La vrenzola vuole comandare - capitolo 3: gelosia passionale

di
genere
dominazione

Il giorno dopo mi svegliai con la testa piena di pensieri. Carla mi aveva lasciato un sapore amaro in bocca, ma non potevo negare che l'attrazione che provavo per lei era incredibilmente intensa. Eppure, era chiaro che il suo disinteresse nei miei confronti stava cominciando a pesarmi. Mentre mi vestivo, decisi di non rimanere con le mani in mano e di contattare un'altra ragazza. Era il momento di farmi un po' di esperienza, anche se il mio pensiero andava sempre a Carla.

Sofia, una ragazza che conoscevo di vista, mi rispose quasi subito. Era carina, con un sorriso contagioso e un modo di parlare che sapeva mettere a proprio agio. Quando le dissi che avrei voluto uscire con lei quella sera, accettò con entusiasmo, ignara che il mio intento era principalmente quello di far ingelosire Carla.

Arrivai al bar dove avevamo deciso di incontrarci, i battiti del mio cuore accelerati dall’ansia e dall'eccitazione. Sofia era già lì, seduta a un tavolo, con un vestitino aderente che metteva in risalto le sue curve. La salutai timidamente e mi sedetti di fronte a lei.

“Ciao! Finalmente ci vediamo,” disse, con una voce dolce. La nostra conversazione flui senza intoppi; parlava molto di sé, raccontandomi dei suoi sogni e dei suoi viaggi. A tratti, sembrava una persona affascinante e desiderosa di vivere, eppure, nonostante tutto, non riuscivo a sentire quel brivido di interesse che mi provocava Carla.

Mentre chiacchieravamo, ci scambiammo sguardi intensi. Sofia si avvicinò, giocando con una ciocca dei suoi lunghi capelli castani. “Sai, mi piaci. Sembri un ragazzo dolce,” disse, mentre il suo sguardo scrutava il mio viso. Ero incredibilmente goffo in quel momento, non sapevo se rispondere con un complimento o semplicemente arrossire.

Nel corso della serata, ci scambiammo alcuni tocchi innocenti, le sue dita sfiorarono la mia mano mentre ridevamo di qualche battuta. Sentivo la sua presenza eppure la mia mente continuava a vagare verso Carla, immaginando il suo sguardo di sufficienza e la sua provocante sicurezza. L’idea di tornare a casa e pubblicare una foto insieme a Sofia per mostrare a Carla che non ero poi così un verginello sfigato cominciò a prendere forma.

Sofia propose di scattare una foto insieme, e così ci sistemammo, lei si avvicinò e il suo seno premendo sul mio braccio mi fece sentire un brivido. Scattammo la foto, lei sorridente e sensuale, mentre io cercavo di mantenere un’aria disinvolta. A quel punto, avrei voluto essere in un altro posto. Nonostante la sua dolcezza, non riuscivo a vedere oltre l'immagine di Carla e il suo modo di provocarmi.

Dopo un paio d’ore di conversazione, ci salutammo e ci promettemmo di sentirci presto. Quando pubblicammo la foto su Instagram, non potevo fare a meno di pensare a quanto potesse far ingelosire Carla. Sofia sembrava così entusiasta di mostrarsi al mondo, e io mi sentivo intrappolato in un gioco che stavo creando per infastidire un'altra persona.

Quella notte, mentre tornavo a casa, mi resi conto di quanto fosse difficile dimenticare l’atteggiamento di Carla, la sua durezza e il suo modo di prendermi in giro. Sofia era senza dubbio attraente e gentile, ma il suo fascino non era paragonabile all’intensità che provavo per Carla, con la sua sfrontatezza e il suo modo di dominare ogni situazione. La frustrazione di quel contrasto mi accompagnò fino a quando non chiusi gli occhi, ancora una volta pensando a lei.

La mattina dopo mi svegliai con una notifica sul telefono: un messaggio di Carla. Mi sentii subito a disagio. Dopo la serata con Sofia, pensavo di aver finalmente messo un po' di distanza tra me e Carla, ma evidentemente sbagliavo. Il messaggio era diretto, freddo: "Vieni a prendermi, dobbiamo parlare."

Non c’era nessun segno di cortesia, nessun "ciao" o "come stai." La rabbia montò dentro di me, ma allo stesso tempo sentivo un'attrazione inspiegabile che mi spingeva ad assecondarla. Le risposi di sì, senza fare altre domande. Preparai in fretta la macchina e mi misi in viaggio verso casa sua.

Arrivato lì, lei mi stava già aspettando. Per una volta, era puntuale. Indossava un vestito corto, sempre provocante, con uno spacco vertiginoso che metteva in mostra le sue gambe abbronzate. Appena salì in macchina, non si preoccupò di salutarmi, né di spiegarmi perché volesse vedermi. Il silenzio tra di noi era carico di tensione.

Guidai verso un parcheggio isolato, come mi aveva chiesto. Non capivo dove volesse andare a parare, ma sentivo che c’era qualcosa di irrisolto tra di noi, un’energia che sembrava pronta a esplodere.

Fermata l'auto, spegnemmo il motore e il silenzio riempì l'aria. Carla finalmente parlò, ma le sue parole erano pungenti come al solito: "Allora, sei uscito con quella sciacquetta solo per farmi ingelosire?"

Provai a mantenere il controllo, ma la sua arroganza mi faceva ribollire il sangue. "Non ti riguarda con chi esco. Tanto tu di me non te ne frega nulla, giusto? Sei solo una troia viziata, Carla."

Fu in quel momento che la sua espressione cambiò. Gli occhi si strinsero in una rabbia incontrollata, e prima che potessi reagire, la sua mano si schiantò violentemente contro la mia guancia. Lo schiaffo risuonò nell’auto e il dolore bruciante sul viso mi lasciò di stucco. La sua violenza non mi sorprese del tutto, ma la sua intensità sì.

"Ma chi cazzo credi di essere?" sibilò, il petto ansimante per la rabbia. "Tu non sei nessuno, e se pensi di potermi parlare così ti sbagli di grosso!"

Le afferrai il polso, cercando di prendere il controllo della situazione. "Basta, Carla. Non puoi trattarmi così. Non sono il tuo giocattolo."

Lei sorrise, un sorriso crudele e pieno di disprezzo. "Ah sì? E cosa pensi di fare, eh? Crederti forte? Non hai idea di chi comanda qui."

Le sue parole mi infiammarono ancora di più, e prima che potessi rendermene conto, eravamo faccia a faccia, entrambi colmi di rabbia. Il mio respiro era pesante, e anche il suo. Ci fissavamo, nessuno disposto a cedere. Poi, in un attimo di pura follia, le nostre bocche si scontrarono in un bacio violento, carico di desiderio e rabbia.

Carla non cedeva il controllo, anche in quel momento. Mi spingeva contro il sedile, le sue mani che afferravano con forza i miei capelli, mentre io cercavo di rispondere alla sua aggressività. Il sapore delle sue labbra era inebriante, e ogni insulto che ci eravamo lanciati sembrava svanire, sostituito da una passione sfrenata e irrazionale.

Le sue mani scesero verso il mio petto, graffiandomi attraverso la maglietta, mentre i suoi occhi mi sfidavano a resistere. Il suo corpo si muoveva contro il mio in un ritmo frenetico, e io ero totalmente preso nel suo gioco. Provai a prenderla per i fianchi, a cercare di ribaltare la situazione, ma lei mi bloccò, spingendomi indietro con forza.

"Non ti azzardare a comandare tu," sussurrò, mordendosi il labbro, il viso ancora colmo di disprezzo misto a desiderio. Poi, con un gesto deciso, si strinse ancora più vicina a me, il suo seno premeva contro il mio petto e il suo respiro caldo mi sfiorava la pelle.

L'intensità della situazione era talmente forte che non riuscivo a pensare razionalmente. Ero completamente nelle sue mani, e Carla lo sapeva.

La tensione tra di noi continuava a crescere, mescolandosi con il desiderio che ci aveva avvolti. Carla, sempre più aggressiva, tirò via la mia maglietta con un gesto rapido, mentre io affondavo le mani nei suoi fianchi, cercando di prendere il controllo. Ma lei, implacabile, mi spinse ancora una volta contro il sedile, guardandomi con quel suo sguardo di sfida che sembrava scavare dentro di me.

"Mica pensavi di comandare, vero? Sei sempre lo stesso coglione che non sa stare al suo posto," disse, con un ghigno sprezzante sulle labbra.

Mi ribollì il sangue. "Non sei tu a decidere cosa voglio fare, Carla. Sei solo una... una troia viziata!"

Le parole scivolarono fuori prima che potessi fermarle, e per un istante vidi il fuoco nei suoi occhi crescere, prima che mi afferrasse per il colletto, il viso a pochi centimetri dal mio. "Ripetilo, dai. Non hai le palle di reggere il gioco, ma io sì."

Non avevo intenzione di fermarmi. La sua arroganza mi faceva impazzire, e in qualche modo, rendeva tutto più elettrizzante. In quel momento, la tensione tra rabbia e passione era così forte che entrambi volevamo spingerci oltre, vedere chi avrebbe ceduto per primo.

Le sue mani scesero rapide sui miei pantaloni, sbottonandoli con una destrezza irritante, mentre con un gesto deciso mi bloccava contro il sedile, il suo corpo che iniziava a muoversi contro il mio. Era tutto troppo rapido, troppo intenso, e non riuscivo a pensare con lucidità.

Ma mentre i nostri corpi si avvicinavano, continuavamo a litigare. "Sei solo una stronza che non sa come farsi rispettare. E questo è l'unico modo che conosci per avere qualcuno sotto il tuo controllo, vero?" le dissi, cercando di colpire nel segno, ma le sue mani sul mio petto mi bloccavano ogni possibilità di reazione.

"Sai cosa sei? Un fallito che non sa stare al mondo senza una donna a dirgli cosa fare. Ti eccita che comandi io, non fare finta di essere forte," ribatté, mordendosi il labbro mentre tirava via il resto dei miei vestiti.

Sentivo ogni fibra del mio corpo teso, diviso tra il desiderio di ribellarmi e la voglia di lasciarmi andare completamente a quel momento. Le mie mani cercarono i suoi fianchi, i suoi seni che premevano contro di me mentre lei si muoveva sempre più vicina. Ma ogni volta che provavo a guidare io, a prendere l'iniziativa, lei mi respingeva, mantenendo saldamente il controllo.

I vestiti erano ormai un ricordo lontano. Lei si mosse sopra di me, dominando ogni respiro, ogni gesto. Era un miscuglio di forza e seduzione, e sapeva come tenermi in bilico tra il desiderio e la frustrazione.

"Sono io che decido come finirà questa storia," sussurrò contro il mio orecchio, il suo tono dolce e velenoso allo stesso tempo. Il suo corpo si contorceva con una grazia innata mentre continuava a dettare le regole, provocando ogni mio nervo.

Nonostante l'intensità del momento, le nostre bocche continuavano a insultarsi, le mani ad affondare nei corpi. Ogni parola era un colpo, ogni gesto una sfida. Ma sotto tutto quello, c’era una passione primordiale che non riuscivamo a fermare.

Mentre succhiavo con foga i suoi capezzoli, Carla gemeva con quel suo tono sporco e provocatorio, il suo corpo che si muoveva a ritmo contro di me, strusciandosi con ogni parte possibile, accendendo il desiderio in entrambi. Il suo seno era morbido e invitante, ed era una lotta per me non perdermi completamente in quel piacere intenso che ci travolgeva.

Ma mentre le nostre mani e i nostri corpi continuavano a cercarsi, tra un respiro spezzato e l'altro, mi uscì qualcosa che non avevo calcolato. Forse era la tensione, forse la rabbia accumulata, ma le parole che le dissi la colpirono più forte di quanto avessi immaginato.

"Non vali niente senza tutto questo, senza il tuo corpo... non hai nulla."

Le parole la ferirono profondamente. Lo vidi subito, nei suoi occhi che per un attimo persero quel luccichio di superiorità, la maschera che aveva indossato fino a quel momento sembrò vacillare. Mi guardò, sorpresa, e per un istante il suo controllo su di me sembrava spezzato.

Quella breve esitazione mi diede la forza di prendere il comando. Prima che potesse riprendersi del tutto, la afferrai per i capelli, tirandola verso di me con una fermezza che non aveva mai sperimentato da parte mia. Carla cercò di reagire, ma la mia presa era decisa, ed era chiaro che la dinamica stava cambiando.

La feci inginocchiare davanti a me, il suo viso costretto vicino alla mia intimità. Lei era ancora sotto shock per le mie parole, e per la prima volta, sembrava essere costretta a seguire una mia volontà, qualcosa che non era accaduto prima.

"Fammi vedere che sai fare, se proprio vuoi giocare," le dissi con un tono che sapevo l'avrebbe irritata, ma che ora sentivo di poter sostenere. Carla, con un misto di rabbia e desiderio, mi guardò dal basso verso l'alto, e per un attimo sembrava voler resistere.

Poi, senza dire una parola, lasciò che la sua bocca si avvicinasse alla mia intimità, prendendola con una sensualità che solo lei sapeva usare, ma questa volta, c'era un'ombra di sottomissione che non le avevo mai visto. Sentivo il suo respiro caldo e la sua lingua che cominciava a darmi piacere, mentre le sue mani mi stringevano le cosce, e io la trattenevo per i capelli, guidandola con la mia forza, assaporando ogni secondo di quella nuova dinamica tra noi.

Ogni movimento della sua bocca era una dimostrazione del suo desiderio misto a frustrazione, e nonostante continuassimo a litigare e a insultarci, il nostro gioco di potere aveva raggiunto un nuovo livello, più profondo e travolgente.

Mentre Carla si muoveva con la sua bocca intorno alla mia intimità, ogni secondo sembrava più intenso, il suo controllo su di me ancora presente, ma questa volta c'era qualcosa di diverso. Sentivo il calore del suo respiro, la sua lingua che lavorava con abilità, e ogni movimento sembrava voler riaccendere quella tensione che era sempre lì tra di noi, ma con una sfumatura nuova, quasi selvaggia.

Le sue mani si aggrappavano alle mie cosce, stringendo con forza mentre mi portava al limite del piacere. Ogni suo gesto era un misto di sfida e passione, come se non volesse cedere del tutto, ma allo stesso tempo non riuscisse a trattenersi. I suoi gemiti soffocati, il suono della sua bocca che si muoveva con avidità, creavano un ritmo che mi stava spingendo sempre più vicino al culmine.

Non riuscivo a trattenermi più. La mia mano stretta nei suoi capelli la guidava, e quando arrivò il momento, il mio piacere esplose, riempiendo la sua gola. Carla non si fermò nemmeno un istante, continuando a succhiare con la stessa intensità, come se stesse prendendo possesso di ogni mio respiro.

La tirai su per il volto, afferrandola con decisione, il mio sguardo fisso nei suoi occhi che ora sembravano quasi sottomessi. "Non sputare neanche una goccia nella macchina," le dissi, la mia voce un sussurro carico di autorità.

Per un istante, Carla sembrava sul punto di ribellarsi, ma poi, con un misto di provocazione e accettazione, ingoiò senza dire una parola. Era come se avesse voluto dimostrare di poter gestire tutto, persino la mia richiesta, mantenendo quel suo atteggiamento sfacciato fino alla fine.

Proprio mentre mi stavo preparando a fare il passo successivo, a spingere ancora oltre quel momento già così carico di tensione e desiderio, lei mi fermò. Con una voce improvvisamente più morbida, quasi distaccata, disse: "Per favore, mi porti a casa?"

La sua richiesta mi colse di sorpresa. Era come se in un attimo tutto quel fuoco che avevamo condiviso si fosse spento, come se avesse deciso che bastava così per quella notte. La guardai per un momento, cercando di capire se stesse giocando, ma i suoi occhi mi dicevano che era seria.

Senza replicare, feci un cenno e accesi la macchina. Il viaggio verso casa fu silenzioso, quasi irreale dopo tutto quello che era appena successo. Carla sembrava essersi chiusa in se stessa, come se il gioco fosse finito, e per lei, almeno per quel momento, non ci fosse altro da dire o fare.

Quando arrivammo sotto casa sua, il silenzio tra di noi era quasi insopportabile. Carla si voltò verso di me, e quello che vidi nei suoi occhi mi lasciò senza parole. Non erano gli occhi di una ragazza sfacciata e sicura di sé, ma quelli di qualcuno che stava lottando contro le proprie insicurezze. Mi guardava con uno sguardo che sembrava volesse piangere, la voce rotta da un'emozione che non le avevo mai visto prima. "Secondo te valgo qualcosa solo per il mio corpo?"

Quelle parole mi colpirono come un pugno. Mi resi conto, in quell'istante, che avevo esagerato. Nel nostro gioco di potere, nel nostro continuo sfidarci, avevo dimenticato chi fosse davvero Carla sotto quella maschera di sicurezza e provocazione. Sapevo da sempre che, sotto la superficie, era una ragazza insicura, e quello che avevo appena detto l'aveva ferita nel profondo.

Senza pensarci, la presi tra le braccia. Sentii il suo corpo irrigidirsi per un attimo, come se non fosse abituata a ricevere affetto in quel modo, poi lentamente si rilassò. Non era più la Carla dura e spavalda che conoscevo, quella che mi teneva sotto scacco con il suo sguardo provocante e la lingua tagliente. In quel momento, tra le mie braccia, c’era solo una ragazza spaventata, fragile, che si nascondeva dietro una corazza di bellezza e arroganza.

"Mi dispiace," le sussurrai vicino all’orecchio, cercando di rassicurarla. "Non volevo ferirti così. So che sei molto più di quello che mostri. Sei intelligente, forte, ma so anche che c'è un lato di te che forse hai paura di mostrare. Il tuo lato sensibile, il tuo lato vero. Ed è quello che vale davvero."

Lei restò in silenzio, i suoi occhi persi nel vuoto, ma sentivo che quelle parole l'avevano raggiunta. Non cercai di spingere oltre, non volevo che quel momento si trasformasse in qualcosa di forzato. Carla non era abituata a mostrarsi vulnerabile, e quel breve momento di debolezza era già un segnale importante.

Le accarezzai i capelli, cercando di farle capire che non doveva continuare a nascondersi dietro la sua bellezza e le sue provocazioni. "Non devi essere sempre forte," le dissi piano. "Non devi sempre usare il tuo corpo come scudo. Ci sono tante cose belle in te, e vale la pena mostrarle, non nasconderle."

Sentii il suo respiro farsi più regolare, il suo corpo rilassarsi contro il mio. Non rispose subito, ma il silenzio che seguì sembrava carico di una nuova consapevolezza. Carla non era abituata a ricevere parole del genere, né a farsi vedere per quello che era davvero. In quel momento, però, tra le mie braccia, sembrava quasi pronta a lasciarsi andare, a mostrare qualcosa di più di quello che aveva sempre mostrato al mondo.

Finalmente Carla ruppe il silenzio, ma la sua voce era diversa, più fragile, quasi un sussurro. "Per favore, non vedere mai più Sofia," disse, con una dolcezza che non le avevo mai sentito prima. Quelle parole mi colsero di sorpresa, ma allo stesso tempo mi fecero sorridere.

Provai a sdrammatizzare, cercando di alleggerire l’atmosfera. "Dopo quello che è successo prima... non penso proprio di rivederla," risposi con un sorriso malizioso, sperando di strapparle almeno un mezzo sorriso. Il mio tono era scherzoso, ma sotto sotto sapevo che c’era qualcosa di vero nelle mie parole. Qualcosa tra noi era cambiato, un legame più profondo si era creato, anche se non era chiaro cosa sarebbe successo da quel momento in poi.

Lei scosse la testa, e per un attimo vidi la Carla di sempre tornare. La sua maschera di sicurezza tornava a prendere forma, ma dietro quegli occhi c’era ancora la traccia di quel momento di vulnerabilità. Forse, per la prima volta, mi stava mostrando una parte di sé che non aveva mai rivelato a nessuno.

La salutai con un cenno e un sorriso, mentre lei scendeva dalla macchina. Non ci fu bisogno di altre parole. Ci guardammo un’ultima volta prima che chiudesse la portiera e si dirigesse verso casa. Mentre la osservavo sparire sotto la pioggia, sapevo che, anche se nulla era stato detto apertamente, qualcosa tra noi era inevitabilmente cambiato. Forse quel gioco perverso di potere non era finito, ma il suo volto, il suo sguardo e la sua richiesta non avevano più il solito alone di provocazione.

Accesi la macchina e mi rimisi in marcia. Ero consapevole che la nostra relazione fosse complicata, ma per qualche motivo, mi sentivo più legato a lei che mai.

Fu solo una volta tornato a casa che il mio telefono vibrò. Un messaggio. Lo aprii senza troppe aspettative, ma rimasi sorpreso nel leggere:

*"Che ne dici se domani vieni da me e facciamo dei biscotti?"*

Rimasi a fissare lo schermo per un momento, incredulo. Carla? Biscotti? Non era assolutamente da lei. Di solito le sue proposte erano molto più provocatorie, taglienti, e di certo non includevano nulla che avesse a che fare con cucinare insieme. Questa richiesta sembrava quasi fuori luogo, distante dalla ragazza che conoscevo, quella che giocava con il potere e l'ironia pungente.

Eppure, dentro di me si accese una curiosità. Forse era la sua prima vera apertura, una finestra su una parte di lei che finora aveva tenuto ben nascosta, un tentativo di avvicinarsi in modo diverso, senza maschere, senza sfide continue. Carla che mi invitava a fare biscotti? Non era da lei, ma qualcosa mi spingeva ad accettare.

Senza battere ciglio, le risposi con un semplice:

*"Va bene, a che ora?"*

E mentre chiudevo il telefono, non potevo fare a meno di chiedermi cosa mi aspettasse il giorno dopo. Forse era solo una scusa, un altro gioco. O forse, per la prima volta, avrei conosciuto una Carla più onesta con se stessa.
scritto il
2024-10-24
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