Val, l’amica di mia sorella - capitolo 2: uno stupido amore

di
genere
sentimentali

Dormire abbracciato a Valeria, quell’amichetta di mia sorella che mi aveva sempre snervato, fu la sensazione più bella che avessi mai provato. Sentivo il suo respiro calmo sul mio petto, il calore del suo corpo che si fondeva col mio, e per un momento mi parve che tutto fosse esattamente al suo posto. Ma sapevo che non sarebbe durato.
Mi svegliai di colpo poco prima delle otto, un panico improvviso mi assalì. Se Anna ci avesse trovati così, a letto insieme, sarebbe stato un disastro. Non c’era dubbio che avrebbe urlato contro di noi e messo in discussione ogni cosa. Valeria era ancora abbracciata a me, il suo viso sereno e i suoi capelli che le ricadevano morbidi sulle spalle, indossando ancora la mia felpa aperta.
"Val..." sussurrai scuotendola piano, cercando di svegliarla senza spaventarla.
Lei gemette leggermente, poi aprì gli occhi con uno sguardo un po’ confuso e assonnato. "Che ore sono?" chiese con voce roca, strofinandosi gli occhi.
"Quasi le otto. Devi tornare in camera di Anna prima che si svegli e scopra tutto."
Ci mise un attimo a realizzare, ma poi si tirò su in fretta. "Cavolo, hai ragione!" disse, la voce ora più sveglia. Si sistemò i capelli e chiuse la felpa, cercando di sembrare il più normale possibile.
La guardai muoversi, ancora un po’ goffa per il sonno. Nonostante la situazione, non potevo fare a meno di notare quanto fosse carina in quel momento, con le guance leggermente rosate e l'aria imbarazzata. E poi c'era quel sorriso accennato che si portava dietro, come un segreto condiviso tra noi due.
Valeria si voltò verso di me prima di uscire dalla stanza, mordendosi leggermente il labbro come per trattenere qualcosa. "Grazie per... tutto, ieri sera," mormorò con dolcezza, abbassando lo sguardo.
Le feci un cenno con la testa, cercando di nascondere l’agitazione. "Nessun problema, Val. Ora vai, prima che qualcuno ci scopra."
Lei uscì silenziosa dalla mia stanza, lasciandomi con una sensazione contrastante: il sollievo di aver evitato il peggio e una nostalgia improvvisa per il calore di quell'abbraccio che mi aveva fatto sentire incredibilmente bene. Restai lì seduto per qualche secondo, con lo sguardo fisso sulla porta, chiedendomi come avremmo potuto affrontare la giornata fingendo che niente fosse successo. Ma sapevo già che sarebbe stato impossibile.

Poco più tardi quella mattina, dopo che le ragazze erano andate via, mi ritrovai a fissare il vuoto. Un senso di mancanza mi aveva preso alla sprovvista, un vuoto difficile da ignorare. Pensavo a Valeria, al suo sorriso, al suo abbraccio. Avevo una voglia irrefrenabile di rivederla, ma cercavo di soffocarla, ripetendomi che non dovevo complicare le cose.
Ero ancora immerso in quei pensieri quando la porta della mia stanza si spalancò di colpo, senza nemmeno un colpo di avvertimento. Anna, con il suo fare diretto e un sopracciglio alzato, fece irruzione.
"Ma che cavolo fai? Non sai bussare?" sbottai, cercando di sembrare il più normale possibile.
Lei incrociò le braccia, ignorando la mia protesta. "Non cambiare discorso. Perché Valeria aveva la tua felpa stamattina?"
Un tuffo al cuore. Non pensavo che se ne fosse accorta. Rimasi un attimo in silenzio, cercando una risposta plausibile. "Mi ha chiesto qualcosa perché aveva freddo," dissi infine con noncuranza, cercando di sembrare convincente.
Anna mi scrutò con attenzione, come se stesse cercando di leggere tra le righe. "Ah sì? E com'è che ti ha chiesto qualcosa? Non vi sopportate, di solito."
Alzai le spalle, facendo il possibile per non sembrare nervoso. "Evidentemente il freddo ha superato l'odio," dissi con un sorriso ironico.
Anna socchiuse gli occhi, chiaramente non convinta. "Tu e Valeria non avete mai avuto una conversazione normale in vita vostra. E adesso lei dorme da me e al mattino ha addosso la tua felpa? Mi sembra un po’ strano, non credi?"
Cercai di mantenere la calma. "Forse ci siamo solo comportati come persone civili per una volta. Non è che ci sia qualcosa di strano, Anna."
Lei rimase in silenzio per un momento, il suo sguardo sospettoso ma anche confuso. Forse il nostro astio passato era la mia salvezza: per quanto sospettasse qualcosa, l'idea che tra me e Valeria potesse esserci qualcosa di diverso sembrava troppo assurda persino per lei.
Alla fine, scrollò le spalle. "Va bene, se lo dici tu. Ma sappi che ti tengo d'occhio, Ale. Non provare a fare cavolate con le mie amiche."
Le lanciai un’occhiata esasperata. "Oh, per favore. Come se Valeria fosse interessata a me. E poi, non è che io voglia avere a che fare con quella piaga."
Anna rise, apparentemente rassicurata. "Già, è vero. Lei è troppo per te. Beh, meglio così."
Fece per andarsene, ma si fermò un attimo sulla soglia. "Ah, e la prossima volta che qualcuno prende una tua felpa, ricordati che non è un hotel qui. Dille di portarsi un pigiama migliore."
La guardai mentre usciva dalla stanza, sentendo il cuore che mi martellava nel petto. Anna poteva non essere del tutto convinta, ma per il momento sembrava accontentarsi della mia risposta. Mi lasciai ricadere sul letto, chiedendomi quanto a lungo avremmo potuto nascondere ciò che era successo.

Durante tutta la giornata, la mia mente era intrappolata in un unico pensiero: Valeria. Ero ossessionato, come se la sua immagine non mi lasciasse un attimo di respiro. Mi tormentavo per ogni singolo dettaglio della notte appena trascorsa e per il modo in cui mi aveva guardato prima di andare via quella mattina.
A pranzo, Anna si sedette di fronte a me, pronta a divorare la sua solita montagna di cibo. Io la fissavo, apparentemente distratto, mentre cercavo un modo per estrapolare qualche informazione utile senza destare sospetti.
"Cos'hai oggi, Ale? Sembri più strano del solito," mi chiese con un sorrisetto.
"Strano io? Forse è perché ho avuto il trauma di averti davanti al naso ogni singolo giorno della mia vita," risposi sarcastico, prendendo un pezzo di pane dal cestino.
"Ah, ah, simpaticone," rispose, rotolando gli occhi. "Cosa c'è stavolta? Cosa vuoi?"
"Nulla, stavo solo pensando… oggi non hai lezioni? Di solito il martedì sei fuori tutto il giorno."
"Eh no, oggi niente giornata lunga," mi rispose, spezzando un pezzo di focaccia con le mani. "Abbiamo solo due ore, dalle due alle quattro. Una cosa inutile, ma tant’è."
"Ah," dissi, fingendo indifferenza. "E le tue amiche ci vanno comunque?"
Anna annuì, masticando. "Sì, Valeria e Sofia ci vanno. Io invece ho da studiare, non posso perdere tempo per due ore inutili."
Un lampo mi attraversò la mente. Era l’occasione perfetta. Senza Anna tra i piedi, potevo trovare Valeria e parlarle senza il rischio di venire scoperto. Cercai di non mostrare troppo entusiasmo.
"Non mi dire che la secchiona di casa salta l'università," la presi in giro, cercando di mantenere un tono leggero.
"Beh, almeno io ci vado di solito, non come te che in quella facoltà ci entri solo per la macchinetta del caffè," mi rispose, ridendo.
"Senti chi parla," ribattei con un sorriso. "Comunque, hai ragione. Due ore di lezione sono una perdita di tempo. Fai bene a stare a casa."
Anna mi guardò per un attimo, probabilmente sorpresa dalla mia risposta accomodante, ma non disse nulla. Io continuai a mangiare, cercando di trattenere il sorriso.
Finalmente avevo il piano perfetto. Alle due, Valeria sarebbe stata lì, senza quella gnoma fastidiosa di mia sorella a fare da guardiana. Era un'occasione troppo ghiotta per lasciarmela sfuggire.

Era tutto programmato nella mia mente. Sarebbe stato un incontro casuale, uno di quelli che sembrano succedere senza alcuna intenzione, eppure calcolati al millimetro. L'idea era semplice: avrei incontrato le ragazze nei corridoi dell’università, mi sarei unito alla loro conversazione, e da lì avrei trovato il modo di accompagnare Valeria a casa.
Quando finalmente le vidi, stavano chiacchierando vicino alla macchinetta del caffè. Valeria e Sofia sembravano immerse in qualche discorso animato.
"Ma guarda chi si vede!" esclamò Sofia appena mi notò, con un sorriso divertito. "Ale all’università? È successo qualcosa di grave o hai perso una scommessa?"
"Incredibile," intervenne Valeria, incrociando le braccia. "Pensavo che questi corridoi ti fossero ormai sconosciuti. Chi ti ha dato le indicazioni?"
Ridacchiai, alzando le mani in segno di resa. "Ma guarda che accoglienza! Sono qui per verificare se la mia sorellina e le sue amiche fanno davvero qualcosa o se passano il tempo a spettegolare."
"Beh, almeno noi veniamo qui," ribatté Valeria, stringendo leggermente gli occhi. "Tu probabilmente sei qui perché ti sei perso andando al bar."
"Touché," dissi con un sorriso. "Comunque, non mi lamento, ho trovato due facce note. Sempre meglio che dover parlare con i miei professori."
Sofia rise, scuotendo la testa. "Non cambierai mai. Ma sai che abbiamo solo due ore oggi, vero? La tua visita improvvisata è proprio inutile."
"Non più inutile della mia compagnia," scherzai, ma il mio sguardo si posò su Valeria. Il solo rivederla mi faceva perdere la testa.
Proprio in quel momento, un ragazzo alto, palestrato e palesemente uscito da un catalogo di moda — una sorta di "American College Boy" stereotipato — si avvicinò a noi, dirigendosi dritto verso Valeria.
"Ehi, Val," disse con un sorriso smagliante, ignorando completamente me e Sofia. "Hai due minuti? Ho bisogno di un chiarimento sulla lezione di economia."
Economia? Sì, certo, come no. Era ovvio che aveva altre intenzioni. Valeria, con la sua solita dolcezza, annuì e si staccò dal gruppo per ascoltarlo.
Io rimasi lì, in silenzio, ma dentro il cuore mi stava per scoppiare. Lo osservai mentre le parlava, piegandosi leggermente verso di la mia valeria con un atteggiamento che urlava "voglio piacerti." Ogni sorriso che le lanciava mi faceva ribollire.
Eppure, ciò che mi colpiva di più era il modo in cui mi sentivo: gelosia, rabbia, e un disperato bisogno di riaverla per me. Era una sensazione che non mi aspettavo e che mi lasciava spiazzato.
"Ma aspetto un attimo," mi dissi, stringendo i pugni. "La mia Valeria? Da quando è diventata 'mia'? È bastata una notte per farmi perdere completamente il controllo? Abbiamo sempre litigato, detestandoci a vicenda... e ora non riesco a smettere di desiderarla."
Provai a mascherare il turbinio di emozioni, ma Sofia mi osservava con uno sguardo curioso. "Tutto bene, Ale?" chiese, inclinando la testa.
"Perfettamente," mentii, con un sorriso tirato. Ma dentro stavo impazzendo.

Mentre fissavo con occhi pieni di odio quel ridicolo ragazzo stereotipato, cercai di concentrarmi sulla conversazione con Sofia per non sembrare troppo evidente. Lei parlava delle sue lezioni, ma il mio sguardo continuava a tornare su Valeria e quel tipo, che sembrava non voler staccare gli occhi da lei. Finalmente, dopo una serie di sorrisi forzati e cenni di assenso, Valeria riuscì a liberarsi e tornare da noi.
"Ale, sei stranamente silenzioso," notò Sofia con una risata. "Troppa università in una volta sola per te?"
"Più che altro, troppi idioti concentrati in un solo corridoio," risposi secco, lanciando un’occhiata al ragazzo ormai allontanatosi. Valeria alzò un sopracciglio, intuendo la mia frecciatina, ma non disse nulla.
Proprio mentre lei si aggiustava lo zaino sulle spalle, dissi con apparente nonchalance: "Ehi, comunque anche io finisco alle 16. Posso darvi un passaggio, se volete."
Sofia si voltò verso di me sorpresa. "Davvero? Che premura da parte tua!"
"Beh, sai com'è, sono un altruista," risposi ironico, cercando di nascondere il fatto che il mio vero obiettivo era Valeria.
Valeria mi guardò per qualche secondo, come se stesse cercando di decifrare le mie intenzioni. "Okay, grazie," disse infine con un sorriso.
Non potevo credere alle mie orecchie. Mi aspettavo che Sofia si tirasse indietro, magari dicendo che avrebbe aspettato sua sorella o che non aveva bisogno. E invece, con mia sorpresa, accettò anche lei.
"Che gentilezza inaspettata," aggiunse Sofia, sorridendo. "Allora ti scriviamo quando finiamo lezione."
"Perfetto," dissi con un tono tranquillo, ma dentro di me mi stavo mordendo le mani.
"Uffa, ma perché non l’ho detto solo a Valeria? Ora dovrò sopportare entrambe."
Le ragazze si avviarono verso la loro aula, mentre io rimasi lì per un attimo a riflettere sulle mie scelte di vita discutibili. Avrei potuto giocare meglio le mie carte, ma almeno avevo un’occasione. Non mi restava che aspettare.

Dopo due ore passate a scarabocchiare sul quaderno, sognando il sorriso di Valeria e maledicendo la lentezza del tempo, finalmente arrivò il messaggio di Sofia:
"Siamo fuori, ti aspettiamo all’uscita."
Non persi tempo, infilai il quaderno nello zaino e mi precipitai all’uscita. Appena le vidi, Valeria mi lanciò il suo solito sorriso ironico, mentre Sofia mi salutò con un gesto della mano.
"Guarda chi si rivede," disse Valeria con un tono sarcastico. "L'esploratore dell'università. Sei sicuro di non esserti perso tra i corridoi?"
"Divertente come sempre, Val," risposi con finta esasperazione. "Anche se, detto da una che ha appena avuto un’ora di lezione su PowerPoint, non mi preoccupa più di tanto."
Sofia ridacchiò. "In realtà, abbiamo avuto anche una parte teorica su reti... comunque, grazie ancora per il passaggio!"
"Di niente, che cavaliere sarei se non accompagnassi due damigelle in difficoltà?" dissi con un tono teatrale, guadagnandomi un’occhiata perplessa da Valeria.
"Damigelle in difficoltà? Ma sei serio?" rise lei. "Forse hai bisogno di rivedere i tuoi concetti di galanteria."
Mentre camminavamo verso l’auto, la conversazione si mantenne leggera. Sofia parlava delle sue prossime lezioni e dei piani per il weekend, mentre Valeria non perdeva occasione per punzecchiarmi.
"Allora, Ale," iniziò Valeria, "cos'hai combinato oggi mentre noi ci istruiamo per un futuro brillante?"
"Beh, a parte riflettere sul mistero di come tu sia ancora single?" risposi.
"Molto originale," ribatté Val, sorridendo appena.
Salimmo in macchina e, sfortunatamente, Valeria si mise dietro, lasciandomi con un vuoto indescrivibile. Avrei voluto parlare solo con lei, ma Sofia continuava a raccontarmi qualcosa che non riuscivo a seguire del tutto, distratto dai movimenti di Valeria nello specchietto retrovisore.
Proprio mentre mi stavo rassegnando al fatto che il nostro momento sarebbe stato breve, Valeria lanciò la sua esca con naturalezza:
"Ehi, Ale, visto che stai facendo il tassista, puoi darmi un passaggio in centro? Devo fare un servizio e sarebbe un problema trovare parcheggio."
Sofia guardò Valeria, sollevando un sopracciglio. "Oh, allora lasciami pure a casa prima, così non faccio perdere tempo a nessuno."
Era come sentire un coro di angeli.
"Chi sono io per dire di no?" risposi con un tono volutamente provocatorio.
"Un no non l’avresti mai detto," sussurrò Valeria dietro di me, ridacchiando.
Sorrisi. Finalmente, un momento da solo con lei.

Sofia scese dalla macchina con un sorriso e un rapido "Grazie, Ale!" mentre io annuivo distrattamente. Non appena chiusi lo sportello e ripartii, sentii un movimento improvviso dietro di me.
Valeria, con la sua solita grazia e un pizzico di goffaggine, si lanciò in avanti appoggiandosi tra i due sedili.
"Wow," disse con un sorrisetto, guardandomi di lato. "Ti sono rimasta così impressa che non vedevi l'ora di vedermi, eh?"
Alzai un sopracciglio, cercando di mantenere un tono di superiorità. "Certo, Val, perché passare un pomeriggio con te è il sogno di ogni uomo, no?"
"Ah, ammettilo," insistette, ridacchiando. "Hai trovato la scusa perfetta per venire all’università solo per me. Una dedica da manuale."
"Già, immagino che la mia vita ruoti attorno a te," ribattei sarcastico, lanciandole un'occhiata veloce nello specchietto. "Ma la verità è che avevo un appuntamento col distributore di snack della tua facoltà. Sai, lui sì che mi capisce."
Valeria scoppiò a ridere, quel tipo di risata che illuminava tutto, e si sistemò meglio tra i sedili.
"Comunque," dissi, cercando di cambiare discorso, "cosa devi fare in centro?"
Lei fece un'espressione misteriosa e poi, con la sua solita aria provocatoria, rispose: "Ah, sai, ho un appuntamento con un ragazzo."
Le sue parole colpirono come una pugnalata. Il mio cuore si fermò per un istante, poi si frantumò. Mi sforzai di mantenere un’espressione neutra, ma evidentemente non ci riuscii, perché lei, notandolo, scoppiò a ridere come una scema.
"Oh mio Dio," disse tra le risate, soffocando a stento, "hai visto la tua faccia? Sei patetico, Ale!"
"Molto divertente," mormorai, fingendo di non darle peso.
"Sai," continuò, ancora ridendo, "questo ragazzo è un vero idiota. Oggi è addirittura venuto a prendermi all’università perché, a quanto pare, non riesce a vivere senza di me."
Le sue parole mi colpirono di nuovo, ma questa volta il mio cuore, miracolosamente, si ricompose. Mi girai leggermente verso di lei, alzando un sopracciglio.
"Ah, interessante," risposi con finta nonchalance. "Beh, forse questo ragazzo ti porta a fare qualcosa di bello."
Valeria sorrise, inclinando la testa. "Dipende. Per ora mi sta portando in centro. Il resto... vedremo se è all'altezza."
"Già, deve essere davvero speciale," replicai, lanciandole un'occhiata veloce e trattenendo a stento un sorriso. Quella ragazza aveva un potere assurdo su di me.

Valeria continuava a guardarmi con quel sorrisetto ironico che non riuscivo mai a toglierle dal viso.
"Quindi," disse con tono canzonatorio, "mi devi una felpa, eh? Davvero generoso da parte tua prestarmela, ma non sei un po’ esagerato?"
"Esagerato? Se non fosse per me, adesso saresti un blocco di ghiaccio," risposi, alzando un sopracciglio. "Anzi, ti dirò, potrei chiederti un risarcimento."
"Ah sì? E cosa vorresti in cambio, signor generoso?" chiese, ridacchiando.
"Ci penserò," dissi con un sorriso enigmatico, fissando la strada.
Mentre arrivavamo in centro, però, non mi fermai. Valeria alzò un sopracciglio, incuriosita.
"Scusa, ma dove stiamo andando?" domandò, cercando di nascondere un sorriso divertito.
Indicai fuori dal finestrino. "Guarda meglio."
Il mare si stendeva davanti a noi, tranquillo e splendente sotto la luce del tramonto che iniziava a colorare il cielo.
"Oh," disse, sorpresa, poi scoppiò a ridere. "Non credevo fossi uno tanto romantico. Pensavo ti piacessero i posti fighetti: i bar, le terrazze di lusso, quelle cose lì."
Sorrisi, scuotendo la testa. "Sei proprio stupida."
Parcheggiai e scendemmo, iniziando a scendere le scale verso la spiaggia desolata. Il suono delle onde e l’odore di salsedine ci avvolgevano, rendendo l’atmosfera intima e perfetta.
Camminavamo vicini, così vicini che la mia mano sfiorò la sua. Istintivamente la presi, intrecciando le dita alle sue. Valeria mi lanciò uno sguardo di sorpresa, ma non disse nulla, limitandosi a stringerla piano, come se fosse la cosa più naturale al mondo.
"Toglimi una curiosità," iniziò, rompendomi il momento con un sorriso provocatorio. "Ti è scattata all’improvviso questa vena da principe azzurro, o hai sempre avuto una passione segreta per le spiagge romantiche?"
"Non ti sforzare troppo, Val, lo sai che è tutta colpa tua," risposi, togliendomi le scarpe.
Lei mi imitò, ridendo. "Wow, piedi nudi sulla sabbia e un tramonto imminente. Sai, Ale, ti mancano solo i petali di rosa e una dichiarazione struggente. Complimenti per l'impegno."
"Continua a parlare, Val. Ti ricordo che sono stato io a portarti qui," ribattei.
Ci fermammo, i piedi affondati nella sabbia fresca. Per un attimo ci fu solo il rumore del mare e quel tramonto mozzafiato, poi Valeria si girò verso di me con uno sguardo divertito e la sua solita aria da sciocca.
"Se non mi prendi, sei gay!" disse, ridendo come una bambina e scattando via come una pazza.
"Valeria!" urlai, incredulo, prima di mettermi a rincorrerla.
Ridevamo come due bambini che giocavano ad acchiapparella. Valeria correva sulla sabbia con movimenti disordinati, urlando e ridendo senza sosta, mentre io cercavo di non farmi distrarre dal suono della sua risata.
Alla fine la presi per la vita, e, nel tentativo di fermarla, cademmo insieme nella sabbia. Lei urlò una risata soffocata, e io non potei fare a meno di ridere anch’io, abbracciandola mentre cadevamo.
Ci fermammo lì, sdraiati nella sabbia, ancora ansimanti per la corsa e ridendo come due sciocchi.
"Sei proprio un'idiota," le dissi, sorridendole.
"Già," rispose, fissandomi con un sorriso che sapeva di sfida e dolcezza allo stesso tempo. "Ma lo sai che ti piaccio così."

Sdraiati nella sabbia, con il rumore delle onde come sottofondo, i nostri occhi si incontrarono per un attimo che sembrò durare un’eternità. Lei aveva quel sorriso ironico stampato sulle labbra, ma nei suoi occhi c’era qualcosa di diverso: una scintilla che non avevo mai visto prima.
Non saprei dire chi fece il primo passo, ma all’improvviso le nostre labbra si incontrarono. Era naturale, spontaneo, come se fosse l’unica cosa giusta da fare in quel momento. Tenevo le mani sulla sua vita, stringendola piano per non farla scappare, mentre lei mi afferrava la nuca con una dolcezza che non le avevo mai attribuito.
Il bacio, lento all’inizio, divenne presto più passionale. La sua bocca sapeva di sale e qualcosa di dolce, forse i suoi rossetti fruttati. Valeria era una contraddizione vivente: forte e sicura di sé, ma con una tenerezza che mi scioglieva completamente.
Mi persi completamente in quel momento. Ogni pensiero sparì: non c’era più Anna, né il nostro continuo punzecchiarci, né il nostro passato fatto di piccole battaglie quotidiane. C’eravamo solo io e lei, due idioti sdraiati nella sabbia, incapaci di staccarsi l’uno dall’altra.
Quando il bacio si interruppe, Valeria mi guardò con quegli occhi verdi luminosi e, come al solito, rovinò il momento con una battuta: "Beh, per essere un principe azzurro improvvisato, non sei male."
Sorrisi, ancora col fiato corto. "E tu, per essere una perfetta stupidona, baci sorprendentemente bene."
Rise, scuotendo la testa, ma senza muoversi da dove era, ancora tra le mie braccia. "Sai che Anna ci ucciderebbe, vero?"
"Non me ne importa," risposi, serio per una volta. "In questo momento, non me ne importa niente."
Lei mi fissò per qualche istante, poi appoggiò la testa sul mio petto, come se quello fosse il posto più naturale al mondo per lei. Il sole stava calando sempre di più, dipingendo il cielo di mille sfumature, e noi rimanemmo lì, sdraiati sulla sabbia, ancora leggeri come due bambini ma con il cuore che batteva come un tamburo.

Mi alzai dalla sabbia e la osservai mentre si scrollava i granelli dai pantaloni, sempre con quell’aria impeccabile e allo stesso tempo un po’ goffa. "La ragazza perfetta e chic come te," iniziai, con un sorriso malizioso, "sulla sabbia, con la sua camicetta immacolata e i pantaloni alla moda... Ho fatto proprio un miracolo oggi a portarti qui."
Valeria mi lanciò uno sguardo divertito, incrociando le braccia al petto. "Ah sì? Se vuoi posso togliermi queste cose e tuffarmi in mare, così non si rovinano."
Ridacchiai, scuotendo la testa. "Non avresti il coraggio."
Lei sollevò un sopracciglio, lanciandomi una sfida con lo sguardo. "Ah no? E tu, coraggioso principe della spiaggia, avresti il coraggio di farlo?"
"Neanche per sogno, non hai idea di quanto sia fredda l’acqua."
"Allora sei tu quello senza coraggio, non io." Mi fece la linguaccia e poi iniziò a camminare verso la riva.
Era come se quella sfida infantile fosse diventata il nostro modo naturale di comunicare. Ogni frase, ogni risata, ogni piccolo sguardo racchiudeva qualcosa di più profondo, qualcosa che non avevamo mai avuto il coraggio di ammettere.
Ormai era buio, e la spiaggia si era fatta silenziosa. La luna si rifletteva sull’acqua, creando un’atmosfera da sogno. Ci avvicinammo alla riva, dove le onde lambivano dolcemente i nostri piedi. "Fa freddo," disse Val, stringendosi nelle spalle. Poi mi guardò con un sorriso furbetto. "Abbracciami, ho bisogno di calore."
Mi avvicinai con l’intenzione di stringerla, ma prima che potessi sfiorarla, lei mi schizzò con un piede. L’acqua gelida mi colpì in pieno, facendomi trasalire.
"Ma sei pazza?!" esclamai, e lei scoppiò a ridere come una bambina.
"È solo acqua!" gridò, continuando a schizzarmi.
Non rimasi a guardare: ricambiai il favore con le mani, lanciandole l’acqua addosso mentre lei cercava di scappare, ma scivolò leggermente e finì con un piede in una pozza. "Ehi! Non vale!" urlò, ridendo ancora di più.
La guerra d’acqua continuò, e non ci fermammo neanche quando ci accorgemmo che i nostri vestiti erano completamente bagnati. Valeria rideva come una matta, e ogni volta che cadevamo o scivolavamo, finivamo per ridere ancora di più. Il freddo ci tagliava la pelle, ma nessuno dei due ci badava.
Alla fine, senza fiato e completamente zuppi, ci fermammo, appoggiandoci l’uno all’altro. Val si mise una mano tra i capelli per sistemarli, ma ormai erano un disastro, e io non potei fare a meno di ridere.
"Che c’è da ridere?" disse, con un mezzo broncio.
"Sei uno spettacolo," risposi senza pensarci.
Lei arrossì leggermente, abbassando lo sguardo per un istante, poi mi colpì piano sul petto con la mano. "Stupido."
Rimanemmo così, con i piedi immersi nell’acqua fredda e il cuore che batteva forte, mentre il rumore del mare ci avvolgeva. In quel momento, niente al mondo sembrava più importante.

Le nostre labbra si cercarono di nuovo, affamate e appassionate. Ogni bacio era un crescendo, una fusione che ci spingeva sempre più oltre. Con passi lenti e incerti ci spostammo fuori dall'acqua, fino a ritrovarci sulla sabbia fredda e morbida. La sdraiai con delicatezza, continuando a baciarla, mentre le mie mani scivolavano lungo i suoi fianchi e la stringevano con dolce fermezza.
Lei mi accarezzava le guance con le dita, i polpastrelli che tracciavano lievi linee di fuoco sulla mia pelle. Quando mi staccai per un momento, i suoi occhi verdi si accesero di una luce giocosa. "Ehi, che fai? Ti arrendi già?" sussurrò con quel tono che mischiava sempre ironia e seduzione.
Sorrisi, abbassando lo sguardo sulle sue labbra che sembravano chiamarmi ancora. "Arrendermi? Non ci penso nemmeno, stupida."
Ridacchiò, ma la sua risata si tramutò in un respiro appena più profondo quando le mie mani si spostarono lentamente verso i bottoni della sua camicetta. "Oh, guarda un po’... chi si crede coraggioso adesso?" disse, con un mezzo sorriso mentre osservava le mie dita muoversi decise.
"Coraggioso? Direi piuttosto che sto facendo un miracolo, come al solito."
"Un miracolo? Fammi indovinare, stai per trasformare questa camicetta in un’altra tua felpa da reclamare?"
Risi sottovoce mentre sbottonavo l'ultimo bottone, rivelando il suo reggiseno blu che sembrava disegnato per esaltare la sua bellezza. I miei occhi si soffermarono un istante su quel contrasto perfetto tra la sua pelle e il tessuto, mentre le dita scivolavano sul bordo, accarezzandole la pelle con delicatezza.
"Devo dire che ti sta quasi meglio della felpa," mormorai, abbassandomi a sfiorare il suo collo con le labbra.
Lei rise piano, un suono che mi fece vibrare il cuore. "Quasi? Guarda che potrei offendermi, eh."
"Non ti offenderei mai," replicai, la voce bassa e carica di emozione, mentre le mie mani si muovevano con delicatezza verso il suo seno.
Val scosse la testa ridendo ancora, ma il suo respiro si fece più pesante quando iniziai a sfiorarla con attenzione. "Sai che sei davvero un idiota, vero?" sussurrò, mordendosi il labbro inferiore.
"Lo so," risposi, incontrando i suoi occhi, prima di tornare a baciarla con la stessa passione di prima, lasciandomi trasportare completamente da quel momento, da lei, dalla perfezione di quella sera.

Mentre le nostre labbra si cercavano e le mie mani continuavano a stringere il suo seno, Val tratteneva dei dolci gemiti, leggeri e delicati, che mi facevano impazzire. Ma ad un certo punto, si staccò leggermente da me, con le guance completamente rosse e un’espressione a metà tra il serio e il timido.
"Che c'è, Val?" le chiesi dolcemente, sfiorandole il viso.
Lei abbassò lo sguardo per un attimo, poi tornò a guardarmi, i suoi occhi verdi lucidi, quasi insicuri. "Ale, scusa se… se non so dove mettere le mani. Sono le mie prime volte e… ho paura di sbagliare."
Il suo tono era così genuino e dolce che mi colpì dritto al cuore. Le sorrisi con delicatezza, alzandomi leggermente per appoggiarmi su un gomito e accarezzandole la guancia con il dorso della mano. "Val, sei perfetta così. Non devi preoccuparti di niente, davvero. Ti stai facendo mille paranoie inutili."
Lei sorrise debolmente, ma sembrava ancora un po’ a disagio. "È solo che… anche l’altra volta hai fatto tutto tu. Io… vorrei fare qualcosa per te, ma non so da dove cominciare."
Risi piano, cercando di sciogliere la tensione che sentivo in lei. "Oh, Val, le tue guanciotte rosse dicono tutto," dissi prendendola in giro mentre le accarezzavo il viso con dolcezza. "Senti, lasciami dire una cosa: tu pensi che non sia niente, ma sai che è da stanotte che ho ancora i brividi per quei tuoi grattini? Sembreranno una sciocchezza per te, ma ti giuro che sentire solo la tua mano su di me mi ha fatto stare incredibilmente bene."
Lei scoppiò a ridere, il suo imbarazzo sciogliendosi un po’ alla mia dichiarazione. "Ma sei davvero uno stupido romantico, lo sai? Solo tu puoi dire certe cose."
"Già, stupido romantico," le risposi sorridendo, avvicinandomi di nuovo a lei. "Ma sono lo stupido romantico che si è perso nei tuoi occhi e che ama ogni cosa che fai, anche i tuoi grattini."
Val ridacchiò, mordendosi il labbro per nascondere il sorriso e poi, senza avvisarmi, si avvicinò per baciarmi di nuovo, con una dolcezza che mi fece dimenticare il freddo della sabbia e il mondo intero.

Mi lasciai guidare dalla passione, scendendo lentamente con le mie labbra lungo il suo corpo. Partii dal suo collo, baciandolo con una sensualità che la fece rabbrividire, poi continuai sul suo petto, accarezzandolo con la punta delle labbra. Quando arrivai al suo seno, mi presi il tempo di assaporare la morbidezza della sua pelle, lasciando che piccoli gemiti sfuggissero dalle sue labbra.
Ma quando raggiunsi la sua pancia, non riuscii a trattenere un lampo di sciocca leggerezza: le feci una pernacchia proprio sopra l’ombelico. Valeria scoppiò a ridere, cercando di respingermi senza alcun vero impegno.
"Ma sei proprio uno scemo!" disse ridendo, mentre io ridevo con lei, alzando lo sguardo per vedere il suo sorriso illuminare la notte.
"Lo scemo che ti fa ridere, però," risposi con un sorrisetto provocatorio, abbassandole lentamente i pantaloni. Lei, tra le risate, cercava di coprirsi, ma i suoi movimenti erano più un gioco che un vero tentativo.
Quando rimase con solo le mutandine addosso, mi chinai di nuovo e baciai l'interno delle sue cosce, alternando carezze e piccoli morsi leggeri che la fecero sussultare. Valeria tratteneva il fiato, il suo respiro divenne sempre più irregolare. Con un movimento lento e delicato, le abbassai le mutandine, lasciando che il suo corpo si mostrasse completamente a me.
Mi avvicinai con calma, lasciando che le mie labbra incontrassero la sua pelle in quel punto così sensibile. Il primo tocco della mia bocca la fece sobbalzare, e subito dopo un dolce gemito riempì l’aria intorno a noi.
"Ale..." mormorò il mio nome con un filo di voce, quasi come una supplica, mentre le sue mani si intrecciavano tra i miei capelli, tirandoli leggermente per guidarmi.
I suoi gemiti divennero sempre più intensi, pieni di passione, e ogni volta che pronunciava il mio nome sentivo un brivido attraversarmi la schiena. La sabbia sotto di noi era fredda, ma il calore del suo corpo e il suono della sua voce rendevano quel momento incredibilmente intimo e perfetto.

I suoi gemiti raggiunsero un crescendo che mi fece sentire il suo piacere in ogni fibra del mio essere. I miei movimenti si fecero più intensi e precisi fino a portarla al culmine, facendola tremare sotto di me in un orgasmo travolgente. Il suo corpo si rilassò, e io risalii lentamente per sdraiarmi accanto a lei, osservando il suo viso arrossato e il respiro affannoso.
Valeria mi guardò con quegli occhi verdi ancora umidi di emozione e, con un piccolo sorriso, ridacchiò. "È stato fantastico, Ale... Ma sai, preferisco quando posso averti qui abbracciato a me," disse, stringendosi contro di me con dolcezza.
Quelle parole mi sciolsero. Abbracciarla era diventato uno dei miei momenti preferiti, ma ovviamente non potevo resistere alla tentazione di prenderla in giro. "Ah, davvero? Vuoi dire che preferisci stare stretta a me anziché vivere esperienze mozzafiato?" le chiesi con un sorriso malizioso.
Valeria rise, mordendosi il labbro. "Beh, sì. Ma solo perché mi piace troppo sentirti vicino."
Sorrisi, accarezzandole il viso. "Allora sai cosa? Potrei provare a farti qualcosa di ancora più eccitante..." dissi, lasciando una pausa strategica.
Lei mi guardò incuriosita. "Tipo cosa?"
La fissai nei suoi occhioni verdi con un’espressione seria. "Solletico!" esclamai improvvisamente, attaccandola senza pietà.
Val esplose in una risata contagiosa, cercando di difendersi inutilmente mentre si contorceva sotto di me. "Ale! Ti prego, basta! Sto morendo!" gridava tra le risate, ma non potevo smettere. Era così bella e naturale in quei momenti di pura spensieratezza.
Quando finalmente mi fermai, con il respiro ancora spezzato, la fissai dall’alto, il suo corpo ancora scosso da qualche risata residua. Mi guardò con un sorriso dolce, ma i suoi occhi avevano un’ombra di sfida. "Ora voglio provare io a fare qualcosa," disse, alzandosi appena sulle braccia e guardandomi con una sicurezza che mi fece rabbrividire.
"Ah sì? E cosa vorresti fare?" risposi, fingendomi scettico mentre lei mi studiava con attenzione.
Val non disse nulla, ma il suo sorriso si fece più ampio mentre io le assecondavo, togliendomi la maglia. Lei si avvicinò lentamente, slacciando con delicatezza la mia cintura e abbassandomi i pantaloni con mani leggere ma decise. Ogni suo movimento era carico di un mix perfetto di dolcezza e passione, e non potevo fare a meno di perdermi in quegli occhi verdi, ormai padroni del momento.

Valeria mi guardava con quel misto di dolcezza e malizia che ormai conoscevo bene, ma questa volta c’era qualcosa di diverso, una tensione nuova. I suoi occhi verdi si posarono sulla mia virilità, e il suo sguardo passò dall’essere curioso al divertito.
"Wow... ma sei proprio sicuro di essere umano?" disse ridacchiando, lanciandomi una delle sue solite battutine. "Non è che ti gonfi per impressionarmi, vero?"
Scrollai la testa sorridendo, ma il cuore mi batteva all’impazzata. "Se vuoi posso farti una dimostrazione..." risposi con un tono scherzoso, ma pieno di desiderio.
Lei rise ancora, ma poi, con un tocco leggero e quasi timido, allungò la mano verso di me. La sua pelle morbida si avvolse attorno a me, e quel contatto mi fece rabbrividire. "Sei incredibile," mormorò piano, quasi come se non volesse che la sentissi.
Iniziò a muovere la mano, i suoi gesti goffi ma incredibilmente dolci. Era insicura, e lo si capiva, ma c'era un’intensità nei suoi occhi che mi faceva perdere la testa. "Va bene così?" chiese con un filo di voce, mordendosi il labbro, come se temesse di sbagliare.
Le posai una mano sopra la sua, guidandola con delicatezza. "Sì, Val... così va benissimo," le dissi, con un sorriso rassicurante. La mia voce era rotta dal piacere crescente, ma non volevo metterle pressione.
Piano piano, i suoi movimenti diventarono più sicuri, più fluidi. Iniziava a capire cosa mi piaceva, e ogni suo tocco sembrava sempre più naturale. Mi stava dando un piacere intenso, un piacere che non era solo fisico, ma che nasceva anche dalla consapevolezza che fosse lei, la mia Valeria, a volersi aprire in quel modo con me.
Chiusi gli occhi, lasciandomi trasportare dalle sensazioni, mentre le sue mani morbide si muovevano con una dolcezza crescente. Il suo respiro era vicino, e a ogni piccolo suono che le sfuggiva mi sentivo ancora più travolto. Era incredibile quanto potesse farmi sentire così bene, così vivo.

Il mio respiro si fece irregolare mentre raggiungevo il culmine. La mano di Val rimase ferma, accogliendo tutta la mia passione. Quando tutto fu finito, la guardai con un sorriso malizioso, ancora senza fiato.
"Per essere la tua prima volta, devo dire che sei stata davvero fantastica," le dissi, prendendola in giro, mentre cercavo di recuperare un po' di lucidità.
Valeria si portò una mano al viso, cercando di nascondere il suo imbarazzo. "Ma smettila! Non prendermi in giro," mormorò, ridacchiando nervosamente. Le sue guance erano di un rosso acceso, e i suoi occhi verdi sembravano più luminosi che mai.
Non resistetti e la tirai a me, abbracciandola forte. "Non sto scherzando, Val. Sei stata perfetta," le sussurrai vicino all'orecchio, facendola stringere ancora di più a me. Il suo corpo tremava leggermente, ma era difficile capire se fosse per l’emozione o per il freddo che iniziava a farsi sentire.
Lei sollevò lo sguardo verso di me, con un sorriso dolce che non scorderò mai. "Ale, sono felice... davvero," disse piano, nascondendo il viso nel mio petto.
Dopo qualche minuto, però, entrambi iniziammo a rabbrividire. Il vento si era alzato e la sabbia sotto di noi era diventata gelida.
"Forse dovremmo tornare in macchina prima che ci congeliamo," dissi ridendo, guardandola mentre cercava di infilare di nuovo i pantaloni con movimenti impacciati.
Val mi guardò con finta esasperazione. "Ah, davvero? Chi è che ha avuto l’idea geniale di portarmi al mare a quest’ora?"
Scrollai le spalle ridendo. "Un genio romantico, immagino."
Ridemmo insieme mentre ci aiutavamo a rimettere in ordine i nostri vestiti, bagnati e pieni di sabbia. Poi, presi la sua mano e la accompagnai verso la macchina. Nonostante il freddo, mi sentivo caldo dentro. Valeria, con il suo imbarazzo, la sua dolcezza e la sua passione, aveva reso quella serata indimenticabile.
scritto il
2024-11-20
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