Lezioni con la barbie della porta accanto - capitolo 2
di
Asiadu01
genere
dominazione
La passione riecheggiò nella mia stanza, lasciandomi senza fiato. Poco dopo, lo schermo si oscurò: la penna si era scaricata. Ma non mi importava. Aveva registrato tutto ciò che contava, proprio la parte più preziosa, il segreto più proibito di Sabrina, e ora era nelle mie mani.
Il giorno dopo la rividi a scuola. Sembrava sempre la stessa, luminosa, popolare, inaccessibile. Rideva con le amiche, lanciava sguardi distratti ai ragazzi che la adoravano, si muoveva con la solita grazia spavalda, quel misto di sicurezza e vanità che l’aveva sempre resa irritante ai miei occhi… fino a quel momento. Ora non riuscivo più a guardarla allo stesso modo.
Ogni movimento, ogni risata, ogni sguardo lanciato con aria annoiata mi riportava a quella scena. Ai suoi occhi socchiusi nel piacere, alle sue mani sulla pelle, ai piccoli brividi che l’avevano scossa sotto la luce del mattino.
Sabrina non aveva idea di nulla. Eppure, io sapevo tutto.
Come Icaro, se fosse stato un pervertito, non potevo fermarmi. Avevo ottenuto un gran risultato, qualcosa che sarebbe dovuto bastarmi. Eppure, no.
L’idea di vedere di più mi divorava. Il pensiero di Sabrina, ignara di tutto, di quello che faceva nella sua stanza quando credeva di essere sola, mi consumava il cervello e le mani.
Dovevo farmi andare bene quella prima volta, accontentarmi del bottino che avevo ottenuto. Ma sapevo che non l’avrei fatto. Volevo altro.
La penna sarebbe tornata sulla libreria. Se il destino mi aveva già regalato una scena così perfetta, magari mi avrebbe concesso ancora di più. Qualcosa di più spinto. Qualcosa di ancora più intimo.
E se Sabrina si fosse lasciata andare ancora una volta, sarei stato nuovamente pronto.
Arrivò il mercoledì, e con lui un’altra lezione. Stesse modalità, stesso copione. Io spiegavo, lei fingeva di ascoltare.
Sabrina era sempre più scocciata. Appoggiava la testa sulle mani, sbuffava, fissava il libro con aria assente. Ogni tanto smanettava sul telefono, alzava lo sguardo solo per guardarsi le unghie o sistemarsi i capelli. Non provava nemmeno a far finta di capire. Era evidente che fosse lì solo perché costretta.
“Ma quindi questa roba di Pitagora la dobbiamo proprio fare?” chiese, stiracchiandosi come se fosse sul divano di casa sua.
“Sì, se vuoi evitare di ripetere l’anno,” risposi, cercando di non guardare troppo il modo in cui la sua maglietta si sollevava scoprendo la pelle chiara del ventre.
Lei fece una smorfia, poi si alzò di scatto. “Vabbè, pausa bagno.”
Perfetto.
Adoravo quando si chiudeva in bagno, perché significava che avevo il tempo di piazzare la penna.
Aspettai di sentire il suono della porta che si chiudeva, il piccolo scatto della serratura. Poi, senza pensarci due volte, infilai la mano nella tasca e la tirai fuori. La posizionai con calma sulla libreria, nello stesso angolo della volta scorsa, perfettamente nascosta tra i suoi libri dai titoli patinati e inutili.
Pochi minuti dopo, Sabrina tornò, sistemando la frangia davanti allo specchio della sua vanity table come se io nemmeno esistessi. La lezione proseguì fino alla fine, senza che lei facesse il minimo sforzo per imparare qualcosa.
Finalmente, me ne andai.
Avevo fatto il mio dovere. Ora non restava che aspettare.
Venerdì sembrava un miraggio lontano, un traguardo impossibile da raggiungere. Ma sapevo che, non appena avessi varcato la soglia di casa con quella penna in tasca, mi sarei ritrovato di nuovo davanti al mio personale spettacolo proibito.
Il venerdì arrivò, portandosi dietro eccitazione e una sottile tensione che non riuscivo a scrollarmi di dosso. Non era solo l’attesa di quello che avrei visto nella registrazione, ma anche una sensazione più viscerale, più pericolosa.
Mi presentai da Sabrina come sempre, ma appena mi aprì la porta, capii che qualcosa era diverso.
Lei era lì, appoggiata allo stipite, un sorrisetto svogliato sulle labbra lunghe e perfette, vestita come al solito in modo inappropriato per una “lezione di ripetizioni”.
Indossava un micro top bianco, troppo stretto, troppo corto, troppo tutto, che lasciava scoperto ogni minimo dettaglio del suo addome piatto e della leggera fossetta sopra l’ombelico. I suoi shorts di jeans erano quasi inesistenti, più simili a biancheria che a pantaloncini, con l’orlo sfilacciato e risvoltato su cosce lunghe e impeccabili. Ma fu il dettaglio finale a colpirmi più di tutto: era a piedi nudi.
Un particolare insignificante per chiunque, ma per me? No.
I suoi piedi erano piccoli, perfetti, con le unghie smaltate di un rosa chiaro che completava quell’immagine di Barbie vivente che avevo di lei. Il tallone leggermente rialzato mentre si reggeva su una gamba, l’arco sottile e delicato, le dita ben curate che si muovevano pigramente sul pavimento freddo.
Deglutii, cercando di non fissarla troppo.
“Entra,” disse, girandosi con una leggerezza irritante.
Lo feci, e come sempre, ci sistemammo nella sua camera. Ma qualcosa in lei era diverso.
Era scocciata, certo. Ma non era solo quello. Aveva un’aria quasi… divertita.
Iniziai a spiegare qualcosa – nemmeno ricordo cosa, perché i miei occhi continuavano a tradirmi, attirati dai suoi movimenti distratti, dalla pelle scoperta, da ogni piccolo gesto fatto con negligenza sensuale.
E dopo neanche un minuto…
“Devo andare in bagno,” annunciò con un sospiro annoiato, stiracchiandosi come un gatto pigro.
Mi aspettavo che lo dicesse. Anzi, lo speravo.
Non appena sentii la porta del bagno chiudersi e la serratura scattare, passai all’azione. Mi alzai con calma, come l’altra volta, dirigendomi verso la libreria per recuperare la penna.
Solo che… non c’era.
Il mio stomaco si chiuse.
Rimasi immobile per un attimo, fissando lo spazio vuoto tra i libri. Forse l’avevo messa un po’ più in là? Feci scorrere le dita lungo il ripiano, ma niente. Non era lì.
Un brivido mi attraversò la schiena.
E poi la sentii.
Quella risatina.
Subito seguita dalla peggior cosa possibile.
“Cercavi questa?”
Mi gelai.
La voce veniva da dietro di me. Lenta, melliflua, con una sfumatura di divertimento crudele.
Mi girai di scatto.
Sabrina era lì, appoggiata allo stipite della porta del bagno, la penna tra le dita sottili, rigirandosela tra le mani con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra.
E in quel momento capii che ero fregato.
Sabrina si rigirò la penna tra le dita con un sorriso malizioso, osservandola con finta curiosità.
“Devo dire che questa penna è davvero carina…” iniziò, scrutandomi con quegli occhi luminosi e pieni di divertimento. “Ma sai cosa mi ha colpito di più?” Si fermò, inclinando la testa di lato come se fosse davvero curiosa della mia risposta.
Io rimasi immobile, sentendo il sangue ghiacciarsi nelle vene. Era un incubo.
Lei abbassò lo sguardo sulla penna, accarezzandola con il pollice. “Questa piccola telecamerina sulla punta.”
Mi avvicinai di scatto, istintivamente, pronto a giustificarmi – anche se non avevo la minima idea di cosa avrei potuto dire per uscirne.
Ma lei non mi diede neanche il tempo.
“Siediti.”
La sua voce cambiò. Non era più divertita. Era ferma, autoritaria.
Rimasi in piedi per un secondo di troppo, il cervello che cercava disperatamente un piano di fuga. Ma i suoi occhi mi inchiodarono.
Mi sedetti.
Sabrina incrociò le braccia, poggiandosi con nonchalance alla scrivania. Aveva il controllo totale della situazione e lo sapeva.
“Sai,” iniziò, con un tono quasi giocoso, “se volessi, potrei sputtanarti con tutti. Dire che il secchione della classe è anche un porco che mi spia in camera mia…” Rise piano, il sorriso ancora più grande. “E sai qual è la parte più divertente? Mi crederebbero tutti.”
Il mio stomaco si chiuse.
Lei si avvicinò di un passo, fissandomi dall’alto, la penna ancora tra le mani. “Ti immagini? Ahahah, sarebbe un disastro. Tutti saprebbero che hai passato chissà quante ore a guardarmi di nascosto… con chissà quali intenzioni.”
Io non riuscivo a parlare. Non potevo.
Sabrina mi studiò per un lungo istante, poi scosse la testa con un sospiro teatrale. “Però…” abbassò lo sguardo e si morse il labbro, come se stesse riflettendo. “Così non è divertente.”
Il mio respiro era pesante. Ogni secondo era una tortura.
“Facciamo così,” riprese, improvvisamente più allegra. “Tu fai i miei compiti quando vieni qui e mi lasci copiare durante gli esami…”
Fece una pausa.
E poi, di scatto, poggiò il piede nudo tra le mie gambe.
Il respiro mi si spezzò.
“…e io ti lascerò divertire con me quando vieni qui.”
Il cuore mi saltò in gola.
Mi fermai un istante, il cuore che batteva forte nel petto. Il suo piede era morbido, caldo, il profumo della sua pelle misto alla leggera fragranza di una crema che forse aveva messo dopo la doccia. Non esitai. Aprii appena le labbra e lasciai che la mia lingua sfiorasse la sua pelle liscia.
Sabrina mi guardava dall’alto, divertita, con un sorrisetto malizioso.
“Bravo…” sussurrò, inclinando leggermente la testa mentre mi osservava. Era affascinata dalla scena, lo vedevo dai suoi occhi, dal modo in cui la sua espressione si era fatta più intensa.
Dopo un momento, si mosse. Lentamente, scivolò sul materasso, sedendosi ai piedi del letto con le gambe accavallate. Mi guardava con un’aria soddisfatta, come una padrona che si gode lo spettacolo.
“Dai, togliti i pantaloni,” disse, con quel suo tono leggero, quasi annoiato. “Vediamo se questi miei piedini riescono a farti stare bene.”
Il cuore mi saltò in gola.
Non serviva altro. Mi sfilai i pantaloni, rimanendo in boxer. Lei mi squadrò con un sopracciglio leggermente alzato, poi fece un sorrisetto compiaciuto.
“Ah… niente male,” commentò, con un tono vagamente sorpreso. “Non pensavo.”
Non mi diede nemmeno il tempo di rispondere. Allungò una gamba, facendomi sfiorare appena dalla pianta del piede, come se volesse testare la mia reazione. Poi, con un movimento più deciso, premette leggermente, facendo scorrere il piede lungo la stoffa.
Era una tortura. Dolce, elettrizzante.
Dopo qualche istante, si fece più audace. Sollevò l’altra gamba e, con entrambi i piedi, iniziò a massaggiarmi attraverso il tessuto.
Le sue dita si muovevano con lentezza, premendo, stringendo leggermente, accarezzando in modo istintivo. Io trattenni il respiro, chiudendo gli occhi un istante. Era troppo. Troppo bello.
Sabrina rise piano. “Ti piace, eh?”
anche i miei boxer andarono giù.
Mi lasciai andare completamente quando sentii i suoi piedi nudi scivolare finalmente sulla mia pelle, il contrasto tra la loro morbidezza e il calore del mio desiderio era semplicemente troppo da sopportare.
Sabrina era rilassata, come se per lei fosse solo un passatempo, un gioco perverso in cui aveva il pieno controllo. Mi guardava dall’alto, con quel sorriso compiaciuto sulle labbra, mentre le sue dita si muovevano con più sicurezza. Le piante dei suoi piedi scorrevano lungo tutta la mia lunghezza, premendo con una leggerezza che mi faceva impazzire.
Sentii una risatina sfuggirle. “Guarda come sei ridotto,” mormorò.
Era il tono di chi si godeva ogni secondo della mia reazione, il tono di chi sapeva di avere il potere.
Io non riuscivo a trattenere un gemito. I suoi piedi si muovevano con una precisione crudele, avvolgendomi, strofinandomi con un ritmo che cresceva poco a poco.
Le sue caviglie si muovevano con grazia, le dita si chiudevano e si riaprivano su di me con la giusta pressione, come se mi stessero accarezzando ovunque nello stesso momento. L’odore leggero della sua pelle, la vista del suo sorriso, il suono del suo respiro divertito… era tutto troppo.
Fu un’esplosione inevitabile.
Il mio piacere scattò in un istante, la mia essenza spruzzò contro i suoi piedi delicati, sporcando la sua pelle liscia. Io ansimai, ancora tremante, mentre lei si fermava per guardare il risultato con un’espressione compiaciuta.
Rise di nuovo, sollevando appena un piede per osservarlo meglio. “Wow, ne avevi proprio bisogno, eh?”
Io ero senza fiato, ancora perso in quell’ondata di piacere che sembrava non finire.
Dopo un attimo, però, Sabrina cambiò espressione. Afferrò un pacchetto di fazzoletti dal comodino e me lo lanciò senza troppi complimenti.
“Adesso pulisci il casino che hai fatto, cane.”
Il tono era deciso, quasi annoiato, ma nei suoi occhi brillava una luce divertita. Io non potevo fare altro che ubbidire.
Ancora senza fiato, presi il pacco di fazzoletti e mi inginocchiai per raccogliere ogni traccia del mio stesso piacere. Sabrina mi guardava dall’alto, con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra, mentre si dondolava pigramente seduta sul bordo del letto.
“Così bravo quando fai il servizievole,” commentò, incrociando le braccia dietro la testa.
Mi sentivo umiliato? Forse. Ma l’eccitazione che ancora mi scorreva nel corpo cancellava ogni dubbio.
Quando finii di pulire, mi rialzai e gettai i fazzoletti nel cestino accanto alla sua scrivania. Lei si stiracchiò, poi allungò una mano e afferrò la penna con la telecamera, girandola tra le dita con aria pensierosa.
“Questa resta a me,” annunciò con un ghigno.
Deglutii. “E… il video?” chiesi con un filo di voce.
Sabrina ridacchiò. “Tranquillo, non sono così cattiva… Non lo userò contro di te, per ora. Ma chissà, potrei aver voglia di rivederlo qualche volta. Sai, per farmi due risate.”
Il mio stomaco si strinse e il mio cuore martellò nel petto. Aveva in mano ogni carta per distruggermi, ma non sembrava intenzionata a giocarla… almeno non subito.
Si alzò con calma, lasciando che la sua pelle ancora leggermente segnata dalla mia passione si mostrasse senza alcun pudore. Si stiracchiò di nuovo, poi mi guardò con quel solito sguardo altezzoso e disse:
“Comunque, non dimenticare l’accordo. I compiti, gli esami… e il resto, quando deciderò che te lo meriti.”
Annuii, incapace di ribattere.
Lei si avvicinò alla porta e la aprì, facendomi cenno di uscire. “Adesso vai, prima che mi stufi di vederti qui.”
Presi la mia roba in silenzio e mi avviai verso l’uscita. Prima di varcare la soglia, mi voltai un’ultima volta. Sabrina era ancora lì, appoggiata allo stipite con la penna tra le dita, lo sguardo malizioso puntato su di me.
“Ci vediamo alla prossima lezione… cagnolino.”
La porta si chiuse dietro di me, lasciandomi nel corridoio con il cuore che batteva all’impazzata.
Quello era solo l’inizio di qualcosa di incredibile.
Il giorno dopo la rividi a scuola. Sembrava sempre la stessa, luminosa, popolare, inaccessibile. Rideva con le amiche, lanciava sguardi distratti ai ragazzi che la adoravano, si muoveva con la solita grazia spavalda, quel misto di sicurezza e vanità che l’aveva sempre resa irritante ai miei occhi… fino a quel momento. Ora non riuscivo più a guardarla allo stesso modo.
Ogni movimento, ogni risata, ogni sguardo lanciato con aria annoiata mi riportava a quella scena. Ai suoi occhi socchiusi nel piacere, alle sue mani sulla pelle, ai piccoli brividi che l’avevano scossa sotto la luce del mattino.
Sabrina non aveva idea di nulla. Eppure, io sapevo tutto.
Come Icaro, se fosse stato un pervertito, non potevo fermarmi. Avevo ottenuto un gran risultato, qualcosa che sarebbe dovuto bastarmi. Eppure, no.
L’idea di vedere di più mi divorava. Il pensiero di Sabrina, ignara di tutto, di quello che faceva nella sua stanza quando credeva di essere sola, mi consumava il cervello e le mani.
Dovevo farmi andare bene quella prima volta, accontentarmi del bottino che avevo ottenuto. Ma sapevo che non l’avrei fatto. Volevo altro.
La penna sarebbe tornata sulla libreria. Se il destino mi aveva già regalato una scena così perfetta, magari mi avrebbe concesso ancora di più. Qualcosa di più spinto. Qualcosa di ancora più intimo.
E se Sabrina si fosse lasciata andare ancora una volta, sarei stato nuovamente pronto.
Arrivò il mercoledì, e con lui un’altra lezione. Stesse modalità, stesso copione. Io spiegavo, lei fingeva di ascoltare.
Sabrina era sempre più scocciata. Appoggiava la testa sulle mani, sbuffava, fissava il libro con aria assente. Ogni tanto smanettava sul telefono, alzava lo sguardo solo per guardarsi le unghie o sistemarsi i capelli. Non provava nemmeno a far finta di capire. Era evidente che fosse lì solo perché costretta.
“Ma quindi questa roba di Pitagora la dobbiamo proprio fare?” chiese, stiracchiandosi come se fosse sul divano di casa sua.
“Sì, se vuoi evitare di ripetere l’anno,” risposi, cercando di non guardare troppo il modo in cui la sua maglietta si sollevava scoprendo la pelle chiara del ventre.
Lei fece una smorfia, poi si alzò di scatto. “Vabbè, pausa bagno.”
Perfetto.
Adoravo quando si chiudeva in bagno, perché significava che avevo il tempo di piazzare la penna.
Aspettai di sentire il suono della porta che si chiudeva, il piccolo scatto della serratura. Poi, senza pensarci due volte, infilai la mano nella tasca e la tirai fuori. La posizionai con calma sulla libreria, nello stesso angolo della volta scorsa, perfettamente nascosta tra i suoi libri dai titoli patinati e inutili.
Pochi minuti dopo, Sabrina tornò, sistemando la frangia davanti allo specchio della sua vanity table come se io nemmeno esistessi. La lezione proseguì fino alla fine, senza che lei facesse il minimo sforzo per imparare qualcosa.
Finalmente, me ne andai.
Avevo fatto il mio dovere. Ora non restava che aspettare.
Venerdì sembrava un miraggio lontano, un traguardo impossibile da raggiungere. Ma sapevo che, non appena avessi varcato la soglia di casa con quella penna in tasca, mi sarei ritrovato di nuovo davanti al mio personale spettacolo proibito.
Il venerdì arrivò, portandosi dietro eccitazione e una sottile tensione che non riuscivo a scrollarmi di dosso. Non era solo l’attesa di quello che avrei visto nella registrazione, ma anche una sensazione più viscerale, più pericolosa.
Mi presentai da Sabrina come sempre, ma appena mi aprì la porta, capii che qualcosa era diverso.
Lei era lì, appoggiata allo stipite, un sorrisetto svogliato sulle labbra lunghe e perfette, vestita come al solito in modo inappropriato per una “lezione di ripetizioni”.
Indossava un micro top bianco, troppo stretto, troppo corto, troppo tutto, che lasciava scoperto ogni minimo dettaglio del suo addome piatto e della leggera fossetta sopra l’ombelico. I suoi shorts di jeans erano quasi inesistenti, più simili a biancheria che a pantaloncini, con l’orlo sfilacciato e risvoltato su cosce lunghe e impeccabili. Ma fu il dettaglio finale a colpirmi più di tutto: era a piedi nudi.
Un particolare insignificante per chiunque, ma per me? No.
I suoi piedi erano piccoli, perfetti, con le unghie smaltate di un rosa chiaro che completava quell’immagine di Barbie vivente che avevo di lei. Il tallone leggermente rialzato mentre si reggeva su una gamba, l’arco sottile e delicato, le dita ben curate che si muovevano pigramente sul pavimento freddo.
Deglutii, cercando di non fissarla troppo.
“Entra,” disse, girandosi con una leggerezza irritante.
Lo feci, e come sempre, ci sistemammo nella sua camera. Ma qualcosa in lei era diverso.
Era scocciata, certo. Ma non era solo quello. Aveva un’aria quasi… divertita.
Iniziai a spiegare qualcosa – nemmeno ricordo cosa, perché i miei occhi continuavano a tradirmi, attirati dai suoi movimenti distratti, dalla pelle scoperta, da ogni piccolo gesto fatto con negligenza sensuale.
E dopo neanche un minuto…
“Devo andare in bagno,” annunciò con un sospiro annoiato, stiracchiandosi come un gatto pigro.
Mi aspettavo che lo dicesse. Anzi, lo speravo.
Non appena sentii la porta del bagno chiudersi e la serratura scattare, passai all’azione. Mi alzai con calma, come l’altra volta, dirigendomi verso la libreria per recuperare la penna.
Solo che… non c’era.
Il mio stomaco si chiuse.
Rimasi immobile per un attimo, fissando lo spazio vuoto tra i libri. Forse l’avevo messa un po’ più in là? Feci scorrere le dita lungo il ripiano, ma niente. Non era lì.
Un brivido mi attraversò la schiena.
E poi la sentii.
Quella risatina.
Subito seguita dalla peggior cosa possibile.
“Cercavi questa?”
Mi gelai.
La voce veniva da dietro di me. Lenta, melliflua, con una sfumatura di divertimento crudele.
Mi girai di scatto.
Sabrina era lì, appoggiata allo stipite della porta del bagno, la penna tra le dita sottili, rigirandosela tra le mani con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra.
E in quel momento capii che ero fregato.
Sabrina si rigirò la penna tra le dita con un sorriso malizioso, osservandola con finta curiosità.
“Devo dire che questa penna è davvero carina…” iniziò, scrutandomi con quegli occhi luminosi e pieni di divertimento. “Ma sai cosa mi ha colpito di più?” Si fermò, inclinando la testa di lato come se fosse davvero curiosa della mia risposta.
Io rimasi immobile, sentendo il sangue ghiacciarsi nelle vene. Era un incubo.
Lei abbassò lo sguardo sulla penna, accarezzandola con il pollice. “Questa piccola telecamerina sulla punta.”
Mi avvicinai di scatto, istintivamente, pronto a giustificarmi – anche se non avevo la minima idea di cosa avrei potuto dire per uscirne.
Ma lei non mi diede neanche il tempo.
“Siediti.”
La sua voce cambiò. Non era più divertita. Era ferma, autoritaria.
Rimasi in piedi per un secondo di troppo, il cervello che cercava disperatamente un piano di fuga. Ma i suoi occhi mi inchiodarono.
Mi sedetti.
Sabrina incrociò le braccia, poggiandosi con nonchalance alla scrivania. Aveva il controllo totale della situazione e lo sapeva.
“Sai,” iniziò, con un tono quasi giocoso, “se volessi, potrei sputtanarti con tutti. Dire che il secchione della classe è anche un porco che mi spia in camera mia…” Rise piano, il sorriso ancora più grande. “E sai qual è la parte più divertente? Mi crederebbero tutti.”
Il mio stomaco si chiuse.
Lei si avvicinò di un passo, fissandomi dall’alto, la penna ancora tra le mani. “Ti immagini? Ahahah, sarebbe un disastro. Tutti saprebbero che hai passato chissà quante ore a guardarmi di nascosto… con chissà quali intenzioni.”
Io non riuscivo a parlare. Non potevo.
Sabrina mi studiò per un lungo istante, poi scosse la testa con un sospiro teatrale. “Però…” abbassò lo sguardo e si morse il labbro, come se stesse riflettendo. “Così non è divertente.”
Il mio respiro era pesante. Ogni secondo era una tortura.
“Facciamo così,” riprese, improvvisamente più allegra. “Tu fai i miei compiti quando vieni qui e mi lasci copiare durante gli esami…”
Fece una pausa.
E poi, di scatto, poggiò il piede nudo tra le mie gambe.
Il respiro mi si spezzò.
“…e io ti lascerò divertire con me quando vieni qui.”
Il cuore mi saltò in gola.
Mi fermai un istante, il cuore che batteva forte nel petto. Il suo piede era morbido, caldo, il profumo della sua pelle misto alla leggera fragranza di una crema che forse aveva messo dopo la doccia. Non esitai. Aprii appena le labbra e lasciai che la mia lingua sfiorasse la sua pelle liscia.
Sabrina mi guardava dall’alto, divertita, con un sorrisetto malizioso.
“Bravo…” sussurrò, inclinando leggermente la testa mentre mi osservava. Era affascinata dalla scena, lo vedevo dai suoi occhi, dal modo in cui la sua espressione si era fatta più intensa.
Dopo un momento, si mosse. Lentamente, scivolò sul materasso, sedendosi ai piedi del letto con le gambe accavallate. Mi guardava con un’aria soddisfatta, come una padrona che si gode lo spettacolo.
“Dai, togliti i pantaloni,” disse, con quel suo tono leggero, quasi annoiato. “Vediamo se questi miei piedini riescono a farti stare bene.”
Il cuore mi saltò in gola.
Non serviva altro. Mi sfilai i pantaloni, rimanendo in boxer. Lei mi squadrò con un sopracciglio leggermente alzato, poi fece un sorrisetto compiaciuto.
“Ah… niente male,” commentò, con un tono vagamente sorpreso. “Non pensavo.”
Non mi diede nemmeno il tempo di rispondere. Allungò una gamba, facendomi sfiorare appena dalla pianta del piede, come se volesse testare la mia reazione. Poi, con un movimento più deciso, premette leggermente, facendo scorrere il piede lungo la stoffa.
Era una tortura. Dolce, elettrizzante.
Dopo qualche istante, si fece più audace. Sollevò l’altra gamba e, con entrambi i piedi, iniziò a massaggiarmi attraverso il tessuto.
Le sue dita si muovevano con lentezza, premendo, stringendo leggermente, accarezzando in modo istintivo. Io trattenni il respiro, chiudendo gli occhi un istante. Era troppo. Troppo bello.
Sabrina rise piano. “Ti piace, eh?”
anche i miei boxer andarono giù.
Mi lasciai andare completamente quando sentii i suoi piedi nudi scivolare finalmente sulla mia pelle, il contrasto tra la loro morbidezza e il calore del mio desiderio era semplicemente troppo da sopportare.
Sabrina era rilassata, come se per lei fosse solo un passatempo, un gioco perverso in cui aveva il pieno controllo. Mi guardava dall’alto, con quel sorriso compiaciuto sulle labbra, mentre le sue dita si muovevano con più sicurezza. Le piante dei suoi piedi scorrevano lungo tutta la mia lunghezza, premendo con una leggerezza che mi faceva impazzire.
Sentii una risatina sfuggirle. “Guarda come sei ridotto,” mormorò.
Era il tono di chi si godeva ogni secondo della mia reazione, il tono di chi sapeva di avere il potere.
Io non riuscivo a trattenere un gemito. I suoi piedi si muovevano con una precisione crudele, avvolgendomi, strofinandomi con un ritmo che cresceva poco a poco.
Le sue caviglie si muovevano con grazia, le dita si chiudevano e si riaprivano su di me con la giusta pressione, come se mi stessero accarezzando ovunque nello stesso momento. L’odore leggero della sua pelle, la vista del suo sorriso, il suono del suo respiro divertito… era tutto troppo.
Fu un’esplosione inevitabile.
Il mio piacere scattò in un istante, la mia essenza spruzzò contro i suoi piedi delicati, sporcando la sua pelle liscia. Io ansimai, ancora tremante, mentre lei si fermava per guardare il risultato con un’espressione compiaciuta.
Rise di nuovo, sollevando appena un piede per osservarlo meglio. “Wow, ne avevi proprio bisogno, eh?”
Io ero senza fiato, ancora perso in quell’ondata di piacere che sembrava non finire.
Dopo un attimo, però, Sabrina cambiò espressione. Afferrò un pacchetto di fazzoletti dal comodino e me lo lanciò senza troppi complimenti.
“Adesso pulisci il casino che hai fatto, cane.”
Il tono era deciso, quasi annoiato, ma nei suoi occhi brillava una luce divertita. Io non potevo fare altro che ubbidire.
Ancora senza fiato, presi il pacco di fazzoletti e mi inginocchiai per raccogliere ogni traccia del mio stesso piacere. Sabrina mi guardava dall’alto, con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra, mentre si dondolava pigramente seduta sul bordo del letto.
“Così bravo quando fai il servizievole,” commentò, incrociando le braccia dietro la testa.
Mi sentivo umiliato? Forse. Ma l’eccitazione che ancora mi scorreva nel corpo cancellava ogni dubbio.
Quando finii di pulire, mi rialzai e gettai i fazzoletti nel cestino accanto alla sua scrivania. Lei si stiracchiò, poi allungò una mano e afferrò la penna con la telecamera, girandola tra le dita con aria pensierosa.
“Questa resta a me,” annunciò con un ghigno.
Deglutii. “E… il video?” chiesi con un filo di voce.
Sabrina ridacchiò. “Tranquillo, non sono così cattiva… Non lo userò contro di te, per ora. Ma chissà, potrei aver voglia di rivederlo qualche volta. Sai, per farmi due risate.”
Il mio stomaco si strinse e il mio cuore martellò nel petto. Aveva in mano ogni carta per distruggermi, ma non sembrava intenzionata a giocarla… almeno non subito.
Si alzò con calma, lasciando che la sua pelle ancora leggermente segnata dalla mia passione si mostrasse senza alcun pudore. Si stiracchiò di nuovo, poi mi guardò con quel solito sguardo altezzoso e disse:
“Comunque, non dimenticare l’accordo. I compiti, gli esami… e il resto, quando deciderò che te lo meriti.”
Annuii, incapace di ribattere.
Lei si avvicinò alla porta e la aprì, facendomi cenno di uscire. “Adesso vai, prima che mi stufi di vederti qui.”
Presi la mia roba in silenzio e mi avviai verso l’uscita. Prima di varcare la soglia, mi voltai un’ultima volta. Sabrina era ancora lì, appoggiata allo stipite con la penna tra le dita, lo sguardo malizioso puntato su di me.
“Ci vediamo alla prossima lezione… cagnolino.”
La porta si chiuse dietro di me, lasciandomi nel corridoio con il cuore che batteva all’impazzata.
Quello era solo l’inizio di qualcosa di incredibile.
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