Eccitazione verso la prof di italiano - capitolo 2

di
genere
etero

Mi passai una mano sul viso, come per schiarirmi le idee. Che cazzo significava? Non c’era nessun dubbio su quello che aveva scritto, nessuna possibilità di fraintendimento. Mi stava dando un lasciapassare. E io non avevo intenzione di sprecarlo.

Mi sedetti e iniziai a disegnare.

La volevo ritrarre in un modo che la esaltasse, che la facesse vedere come io la immaginavo. Dopo diverse bozze, scelsi l’idea giusta: Daniela seduta su una sedia, con le gambe accavallate, il busto leggermente inclinato in avanti. Indossava solo l’intimo che aveva nella polaroid, e sulla pelle avevo aggiunto ombre delicate, facendo in modo che la luce accarezzasse la curva del seno, la tensione delle cosce. Il dettaglio che mi piacque di più? Gli occhiali abbassati sul naso, e lo sguardo che sembrava fissare chiunque la guardasse, sfidandolo.

Alla lezione successiva il cuore mi batteva così forte che temevo si sentisse in tutta l’aula. Come sempre, avevo infilato il disegno tra le pagine del tema che dovevo consegnarle. Quando glielo lasciai sulla cattedra, notai il breve esitazione delle sue dita nel prenderlo.

Passò un’ora e mezza in cui fingemmo che nulla fosse cambiato. Lei correggeva, io scrivevo, ogni tanto mi dava qualche indicazione sulla tesina. Ma percepivo un’elettricità strana nell’aria.

Alla fine della lezione, quando mi restituì il tema corretto, dentro trovai un nuovo foglio piegato.

Lo aprii con le dita che mi tremavano.

“Disegnami sdraiata sul divano, nuda, con un libro aperto sulle gambe.”

Deglutii a fatica.

Sollevai lo sguardo su di lei. Daniela sembrava tranquilla, composta, eppure aveva una sfumatura di rosso sulle guance.

Avevamo iniziato un gioco.

Passai la notte con la matita in mano e il cuore accelerato.

Disegnarla in quel modo, con quell’intimità spudorata, era diverso da tutto quello che avevo mai fatto prima. Non era solo il corpo nudo, la posa studiata, il gioco di ombre che lasciava intravedere più di quanto nascondesse. Era l’idea che fosse stata lei a chiedermelo.

E io non avevo intenzione di deluderla.

La ritrassi esattamente come aveva detto: sdraiata sul divano, nuda, con un libro aperto sulle gambe. Ma curai ogni dettaglio per renderlo qualcosa di più di una semplice posa sensuale. Il modo in cui la luce sembrava accarezzarle la pelle, l’incavo morbido del collo, le gambe leggermente piegate. Il libro era strategico, lasciava intuire ma non mostrava, creando quell’effetto di attesa che rendeva tutto ancora più provocante.

E poi gli occhi. L’elemento che mi uscì quasi spontaneo: lo sguardo socchiuso, come se fosse stata interrotta in un momento privato, un’espressione tra il rilassato e il languido.

Era il disegno più spinto che avessi mai fatto. E non vedevo l’ora di vedere la sua reazione.

Alla lezione successiva, quando le consegnai il tema, le dita mi tremavano leggermente.

Lei lo prese con la solita calma apparente, sfogliò le pagine, e poi il suo sguardo si fermò.

Il silenzio durò più del solito.

La vidi abbassare le ciglia, mordicchiarsi appena il labbro inferiore. Un’esitazione minima, ma che mi sembrò enorme. Poi richiuse il foglio e lo posò con cura accanto ai suoi appunti.

Io rimasi immobile.

Niente battute, niente accenni al disegno. Solo un lieve rossore sulle guance e quel respiro trattenuto che notai solo perché ormai passavo tutto il tempo a osservarla.

La lezione proseguì come sempre, ma l’aria tra noi era diversa.

Alla fine, quando mi restituì il tema corretto, notai subito la piega netta in mezzo alle pagine.

Un nuovo foglio.

Lo aprii senza riuscire a trattenere un mezzo sorriso.

“Disegnami allo specchio, appena uscita dalla doccia.”

Un brivido mi attraversò la schiena.

Sollevai lo sguardo su di lei. Daniela era già in piedi, raccogliendo le sue cose con la consueta calma, come se non avesse appena scritto qualcosa di così assurdo.

Ma quando le nostre occhi si incontrarono, ci fu un attimo. Un secondo appena in cui la vidi mordicchiarsi l’interno della guancia, come se trattenesse qualcosa.

Poi distolse lo sguardo.

Io restai lì, con il foglio tra le mani e un pensiero che mi martellava in testa.

Ormai non era più solo un gioco.

Tornai a casa con il pensiero fisso su di lei. Sul modo in cui, alla fine della lezione, aveva sorriso con quella sfumatura di malizia appena accennata. Sul fatto che fosse stata proprio lei a chiedermi quel disegno, a volersi vedere così.

E così mi misi al lavoro.

Il tratto della matita scorreva veloce, quasi febbrile. La immaginai appena uscita dalla doccia, con la pelle ancora umida e lucida sotto la luce fioca del bagno. I capelli bagnati, che scendevano in morbide ciocche lungo le spalle, incorniciavano il suo viso e ricadevano in parte sul petto. Il vapore della doccia si arrampicava sulle piastrelle, avvolgendo il suo corpo come un velo trasparente.

Il seno, pieno e morbido, era in parte nascosto dalla condensa dello specchio, ma quel tanto che bastava a far intravedere la curva liscia della pelle, il modo in cui la luce sfiorava la rotondità perfetta, accarezzandola con riflessi dorati. Un capezzolo, appena intravisto, emergeva tra i giochi di ombre e trasparenze, accendendo il disegno di un erotismo raffinato, insinuante.

Le gambe erano posizionate in modo studiato: una leggermente avanzata rispetto all’altra, creando una fessura tra le cosce che non mostrava davvero, ma suggeriva. Un gioco di vedo-non-vedo dannatamente intrigante.

Ma fu il suo sguardo, riflesso nello specchio, a rendere il disegno davvero irresistibile. Si osservava con una sorta di compiacimento insicuro, come se stesse imparando a piacersi, a vedersi con occhi diversi. Il labbro inferiore leggermente umido e socchiuso, il respiro lento.

Era un disegno pericoloso.

Era per lei.

Quando il giorno dopo le consegnai il foglio, infilato tra le pagine del tema corretto, Daniela lo prese con apparente noncuranza, ma vidi il modo in cui le dita strinsero la carta con più forza del solito.

Si mise a correggere i miei errori con la penna, come sempre, e io restai seduto in silenzio, aspettando. Poi, senza alzare lo sguardo, richiuse il foglio con un gesto misurato e disse, con voce bassa:

“Perché non resti qui a correggere il tema con me?”

Sapevo che non intendeva quello.

Mi sedetti accanto a lei, il cuore che martellava nel petto. Lei prese il disegno tra le mani e lo riaprì, guardandolo con una lentezza esasperante.

La vidi mordicchiarsi il labbro inferiore, trattenendo il respiro. Poi, inaspettatamente, sorrise appena.

“Riesci a cogliere bene il mio corpo.” La sua voce era un filo sottile, quasi un sussurro.

“Grazie.” Risposi, con la gola secca.

Lei abbassò lo sguardo sul disegno e fece scorrere la punta delle dita sopra il foglio, come se potesse sentire la pelle ritratta sulla carta.

“Magari mi sentissi davvero così a mio agio nuda.”

Quella frase mi colpì più di quanto avrei immaginato.

“Non sembra.” Le dissi, indicando il suo riflesso nel disegno.

Lei fece una risatina bassa, scuotendo la testa. “No, davvero. Sono molto alta… a volte mi sento goffa, sproporzionata.”

Mi girai verso di lei, osservandola. “Tu… goffa?”

Lei rise di nuovo, abbassando lo sguardo con un’ombra di imbarazzo. “Sì. So che non sembra, ma quando mi vedo nuda allo specchio mi sento strana. Non è come vedermi vestita. Tutta la mia altezza, le gambe, il seno… mi sembra tutto esagerato.”

Mi bagnai le labbra, cercando le parole giuste. “Non c’è niente di esagerato.”

Lei alzò lo sguardo su di me, e per un attimo restammo lì, occhi negli occhi, sospesi. Poi, all’improvviso, si irrigidì, distogliendo lo sguardo.

Arrossì violentemente. “…E non so nemmeno perché ne stia parlando con un mio studente.”

Era un piccolo cedimento. Una crepa nella sua compostezza.

Un confine che si stava assottigliando sempre di più.

Tirai un respiro profondo prima di parlare. Non era facile dire certe cose senza sembrare sfacciato, ma ero stanco di girarci attorno.

“Per quel che vale, io adoro il tuo corpo. Disegnarlo è la cosa più bella che mi sia capitata.”

Lei si bloccò per un attimo. Le sue dita scivolarono lentamente sulla carta, come se stesse ancora accarezzando il tratto della matita, e il rossore sulle guance si fece più acceso.

“Ale…” sospirò piano, con un sorriso imbarazzato, abbassando lo sguardo. “Grazie. Davvero.”

Rimase un attimo in silenzio, poi si morse appena il labbro e sollevò gli occhi su di me. “Pensi che potresti… disegnarmi di nuovo? Qualcosa di più… intenso?”

Non spiegò cosa intendesse, ma non ce n’era bisogno. Mi porse un nuovo foglio e, senza aggiungere altro, scrisse con la sua penna fine un’altra richiesta. Quando la lessi, sentii un brivido lungo la schiena.

“Disegnami sdraiata sul letto, con i capelli sciolti e la camicia leggermente sbottonata. Come se mi stessi appena svegliando.”

Sapevo esattamente cosa voleva: voleva vedersi in una posa più intima, più privata. Non era solo un disegno, era una fantasia. Una sua fantasia che io dovevo rendere reale.

Dopo avermi dato la richiesta, Daniela si lasciò andare contro lo schienale della sedia, incrociando le gambe. Il suo volto era ancora lievemente arrossato, ma ormai tra noi c’era qualcosa di diverso. La tensione non era più solo imbarazzo: era elettricità.

“Sai, all’università disegnavo anch’io,” disse all’improvviso, giocherellando con la penna tra le dita. “Ero pessima, ma mi piaceva l’idea di fermare un momento su carta.”

“E che cosa disegnavi?” chiesi, incuriosito.

Lei fece un piccolo sorriso. “Ritratti. Mai nudi, però.”

Scoppiammo a ridere entrambi, quasi per sciogliere la tensione.

“E perché no?”

“Perché ero troppo insicura, immagino,” ammise, guardando un punto indefinito sulla scrivania. “Però adesso… mi affascina l’idea. Vorrei riuscire a vedermi con gli occhi di qualcun altro. Con i tuoi occhi.”

Quelle parole mi colpirono più di quanto avrei mai ammesso.

Continuammo a parlare, lei mi raccontò di qualche episodio divertente ai tempi dell’università, di come una volta si fosse presentata in pigiama a un esame per errore. Io le raccontai di alcuni disegni che non avevo mai mostrato a nessuno, e lei mi disse che le sarebbe piaciuto vederli.

Sembrava quasi un dialogo normale, tra due persone qualsiasi. Ma non lo era. Perché sotto la superficie, in ogni parola, c’era qualcosa di più.

Alla fine della lezione, raccolsi le mie cose, con il foglio della sua nuova richiesta ben stretto tra le mani.

“Non vedo l’ora di vedere come mi disegnerai stavolta,” disse, con un sorriso che nascondeva qualcosa di più.

Me ne andai con il cuore che batteva forte. Ormai era evidente: Daniela stava entrando sempre di più nel gioco. E io non potevo far altro che seguirla.

Passai tutta la notte curando ogni minimo dettaglio. Non volevo solo un disegno, volevo creare qualcosa che la facesse sentire bella, desiderabile.

Il tratto iniziale era solo una bozza, ma man mano che aggiungevo ombre e definizione, il disegno prendeva vita. Daniela era distesa sul letto, con i capelli sciolti e disordinati, come se si fosse appena svegliata da un sogno profondo. le ciocche castano scuro si spargevano sul cuscino, incorniciandole il volto, mentre i suoi occhi semiaperti e l’espressione pigra la rendevano ancora più sensuale.

Avevo seguito esattamente la sua richiesta: la camicia bianca era sbottonata, appena scostata sulle spalle, lasciando intravedere le curve morbide del seno, con un’ombra perfetta che ne delineava la rotondità. Non l’avevo coperto del tutto, volevo che la pelle sembrasse reale, che si percepisse il calore. Il tessuto si arricciava leggermente sotto al suo corpo, lasciando lo sguardo scivolare giù, fino al ventre piatto, interrotto solo dalle mutandine bianche che aderivano dolcemente ai suoi fianchi.

Il vero punto forte del disegno era l’intimità della scena: le gambe rilassate, una piegata leggermente sopra l’altra, il lenzuolo scostato quel tanto che bastava a far intuire senza svelare. Le ombre sulle sue cosce si fondevano con il chiaroscuro delle lenzuola stropicciate, creando una profondità quasi reale.

Volevo che guardandolo si sentisse bella, che si vedesse attraverso i miei occhi, senza insicurezze. Per questo, decisi di colorarlo. Le sfumature della pelle, il rosa appena accennato sulle guance, la morbidezza dei capelli. Ogni dettaglio era perfetto.

Quando finii, il sole era già sorto. Mi passai una mano sul viso, esausto, ma soddisfatto. Lo osservai un’ultima volta prima di chiudere il quaderno. Era il disegno più bello che avessi mai fatto.

Avevo dormito forse due ore, ma restare a letto era impossibile con tutta l’adrenalina che avevo addosso. Mi vestii in fretta, infilai il quaderno nello zaino e decisi di andare a fare colazione fuori.

Appena entrai nel bar, il profumo di caffè e cornetti caldi mi avvolse. Mi avvicinai al bancone, ordinai un cappuccino e un cornetto alla crema, poi mi sedetti a un tavolino vicino alla vetrata.

Aprii lo sketchbook e passai le dita sul disegno. Mi chiedevo cosa avrebbe detto Daniela. L’avrebbe trovato troppo? Troppo intimo? Troppo audace? O forse… le sarebbe piaciuto proprio per questo?

Sorrisi tra me e me, sorseggiando il cappuccino. Non vedevo l’ora che fosse lunedì.

Alzai lo sguardo dal telefono e la vidi entrare. Daniela.

Non era vestita in modo troppo formale come a scuola, ma manteneva comunque quell’eleganza naturale che la rendeva irresistibile. Jeans aderenti, un maglioncino morbido color panna infilato appena nei pantaloni, i capelli raccolti con qualche ciocca sfuggita a incorniciarle il viso.

I nostri sguardi si incrociarono quasi subito. Lei mi sorrise sorpresa e si diresse verso di me con passo leggero.

“Ale! Che coincidenza vederti qui.”

Non sembrava imbarazzata, ma c’era qualcosa nella sua voce, un tono leggermente incerto, come se non sapesse bene come porsi fuori dall’ambiente scolastico.

“Prof, buongiorno…” risposi, alzando appena il mento in un gesto di saluto.

Lei fece una smorfia, quasi divertita.

“Daniela. Qui puoi chiamarmi Daniela.”

Annuii, nascondendo un mezzo sorriso mentre lei indicava la sedia di fronte alla mia.

“Sei da solo? Posso unirmi a te per un caffè?”

Esitai per un istante. Era strano. Una settimana fa non avrei mai immaginato di ritrovarmi a fare colazione con la mia professoressa di italiano, eppure eccola lì, in piedi davanti a me, con un’aria gentile ma un po’ insicura.

“Certo, accomodati.”

Si sedette, incrociando le gambe sotto il tavolo mentre chiamava il cameriere con un cenno. Ordinò un espresso, poi si girò di nuovo verso di me, scrutandomi con un mezzo sorriso.

“Non sapevo che venissi qui.”

“Nemmeno io di te.” Feci un piccolo gesto con il cucchiaino nel mio cappuccino. “È vicino casa mia, ogni tanto ci passo il fine settimana.”

Daniela si passò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e annuì. “Anche io abito qui vicino… infatti vengo praticamente ogni mattina.”

“Strano non esserci mai incrociati prima.”

Lei sorrise, abbassando appena lo sguardo sul tavolino. “Forse perché non mi sono mai fermata a guardare troppo in giro.”

Ci fu un attimo di silenzio. Mi accorsi che si stava toccando l’anello sottile che portava al dito, quasi per abitudine. Non sembrava nervosa, ma c’era qualcosa nel suo atteggiamento che la rendeva timida.

“E quindi… niente scuola oggi, cosa farai?” chiese, alzando finalmente gli occhi su di lei.

Scossi la testa. “probabilmente nulla, tu invece? cosa fa una prof nel weekend?”

Daniela rise piano, poi sospirò e aggiunse . “ma non è così eccitante come potresti pensare. Dopo colazione devo tornare a casa a correggere i vostri temi.”

Alzai un sopracciglio, fingendo una smorfia. “Spero almeno che il mio sia decente.”

Lei si morse appena il labbro, come se stesse valutando cosa rispondere. “Diciamo che sono più curiosa di vedere il tuo prossimo disegno.”

Il cuore mi batté più forte. Non lo stava dicendo con malizia, ma c’era un sottotesto che non potevo ignorare.

Mi schiarii la gola. “Credo che ti piacerà, tra l’altro l’ho qui con me.”

Daniela abbassò lo sguardo sulla sua tazzina di caffè, accarezzandone il bordo con le dita. “intesessante...”

La tensione era palpabile, ma nessuno dei due la spezzò. Restammo lì, a sorseggiare il nostro caffè in un’atmosfera strana, quasi sospesa.

Daniela si sistemò meglio sulla sedia, incrociando le mani sul tavolo. “Allora, me lo fai vedere?”

La guardai per un attimo, indeciso. Avevo il disegno con me, piegato e al sicuro nello zaino. L’avevo protetto con la stessa attenzione con cui l’avevo realizzato, curando ogni linea, ogni sfumatura, ogni dettaglio del suo corpo perfetto.

Infilai una mano nello zaino, ma proprio mentre stavo per tirarlo fuori, lei si fermò di colpo.

“No, aspetta.”

Alzai lo sguardo, confuso. Daniela mi stava fissando con un’aria divertita, ma anche con una certa consapevolezza. Si guardò intorno, come a rendersi conto di dove fossimo.

“Qui no.” Si morse il labbro inferiore per un istante, poi si lasciò andare in un piccolo sorriso. “Non si può.”

Mi sentii improvvisamente teso. “Che vuoi dire?”

Daniela si appoggiò allo schienale della sedia, tamburellando piano le dita sul tavolo. “Ti va di venire da me?”

Il mio cervello si bloccò. “Cosa?”

Lei rise piano, stringendo le mani attorno alla tazzina ormai vuota. “A casa mia. Me lo fai vedere lì. E magari continuiamo a chiacchierare mentre correggo i vostri temi.”

Il cuore mi esplose nel petto. Casa sua.

Mi sentii il sangue salire velocemente al viso. Andare a casa della professoressa? Sul serio? Daniela sembrava tranquilla, come se fosse la cosa più normale del mondo. Ma non lo era. Non lo era affatto.

Eppure… accettai.

“S-sì, certo.” La mia voce uscì più incerta di quanto volessi.

Lei sorrise, si alzò e afferrò la borsa. “Dai, andiamo.”



Camminammo per pochi minuti, il tempo necessario perché il mio cervello realizzasse cosa stava succedendo. Daniela abitava vicino a me, una scoperta che mi lasciò ancora più sconvolto.

Arrivammo davanti a un piccolo portone di legno scuro. Lei infilò le chiavi nella toppa con un gesto abituato e mi fece cenno di entrare.

L’interno era caldo e accogliente, un monolocale addobbato con cura, pieno di dettagli personali che la rendevano ancora più reale, più umana ai miei occhi.

Un divano soffice, una piccola libreria stracolma di libri e quaderni, un angolo cucina ben curato e… piantine ovunque. Alcune sui davanzali, altre appese con fili sottili, altre ancora in vasi decorati sparsi per la stanza.

“Non ti aspettavi che fossi una che parla con le piante, vero?”

Mi voltai verso di lei. Daniela sorrideva, con un’aria leggera e rilassata, mentre si toglieva il cappotto e lo appendeva a un attaccapanni vicino alla porta.

“Non lo so, in effetti.” Risi piano. “Dovrei?”

Lei scrollò le spalle, avvicinandosi al tavolo vicino alla finestra. “Non so, mi rilassa. In realtà sono un disastro, ne muoiono un sacco.”

Mi morsi il labbro, guardandola mentre si spostava con naturalezza nel suo spazio. Era la prima volta che la vedevo così… a suo agio, senza il ruolo di insegnante addosso.

Daniela indicò il tavolo. “Mettiti lì. Io prendo i temi, così faccio finta di lavorare mentre guardo il tuo disegno.”

Il mio stomaco si strinse. Dovevo davvero tirarlo fuori adesso? Qui, nella sua casa?

Era tutto così surreale. Ma ormai ero dentro, fino al collo.

Mi sedetti, il cuore in gola, mentre infilavo la mano nello zaino.

Daniela si sedette di fronte a me con il disegno tra le mani. Lo osservò a lungo, passando lo sguardo su ogni dettaglio.

Il mio stomaco si attorcigliò mentre la guardavo studiare ogni linea, ogni sfumatura. L’avrebbe trovato troppo? Troppo spinto? Troppo audace?

Poi, all’improvviso, vidi le sue guance colorarsi di rosa.

“Wow…” mormorò, sollevando lo sguardo su di me con un sorriso incerto.

Deglutii a vuoto. “Ti… ti piace?”

Lei abbassò di nuovo gli occhi sul foglio, sfiorandolo con la punta delle dita. “Non è solo bello. È incredibilmente reale. I colori, le ombre… sembri riuscire a cogliere qualcosa di me che nemmeno io vedo.”

La vidi soffermarsi sul suo viso, sulle ciocche di capelli scompigliate sul cuscino, sulle sfumature rosate della pelle. Poi sul seno, disegnato con morbidezza e volume, esposto con un realismo quasi sfacciato.

Mi sentii il collo bruciare.

“Come fai?” mi chiese all’improvviso. “A ritrarre così bene le proporzioni? Voglio dire… sono così precise che sembra quasi che tu mi abbia vista davvero in questa posa.”

Mi strinsi nelle spalle, cercando di non sembrare troppo nervoso. “Un po’ vado di fantasia… e molto mi ispiro alla tua polaroid.”

Daniela si appoggiò allo schienale della sedia e sospirò piano. “Quella polaroid…”

Sorrise con un misto di divertimento e imbarazzo, passando una mano tra i capelli. “Te l’ho già detto, no? È stato un incubo scattarla. Io non sono per niente brava a posare. Anzi, se devo essere sincera, mi vergogno ancora tantissimo di averla fatta.”

“Eppure è perfetta.”

Lei scosse la testa con un piccolo sorriso. “No, per niente. Lo sai già, io non mi sento a mio agio così. Mi sento goffa, troppo alta, sproporzionata.”

Feci una smorfia. “Beh, ti sbagli.”

Daniela alzò gli occhi su di me. “Ah sì? E come fai a esserne così sicuro?”

“Perché ti ho disegnata.”

Lei arrossì di nuovo, abbassando lo sguardo sul foglio. Sfiorò di nuovo la sua immagine, questa volta sulle cosce appena coperte dalle mutandine di pizzo bianco. “Sai, Ale…”

Si fermò un istante, poi sorrise piano. “Non so perché ne stia parlando con te.”

Si portò una mano sulla fronte, ridendo piano. “Ma chi diavolo si mette a parlare delle proprie insicurezze con un proprio studente?”

Il cuore mi batté più forte. “Forse perché ti fidi di me.”

Daniela mi guardò per qualche istante, poi distolse lo sguardo e si morse il labbro. “Forse.”

Daniela rigirava il disegno tra le dita, con quell’aria pensierosa che ormai iniziavo a riconoscere. Lo osservava con attenzione, mordicchiandosi il labbro inferiore, poi ogni tanto sollevava lo sguardo su di me, come se volesse dirmi qualcosa ma non sapesse come.

Io ero completamente immobile, con il cuore che martellava nel petto. Dopo il nostro ultimo discorso sulle sue insicurezze, non avrei mai pensato di arrivare a questo punto. Eppure, sentivo che qualcosa stava per succedere.

Alla fine, fu lei a rompere il silenzio.

“Tu mi disegni sempre così sicura, così… sensuale.” Fece un piccolo sorriso, quasi imbarazzata. “Mi fa sentire diversa, nel modo giusto.”

Mi schiarii la gola. “Perché lo sei.”

Lei scosse la testa, come se volesse protestare, ma poi lasciò perdere. Giocherellò con il bordo del foglio, abbassando lo sguardo. “Forse dovrei provare a vedermi davvero così, non solo sulla carta.”

Inarcare le sopracciglia. “Cioè?”

Daniela esalò un respiro lento, come se si stesse facendo forza. “Forse potrei… fare un piccolo passo. Niente di strano, ma magari… solo il sopra.”

Il mio cervello si bloccò. Avevo capito benissimo cosa intendeva, eppure mi sembrava impossibile che quelle parole fossero davvero uscite dalla sua bocca.

“Se ti va, ovviamente,” aggiunse subito, come a voler alleggerire la tensione. “Non è niente di che, ma potrebbe essere un modo per… per sentirmi più a mio agio con me stessa.”

Deglutii a fatica. “Io… certo. Se è quello che vuoi.”

Daniela mi studiò per un attimo, poi si passò una mano tra i capelli, visibilmente nervosa. “Sì, voglio provarci.”

Ci fu un lungo silenzio carico di tensione. Sapevamo entrambi che quello era un confine che non potevamo più ignorare. Eppure, nessuno dei due sembrava voler fare un passo indietro.

Daniela si passò nervosamente una mano sul viso, come se volesse scacciare via il rossore che le saliva sulle guance. “Non posso credere che lo sto facendo,” borbottò tra sé, ridacchiando piano. “È assurdo. Davanti a un mio studente, poi.”

Non sapevo se ridere anche io o restare in assoluto silenzio. Il mio cuore martellava così forte che temevo lo sentisse. “Non devi farlo se non te la senti, sappilo.” La mia voce era più bassa del solito, quasi esitante.

Daniela scosse la testa, si morse il labbro e abbassò appena lo sguardo. “No, voglio provarci.”

Lo disse a sé stessa più che a me. Poi, con un respiro profondo, si afferrò l’orlo della maglia e la sollevò lentamente, scoprendo prima la pelle chiara del ventre, poi il reggiseno di pizzo che le fasciava il seno. Ma appena il tessuto oltrepassò la sua testa, si irrigidì e incrociò subito le braccia sul petto, come se avesse bisogno di una barriera tra noi.

“Sono una pessima professoressa.”

Arrossì di colpo, nascondendo il viso dietro una mano. Era bellissima in quel momento, vulnerabile e vera. Il suo corpo diceva che era in imbarazzo, ma i suoi occhi non sembravano voler scappare.

Deglutii. “Non lo sei.”

Daniela mi guardò con un sorriso incerto, poi inspirò profondamente e abbassò le braccia, rivelandosi del tutto.

Il mio respiro si bloccò.

Aveva un seno perfetto, pieno e sodo, con capezzoli rosati che si intirizzivano appena a contatto con l’aria. Il pizzo nero del reggiseno li aveva compressi leggermente, e ora che erano liberi sembravano quasi rimbalzare leggermente prima di trovare il loro equilibrio naturale. Il contrasto tra la pelle chiara e il rosa acceso era qualcosa di mozzafiato.

Daniela si strinse le braccia lungo i fianchi, come se volesse darsi un contegno, ma non riuscì a nascondere un piccolo brivido. “Dio, è così strano.”

Le sue dita sfiorarono istintivamente la pelle nuda, quasi a voler testare la sensazione di essere così esposta. Non osai dire nulla, avevo paura che un suono fuori posto la facesse richiudere come una conchiglia.

“È sbagliato,” mormorò, scuotendo la testa. “Ma anche dannatamente…” Si fermò, mordendosi il labbro, come se non volesse completare la frase.

Io la guardavo, incantato, senza nemmeno rendermi conto di quanto fossi rigido. Daniela si voltò appena, e quando incrociò il mio sguardo, arrossì di nuovo, più di prima.

“Mi stai divorando con gli occhi.”

“Perché sei bellissima.”

Le mie parole uscirono senza filtro, dirette, sincere. E lei sgranò leggermente gli occhi prima di distogliere lo sguardo, mordendosi un’unghia con un’espressione indecifrabile. Poi, per la prima volta da quando si era scoperta, fece un piccolo sorriso.

“Dovrei vestirmi?”

“Solo se vuoi.”

Ci fu una pausa. Poi, con un sorriso timido, scosse la testa. “No… ancora un po’.”

Il silenzio tra noi era denso, quasi elettrico. Daniela sedeva ancora con le braccia lungo i fianchi, la schiena leggermente curva come se volesse istintivamente proteggersi, ma allo stesso tempo non faceva nulla per coprirsi davvero. Il suo respiro era appena più profondo del normale, e lo stesso valeva per il mio.

Io la guardavo. Lei mi guardava.

Il mio cuore batteva forte, come se ogni secondo potesse essere quello in cui la magia si spezzava. Avevo paura di muovermi, paura che anche il più piccolo gesto potesse svegliarla da quel momento di follia e farle cambiare idea.

Ma non distoglieva lo sguardo.

Aveva le guance ancora arrossate, lo sguardo incerto, ma sulle sue labbra aleggiava una tensione che non riuscivo a decifrare. Era nervosa, sì… ma non sembrava pentita. Non sembrava spaventata.

Era vulnerabile. E bellissima.

Non so se fu il desiderio o la tenerezza a farmi parlare, ma le parole mi uscirono prima che potessi davvero pensarci.

“Posso… toccarle?”

Daniela sgranò appena gli occhi. Poi il suo respiro si fermò per un istante, e vidi la sua gola muoversi mentre deglutiva.

Non rispose subito. Non si ricoprì.

Mi guardò, fissa. E io attesi.


~sto già scrivendo il prossimo capitolo, se riesco settimana prossima è fuori, spero vi stia piacendo :)
scritto il
2025-02-21
3 . 9 K
visite
1 0 5
voti
valutazione
7.5
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.