Monologo

di
genere
confessioni

(Qualche mese fa presi questa “confessione” da una persona a me molto cara. La feci diventare questo “Monologo” e la pubblicai. Poi mi resi conto di aver in qualche modo deluso la sua fiducia e, dopo averle rivelato quanto fatto, in accordo con lei la cancellai. Ora la ripropongo, con alcuni piccolissimi cambi e con l’avvallo della protagonista. Testimonianza voleva essere, nulla di più. E, come mi ha detto lei stessa, testimonianza è ancora e tale resterà.

Grazie come sempre a tutte e tutti della lettura.

Flavia


MONOLOGO



Finisco di prepararmi. Il dito nero è fasciato e inizia anche a farmi meno male. Il viso con un po' di trucco sembra essere presentabile. Certo l’occhio è ancora un po' gonfio. Certo i tagli che ho sulla lingua non aiutano a parlare benissimo. Ma devo andare. Metto un cardigan sopra la camicetta e una gonna leggera alle caviglie. Mi guardo allo specchio un’ultima volta. Sospiro.
Passo dalla cucina a bere un goccio d’acqua e a prendere le chiavi dell’auto. Lui è lì. “Dove vai?” “Ho l’audizione. Non posso mancare.” Fa una risata sommessa. “L’audizione…” “Non posso mancare. È l’ultima dell’anno. È pur sempre il mio lavoro.” “Si. Lavoro. Il mio è un lavoro. Non il tuo. Senza i miei soldi qui si morirebbe di fame.” Magari, penso. E penso ancora a quel coltello nel lavello che ieri non ho fatto in tempo a prendere prima di lui. Continua. “Due mesi qui, due mesi di là. Devi stare a casa. Non andare in giro a fare la puttana.” A me viene di nuovo da piangere. Lo vede. E continua. “E ora che fai? Piangi? Vuoi litigare di nuovo? Non ti sono bastate quelle di ieri?” Annuisco. Butto giù il magone. “Vado. Ciao.” Faccio in tempo a sentire un suo insulto biascicato prima di chiudere la porta.

Arrivo al Moderno e mi presento alla ragazza sulla porta. “Claudia. Sono qui per le audizioni.” Mi squadra. Lo sapevo che l’occhio nero si sarebbe visto. O forse è stato come ho fatto fatica a dire il nome. O tutto quanto insieme. Entro e mi metto in un angolo. Non voglio socializzare con nessuno. Penso alla serata appena vissuta. Alla notte di lacrime e dolori. Al suo sesso e al suo possedermi. Al sentirmi male. Al vomito che mi sale. Chiudo gli occhi. Respiro forte. Diaframma su. Diaframma giù. Ascolto il cuore. Ne rallento il battito. Riapro gli occhi. Diaframma su. Diaframma giù. Desdemona si sta avvicinando. E lentamente nella mia testa entrano le parole che dovrò pronunciare. “L’amore che vi porto: ecco tutti i miei peccati.” Già. “Claudia!” Sbatto le ciglia, come per uscire da un sogno. Alzo la mano. “Eccomi.” Seguo l’assistente. Quinta. Palco. Casa. In prima fila il regista e due assistenti. Mi presento. Il regista mi illustra cosa succederà. Come se potessi fare di testa mia. Ma deve pur sempre darsi un tono. E intanto fa salire uno degli assistenti che erano vicino a lui. “Allora. Il quinto atto dell’Otello. Lei ovviamente sarà Desdemona. Maurizio le dirà le battute di Otello. Quando vuole, noi siamo pronti.” Già vedo i loro dubbi sul volto. Già ho visto lo sguardo di Maurizio verso la platea e il cenno di assenso fra loro. C’è una sedia su cui metto il cardigan che mi sono sfilata con difficoltà. Respiro profondo. Guardo Maurizio. “Chi è là? Otello?”

“Il tempo di recitare una preghiera.” E mi accasciò sulla sedia. Otello ha fatto la sua scelta. Sorrido. Fuori luogo. Maurizio si avvicina e mi stringe la mano. Mi sussurra un complimento. Dalla prima fila nessuna parola. Il regista mi fissa. Annuisce. Mi sembra di leggere un “Brava” sulle sue labbra. Mi appoggio alle ginocchia con le braccia, a capo chino. Dal cuore mi esce un “Che cazzate!” Alzo lo sguardo, ripetendo il pensiero e li vedo sgranare gli occhi. “Sapete? Preferisco la Desdemona di Bruckner.” Tiro su la schiena, appoggiandomi alla spalliera della sedia e accavallo le gambe. “Quella che grida “No Otello! Non starò zitta!!”, ecco la Desdemona che preferisco.” Con una mano fendo l’aria, chiudendola a pugno. “Sapete una cosa? Io ho solo il teatro. Certo ho passioni. Ho piaceri. Ho hobby. E ho anche un marito. Il mio Otello. Quello a cui non ho mai detto no. E con cui sono stata troppe volte zitta. E nonostante lui, sono qua, oggi. Nonostante l’occhio nero per un suo pugno. Nonostante il dito rotto. Nonostante la lingua tagliata dai miei stessi denti per l’ennesimo schiaffo dato ieri. Lui non capisce questa mia passione. Mi chiama puttana perché sto fuori casa per mesi quando faccio le tourneè. Mi chiama puttana e mi prende. Io resisto, certo. Ma tanto che posso fare? Io scricciolo, lui più grande di me. Lo potrei anche denunciare, certo. Ma tanto che succede? Lui persona rispettabile della comunità, io quella che in casa non c’è mai. Quella senza lavoro. Perchè mica è un lavoro fare l’attrice. O anche solo provarci. E intanto…” Mi tiro su la gonna. “...intanto su questa coscia i lividi di quando mi prende con la forza...” Mi arrotolo le maniche. “...e intanto sulle braccia i segni delle sue mani e un taglio fresco fresco di ieri…quando mi obbliga…quando mi scopa…” Tiro su col naso. “All’inizio lo assecondavo anche. Era un suo mondo di amarmi, mi dicevo. Lo assecondavo quando mi prendeva da dietro, mi forzava certe posizioni e certe pratiche, sentivo il suo…il suo cazzo entrarmi dentro e ne godevo…ne godevo anche…” Sorrido, ormai fiume in piena senza idea di dove stia andando a finire, tanto questa parte nemmeno la voglio più. “Godevo…finchè assecondava i miei ritmi, finchè ancora andavamo insieme verso il piacere…ma poi…ma poi diventava altro. Diventava quello che comandava, che esigeva, che non ammetteva i miei rifiuti, il mio negarmi, il negargli quello che diceva gli era dovuto. “Sei mia moglie. Tu non decidi un cazzo.” Mi dava della puttana. Ha iniziato con uno schiaffo. Da ubriaco. E a finito per minacciarmi con un coltello prima e poi con la sua pistola. Mi ha obbligata a farselo succhiare, mentre mi filmava con il telefonino. Alla festa del paese ho visto gli sguardi dei suoi colleghi, e ho capito che fine avesse fatto quel video. Ieri abbiamo litigato per un mobile. Un cazzo di mobile orribile che sua madre ci ha rifilato dopo aver traslocato. Un mobile che io ho detto di non volere in casa. Mi ha preso la mano e mi ha storto il dito. Ho urlato. Lui ha continuato, incurante. Mi ha tirato dietro di lui. Mi ha sbattuta su quel mobile. In effetti forse è lì che mi sono fatta male alla lingua, non con gli schiaffi dopo. Ma non credo cambi molto, no?” Alzo le spalle. Inizio a risistemarmi le maniche. “Mi ha strappato i pantaloni, tirandomeli giù. Con la coda dell’occhio ho visto il coltello e stavo per prenderlo. Ma lui è stato più veloce. E l’ha usato per obbligarmi di nuovo a stare al suo gioco, alle sue voglie. Dominante. Inutile ogni resistenza. Il coltello in mano. Il sangue che sentivo in bocca. Le lacrime. Gli insulti. E la speranza che finisse in fretta. E andasse a vedere la partita. Come se niente fosse. Come ogni volta.” Mi alzo. Maurizio mi aveva lasciato la scena. Sentivo il loro silenzio. Sentivo quegli sguardi. Sentivo la loro diffidenza. O era paura? O semplicemente sono l’ennesima pazza che non ama abbastanza il proprio uomo? “E nonostante tutto, sono qua. Ieri ho ripetuto la parte. Oggi mi sono preparata e ho sentito Desdemona un po' alla volta entrare, diventare parte di me. Ed eccomi qui.” Faccio il mio migliore inchino. Dentro di me sento l’applauso del pubblico. “Ora scusatemi, ma devo tornare a casa. Ho ancora una cosa da fare. Mi raccomando però, solo una cosa. Se ve lo chiedessero, non dite che salutavo sempre. Non dite che sembravamo una così bella coppia. Perchè non è vero. Non è mai stato vero. E lo sapevate tutti.”
scritto il
2024-08-25
9 6 7
visite
3 0
voti
valutazione
7.8
il tuo voto
Segnala abuso in questo racconto erotico

commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.