo alito caldo sulla pelle.
- Ma tu eri troppo presa da…dal piangere per quella troietta? Vi volevo entrambe. Per ora mi accontenterò di te, bella signora. Tanto della bella Linda ho il numero di telefono. Verrà anche il suo turno.
Sorride malefico.
Provo a dimenarmi. Ma lui è più alto e forte di me. Sento anche sbattere il motoscafo contro il bordo del selciato. Le voci dei ragazzi si fanno più vicine, anche se devono aver capito che non gli conviene alzare troppo la voce. Mirko li guarda. Vuole che capiscano chi comanda e che non si muovano oltre. Provo a biascicare qualcosa, senza troppa forza, resa inerme dalla sua forza e dalla mano sulla bocca. Con la mano libera inizia a frugare nel vestito. Sale lungo la coscia. Nel momento in cui mi scopre le mutandine arriva un fischio di approvazione da uno dei ragazzi. Me le strappa. Le porta al naso e poi fra i nostri volti. Io provo a spostarmi ma non riesco. Sento il mio odore, pipì e piacere. Ispira anche lui.
- Troia…- sussurra.
Poi torna al suo tono fermo e deciso.
- Ora ti siedi di nuovo. Ti giri verso di loro. Allarghi le gambe. E chiedi scusa a Tommy.
Faccio no con il capo, vorrei parlare ma la stretta è forte e mi esce solo un rantolo. Mi schiaffeggia. Prima il seno. Più volte. Poi, al mio grido, anche il volto.
- Non farmi incazzare e fallo.- e mi spinge con forza in basso.
Mi ritrovo di nuovo seduta. Fronte al canale. Mirko dietro di me. Sento il suo sesso, ancora nei pantaloni, strusciarmi duro sulla nuca.
- Allarga quelle gambe e dimostra quanto sei dispiaciuta ai nostri nuovi amici.
Si era abbassato e mi aveva sussurrato il comando nell’orecchio, mentre con le mani aveva abbassato le spalline liberando il mio seno.
Eccitati, i tre ragazzi in motoscafo fanno partire un applauso e delle urla.
- Che cazzo gridate, idioti?- sibila Mirko a denti stretti.
È in quel momento che vedo una luce accendersi al primo piano davanti a noi e aprirsi una finestra. Una donna si affaccia e inizia a gridare la sua rabbia per il rumore che non la fa dormire.
Mirko si defila subito nell’ombra e lo sento correre via.
I ragazzi accendono nuovamente il motore e ripartono veloci.
La donna capisce cosa stesse succedendo e girandosi verso l’interno dice a qualcuno di chiamare la polizia.
Io mi copro il seno e mi rannicchio contro il pilastro e scoppio a piangere, tremante e sollevata che tutto fosse finito.
Dopo poco sento dei passi avvicinarsi correndo e una voce femminile chiedermi come stessi, mettendomi una mano sulla spalla. Apro gli occhi e vedo una signora alta e secca con i capelli bianchi, probabilmente sui settant’anni. Ha una coperta che l’avvolge e mi sta porgendo quella che sembra essere la giacca di una tutta sportiva.
- Io sono Piera. Abito poco più avanti. Anna…- e indica la signora alla finestra davanti a noi - Anna mi ha telefonato e mi ha detto di aiutarla. Hanno già chiamato la polizia. Non si preoccupi. È tutto finito.
Si siede vicino a me. Mi viene naturale appoggiarmi alla sua spalla ossuta e poi abbracciarla ringraziandola.
Agli agenti arrivati spiego quanto successo. Due di loro riprendono la motovedetta, mentre una rimane con me. Avevo dato alla signora Piera il mio telefono da ricaricare e intanto le chiedo il suo per poter chiamare l’hotel e chiedere se Linda fosse lì. Non c’era.
Ho subito paura che Mirko l’avesse contattata in qualche modo e che le potesse essere successo qualcosa. L’agente mi dice di stare tranquilla e che forse mi stavo agitando per nulla.
- Mio padre diceva che tranquillo aveva fatto una brutta fine. Quindi no, non sono tranquilla. E nemmeno voglio esserlo. Piera, ti prego, guardi se il mio telefono si è un po' ricaricato? Grazie!
Mentre la donna torna a casa, l’agente prova a cambiare discorso chiedendomi se me la sentissi di tornare in hotel da sola. O se preferissi essere accompagnata da loro.
- Preferisco prima trovare la mia amica!- rispondo aggressiva, poi respiro e provo a calmarmi - Mi scusi, agente…è che…
- Non scusarti, non c’è problema.
Ma ovviamente con l’attesa l’ansia non smette di crescere.
- Madonna Piera….ma quanto ci metti!!!
Finalmente torna.
- Ho provato a rispondere ma io con questi aggeggi moderni non so mai dove mettere le mani.
Le strappo il telefono di mano e vedo tutta una serie di messaggi e due chiamate non risposte di pochi minuti fa.
- Linda!- guardo le due donne, mentre faccio subito partire la chiamata - Ha provato a chia…Linda!!!!!!! Come stai? Dove sei?
Sta bene.
- Sono nel dehor di un’enoteca chiusa. Mi sa che…
- Come si chiama?
Dice il nome del locale e io lo ripeto ad alta voce. L’agente lo conosce.
- È di là, vicino ai pontili dei vaporetti.- e mi indica la strada che parte dal ponte vicino.
Mi alzo di scatto e inizio a correre, sempre tenendo il telefono all’orecchio.
- Non ti muovere. Arrivo.
Sento che mi stava dicendo altro ma ormai ho attaccato.
Corro.
Il ponte. La calle. Corro verso la fine della calle e già vedo il pontile davanti a me. Sbuco alle Fondamente Nuove. Guardo a destra e a sinistra. Nulla. Non un insegna accesa. Non una persona. Riprendo il telefono. Sto per rifare il numero.
- Ale!
Mi giro.
È lei.
Il suo viso. I suoi occhi tremanti. Le guance rigate dal trucco. Il suo tormentarsi le mani.
Mi corre incontro.
Ci corriamo incontro.
Un abbraccio così forte che non lo dimenticherò mai più. Ci baciamo.
Sorrido. Piango.
Sorride. Piange.
Gioisco ancora di più, mentre sento le sue labbra sulle mie e la sua lingua entrarmi decisa in bocca, cercare la mia, giocarci. Ho le mani fra i suoi capelli. La stringo a me.
- Linda…Linda…Linda…Linda…
Ripeto il suo nome sospirando, piangendo e accarezzandole il viso e i capelli.
- Ale…ma che è successo? Cos’è questa tuta che hai indosso?- poi vede i lividi sul collo. Spalanca gli occhi. - Che è successo Ale???
- Io…io…sono…non so cosa sono…
- Tu sei senza orientamento e con il telefono scarico per ore. Ma questo lo chiariamo dopo.
Mi scappa da ridere di colpo.
Mi piego in avanti reggendomi a lei. Anche lei fa un timido sorriso. Ma aspetta una risposta.
- Cosa ti è successo?
- Ti stavo cercando, ma mi ero persa. Poi…poi…è successa una cosa…- ricomincio a piangere e a singhiozzare - Ero lì in fondo…- mi giro verso la calle da cui ero appena apparsa. Dall’ombra appare correndo l’agente.
- Alessia! Tutto bene?
- Si agente, si. Eccola.- e accarezzo Linda.
E poi le stringo la mano fra le mie.
- Linda, ora ti racconto cos’è successo e poi penso che questa agente voglia chiederti alcune cose.
Raggiunto un campo, ho anche avvertito dei rumori vicini, ma era solo un cane che correva e che doveva aver urtato qualcosa. Nella mia follia non ho nemmeno avuto paura: semplicemente ho pensato fosse Linda che mi cercasse.
- Perchè Ale…perchè…
Colma di lacrime. Con ancora sulla guancia la forza e il calore di quello schiaffo, ho rinunciato a cercare. Forse anche a sperare.
Era come se fossi in un gioco di ruolo: un protagonista dentro un labirinto di cui conosce la mappa generale, ma che senza avere nessuna informazione dei particolari è costretto a girare alla cieca. Così ero io. Cieca, anche di rabbia verso me stessa.
Anche la batteria del telefono mi aveva abbandonato, quindi dovevo andare a memoria con l’ultima immagine di Google Maps vista prima che il telefono morisse.
La mezzanotte era passata da non molto e camminavo nelle calli deserte, accompagnata solo dal ticchettio dei miei tacchi: una figura elegante che sfidava una leggerissima nebbia che saliva dalla laguna e si infilava vischiosa e silenziosa fra i canali.
Una piazzetta.
Un sottoportico.
Una calle.
E così fino a quest’ultimo tratto che avevo percorso, dove la calle si trasformava in fondamenta e arrivava all’incrocio di due rii.
La casa all’angolo aveva un piccolo portico che dava sul rio più piccolo e, fra due dei tre pilastri, una panchina in pietra su cui mi ero seduta. Stanca. I piedi doloranti. La testa pulsante. Cominciavo anche ad avere freddo. E come se non bastasse dovevo fare pipì.
Pensavo di fermarmi due o tre minuti, ma devono esserne passati parecchi di più. E in tutti quei minuti erano solo passati un paio di turisti abbracciati: gli avevo sorriso e loro avevano ricambiato, abbozzando un “Buonnaseri”. Per il resto sono sola, in una bolla tutta mia fatta di pensieri e rumori indistinti e lontani.
“Ancora qualche minuto di riposo e poi torno in hotel, è inutile restare in giro a prendere solo freddo.” Provo a distrarmi alzando lo sguardo e guardandomi intorno. Poco più avanti, la calle continua fino al ponticello che ricordavo di aver visto sulla mappa: da lì sarebbero bastati due o trecento metri e sarei arrivata alla fermata del vaporetto alle Fondamente Nove. “Ok, sono sulla strada giusta…” penso mentre continuo a fare girare lo sguardo intorno a me: l’angolo in cui mi sto riposando è interamente occupato dalle vetrine buie di una libreria e dalla rientranza creata per la porta d’ingresso. “Ora mi manca solo di vedere esposto un libro di Poe! Così capisco che è solo un brutto sogno…” trovo la forza di sorridere. Invece niente Poe, ma, con la coda dell’occhio, vedo una copertina conosciuta: L’acchiappasogni di Stephen King. “Ecco…appunto…”
Continuo a guardarmi in giro, quando sento un brusio di voci e rumori sempre più chiaro, sempre più vicino. Un motore. Una risata sguaiata. Un tonfo in acqua di qualcosa. Risate e maledizioni ancora più forti.
Nel rio passa lentamente un motoscafo. Tre ragazzi ubriachi cantano e gridano. Uno mi guarda. Batte sulla spalla dell'amico alla guida e mi indica. Rallentano e si avvicinano. Sempre il primo, alza la bottiglia che ha in mano in segno di saluto. Io lo ignoro.
- Cos’è? Non si saluta? Non ti hanno insegnato l’educazione, bella signora?
Nonostante senta la rabbia montarmi dentro, continuo ad ignorarlo.
- Smettila Tommy. Lascia stare la signora. Lo scusi, è ubriaco.
Gli amici provano a mettergli un freno.
- Si, certo…come se voi foste lucidi e sobri!- con la coda dell'occhio vedo che si volta nuovamente verso di me e si stringe volgarmente e con insistenza fra le gambe - Vaffanculo bella signora di sto cazzo!
Non sapendo nemmeno dove trovo il coraggio di farlo, reagisco. Soprattutto stupita di farlo in quel modo.
Mi alzo, voltandomi completamente verso di loro. Metto un piede sulla panchina. Alzandomi il vestito. Li vedo strabuzzare gli occhi. Chi stava alla guida, si distrae per un momento prima di riprendere il controllo e fermarsi completamente.
- Sai che c’è, caro…Tommy? Che tu una signora come me non l’avrai mai. Quindi si, vado a fare in culo, tanto è la cosa più gettonata della mia serata. Ma prima ti faccio vedere cosa ti perdi.
Mi sporgo ancora più in avanti e scostandomi le mutandine inizio a fare pipì nel canale, davanti a loro. Sono esposta davanti ai tre ragazzi. Dopo l’iniziale sorpresa, applaudono e gridano, eccitati. Mi fissano. Improvvisamente silenziosi. Vedo Tommy che insiste a toccarsi.
Io finisco e mi risistemo.
- Ora che avete avuto il vostro spettacolo, filate via.
- Eh no, signora! Il buon Tommy ha ragione: l’educazione prima di tutto.
Una voce maschile alle mie spalle.
Sorpresa, mi giro. Sorpresa, sento una mano tapparmi la bocca, un’altra stringermi la gola e spingermi verso uno dei pilastri. Sorpresa e impaurita, vedo Mirko sorridente a pochi centimetri dal mio viso.
- Ho salutato i miei e vi ho seguite. Vi ho anche sentite litigare. Che gelosona nostra signora!- stacca la mano dalla mia gola e la sento scendere sul mio corpo - All'inizio è stata dura starti dietro. Ammetto anche di averti perso. Poi la fortuna ha voluto che tu iniziassi a girare praticamente in tondo e che ti rivedessi in una piazza. Un maledetto cane stava quasi per farmi scoprire.
Mi lecca una guancia, assaporando una lacrima, mentre la mano ha preso possesso del mio seno. Ormai mi sussurra sul viso. Sento il suo alito caldo sulla pelle.
- Ma tu eri troppo presa da…dal piangere per quella troietta? Vi volevo entrambe. Per ora mi accontenterò di te, bella signora. Tanto della bella Linda ho il numero di telefono. Verrà anche il suo turno.
Sorride malefico.
Provo a dimenarmi. Ma lui è più alto e forte di me. Sento anche sbattere il motoscafo contro il bordo del selciato. Le voci dei ragazzi si fanno più vicine, anche se devono aver capito che non gli conviene alzare troppo la voce. Mirko li guarda. Vuole che capiscano chi comanda e che non si muovano oltre. Provo a biascicare qualcosa, senza troppa forza, resa inerme dalla sua forza e dalla mano sulla bocca. Con la mano libera inizia a frugare nel vestito. Sale lungo la coscia. Nel momento in cui mi scopre le mutandine arriva un fischio di approvazione da uno dei ragazzi. Me le strappa. Le porta al naso e poi fra i nostri volti. Io provo a spostarmi ma non riesco. Sento il mio odore, pipì e piacere. Ispira anche lui.
- Troia…- sussurra.
Poi torna al suo tono fermo e deciso.
- Ora ti siedi di nuovo. Ti giri verso di loro. Allarghi le gambe. E chiedi scusa a Tommy.
Faccio no con il capo, vorrei parlare ma la stretta è forte e mi esce solo un rantolo. Mi schiaffeggia. Prima il seno. Più volte. Poi, al mio grido, anche il volto.
- Non farmi incazzare e fallo.- e mi spinge con forza in basso.
Mi ritrovo di nuovo seduta. Fronte al canale. Mirko dietro di me. Sento il suo sesso, ancora nei pantaloni, strusciarmi duro sulla nuca.
- Allarga quelle gambe e dimostra quanto sei dispiaciuta ai nostri nuovi amici.
Si era abbassato e mi aveva sussurrato il comando nell’orecchio, mentre con le mani aveva abbassato le spalline liberando il mio seno.
Eccitati, i tre ragazzi in motoscafo fanno partire un applauso e delle urla.
- Che cazzo gridate, idioti?- sibila Mirko a denti stretti.
È in quel momento che vedo una luce accendersi al primo piano davanti a noi e aprirsi una finestra. Una donna si affaccia e inizia a gridare la sua rabbia per il rumore che non la fa dormire.
Mirko si defila subito nell’ombra e lo sento correre via.
I ragazzi accendono nuovamente il motore e ripartono veloci.
La donna capisce cosa stesse succedendo e girandosi verso l’interno dice a qualcuno di chiamare la polizia.
Io mi copro il seno e mi rannicchio contro il pilastro e scoppio a piangere, tremante e sollevata che tutto fosse finito.
Dopo poco sento dei passi avvicinarsi correndo e una voce femminile chiedermi come stessi, mettendomi una mano sulla spalla. Apro gli occhi e vedo una signora alta e secca con i capelli bianchi, probabilmente sui settant’anni. Ha una coperta che l’avvolge e mi sta porgendo quella che sembra essere la giacca di una tutta sportiva.
- Io sono Piera. Abito poco più avanti. Anna…- e indica la signora alla finestra davanti a noi - Anna mi ha telefonato e mi ha detto di aiutarla. Hanno già chiamato la polizia. Non si preoccupi. È tutto finito.
Si siede vicino a me. Mi viene naturale appoggiarmi alla sua spalla ossuta e poi abbracciarla ringraziandola.
Agli agenti arrivati spiego quanto successo. Due di loro riprendono la motovedetta, mentre una rimane con me. Avevo dato alla signora Piera il mio telefono da ricaricare e intanto le chiedo il suo per poter chiamare l’hotel e chiedere se Linda fosse lì. Non c’era.
Ho subito paura che Mirko l’avesse contattata in qualche modo e che le potesse essere successo qualcosa. L’agente mi dice di stare tranquilla e che forse mi stavo agitando per nulla.
- Mio padre diceva che tranquillo aveva fatto una brutta fine. Quindi no, non sono tranquilla. E nemmeno voglio esserlo. Piera, ti prego, guardi se il mio telefono si è un po' ricaricato? Grazie!
Mentre la donna torna a casa, l’agente prova a cambiare discorso chiedendomi se me la sentissi di tornare in hotel da sola. O se preferissi essere accompagnata da loro.
- Preferisco prima trovare la mia amica!- rispondo aggressiva, poi respiro e provo a calmarmi - Mi scusi, agente…è che…
- Non scusarti, non c’è problema.
Ma ovviamente con l’attesa l’ansia non smette di crescere.
- Madonna Piera….ma quanto ci metti!!!
Finalmente torna.
- Ho provato a rispondere ma io con questi aggeggi moderni non so mai dove mettere le mani.
Le strappo il telefono di mano e vedo tutta una serie di messaggi e due chiamate non risposte di pochi minuti fa.
- Linda!- guardo le due donne, mentre faccio subito partire la chiamata - Ha provato a chia…Linda!!!!!!! Come stai? Dove sei?
Sta bene.
- Sono nel dehor di un’enoteca chiusa. Mi sa che…
- Come si chiama?
Dice il nome del locale e io lo ripeto ad alta voce. L’agente lo conosce.
- È di là, vicino ai pontili dei vaporetti.- e mi indica la strada che parte dal ponte vicino.
Mi alzo di scatto e inizio a correre, sempre tenendo il telefono all’orecchio.
- Non ti muovere. Arrivo.
Sento che mi stava dicendo altro ma ormai ho attaccato.
Corro.
Il ponte. La calle. Corro verso la fine della calle e già vedo il pontile davanti a me. Sbuco alle Fondamente Nuove. Guardo a destra e a sinistra. Nulla. Non un insegna accesa. Non una persona. Riprendo il telefono. Sto per rifare il numero.
- Ale!
Mi giro.
È lei.
Il suo viso. I suoi occhi tremanti. Le guance rigate dal trucco. Il suo tormentarsi le mani.
Mi corre incontro.
Ci corriamo incontro.
Un abbraccio così forte che non lo dimenticherò mai più. Ci baciamo.
Sorrido. Piango.
Sorride. Piange.
Gioisco ancora di più, mentre sento le sue labbra sulle mie e la sua lingua entrarmi decisa in bocca, cercare la mia, giocarci. Ho le mani fra i suoi capelli. La stringo a me.
- Linda…Linda…Linda…Linda…
Ripeto il suo nome sospirando, piangendo e accarezzandole il viso e i capelli.
- Ale…ma che è successo? Cos’è questa tuta che hai indosso?- poi vede i lividi sul collo. Spalanca gli occhi. - Che è successo Ale???
- Io…io…sono…non so cosa sono…
- Tu sei senza orientamento e con il telefono scarico per ore. Ma questo lo chiariamo dopo.
Mi scappa da ridere di colpo.
Mi piego in avanti reggendomi a lei. Anche lei fa un timido sorriso. Ma aspetta una risposta.
- Cosa ti è successo?
- Ti stavo cercando, ma mi ero persa. Poi…poi…è successa una cosa…- ricomincio a piangere e a singhiozzare - Ero lì in fondo…- mi giro verso la calle da cui ero appena apparsa. Dall’ombra appare correndo l’agente.
- Alessia! Tutto bene?
- Si agente, si. Eccola.- e accarezzo Linda.
E poi le stringo la mano fra le mie.
- Linda, ora ti racconto cos’è successo e poi penso che questa agente voglia chiederti alcune cose.
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