Sotto il Costume dell’Animatrice - capitolo 3
di
Asiadu01
genere
dominazione
Fiona si era avvicinata con passo lento e sfrontato, il corpo ancora segnato dal caldo della giornata. Nonostante l’aria fresca della sera, i suoi occhi continuavano a bruciare di desiderio e sfida. “Domani sarà ancora peggio, tesoro,” aveva sussurrato con quel tono dolce e velenoso che ormai conoscevo troppo bene, lasciandomi lì, solo, a riprendermi da ciò che era appena successo.
Nonostante il corpo spossato, la mente era intrappolata tra pensieri proibiti. Sapevo che con lei nulla era prevedibile, e il giorno dopo sarebbe stato una prova ancora più dura.
La giornata era iniziata come tutte le altre, con un leggero nervosismo che accompagnava ogni incontro con Fiona. Da quando aveva iniziato a “giocare” con me, ogni momento trascorso insieme sembrava una sfida, una prova di resistenza alle sue provocazioni incessanti.
Fiona si era presentata al lavoro indossando una semplice maglietta bianca e un paio di shorts che lasciavano poco all’immaginazione, come al solito. Ogni suo movimento era un invito non dichiarato, un modo per reclamare la mia attenzione senza mai chiedere apertamente. Si avvicinò al bancone dove stavo lavorando e si piegò leggermente in avanti, lasciando che i capelli le scivolassero sul viso mentre mi porgeva una lista di cose da fare.
“Ho bisogno che tu sistemi queste cose prima di pranzo,” disse con un sorriso malizioso. Il tono era innocente, ma i suoi occhi tradivano un’intenzione più profonda.
Cercai di ignorarla, di concentrarmi sul lavoro, ma non era semplice. Ogni volta che si muoveva nel negozio, i suoi gesti sembravano studiati per attirare l’attenzione. Si piegava per raccogliere qualcosa, lasciando che la maglietta si sollevasse appena sopra la linea degli shorts. Passava accanto a me, sfiorandomi con il fianco, come se fosse un incidente.
A metà mattina, quando le cose iniziarono a farsi più frenetiche, Fiona trovò un modo per attirare ancora di più la mia attenzione. “Ops,” esclamò mentre una pila di scatole le scivolava dalle mani, sparpagliandosi sul pavimento. Si piegò per raccoglierle, e io fui costretto a distogliere lo sguardo dal modo in cui la stoffa dei suoi shorts si tendeva.
“Fiona, stai attenta,” dissi, cercando di mantenere un tono professionale. Lei si voltò e mi rivolse uno sguardo innocente, con un sorriso che sapevo bene nascondesse un intento provocatorio.
“Scusa, sono così distratta oggi,” rispose, ma il suo tono suggeriva tutt’altro.
Il culmine della tensione arrivò poco dopo pranzo. Stavamo organizzando una piccola caccia al tesoro, e io avevo incaricato Fiona di sorvegliare un gruppo di piccoli mentre si muovevano tra le varie stazioni. Ma, come sempre, Fiona era più concentrata su di me che sul suo lavoro.
Invece di prestare attenzione ai bambini, si era appoggiata a un tavolo poco distante, osservandomi con un sorriso provocatorio mentre giocherellava con una delle penne. “Allora, capo,” mi aveva chiamato sottovoce, incurante del caos che cresceva intorno a lei. “Ti serve una mano… o qualcos’altro?”
Non risposi, cercando di mantenere il controllo, ma lei continuò a distrarsi, ridacchiando tra sé e sé mentre si muoveva distrattamente tra i bambini. Fu allora che accadde: un bambino inciampò e cadde, facendosi male al ginocchio. L’altro iniziò a piangere spaventato, e tutto si trasformò rapidamente in un caos.
“Fiona!” urlai, avvicinandomi furioso. “Ti avevo detto di prestare attenzione! Dovevi sorvegliarli!”
Lei si voltò, sorpresa dalla mia reazione, ma mantenne il suo solito sorriso sfacciato. “Oh, scusa,” disse, alzando le mani come se non fosse colpa sua. “Ero distratta…”
“Sei sempre distratta!” sbottai, il tono della mia voce alzandosi. “Sei qui per lavorare, non per giocare!”
Per un attimo, il sorriso di Fiona svanì. Mi fissò con un’espressione che non riuscivo a decifrare, e poi si voltò, tornando a raccogliere i bambini con una calma glaciale.
Ma sapevo che non avrebbe lasciato correre.
Il resto della giornata fu un continuo susseguirsi di dispetti e provocazioni. Fiona si impegnava a ostacolarmi in ogni modo, trovando ogni scusa per punirmi a modo suo.
“Ops,” disse quando fece cadere una pila di fogli dal bancone, costringendomi a raccoglierli. Si chinò accanto a me, lasciando che i capelli le scivolassero sul viso e sfiorandomi volutamente con il fianco. “Che goffa che sono, eh?”
Durante la pausa, si avvicinò a me con una bibita in mano e un sorriso che non prometteva nulla di buono. “Allora, sei ancora arrabbiato?” chiese con voce mielosa, avvicinandosi troppo. “Sai, quando sei così serio… mi fai quasi paura.”
Le sue parole erano un misto di sfida e seduzione, e io cercai di ignorarla, ma era impossibile. Fiona era un tornado che non potevi evitare, e più cercavo di resisterle, più lei sembrava divertirsi.
La giornata era quasi finita, e il centro estivo si svuotava lentamente. Io e Fiona eravamo rimasti indietro per sistemare alcune attrezzature nel magazzino. La tensione tra di noi era palpabile, un filo teso che sembrava sul punto di spezzarsi.
“Dai, muoviti,” dissi, cercando di mantenere un tono professionale. “Più velocemente finiamo, prima possiamo andare a casa.”
Fiona, però, sembrava intenzionata a fare tutto con la massima lentezza possibile. Si chinava in modo esasperante per raccogliere gli oggetti, prendendosi tutto il tempo per sistemarli sugli scaffali, mentre il suo corpo ondeggiava volutamente. Ad ogni movimento, l’elastico dei pantaloncini si abbassava leggermente, rivelando sempre di più.
“Se hai così tanta fretta, perché non lo fai tu?” rispose, voltandosi verso di me con un sorriso provocatorio.
Sbattendo un cesto sul pavimento con più forza del necessario, mi girai verso di lei. “Fiona, piantala. Non ho tempo per i tuoi giochetti.”
Lei smise di muoversi, fissandomi per un lungo momento. Poi, con un’espressione che non prometteva nulla di buono, si avvicinò a me. “Oh, quindi ora vuoi fare il duro?” disse, la voce carica di veleno.
Prima che potessi rispondere, mi afferrò per la maglietta e mi spinse contro lo scaffale. L’impatto fu sorprendentemente forte, e il rumore delle attrezzature che si spostavano riempì il piccolo spazio. “Sai, penso che tu abbia bisogno di imparare una lezione,” disse, avvicinando il viso al mio.
“Pensi di potermi trattare come una stupida bambina davanti a tutti? Di sgridarmi come se fossi una dei mocciosi di questo campo?” La sua voce era bassa, quasi un ringhio, e i suoi occhi scintillavano di rabbia.
“Fiona, non—” cercai di dire, ma lei mi interruppe con una risata breve e glaciale.
“Zitto. Non voglio sentire le tue scuse patetiche.” Mi afferrò per il polso e lo spinse sopra la mia testa, immobilizzandomi contro lo scaffale. La sua presa era sorprendentemente forte, e il suo corpo premeva contro il mio, impedendomi di muovermi.
“Sei così bravo a dare ordini, vero?” sussurrò, avvicinandosi così tanto che potevo sentire il suo respiro caldo contro la mia pelle. “Ma ora sono io che comando.”
Con l’altra mano, mi afferrò per la cintura dei pantaloni, tirandomeli giù con un gesto deciso. “Togliti tutto,” ordinò, la voce carica di autorità.
Esitai, ma il suo sguardo mi fece capire che non avevo scelta. Con un misto di imbarazzo ed eccitazione, feci come mi aveva detto. Fiona si allontanò di un passo, guardandomi dall’alto in basso con un’espressione di puro disprezzo.
“Patetico,” disse, scuotendo la testa. “Guarda come tremi. Sei davvero così debole?”
Mi aspettavo che si fermasse lì, ma invece si chinò leggermente, sfilandosi lentamente i pantaloncini. Il movimento era deliberatamente lento, quasi crudele.
mi fissava dall’alto, gli occhi scintillanti di una rabbia che sembrava sul punto di esplodere. Senza preavviso, mi afferrò per il mento, stringendolo con forza sufficiente a farmi serrare i denti. “Guarda che figura patetica fai,” sibilò, inclinando la testa come se stesse studiando un insetto insignificante. “Pensavi davvero di potermi parlare così stamattina? Pensavi che te l’avrei fatta passare liscia?”
Prima che potessi rispondere, mi schiaffeggiò con un colpo rapido e deciso, non abbastanza forte da farmi male, ma sufficiente a farmi arrossire di umiliazione. “Non ti ho detto di parlare, vero? Oh no, tu farai solo quello che dico io.”
La sua mano si spostò dal mio viso al petto, scendendo lentamente, quasi a voler esplorare ogni centimetro della mia pelle. Le sue unghie mi graffiavano leggermente, lasciando una scia di brividi lungo il mio corpo. Quando arrivò alla mia virilità, la strinse con forza, abbastanza da farmi gemere.
“Guarda come reagisci,” disse con un sorrisetto crudele, inclinando la testa. “Non importa quanto ti insulti o quanto ti umili, vero? Sei sempre così pronto per me. È quasi… disgustoso.”
La sua presa si allentò, e per un attimo pensai che stesse per lasciarmi andare, ma poi afferrò la mia virilità con entrambe le mani, accarezzandola in un modo tanto provocante quanto crudele. Ogni movimento era lento e deliberato, come se volesse torturarmi con il piacere.
“Ti piace, vero?” sussurrò, abbassandosi leggermente per guardarmi negli occhi. “Ti piace quando sono cattiva con te. Quando ti faccio sentire inutile. Forse è per questo che mi hai sgridato stamattina: perché volevi arrivare a questo.”
Cercai di rispondere, ma il suono della mia voce si strozzò quando Fiona mi strinse ancora più forte. “Non osare negarlo,” disse, ridendo sottovoce. “È scritto in ogni fibra del tuo corpo.”
Fiona si rialzò, lasciandomi ansimante e piegato contro lo scaffale. Fece un passo indietro, incrociando le braccia e guardandomi con un misto di disprezzo e divertimento. “Ora,” disse, “visto che sei così bravo a prendere ordini, vediamo se riesci a farmi felice per una volta.”
Con un gesto deciso, mi afferrò per i capelli, tirandomi con forza verso il basso. “In ginocchio,” ordinò, spingendomi a terra. “E non osare alzare lo sguardo se non te lo dico io.”
Obbedii, il cuore che batteva all’impazzata. Fiona si sfilò lentamente la biancheria intima, lasciandola cadere a terra con un gesto casuale, ma ogni movimento era carico di intenzione. Si avvicinò a me, tirandomi i capelli per costringermi a guardarla.
“Ti sei guadagnato il privilegio di stare così vicino a me?” chiese, la voce carica di veleno. “Non credo proprio. Ma forse, se fai un lavoro decente, potrei anche perdonarti.”
Mi spinse il viso contro di lei, senza gentilezza, costringendomi a compiacerla. “Fai il tuo lavoro,” sibilò, affondando le dita tra i miei capelli e tirandoli con forza ogni volta che i miei movimenti non erano di suo gradimento. “E non fermarti finché non te lo dico io. Sei qui solo per questo, capito?”
Il suo corpo tremava leggermente, un misto di rabbia e piacere che sembrava alimentare ogni suo gesto. “Più a fondo,” ordinò, premendo il bacino contro di me. “Non stai facendo abbastanza. Fai di meglio, o giuro che te ne pentirai.”
Ogni parola, ogni movimento, era un chiaro messaggio: lei aveva il controllo totale. La sua voce si fece sempre più tesa, i suoi insulti più frequenti, mentre il suo corpo iniziava a cedere al piacere.
Fiona si piegò leggermente in avanti, le dita che scivolavano dai miei capelli al collo, stringendo con una pressione che oscillava tra il dominante e il minaccioso. “Bravo,” sussurrò, la voce più rauca ora, spezzata dai gemiti. “Finalmente stai imparando. Forse non sei completamente inutile.”
Il suo corpo iniziò a tremare, i suoi gemiti diventando più profondi, più selvaggi. Mi spinse ancora più a fondo, il respiro accelerato e irregolare mentre raggiungeva il suo apice. “Non fermarti,” gridò, le sue unghie che si conficcavano nella mia nuca.
Con un ultimo gemito gutturale, Fiona raggiunse l’orgasmo, il suo corpo che tremava violentemente contro di me. Ma anche in quel momento di estasi, il suo dominio non vacillò. Mi tirò di nuovo indietro per i capelli, costringendomi a guardarla.
“Vedi?” disse, ansimando. “Così si fa. È così che si compiace una donna come me.”
Fiona mi lasciò cadere a terra, seduto contro il muro, mentre lei rimase in piedi a guardarmi dall’alto, il respiro ancora accelerato. Nei suoi occhi non c’era traccia di dolcezza, solo quella fiamma oscura che mi aveva perseguitato per tutta la giornata. Si chinò verso di me, il sorriso perfido che le incurvava le labbra.
“Ti sembra finita qui, vero? Povero illuso,” sussurrò, prendendomi il mento tra le dita con una stretta decisa, quasi dolorosa. “Non sei nemmeno lontanamente al livello che pretendo da te.”
Le sue mani si mossero rapide, scendendo lungo il mio torace fino a raggiungere la mia virilità ancora esposta. Con un movimento brusco, mi afferrò, iniziando a stringere e a muoversi con un ritmo deciso, sfacciato. Ogni movimento era accompagnato da sguardi penetranti e commenti crudeli.
“Guardati,” sibilò, il tono carico di disprezzo. “Ti basta così poco per perdere la testa. Sei proprio come immaginavo: debole, incapace di resistermi. Ma va bene, sai? Perché è questo che voglio da te: obbedienza assoluta.”
Continuò a muoversi, il ritmo della sua mano alternando momenti di lentezza estenuante a colpi rapidi che mi lasciavano senza fiato. I suoi occhi non si staccavano dai miei, e ogni tanto si chinava per sussurrarmi frasi al vetriolo.
“Non venire,” ordinò, stringendo la presa e fermandosi bruscamente ogni volta che sentiva che stavo per superare il limite. “Non te lo meriti ancora. Non senza il mio permesso.”
Mi sentivo completamente alla sua mercé, incapace di oppormi, mentre lei sembrava godere del mio tormento. Poi, all’improvviso, si fermò, lasciandomi in un misto di frustrazione ed eccitazione insopportabile.
Fiona si alzò e mi guardò dall’alto, con un’espressione sprezzante. “Ora basta giochetti, è il momento di andare oltre,” disse con un sorriso perverso, afferrandomi per i capelli e costringendomi a sollevarmi leggermente.
Fiona si fermò per un attimo, osservandomi con aria di sfida. Il suo sguardo si spostava su di me come se stesse valutando il prossimo passo, e la tensione nella stanza si fece insopportabile.
“Però, prima di andare oltre,” disse con quel tono che oscillava tra il comando e la seduzione, “voglio che tu renda omaggio a ogni parte di me. E sai benissimo da dove cominciare.”
Con un movimento lento e deliberato, Fiona afferrò il laccio del suo reggiseno. Lo sciolse con una lentezza studiata, lasciandolo scivolare lungo le sue spalle fino a farlo cadere a terra. Rimase davanti a me, completamente esposta, il seno alto e pieno che sembrava quasi chiamarmi.
“Guarda bene,” sussurrò, afferrandomi per i capelli e tirandomi verso di lei. Il suo corpo si avvicinò al mio, e la sua pelle calda sfiorò le mie labbra. “Adesso usa quella bocca e fai qualcosa di utile per una volta.”
Mi trovai faccia a faccia con il suo petto, il profumo della sua pelle mescolato al calore del nostro momento. Fiona spinse leggermente il suo seno contro di me, il gesto tanto imperioso quanto sensuale. Iniziai a baciarla lentamente, tracciando con la lingua un percorso sulle sue curve morbide, mentre lei emetteva piccoli gemiti di approvazione.
“Così,” sussurrò, affondando le dita nei miei capelli e guidandomi con decisione. “Ma puoi fare di meglio, non essere timido. Voglio sentire che sei mio.”
Mi spinse contro di lei con più forza, costringendomi a mordicchiare leggermente e a succhiare con più intensità. Le sue mani non mi lasciavano scampo, e il suo respiro irregolare mi indicava che, nonostante la sua aria dominante, stava cominciando a perdere il controllo.
“Bravo,” gemette, la voce un misto di piacere e superiorità. “Ma non pensare nemmeno per un secondo che questo basti per redimerti. Sono io che decido quando hai finito.”
Mi fece continuare, alternando gemiti di piacere a parole crudeli. “Forse sei utile per qualcosa dopo tutto,” disse, spingendomi ancora più a fondo contro di lei. Il suo corpo tremava leggermente, e io potevo sentire il ritmo del suo respiro accelerare.
Quando decise che era abbastanza, mi allontanò con un gesto deciso, il suo petto ancora sollevato mentre riprendeva fiato. Mi guardò dall’alto con un sorriso compiaciuto e un lampo di crudeltà negli occhi.
“Ora siamo pronti per la prossima lezione,” disse, con una nota pericolosa nella voce. “Ma ricordati, qui comanda solo una persona. E non sei tu.”
Fiona si abbassò leggermente, i suoi occhi che brillavano di un misto di desiderio e crudeltà. Mi guardava come una predatrice che aveva finalmente deciso di affondare i denti nella sua preda.
“Siediti,” ordinò, spingendomi all’indietro fino a farmi cadere a terra, con la schiena contro una pila di scatole. Si mise sopra di me, il suo corpo completamente esposto mentre si posizionava. “Ora è il momento di vedere se sai fare davvero qualcosa di buono.”
Con una mano afferrò la mia virilità, guidandola contro di sé senza fretta, sfregando il suo calore contro di me. Io emisi un gemito soffocato, ma lei mi zittì con uno schiaffo improvviso sulla guancia. “Taci. Non voglio sentire i tuoi gemiti patetici. Ti ho già detto che qui comando io.”
Fiona si abbassò lentamente, permettendomi di entrare in lei. La sensazione era travolgente: stretta, calda, inarrestabile. Un gemito le sfuggì dalle labbra, ma cercò subito di mascherarlo mordendosi il labbro inferiore.
Si muoveva con forza, quasi con rabbia, spingendo il suo corpo contro il mio in un ritmo feroce e inarrestabile. Le sue mani affondarono nel mio petto, le unghie che lasciavano segni sulla mia pelle. Ogni movimento era un mix di dolore e piacere, un’esplosione di sensazioni che mi lasciava senza fiato.
“Guarda me,” ordinò, afferrandomi il viso per costringermi a incontrare il suo sguardo. “Non distogliere gli occhi da me. Voglio che tu capisca bene chi è che ti fa sentire così.”
Ad ogni spinta, Fiona aumentava l’intensità. Mi graffiò lungo le spalle, lasciando segni rossi e profondi, e quando vidi un lampo di soddisfazione nei suoi occhi, capii che era proprio quello che voleva.
“Se pensi che finirà presto, ti sbagli,” disse con voce tagliente, inclinando il bacino per spingermi ancora più a fondo. “Non ti permetterò di venire fino a quando non lo decido io. E credimi, potrei tenermi così tutta la notte.”
Io ansimavo, incapace di rispondere, mentre lei si muoveva con una forza sempre crescente. Un colpo improvviso sulla mia guancia mi fece sobbalzare, seguito da una risata crudele. “Ti piace, eh? Non fare il timido, so benissimo che sei mio.”
Mi sentivo vicino al limite, il piacere che cresceva con ogni movimento, ma Fiona se ne accorse immediatamente. Si fermò bruscamente, inchiodandomi con uno sguardo severo.
“Non ancora,” sibilò, afferrandomi il collo con una mano. “Ti ho detto che devi imparare a controllarti. Questo è il mio spettacolo, non il tuo.”
Continuò a muoversi sopra di me, ma più lentamente, torturandomi con il suo ritmo controllato. Ogni tanto mi concedeva un momento di intensità, solo per fermarsi di nuovo quando sentiva che stavo per esplodere. Era un gioco crudele, e lei ne godeva ogni secondo.
Finalmente, dopo quello che sembrò un’eternità, Fiona si fermò completamente, piegandosi su di me con un sorriso malizioso. “Forse,” disse, scostandosi i capelli dal viso, “se ti comporti bene, ti lascerò venire… domani.”
Mi lasciò lì, esausto e frustrato, mentre si alzava con una calma quasi irritante, raccogliendo i suoi vestiti sparsi per il magazzino.
“Ricordati,” disse, voltandosi per lanciarmi un’ultima occhiata, “sei qui solo per me. E non dimenticarlo mai.”
Il silenzio del magazzino si faceva più opprimente mentre riordinavo le ultime scatole. La tensione che Fiona aveva lasciato dietro di sé mi stringeva il petto, e il desiderio che bruciava sotto la pelle non accennava a spegnersi. Mi piegai per sistemare un’altra pila di attrezzi, cercando di concentrarmi, quando un rumore appena percettibile mi fece bloccare.
Un fruscio. Un respiro.
Mi raddrizzai di scatto, il cuore che prese a martellare ancora più forte. Mi guardai intorno, scrutando le ombre del magazzino. “C’è qualcuno?” chiesi, la voce tesa.
Nessuna risposta.
Ma poi un movimento, vicino agli scaffali in fondo, tradì la presenza di qualcun altro. Mi avvicinai lentamente, ogni passo che scricchiolava sul pavimento mi sembrava un tuono nel silenzio. Scostai un paio di scatole, e lì, nascosta dietro una pila di attrezzature, c’era Simona.
“Simona?”
Simona era una delle animatrici più nuove, da poco entrata nel team.
Lei alzò la testa di scatto, gli occhi spalancati e pieni di colpa. Era rannicchiata a terra, come se stesse cercando di sparire tra le ombre, e il rossore che le colorava le guance lasciava poco spazio ai dubbi: aveva visto.
“Che diavolo ci fai qui?” sbottai, la voce più dura di quanto avessi previsto.
“Io… io stavo cercando del materiale,” balbettò, abbassando lo sguardo. “Ero già qui prima che… voi arrivaste.”
Le sue parole mi fecero stringere la mascella. “E non ti è venuto in mente di uscire? Di avvisarci che c’era qualcuno?”
Lei esitò, mordendosi il labbro inferiore. “Non potevo… e poi…”
“Poi cosa?”
“Poi sono rimasta,” mormorò, quasi impercettibilmente.
Quelle parole rimasero sospese tra noi come un macigno. La guardai, cercando di decifrare la sua espressione. Non sembrava sconvolta, né arrabbiata. Sembrava… curiosa. Un lampo di qualcosa che non volevo definire attraversò i suoi occhi, qualcosa di troppo vicino al desiderio.
“Dimmi la verità, Simona,” dissi, la voce più bassa e pericolosa. “Hai visto tutto, vero?”
Lei non rispose subito. Le sue mani si strinsero nervosamente sulle ginocchia, e alla fine annuì lentamente, senza alzare lo sguardo.
“Non volevo spiare!” si affrettò a dire. “Giuro, non era mia intenzione… ma poi… non riuscivo a muovermi.”
“Non ti muovevi o non volevi andartene?”
La domanda la colpì come una frustata. Finalmente alzò lo sguardo, e nei suoi occhi c’era una scintilla di sfida. “Non sono affari tuoi,” disse piano, ma con una fermezza che non mi aspettavo.
“Non sono affari miei?” ripetei incredulo. “Hai visto qualcosa che non dovevi vedere, e ora non è affar mio? Ascolta, non voglio che una sola parola di questa storia esca da qui. Capito?”
Lei annuì rapidamente, ma il rossore sulle sue guance e il modo in cui si mordeva il labbro mi fecero capire che la situazione era tutt’altro che risolta. “Non dirò nulla,” disse, con un tono che avrebbe dovuto suonare rassicurante, ma che nascondeva un sottotesto che non potevo ignorare.
“Simona, voglio essere chiaro. Se parli, se fai qualcosa che potrebbe mettermi nei guai, non finisce bene per te.”
“Non ho intenzione di parlare,” rispose, ma la sua voce tradiva un’ombra di esitazione. Poi, con un lieve sorriso che mi fece gelare il sangue, aggiunse: “Ma ammetto che sono curiosa.”
“Curiosa di cosa?”
“Di te. Di Fiona. Di… tutto questo.”
Quelle parole, pronunciate con un’inquietante calma, mi fecero capire che Simona non era così ingenua come sembrava. La sua curiosità non era semplice stupore, ma qualcosa di più profondo, più pericoloso.
Restammo in silenzio per qualche istante, e quando finalmente abbassò lo sguardo, mi resi conto che questa conversazione non era finita. Anzi, era solo l’inizio.
Mentre usciva dal magazzino, lasciandomi solo con i miei pensieri, il suo sorriso enigmatico mi lasciò con un dubbio che mi tormentò per tutta la sera: cosa intendeva fare con ciò che aveva visto?
Nonostante il corpo spossato, la mente era intrappolata tra pensieri proibiti. Sapevo che con lei nulla era prevedibile, e il giorno dopo sarebbe stato una prova ancora più dura.
La giornata era iniziata come tutte le altre, con un leggero nervosismo che accompagnava ogni incontro con Fiona. Da quando aveva iniziato a “giocare” con me, ogni momento trascorso insieme sembrava una sfida, una prova di resistenza alle sue provocazioni incessanti.
Fiona si era presentata al lavoro indossando una semplice maglietta bianca e un paio di shorts che lasciavano poco all’immaginazione, come al solito. Ogni suo movimento era un invito non dichiarato, un modo per reclamare la mia attenzione senza mai chiedere apertamente. Si avvicinò al bancone dove stavo lavorando e si piegò leggermente in avanti, lasciando che i capelli le scivolassero sul viso mentre mi porgeva una lista di cose da fare.
“Ho bisogno che tu sistemi queste cose prima di pranzo,” disse con un sorriso malizioso. Il tono era innocente, ma i suoi occhi tradivano un’intenzione più profonda.
Cercai di ignorarla, di concentrarmi sul lavoro, ma non era semplice. Ogni volta che si muoveva nel negozio, i suoi gesti sembravano studiati per attirare l’attenzione. Si piegava per raccogliere qualcosa, lasciando che la maglietta si sollevasse appena sopra la linea degli shorts. Passava accanto a me, sfiorandomi con il fianco, come se fosse un incidente.
A metà mattina, quando le cose iniziarono a farsi più frenetiche, Fiona trovò un modo per attirare ancora di più la mia attenzione. “Ops,” esclamò mentre una pila di scatole le scivolava dalle mani, sparpagliandosi sul pavimento. Si piegò per raccoglierle, e io fui costretto a distogliere lo sguardo dal modo in cui la stoffa dei suoi shorts si tendeva.
“Fiona, stai attenta,” dissi, cercando di mantenere un tono professionale. Lei si voltò e mi rivolse uno sguardo innocente, con un sorriso che sapevo bene nascondesse un intento provocatorio.
“Scusa, sono così distratta oggi,” rispose, ma il suo tono suggeriva tutt’altro.
Il culmine della tensione arrivò poco dopo pranzo. Stavamo organizzando una piccola caccia al tesoro, e io avevo incaricato Fiona di sorvegliare un gruppo di piccoli mentre si muovevano tra le varie stazioni. Ma, come sempre, Fiona era più concentrata su di me che sul suo lavoro.
Invece di prestare attenzione ai bambini, si era appoggiata a un tavolo poco distante, osservandomi con un sorriso provocatorio mentre giocherellava con una delle penne. “Allora, capo,” mi aveva chiamato sottovoce, incurante del caos che cresceva intorno a lei. “Ti serve una mano… o qualcos’altro?”
Non risposi, cercando di mantenere il controllo, ma lei continuò a distrarsi, ridacchiando tra sé e sé mentre si muoveva distrattamente tra i bambini. Fu allora che accadde: un bambino inciampò e cadde, facendosi male al ginocchio. L’altro iniziò a piangere spaventato, e tutto si trasformò rapidamente in un caos.
“Fiona!” urlai, avvicinandomi furioso. “Ti avevo detto di prestare attenzione! Dovevi sorvegliarli!”
Lei si voltò, sorpresa dalla mia reazione, ma mantenne il suo solito sorriso sfacciato. “Oh, scusa,” disse, alzando le mani come se non fosse colpa sua. “Ero distratta…”
“Sei sempre distratta!” sbottai, il tono della mia voce alzandosi. “Sei qui per lavorare, non per giocare!”
Per un attimo, il sorriso di Fiona svanì. Mi fissò con un’espressione che non riuscivo a decifrare, e poi si voltò, tornando a raccogliere i bambini con una calma glaciale.
Ma sapevo che non avrebbe lasciato correre.
Il resto della giornata fu un continuo susseguirsi di dispetti e provocazioni. Fiona si impegnava a ostacolarmi in ogni modo, trovando ogni scusa per punirmi a modo suo.
“Ops,” disse quando fece cadere una pila di fogli dal bancone, costringendomi a raccoglierli. Si chinò accanto a me, lasciando che i capelli le scivolassero sul viso e sfiorandomi volutamente con il fianco. “Che goffa che sono, eh?”
Durante la pausa, si avvicinò a me con una bibita in mano e un sorriso che non prometteva nulla di buono. “Allora, sei ancora arrabbiato?” chiese con voce mielosa, avvicinandosi troppo. “Sai, quando sei così serio… mi fai quasi paura.”
Le sue parole erano un misto di sfida e seduzione, e io cercai di ignorarla, ma era impossibile. Fiona era un tornado che non potevi evitare, e più cercavo di resisterle, più lei sembrava divertirsi.
La giornata era quasi finita, e il centro estivo si svuotava lentamente. Io e Fiona eravamo rimasti indietro per sistemare alcune attrezzature nel magazzino. La tensione tra di noi era palpabile, un filo teso che sembrava sul punto di spezzarsi.
“Dai, muoviti,” dissi, cercando di mantenere un tono professionale. “Più velocemente finiamo, prima possiamo andare a casa.”
Fiona, però, sembrava intenzionata a fare tutto con la massima lentezza possibile. Si chinava in modo esasperante per raccogliere gli oggetti, prendendosi tutto il tempo per sistemarli sugli scaffali, mentre il suo corpo ondeggiava volutamente. Ad ogni movimento, l’elastico dei pantaloncini si abbassava leggermente, rivelando sempre di più.
“Se hai così tanta fretta, perché non lo fai tu?” rispose, voltandosi verso di me con un sorriso provocatorio.
Sbattendo un cesto sul pavimento con più forza del necessario, mi girai verso di lei. “Fiona, piantala. Non ho tempo per i tuoi giochetti.”
Lei smise di muoversi, fissandomi per un lungo momento. Poi, con un’espressione che non prometteva nulla di buono, si avvicinò a me. “Oh, quindi ora vuoi fare il duro?” disse, la voce carica di veleno.
Prima che potessi rispondere, mi afferrò per la maglietta e mi spinse contro lo scaffale. L’impatto fu sorprendentemente forte, e il rumore delle attrezzature che si spostavano riempì il piccolo spazio. “Sai, penso che tu abbia bisogno di imparare una lezione,” disse, avvicinando il viso al mio.
“Pensi di potermi trattare come una stupida bambina davanti a tutti? Di sgridarmi come se fossi una dei mocciosi di questo campo?” La sua voce era bassa, quasi un ringhio, e i suoi occhi scintillavano di rabbia.
“Fiona, non—” cercai di dire, ma lei mi interruppe con una risata breve e glaciale.
“Zitto. Non voglio sentire le tue scuse patetiche.” Mi afferrò per il polso e lo spinse sopra la mia testa, immobilizzandomi contro lo scaffale. La sua presa era sorprendentemente forte, e il suo corpo premeva contro il mio, impedendomi di muovermi.
“Sei così bravo a dare ordini, vero?” sussurrò, avvicinandosi così tanto che potevo sentire il suo respiro caldo contro la mia pelle. “Ma ora sono io che comando.”
Con l’altra mano, mi afferrò per la cintura dei pantaloni, tirandomeli giù con un gesto deciso. “Togliti tutto,” ordinò, la voce carica di autorità.
Esitai, ma il suo sguardo mi fece capire che non avevo scelta. Con un misto di imbarazzo ed eccitazione, feci come mi aveva detto. Fiona si allontanò di un passo, guardandomi dall’alto in basso con un’espressione di puro disprezzo.
“Patetico,” disse, scuotendo la testa. “Guarda come tremi. Sei davvero così debole?”
Mi aspettavo che si fermasse lì, ma invece si chinò leggermente, sfilandosi lentamente i pantaloncini. Il movimento era deliberatamente lento, quasi crudele.
mi fissava dall’alto, gli occhi scintillanti di una rabbia che sembrava sul punto di esplodere. Senza preavviso, mi afferrò per il mento, stringendolo con forza sufficiente a farmi serrare i denti. “Guarda che figura patetica fai,” sibilò, inclinando la testa come se stesse studiando un insetto insignificante. “Pensavi davvero di potermi parlare così stamattina? Pensavi che te l’avrei fatta passare liscia?”
Prima che potessi rispondere, mi schiaffeggiò con un colpo rapido e deciso, non abbastanza forte da farmi male, ma sufficiente a farmi arrossire di umiliazione. “Non ti ho detto di parlare, vero? Oh no, tu farai solo quello che dico io.”
La sua mano si spostò dal mio viso al petto, scendendo lentamente, quasi a voler esplorare ogni centimetro della mia pelle. Le sue unghie mi graffiavano leggermente, lasciando una scia di brividi lungo il mio corpo. Quando arrivò alla mia virilità, la strinse con forza, abbastanza da farmi gemere.
“Guarda come reagisci,” disse con un sorrisetto crudele, inclinando la testa. “Non importa quanto ti insulti o quanto ti umili, vero? Sei sempre così pronto per me. È quasi… disgustoso.”
La sua presa si allentò, e per un attimo pensai che stesse per lasciarmi andare, ma poi afferrò la mia virilità con entrambe le mani, accarezzandola in un modo tanto provocante quanto crudele. Ogni movimento era lento e deliberato, come se volesse torturarmi con il piacere.
“Ti piace, vero?” sussurrò, abbassandosi leggermente per guardarmi negli occhi. “Ti piace quando sono cattiva con te. Quando ti faccio sentire inutile. Forse è per questo che mi hai sgridato stamattina: perché volevi arrivare a questo.”
Cercai di rispondere, ma il suono della mia voce si strozzò quando Fiona mi strinse ancora più forte. “Non osare negarlo,” disse, ridendo sottovoce. “È scritto in ogni fibra del tuo corpo.”
Fiona si rialzò, lasciandomi ansimante e piegato contro lo scaffale. Fece un passo indietro, incrociando le braccia e guardandomi con un misto di disprezzo e divertimento. “Ora,” disse, “visto che sei così bravo a prendere ordini, vediamo se riesci a farmi felice per una volta.”
Con un gesto deciso, mi afferrò per i capelli, tirandomi con forza verso il basso. “In ginocchio,” ordinò, spingendomi a terra. “E non osare alzare lo sguardo se non te lo dico io.”
Obbedii, il cuore che batteva all’impazzata. Fiona si sfilò lentamente la biancheria intima, lasciandola cadere a terra con un gesto casuale, ma ogni movimento era carico di intenzione. Si avvicinò a me, tirandomi i capelli per costringermi a guardarla.
“Ti sei guadagnato il privilegio di stare così vicino a me?” chiese, la voce carica di veleno. “Non credo proprio. Ma forse, se fai un lavoro decente, potrei anche perdonarti.”
Mi spinse il viso contro di lei, senza gentilezza, costringendomi a compiacerla. “Fai il tuo lavoro,” sibilò, affondando le dita tra i miei capelli e tirandoli con forza ogni volta che i miei movimenti non erano di suo gradimento. “E non fermarti finché non te lo dico io. Sei qui solo per questo, capito?”
Il suo corpo tremava leggermente, un misto di rabbia e piacere che sembrava alimentare ogni suo gesto. “Più a fondo,” ordinò, premendo il bacino contro di me. “Non stai facendo abbastanza. Fai di meglio, o giuro che te ne pentirai.”
Ogni parola, ogni movimento, era un chiaro messaggio: lei aveva il controllo totale. La sua voce si fece sempre più tesa, i suoi insulti più frequenti, mentre il suo corpo iniziava a cedere al piacere.
Fiona si piegò leggermente in avanti, le dita che scivolavano dai miei capelli al collo, stringendo con una pressione che oscillava tra il dominante e il minaccioso. “Bravo,” sussurrò, la voce più rauca ora, spezzata dai gemiti. “Finalmente stai imparando. Forse non sei completamente inutile.”
Il suo corpo iniziò a tremare, i suoi gemiti diventando più profondi, più selvaggi. Mi spinse ancora più a fondo, il respiro accelerato e irregolare mentre raggiungeva il suo apice. “Non fermarti,” gridò, le sue unghie che si conficcavano nella mia nuca.
Con un ultimo gemito gutturale, Fiona raggiunse l’orgasmo, il suo corpo che tremava violentemente contro di me. Ma anche in quel momento di estasi, il suo dominio non vacillò. Mi tirò di nuovo indietro per i capelli, costringendomi a guardarla.
“Vedi?” disse, ansimando. “Così si fa. È così che si compiace una donna come me.”
Fiona mi lasciò cadere a terra, seduto contro il muro, mentre lei rimase in piedi a guardarmi dall’alto, il respiro ancora accelerato. Nei suoi occhi non c’era traccia di dolcezza, solo quella fiamma oscura che mi aveva perseguitato per tutta la giornata. Si chinò verso di me, il sorriso perfido che le incurvava le labbra.
“Ti sembra finita qui, vero? Povero illuso,” sussurrò, prendendomi il mento tra le dita con una stretta decisa, quasi dolorosa. “Non sei nemmeno lontanamente al livello che pretendo da te.”
Le sue mani si mossero rapide, scendendo lungo il mio torace fino a raggiungere la mia virilità ancora esposta. Con un movimento brusco, mi afferrò, iniziando a stringere e a muoversi con un ritmo deciso, sfacciato. Ogni movimento era accompagnato da sguardi penetranti e commenti crudeli.
“Guardati,” sibilò, il tono carico di disprezzo. “Ti basta così poco per perdere la testa. Sei proprio come immaginavo: debole, incapace di resistermi. Ma va bene, sai? Perché è questo che voglio da te: obbedienza assoluta.”
Continuò a muoversi, il ritmo della sua mano alternando momenti di lentezza estenuante a colpi rapidi che mi lasciavano senza fiato. I suoi occhi non si staccavano dai miei, e ogni tanto si chinava per sussurrarmi frasi al vetriolo.
“Non venire,” ordinò, stringendo la presa e fermandosi bruscamente ogni volta che sentiva che stavo per superare il limite. “Non te lo meriti ancora. Non senza il mio permesso.”
Mi sentivo completamente alla sua mercé, incapace di oppormi, mentre lei sembrava godere del mio tormento. Poi, all’improvviso, si fermò, lasciandomi in un misto di frustrazione ed eccitazione insopportabile.
Fiona si alzò e mi guardò dall’alto, con un’espressione sprezzante. “Ora basta giochetti, è il momento di andare oltre,” disse con un sorriso perverso, afferrandomi per i capelli e costringendomi a sollevarmi leggermente.
Fiona si fermò per un attimo, osservandomi con aria di sfida. Il suo sguardo si spostava su di me come se stesse valutando il prossimo passo, e la tensione nella stanza si fece insopportabile.
“Però, prima di andare oltre,” disse con quel tono che oscillava tra il comando e la seduzione, “voglio che tu renda omaggio a ogni parte di me. E sai benissimo da dove cominciare.”
Con un movimento lento e deliberato, Fiona afferrò il laccio del suo reggiseno. Lo sciolse con una lentezza studiata, lasciandolo scivolare lungo le sue spalle fino a farlo cadere a terra. Rimase davanti a me, completamente esposta, il seno alto e pieno che sembrava quasi chiamarmi.
“Guarda bene,” sussurrò, afferrandomi per i capelli e tirandomi verso di lei. Il suo corpo si avvicinò al mio, e la sua pelle calda sfiorò le mie labbra. “Adesso usa quella bocca e fai qualcosa di utile per una volta.”
Mi trovai faccia a faccia con il suo petto, il profumo della sua pelle mescolato al calore del nostro momento. Fiona spinse leggermente il suo seno contro di me, il gesto tanto imperioso quanto sensuale. Iniziai a baciarla lentamente, tracciando con la lingua un percorso sulle sue curve morbide, mentre lei emetteva piccoli gemiti di approvazione.
“Così,” sussurrò, affondando le dita nei miei capelli e guidandomi con decisione. “Ma puoi fare di meglio, non essere timido. Voglio sentire che sei mio.”
Mi spinse contro di lei con più forza, costringendomi a mordicchiare leggermente e a succhiare con più intensità. Le sue mani non mi lasciavano scampo, e il suo respiro irregolare mi indicava che, nonostante la sua aria dominante, stava cominciando a perdere il controllo.
“Bravo,” gemette, la voce un misto di piacere e superiorità. “Ma non pensare nemmeno per un secondo che questo basti per redimerti. Sono io che decido quando hai finito.”
Mi fece continuare, alternando gemiti di piacere a parole crudeli. “Forse sei utile per qualcosa dopo tutto,” disse, spingendomi ancora più a fondo contro di lei. Il suo corpo tremava leggermente, e io potevo sentire il ritmo del suo respiro accelerare.
Quando decise che era abbastanza, mi allontanò con un gesto deciso, il suo petto ancora sollevato mentre riprendeva fiato. Mi guardò dall’alto con un sorriso compiaciuto e un lampo di crudeltà negli occhi.
“Ora siamo pronti per la prossima lezione,” disse, con una nota pericolosa nella voce. “Ma ricordati, qui comanda solo una persona. E non sei tu.”
Fiona si abbassò leggermente, i suoi occhi che brillavano di un misto di desiderio e crudeltà. Mi guardava come una predatrice che aveva finalmente deciso di affondare i denti nella sua preda.
“Siediti,” ordinò, spingendomi all’indietro fino a farmi cadere a terra, con la schiena contro una pila di scatole. Si mise sopra di me, il suo corpo completamente esposto mentre si posizionava. “Ora è il momento di vedere se sai fare davvero qualcosa di buono.”
Con una mano afferrò la mia virilità, guidandola contro di sé senza fretta, sfregando il suo calore contro di me. Io emisi un gemito soffocato, ma lei mi zittì con uno schiaffo improvviso sulla guancia. “Taci. Non voglio sentire i tuoi gemiti patetici. Ti ho già detto che qui comando io.”
Fiona si abbassò lentamente, permettendomi di entrare in lei. La sensazione era travolgente: stretta, calda, inarrestabile. Un gemito le sfuggì dalle labbra, ma cercò subito di mascherarlo mordendosi il labbro inferiore.
Si muoveva con forza, quasi con rabbia, spingendo il suo corpo contro il mio in un ritmo feroce e inarrestabile. Le sue mani affondarono nel mio petto, le unghie che lasciavano segni sulla mia pelle. Ogni movimento era un mix di dolore e piacere, un’esplosione di sensazioni che mi lasciava senza fiato.
“Guarda me,” ordinò, afferrandomi il viso per costringermi a incontrare il suo sguardo. “Non distogliere gli occhi da me. Voglio che tu capisca bene chi è che ti fa sentire così.”
Ad ogni spinta, Fiona aumentava l’intensità. Mi graffiò lungo le spalle, lasciando segni rossi e profondi, e quando vidi un lampo di soddisfazione nei suoi occhi, capii che era proprio quello che voleva.
“Se pensi che finirà presto, ti sbagli,” disse con voce tagliente, inclinando il bacino per spingermi ancora più a fondo. “Non ti permetterò di venire fino a quando non lo decido io. E credimi, potrei tenermi così tutta la notte.”
Io ansimavo, incapace di rispondere, mentre lei si muoveva con una forza sempre crescente. Un colpo improvviso sulla mia guancia mi fece sobbalzare, seguito da una risata crudele. “Ti piace, eh? Non fare il timido, so benissimo che sei mio.”
Mi sentivo vicino al limite, il piacere che cresceva con ogni movimento, ma Fiona se ne accorse immediatamente. Si fermò bruscamente, inchiodandomi con uno sguardo severo.
“Non ancora,” sibilò, afferrandomi il collo con una mano. “Ti ho detto che devi imparare a controllarti. Questo è il mio spettacolo, non il tuo.”
Continuò a muoversi sopra di me, ma più lentamente, torturandomi con il suo ritmo controllato. Ogni tanto mi concedeva un momento di intensità, solo per fermarsi di nuovo quando sentiva che stavo per esplodere. Era un gioco crudele, e lei ne godeva ogni secondo.
Finalmente, dopo quello che sembrò un’eternità, Fiona si fermò completamente, piegandosi su di me con un sorriso malizioso. “Forse,” disse, scostandosi i capelli dal viso, “se ti comporti bene, ti lascerò venire… domani.”
Mi lasciò lì, esausto e frustrato, mentre si alzava con una calma quasi irritante, raccogliendo i suoi vestiti sparsi per il magazzino.
“Ricordati,” disse, voltandosi per lanciarmi un’ultima occhiata, “sei qui solo per me. E non dimenticarlo mai.”
Il silenzio del magazzino si faceva più opprimente mentre riordinavo le ultime scatole. La tensione che Fiona aveva lasciato dietro di sé mi stringeva il petto, e il desiderio che bruciava sotto la pelle non accennava a spegnersi. Mi piegai per sistemare un’altra pila di attrezzi, cercando di concentrarmi, quando un rumore appena percettibile mi fece bloccare.
Un fruscio. Un respiro.
Mi raddrizzai di scatto, il cuore che prese a martellare ancora più forte. Mi guardai intorno, scrutando le ombre del magazzino. “C’è qualcuno?” chiesi, la voce tesa.
Nessuna risposta.
Ma poi un movimento, vicino agli scaffali in fondo, tradì la presenza di qualcun altro. Mi avvicinai lentamente, ogni passo che scricchiolava sul pavimento mi sembrava un tuono nel silenzio. Scostai un paio di scatole, e lì, nascosta dietro una pila di attrezzature, c’era Simona.
“Simona?”
Simona era una delle animatrici più nuove, da poco entrata nel team.
Lei alzò la testa di scatto, gli occhi spalancati e pieni di colpa. Era rannicchiata a terra, come se stesse cercando di sparire tra le ombre, e il rossore che le colorava le guance lasciava poco spazio ai dubbi: aveva visto.
“Che diavolo ci fai qui?” sbottai, la voce più dura di quanto avessi previsto.
“Io… io stavo cercando del materiale,” balbettò, abbassando lo sguardo. “Ero già qui prima che… voi arrivaste.”
Le sue parole mi fecero stringere la mascella. “E non ti è venuto in mente di uscire? Di avvisarci che c’era qualcuno?”
Lei esitò, mordendosi il labbro inferiore. “Non potevo… e poi…”
“Poi cosa?”
“Poi sono rimasta,” mormorò, quasi impercettibilmente.
Quelle parole rimasero sospese tra noi come un macigno. La guardai, cercando di decifrare la sua espressione. Non sembrava sconvolta, né arrabbiata. Sembrava… curiosa. Un lampo di qualcosa che non volevo definire attraversò i suoi occhi, qualcosa di troppo vicino al desiderio.
“Dimmi la verità, Simona,” dissi, la voce più bassa e pericolosa. “Hai visto tutto, vero?”
Lei non rispose subito. Le sue mani si strinsero nervosamente sulle ginocchia, e alla fine annuì lentamente, senza alzare lo sguardo.
“Non volevo spiare!” si affrettò a dire. “Giuro, non era mia intenzione… ma poi… non riuscivo a muovermi.”
“Non ti muovevi o non volevi andartene?”
La domanda la colpì come una frustata. Finalmente alzò lo sguardo, e nei suoi occhi c’era una scintilla di sfida. “Non sono affari tuoi,” disse piano, ma con una fermezza che non mi aspettavo.
“Non sono affari miei?” ripetei incredulo. “Hai visto qualcosa che non dovevi vedere, e ora non è affar mio? Ascolta, non voglio che una sola parola di questa storia esca da qui. Capito?”
Lei annuì rapidamente, ma il rossore sulle sue guance e il modo in cui si mordeva il labbro mi fecero capire che la situazione era tutt’altro che risolta. “Non dirò nulla,” disse, con un tono che avrebbe dovuto suonare rassicurante, ma che nascondeva un sottotesto che non potevo ignorare.
“Simona, voglio essere chiaro. Se parli, se fai qualcosa che potrebbe mettermi nei guai, non finisce bene per te.”
“Non ho intenzione di parlare,” rispose, ma la sua voce tradiva un’ombra di esitazione. Poi, con un lieve sorriso che mi fece gelare il sangue, aggiunse: “Ma ammetto che sono curiosa.”
“Curiosa di cosa?”
“Di te. Di Fiona. Di… tutto questo.”
Quelle parole, pronunciate con un’inquietante calma, mi fecero capire che Simona non era così ingenua come sembrava. La sua curiosità non era semplice stupore, ma qualcosa di più profondo, più pericoloso.
Restammo in silenzio per qualche istante, e quando finalmente abbassò lo sguardo, mi resi conto che questa conversazione non era finita. Anzi, era solo l’inizio.
Mentre usciva dal magazzino, lasciandomi solo con i miei pensieri, il suo sorriso enigmatico mi lasciò con un dubbio che mi tormentò per tutta la sera: cosa intendeva fare con ciò che aveva visto?
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