4:15

di
genere
etero

La strada luccica.
Il sole basso all’orizzonte e la pioggia appena scesa l’hanno resa una meravigliosa pista.
Gialla.
Dorata.
Accesa.
Guido, strizzando gli occhi per il riverbero.
Tu al mio fianco. Mi stringi la mano sul volante. Provi a darmi la sicurezza che ogni figlia cerca e merita.
Nemmeno mi rendo conto dell'assurdità della cosa che ho già le tue parole che mi accarezzano nel sogno.
- Non preoccuparti. Stai andando alla grande.
- Papà…non posso farcela…
- Si che puoi. Lo so. E lo sai anche tu. Guarda.
Mi lasci la mano.
E l’auto continua dritta, sulla sua strada. Su quel luccichio fiammeggiante che attraversa campagne e colline.
Dal finestrino aperto avverto chiaramente il frinire di un grillo, a cui subito rispondono altri. Nulla sembra disturbarli. Non noi in auto. Non il vento che scuote le cime dei cipressi e le spighe. Non un trattore che lavora in un campo, inseguito da gabbiani e gazze.
Costeggiamo le alte mura che circondano un paesino medievale.
Una torre campanaria.
Le 4:15.
Sorrido.
Torno bambina.
Torno al primo “Si che puoi…” detto in un parcheggio di domenica mattina, mentre mamma preparava il pranzo e io ti avevo convinto a fare quella lezione. Avevi finto terrore per tutto il tempo.
Io ridevo.
Tu piangevi per ogni grattata del cambio.
- Lo sapevo. Mi perderò il Parma e anche la macchina!!!
- Smettila che già non sono sicura di mio!!! Se ti ci metti anche tu non ce la farò mai!!
- Non pensare a me. Pensa solo ai pedali, a quello che hai davanti e alla mia auto.
Mi ricordo di essermi girata verso di te, sorridendo.
- Guarda davanti!!! Siamo fuori da un cimitero, cerchiamo di non entrarci!!
Ero scoppiata a ridere. Talmente tanto da dovermi fermare per evitare altri guai.
Dopo che ci eravamo ripresi mi dicesti quella frase.
- Dai, torniamo a casa.
Stavo per scendere, quando mi fermasti.
- Dove vai?
- Facciamo cambio, no? Non volevi tornare a casa?
- Si. Ma guidi tu.
- Scherzi? Non posso!!!
- Si che puoi. Stai tranquilla. Pedali. Occhi rivolti avanti. Macchina. Si che puoi.
“Si che puoi…”
Ora come allora.
- Hai visto, papà?
Mi giro di nuovo verso di te.
- Papà…
Non ci sei più.
Piango.
“Guarda davanti…”
Mi volto di colpo.
Un muro.
Grido.

Mi sveglio all’improvviso. Alzandomi a sedere nel letto.
Le 4:15.
Il cuore mi batte forte nelle tempie.
Ho l’affanno che mi fa alzare e abbassare freneticamente il seno nudo.
Il contrasto fra il caldo accumulato sotto le coperte e il freddo della stanza mi scuote.
Sono convintissima di aver gridato, ma vedo mio marito dormire tranquillamente vicino a me.
Sempre restando seduta, provo lentamente a riprendere un respiro regolare.
La casa è silenziosa.
Sento solo il ronzio del mio solito acufene.
“Un giorno di questi dovrò trovarmi un otorino che mi sistemi quest’orecchio.”
Questo pensiero di normalità mi riporta alla realtà e mi calma definitivamente.
Mi muovo lentamente per scendere dal letto.
A tentoni cerco il pigiama che ieri sera Simone mi aveva sfilato e buttato via.
Ho i brividi lungo la pelle e mi arriva un brivido ancora più grande quando indosso la maglietta. “Cazzo che freddo!”. Mi sfrego le braccia per darmi un po' di calore, mentre mi avvio a piedi nudi verso il bagno.
Una veloce pipì e poi vado in cucina a bere.
“Ecco perché fa così freddo! Si è dimenticato di chiudere la finestra!! Se non faccio io le cose, non le fa nessuno!”
Con il bicchiere d’acqua in mano torno verso la camera da letto.
Mi siedo.
Bevo un ultimo sorso.
Lentamente mi rimetto sotto le coperte.
Mi giro verso Simone.
E vedo il volto di mio padre che mi fissa sorridendo.

Grido.
Esco di scatto dal letto.
Simone accende la luce sul comodino e si mette a sedere.
- Ale!! Ma che cazzo fai? Stai bene?
Sono in piedi contro il muro a lato del letto.
Gli occhi spalancati che fissano mio marito.
Guardo la sveglia.
Le 4:15.
Lentamente mi accascio, scivolando lungo la parete.
Fa freddo. Sono nuda, dopo il sesso della sera prima.
Tremo.
Simone è ora davanti a me e mi sta coprendo con la trapunta del letto.
È nudo anche lui.
Mi stringo addosso la coperta mentre lui cerca in giro i nostri pigiami. Mi passa il mio e inizia ad indossare il suo.
- Fermo. Scopiamo ancora.
- Ale…
- Non mi vuoi?
Parlo togliendomi la coperta di dossa e allargando le gambe.
- Non è quello. Lo sai. È che…
- Cosa? Hai il cazzo che si sta svegliando. Ha più palle lui di te.
- E meno male direi!!
Ma nessuno dei due resiste e scoppiamo a ridere.
Simone mi porge la mano e mi aiuta a tirarmi su. Lo abbraccio forte. Il mio seno ormai caldo per la trapunta contro il suo petto freddo.
- Fatti scaldare un po’...
- Devi fare qualcosa Ale. Per questi sogni. Non puoi passare tutte le notti così. Non possiamo.
- Sto già facendo qualcosa…
Una mia mano era scesa fra le sue gambe e avevo iniziato a solleticargli lo scroto.
- Ale…io intendevo…
- Intendevi forse questo?
Lentamente avevo iniziato a masturbarlo, sentendolo crescere sempre di più nella mano. Mordendogli il collo, in punta di piedi. Baciandolo delicatamente sulle labbra.
- Non hai più nulla da dire?
Guardandomi negli occhi mi aveva preso dalla nuca per farsi baciare in profondità e non farmi più parlare.
Sentire nuovamente la sua lingua impetuosa e dominante nella mia bocca mi fece aumentare il ritmo della masturbazione che gli stavo dedicando.
Mi staccai boccheggiante.
Gli schiaffeggiai il sesso contro la pancia.
Sapevo che era una cosa che lo mandava in estasi e insistetti più volte.
- Scopami. Scopami.
Con forza mi prende. Mi gira.
Le mani sul muro.
Sento la sua mano lungo la schiena, chiaro invito a piegarmi ancora di più.
Sento il suo sesso che struscia sulle mie natiche.
Mi schiaffeggia leggermente.
Struscia ancora, questa volta lungo il mio sesso nuovamente bagnato.
Mi sto sfiorando.
In attesa.
Lo sento entrare.
Prima sospiro.
Poi grido nel sentirlo tutto.
- Scopami.
Vuole sfinirmi subito.
È duro dentro di me.
È perverso mentre con un dito ricerca il mio ano e ci gioca.
È porco quando mi chiama come non farebbe mai nella vita di tutti i giorni.
Io lo accetto.
Perchè non ne posso più.
Perchè non riconosco più cosa sia sogno e cosa realtà.
Perchè accetto di essere sua.
- Ancora…
Mi masturbo mentre mi possiede.
- Mi fai godere Ale. Cazzo…cazzo…cazzo…
Mi masturbo mentre stiamo per godere insieme.
Ho paura di non capire più nulla.
Sto per godere.
E lui esplode dentro di me.
Ho paura di scoprire la verità.
Godo gridando.
E mi sento vuota quando mi lascia sola.
Sola con la verità.
Verità che non posso accettare.
- Si che puoi…

Nel letto.
Ancora.
Ho spalancato gli occhi di colpo e ora sono immobile a fissare il soffitto.
Fa il caldo asfissiante che da più di un mese non lascia tregua.
“Mamma ha fatto bene ad andare da zia in montagna.”
L’umido fra le gambe è così reale che tremo di desiderio.
Il letto è vuoto.
La casa silenziosa.
Nemmeno gli acufeni a farmi compagnia.
Lentamente mi volto.
Le 4:15.
“Cazzo…dove sono? Dove sei?”

scritto il
2024-10-21
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