Attrazione proibita per zia francesca - capitolo 9
di
Asiadu01
genere
incesti
La tensione nella stanza era insopportabile. Adriana, ancora nuda, era visibilmente terrorizzata. Il suo corpo tremava, e gli occhi pieni di paura cercavano i miei per un conforto che nemmeno io sapevo come darle. Mi feci coraggio, perché sapevo che dovevo affrontare Francesca e cercare di sistemare le cose, o almeno provare.
"Aspetta qui," le dissi sottovoce, cercando di mantenere un tono rassicurante, ma il mio cuore batteva a mille. respirai a fondo prima di dirigermi verso il bagno. Bussai delicatamente.
"Francesca... posso entrare?" chiesi, ma non ricevetti risposta. Spinsi la porta, trovandola seduta sul gabinetto, il viso rigato da lacrime di rabbia e delusione.
"Che vuoi?" sputò fuori con un tono velenoso, senza nemmeno guardarmi. "Non c’è niente da dire."
Mi chiusi la porta alle spalle, avvicinandomi lentamente. "Zia, per favore, ascoltami. So che sei arrabbiata, so che ti senti tradita, ma lasciami spiegare..."
Lei alzò lo sguardo, i suoi occhi pieni di fuoco. "Tradita? Questo non è tradimento, è... è disgustoso!" gridò, alzandosi di scatto. "Tu e Adriana... mia figlia! Come avete potuto farmi questo?"
Cercai di mantenere la calma, anche se il suo tono mi faceva vacillare. "Non è come pensi. Adriana ti ama, Francesca. Questo non è stato un gioco o una mancanza di rispetto. Lei... ha sofferto per anni, cercando di reprimere quello che provava per te."
Le sue mani si strinsero in pugni tremanti. "E tu? Tu dovevi essere quello razionale, quello che fermava tutto questo, non che lo incoraggiava!"
Feci un passo verso di lei, tentando di afferrarle delicatamente il polso, ma lei lo ritirò bruscamente. "Io non volevo ferirti," continuai. "Ho solo cercato di aiutarla a trovare il coraggio di dirti la verità, di affrontare i suoi sentimenti."
"La verità?" mi interruppe con un ghigno amaro. "Questa è la tua idea di verità? Portarmi in un hotel, bendarmi, legarmi e farmi... farmi fare tutto questo senza nemmeno sapere che mia figlia era lì? È disgustoso, è... è imperdonabile!"
Le sue parole mi colpirono come pugnalate, e prima che potessi dire altro, lei mi schiaffeggiò con forza. La sua mano esplose contro la mia guancia, lasciandomi senza fiato per un momento.
"Sei un mostro," sibilò, alzando di nuovo la mano, e questa volta non mi fermai. La lasciai sfogare, lasciando che il dolore fisico fosse il mio pegno per il dolore che le avevo causato.
"Zia, ti prego..." mormorai, ma lei continuava a colpirmi, i suoi singhiozzi sempre più disperati.
"Hai rovinato tutto," gridò, la sua voce spezzata. "Hai rovinato il mio rapporto con mia figlia, con te, con me stessa!"
Quando si fermò, esausta, la presi delicatamente per le spalle, nonostante il suo corpo fosse rigido di rabbia. "Non volevo distruggere nulla," dissi con voce tremante. "Volevo... volevo aiutarvi a essere sincere l’una con l’altra. Forse ho sbagliato, ma l’ho fatto per amore."
Lei mi guardò con occhi gonfi di lacrime, e per un attimo sembrò indecisa se urlarmi contro o scoppiare a piangere. "Amore?" sussurrò infine, scuotendo la testa. "Non c’è amore in questo. Solo egoismo."
Mi allontanò con forza, tornando a sedersi sul gabinetto e coprendosi il viso con le mani. Rimasi lì, immobile, mentre il peso di tutto ciò che era successo mi schiacciava.
Francesca scoppiò di nuovo in lacrime, e per la prima volta il suo corpo nudo, davanti a me, non suscitava alcuna eccitazione. Era solo una donna ferita, devastata dal peso di quanto accaduto. Mi avvicinai lentamente, cercando di non farla sentire più vulnerabile di quanto già non fosse.
"Zia," sussurrai con dolcezza, accarezzandole delicatamente il viso rigato di lacrime. Lei non reagì subito, ma il suo sguardo pieno di dolore mi fece quasi indietreggiare. "Ascoltami... so che è difficile, so che ti senti tradita. Ma c'è qualcosa che non vuoi ammettere nemmeno a te stessa."
Lei scosse la testa, i suoi singhiozzi strozzati. "Stai zitto," disse con voce tremante.
"Zia," continuai, con un filo di voce. "Quel senso di proibito... so che sotto sotto ti piace. Ti ha sempre attirato. Io sono tuo nipote, sì, eppure... tra di noi c’è qualcosa di più. Un sentimento forte, reale. Non puoi negarlo."
"Basta!" gridò, alzando la voce mentre il suo viso si contorceva tra rabbia e confusione. "Come osi parlare di sentimenti? È disgustoso, è... è sbagliato!"
Cercai di mantenere la calma, anche se il suo dolore era come un coltello nel petto. "Non voglio ferirti," le dissi. "Né voglio giustificare nulla. Ma io ti amo, Zia. E Adriana ti ama. Forse non lo capisci ora, forse non vuoi capirlo... ma è la verità."
Le sue lacrime si trasformarono in pura rabbia, e in un attimo mi saltò addosso con una violenza che non mi aspettavo. Mi spinse a terra con forza, il suo corpo nudo che si schiantava contro il mio mentre iniziava a colpirmi con pugni pieni di dolore e rabbia.
"Sei un mostro!" gridò, i suoi occhi ardenti di furore. "Hai distrutto tutto! Hai distrutto me!"
Non opposi resistenza, lasciandola sfogare mentre i suoi pugni cadevano sul mio petto e sulle mie spalle. Ma c’era qualcosa di diverso in quella furia. Qualcosa di più profondo, più complesso. Il suo corpo, caldo e tremante, si muoveva contro il mio con una passione inaspettata, mentre la sua rabbia sembrava trasformarsi in qualcos’altro.
In un attimo di silenzio, i suoi pugni si fermarono, e i suoi occhi si fissarono nei miei. Respiravamo entrambi pesantemente, i nostri corpi intrecciati sul pavimento freddo del bagno. Le sue labbra tremarono, e prima che potessi dire qualcosa, si chinò su di me, baciandomi con una violenza mista a disperazione.
Fu un bacio diverso da tutti gli altri. Carico di rabbia, dolore e desiderio. Le sue mani, che poco prima mi colpivano, ora si aggrapparono ai miei capelli mentre il suo corpo si premeva contro il mio. "Odio quello che mi fai provare," sussurrò contro le mie labbra, il suo respiro caldo e affannato. "Odio tutto questo... e odio me stessa."
"Zia," mormorai, ma lei mi zittì con un altro bacio, le sue labbra che cercavano disperatamente le mie. Il confine tra rabbia e passione si era dissolto completamente, e mentre le sue mani scivolavano sul mio corpo, capii che quel momento, per quanto sbagliato, era inevitabile.
Mi guardò con quegli occhi pieni di furore, lacrime miste a desiderio, mentre le sue mani si serravano intorno al mio collo, non per strangolarmi, ma per farmi sentire la sua rabbia. Francesca era un vortice di emozioni, e io non riuscivo più a distinguere dove finiva la sua furia e dove iniziava il suo desiderio.
"Sei un bastardo," sibilò tra i denti, mentre il suo corpo si spingeva contro il mio. "Ti odio per quello che mi fai provare."
Prima che potessi replicare, il suo bacino si abbassò con violenza, catturando la mia eccitazione tra le sue gambe. Era come se volesse punirmi, farmi pagare ogni emozione che le avevo fatto provare, ma nel farlo trovava il piacere che cercava disperatamente di negare.
"Sei tu che mi fai questo," risposi con un filo di voce, mentre lei si muoveva sopra di me, il suo corpo che si spingeva contro il mio con una forza che toglieva il fiato. "Ogni tuo tocco, ogni tuo sguardo... mi hai sempre fatto impazzire."
La sua risposta fu un gemito soffocato, i suoi capelli spettinati che le ricadevano sul viso mentre inclinava la testa all'indietro, lasciando che il piacere prendesse il sopravvento sulla sua rabbia. Le sue mani graffiavano il mio petto, come se volesse lasciare un segno indelebile, mentre il suo corpo si muoveva con un ritmo irregolare, selvaggio.
"Non parlare," mi ordinò con un tono che era al tempo stesso furioso e supplichevole. "Non voglio sentirti... voglio solo che tu mi scopi."
Le sue parole, crude e dirette, fecero scattare qualcosa dentro di me. Mi alzai leggermente, afferrandola per i fianchi con forza, capovolgendola sul pavimento freddo. Ora ero sopra di lei, e i suoi occhi si spalancarono per un istante, un misto di sorpresa e sfida.
"È questo che vuoi?" le chiesi, la mia voce bassa e rauca, mentre le mie mani scivolavano lungo il suo corpo, stringendola con una forza che sapevo avrebbe lasciato dei segni.
"Sì," ansimò, mordendosi il labbro inferiore. "Ma fallo più forte. Fammi dimenticare quanto ti odio."
Le sue parole erano un invito, una sfida, e io non mi tirai indietro. Mi mossi dentro di lei con una forza che ci fece gemere entrambi, il suono dei nostri corpi che si incontravano riempiva il piccolo bagno. Francesca si aggrappò a me, le sue unghie che graffiavano la mia schiena mentre urlava il mio nome, un misto di piacere e dolore che le faceva tremare tutto il corpo.
"Ti odio," gridò, ma il suo corpo raccontava un’altra storia, i suoi movimenti che si facevano sempre più disperati, come se non volesse mai smettere.
"Dimmi quanto mi odi," le sussurrai all'orecchio, mentre mi spingevo dentro di lei con una forza sempre maggiore, il suo corpo che si tendeva sotto di me. "Dimmi che non vuoi altro che questo."
"Bastardo," ansimò, le sue mani che si aggrappavano ai miei capelli, tirandoli con forza. "Ti odio... ti odio... ma non fermarti."
Il climax arrivò con una violenza che ci fece quasi perdere il respiro, i suoi gemiti che si trasformarono in un grido soffocato mentre il suo corpo tremava sotto il mio. Mi lasciai andare subito dopo, il mio respiro affannato che si mescolava al suo mentre ci lasciavamo cadere uno accanto all’altro, entrambi esausti.
Il silenzio calò su di noi, interrotto solo dal nostro respiro pesante. Francesca si girò su un fianco, fissandomi con quegli occhi ancora pieni di emozione. "Non so se ti odio o se ti desidero," sussurrò, prima di chiudere gli occhi, lasciandomi lì, immerso in un mare di emozioni contrastanti.
Francesca era ancora a terra, il respiro irregolare, il corpo scosso da brividi involontari. Il silenzio era spesso come il fumo di un fuoco appena spento. Sapevo che dentro di lei la tempesta non era finita.
Si passò una mano sul viso, evitando il mio sguardo. «Non avresti dovuto…» sussurrò.
Mi accovacciai accanto a lei, con calma, come se stessi aspettando il momento giusto per farle dire quello che ancora si ostinava a negare. «Eppure l’abbiamo fatto.»
Lei scosse la testa, stringendosi nelle spalle. «È stato un errore.»
Le sorrisi appena. «Un errore che hai assecondato fino all’ultimo.»
Si voltò verso di me, fulminandomi con lo sguardo. «Non significa niente.»
Mi chinai un po’ di più, abbassando la voce in un sussurro. «Davvero? Guarda che ti conosco, Zia.» Mi fermai un attimo, studiando la minima reazione del suo corpo. «Non sei il tipo che si lascia andare a qualcosa che non vuole.»
«Non significa niente, ero bendata.» ripeté, più a se stessa che a me.
Le presi una mano, le dita intrecciate con le sue in un gesto che sembrava innocente. «Sai cosa penso?» chiesi con dolcezza.
Lei rimase in silenzio, ma non si ritrasse.
«Penso che quello che è successo ti abbia fatto paura perché ti ha dato piacere. E non vuoi ammetterlo.»
«Non è vero.»
Sorrisi piano, come chi sa di avere il controllo. «No? E allora perché sei ancora qui a parlarne?»
Strinse le labbra, ma non riusciva a sostenere il mio sguardo. Aveva troppi pensieri in testa, troppi dubbi che non poteva semplicemente cancellare.
«Adriana ti ama,» continuai, dosando le parole con precisione. «E tu…» mi fermai un attimo, lasciandole spazio per completare mentalmente la frase.
Lei sollevò il mento, tentando di ritrovare la sua freddezza. «E io cosa?»
La mia presa sulla sua mano si fece appena più salda. «E tu non riesci a odiare quello che è successo.»
Trattenne il respiro per un istante. Poi si liberò dalla mia stretta e si alzò, come per prendere le distanze.
Ma non disse più nulla.
Sapevo di aver piantato il seme del dubbio. E ora bastava aspettare che crescesse.
Francesca rimase immobile, il respiro ancora irregolare, gli occhi fissi nel vuoto come se cercasse di mettere ordine nel caos dentro di sé. Il silenzio nella stanza era pesante, carico di qualcosa di sospeso, fino a quando un bussare leggero alla porta non ci fece sussultare.
Adriana.
Quando aprii la porta, la vidi lì, completamente nuda, la pelle ancora imperlata di qualche goccia di sudore. I suoi occhi si posarono su Francesca con una paura che non le avevo mai visto prima.
Francesca la squadrò, lentamente, come se solo in quel momento realizzasse davvero la figura di sua figlia. Il suo sguardo scivolò lungo il suo corpo, si fermò un attimo sul seno che si sollevava e abbassava con il respiro irregolare, scese lungo il ventre piatto fino ai fianchi, poi tornò su di colpo. I suoi occhi si strinsero, confusi, incerti.
Adriana si strinse le mani, come se volesse coprirsi, ma poi si fece forza. «Mamma…» La sua voce era un sussurro spezzato.
Francesca non rispose.
Adriana fece un passo avanti, mordendosi il labbro. «Ti prego… io… io non volevo farti del male.» Deglutì a fatica. «Non odiarmi.»
Francesca chiuse gli occhi per un lungo istante, poi scosse la testa. «Io non odio nessuno.»
Adriana trattenne il fiato.
Francesca si passò una mano tra i capelli, il viso segnato da un’emozione che non riusciva a definire. «Ma non capisco.» La sua voce era più bassa, quasi roca. «Non capisco cosa sia successo… non capisco cosa provo.»
Adriana avanzò ancora di un passo, gli occhi lucidi. «Io lo so cosa provo.»
Francesca sollevò lo sguardo su di lei, scrutandola con un’intensità che faceva tremare l’aria.
Adriana si mordicchiò il labbro, incerta, poi si lasciò sfuggire un sospiro tremante. «Io… ti amo.»
Un lampo attraversò lo sguardo di Francesca, un miscuglio di emozioni che non riuscivo a decifrare. Il silenzio si fece ancora più pesante.
Poi, all’improvviso, Francesca scosse la testa e si voltò di scatto, raccogliendo in fretta i suoi vestiti. «Devo pensare.» La sua voce era un sussurro teso, come se ogni parola le costasse uno sforzo immenso. «Devo schiarirmi le idee.»
Adriana allungò una mano, ma si fermò a metà strada, come se avesse paura di sfiorarla.
Francesca si infilò la camicia con gesti rapidi, i movimenti nervosi, quasi rabbiosi. Non disse più nulla.
Quando fu pronta, afferrò la borsa e uscì dalla stanza senza voltarsi indietro.
Adriana rimase lì, nuda, con le braccia attorno a sé, il respiro pesante.
Non avevamo bisogno di parole. Sapevamo entrambi che qualcosa si era rotto.
Dopo qualche minuto, raccogliemmo le nostre cose e uscimmo anche noi.
Il viaggio di ritorno alla casa della nonna fu immerso in un silenzio irreale, spezzato solo dal rumore del motore e dai nostri respiri pesanti.
Francesca avrebbe mai accettato quello che era accaduto?
E Adriana… sarebbe riuscita a reggere il peso di ciò che aveva appena confessato?
Per il momento, l’unica certezza era che niente sarebbe stato più come prima.
il giorno seguente.
La casa della nonna sembrava improvvisamente più grande, come se le pareti avessero assorbito la tensione e si fossero dilatate per tenerci distanti. Era come vivere in tre mondi separati, tre buchi neri che orbitavano nello stesso spazio senza mai sfiorarsi davvero.
Non avevamo visto Francesca per tutto il giorno. Forse era chiusa in camera, forse era uscita. Non lo sapevamo, e il fatto che non avesse cercato nessuno di noi rendeva tutto più pesante.
Io e Adriana dividevamo la stanza, ma non ci eravamo scambiati più di qualche sguardo. Lei aveva passato il pomeriggio sdraiata sul letto, il telefono abbandonato accanto a sé, gli occhi fissi al soffitto. Io avevo provato a distrarmi, a leggere qualcosa, a scrollare lo schermo senza interesse, ma ogni pensiero tornava sempre lì, a quella porta che non si apriva, a quella risposta che non arrivava.
L’attesa mi stava uccidendo.
Quando la serata calò e la casa si fece più silenziosa, sentii il bisogno di staccarmi da quel vortice soffocante di pensieri. Mi alzai con un sospiro e mi passai una mano tra i capelli. «Vado a farmi una doccia.»
Adriana non rispose, ma la vidi seguirne il movimento con la coda dell’occhio.
Uscii dalla stanza e mi diressi verso il bagno, chiudendomi dentro con un senso di sollievo momentaneo. Aprii l’acqua, regolando la temperatura fino a farla scorrere tiepida, e mi spogliai lentamente, come se ogni strato di vestiti fosse un peso che lasciavo cadere.
Quando finalmente mi infilai sotto il getto, lasciai che l’acqua mi scorresse sulla pelle, scivolando lungo il collo e le spalle, lavando via almeno un po’ del caos che mi opprimeva. Chiusi gli occhi, inspirando a fondo.
Ma il sollievo durò poco.
Un rumore lieve mi fece sussultare. Il cigolio leggero della porta che si apriva.
Aprii appena gli occhi, senza voltarmi subito. Il suono dei passi contro le piastrelle mi fece capire che qualcuno era entrato.
Poi, una voce. Bassa, esitante.
«Posso?»
Mi girai lentamente.
E la vidi.
vidi il suo viso segnato da un’ombra di tormento. Adriana era lì, sulla soglia, con le braccia incrociate sul ventre come a cercare di trattenere qualcosa dentro di sé. I suoi occhi si abbassarono un istante, quasi a cercare il coraggio di parlare.
«Ho bisogno di qualcuno con cui parlare,» disse infine, la voce appena udibile sopra il rumore dell’acqua. «Mi sento morire.»
Annuii, senza interromperla, lasciandole il tempo di trovare le parole.
«Ho paura.» Fece un passo in avanti, le sue dita sfiorarono la porta come se volesse chiuderla del tutto. «Ho paura di perdere chi amo, di aver rovinato tutto, di aver superato un limite… e di non poter più tornare indietro.»
Mi strinsi le labbra, osservandola mentre il suo sguardo si perdeva nel vuoto, come se stesse cercando di mettere ordine nel caos che le ribolliva dentro.
«E poi mi odio,» sussurrò. «Mi odio perché… perché l’ho amato. Ogni secondo. Ogni brivido. Ogni dannato istante della scorsa notte.»
I suoi occhi si sollevarono fino a incontrare i miei. Dentro c’era vergogna, ma anche una scintilla di qualcosa che non riusciva a spegnere del tutto. E in quel momento mi accorsi che mi stava osservando da capo a piedi, il suo sguardo scivolava lungo le gocce d’acqua che seguivano i contorni del mio corpo, il vapore che avvolgeva tutto in un’aura irreale.
D’un tratto si interruppe, mordendosi il labbro, le guance che si coloravano di un lieve rossore.
«Posso…» esalò, abbassando di nuovo lo sguardo, quasi intimidita. «Posso entrare anch’io?»
Non ci fu esitazione nella mia risposta. «Sì.»
Lei rimase ferma per qualche secondo, poi lentamente sollevò l’orlo del pigiama, facendolo scivolare lungo il corpo. Il tessuto leggero si accartocciò ai suoi piedi, lasciandola in piedi nella penombra del bagno, il chiaroscuro del vapore che sfumava i contorni della sua pelle.
I suoi movimenti erano lenti, quasi esitanti, ma nei suoi occhi c’era un fuoco sottile, una consapevolezza che la rendeva ancora più bella. Abbassò le mani ai fianchi, facendosi scivolare via l’intimo con la stessa cautela, come se ogni centimetro svelato fosse un atto di vulnerabilità e forza allo stesso tempo.
Si avvicinò alla doccia, l’acqua che scorreva dietro di me creava giochi di luce e ombra sulle sue forme perfette. Mise un piede dentro, poi l’altro, e il calore della doccia la fece rabbrividire un istante prima di abbandonarsi completamente al contatto dell’acqua.
Rimase davanti a me, il fiato leggermente accelerato, il vapore che faceva risaltare le gocce che le scivolavano lungo il collo, tra le curve del suo corpo. I suoi occhi, ora più scuri, si sollevarono sui miei.
«Dimmi che non sono sbagliata,» sussurrò.
Mi avvicinai a lei, le mie mani che si posarono con fermezza sui suoi fianchi, sentendo il calore della sua pelle contrastare con l’acqua che scorreva su di noi. I suoi occhi cercavano i miei, pieni di dubbi e desideri che non riusciva più a trattenere.
«Non sei sbagliata,» le dissi a bassa voce, con una certezza che volevo trasmetterle fino in fondo. «Sei stata sincera, hai rischiato… sei stata coraggiosa.»
Lei tremò leggermente, ma non per il freddo. Un sospiro le sfuggì dalle labbra prima che le sue braccia si stringessero intorno al mio corpo, avvinghiandosi a me con una naturalezza che ci sorprese entrambi. Il nostro respiro si mescolava nel vapore, il battito accelerato che risuonava sottopelle.
Non eravamo mai stati così vicini. Mai in tutta la nostra vita. Eppure adesso eravamo lì, pelle contro pelle, uniti da qualcosa di inspiegabile che andava oltre la semplice vicinanza.
«Grazie,» sussurrò, sollevando lo sguardo su di me, i suoi occhi che brillavano di un’emozione cruda, intensa.
Non so chi si mosse per primo. Forse lei, forse io. O forse era solo l’inevitabile che finalmente prendeva forma.
Le nostre labbra si sfiorarono, incerte per un solo istante, prima di fondersi in un bacio vero, profondo. Non c’era esitazione, solo il bisogno urgente di sentirci, di riconoscerci in quel contatto.
Le mie mani risalirono lungo la sua schiena bagnata, la sua pelle liscia sotto i polpastrelli, mentre le sue dita si stringevano nei miei capelli. Il bacio divenne più intenso, le sue labbra si aprirono alle mie con una dolcezza famelica, un misto di abbandono e disperazione.
Il vapore ci avvolgeva come una cortina, la doccia scorreva senza che nemmeno ce ne accorgessimo più. Eravamo solo noi due, in quel momento sospeso, uniti da un sentimento che non potevamo più negare
Mi avvicinai ancora di più a lei, sentendo il calore della sua pelle fondersi con il mio sotto il getto d’acqua bollente. Le mie mani la cercarono con urgenza, scivolando lungo la curva della sua schiena fino a stringere il suo fondoschiena, attirandola contro di me. Adriana ansimò piano, chiudendo gli occhi mentre le nostre bocche si cercavano di nuovo, i baci sempre più intensi, affamati, come se avessimo bisogno l’uno dell’altra per respirare.
La poggiai con delicatezza contro il muro della doccia, sentendo il contrasto tra il calore della sua pelle e il freddo delle piastrelle.
Il mio corpo premette contro il suo, e lei rispose con lo stesso ardore, muovendosi in sincronia con me. Ogni sfioramento era un fuoco che si accendeva sulla pelle, il calore dell’acqua non era nulla in confronto a quello che ci scambiavamo.
Le mie mani percorrevano la sua schiena con foga, scendendo fino ai suoi fianchi per poi risalire, tracciando ogni curva, ogni linea del suo corpo. Stringendola, la sentii inarcare leggermente la schiena, il suo respiro farsi più profondo, e lasciai che le mie dita la esplorassero con più sicurezza, sfiorando le sue forme con un misto di desiderio e adorazione.
Adriana si aggrappò alle mie spalle, le sue unghie premettero leggere sulla mia pelle mentre i nostri movimenti si facevano più lenti, più intensi, come se volessimo imprimere ogni sensazione nella memoria, in un gioco di vicinanza e provocazione. Il mio viso affondò nel suo collo, la mia bocca percorse la sua pelle con baci febbrili mentre la stringevo ancora di più contro di me, fino a non lasciare più spazio tra i nostri corpi.
Le mie mani la afferrarono con decisione, sollevandola mentre le sue gambe si strinsero attorno ai miei fianchi. Il suo respiro si fece più profondo quando la spinsi contro il muro, la penetrai dolcemente, i nostri corpi umidi incollati l’uno all’altro, il calore tra noi divenuto ormai insostenibile.
Si aggrappò alle mie spalle con forza, le sue dita affondarono sulla mia pelle mentre la spingevo contro di me, fondendoci in un movimento sempre più intenso. Un gemito strozzato le sfuggì dalle labbra mentre il nostro contatto si faceva sempre più profondo, sempre più intenso.
Le sue labbra sfioravano il mio collo, il suo respiro era caldo e spezzato mentre il ritmo cresceva, travolgendoci entrambi in una spirale di desiderio che sembrava non volersi fermare. Il vapore avvolgeva i nostri corpi, ogni carezza più audace, ogni movimento più ardente, fino a quando la tensione divenne insostenibile e, sopraffatti, ci lasciammo cadere lentamente, esausti, il cuore che batteva all’unisono mentre il suono dell’acqua accompagnava il nostro respiro ancora frastagliato.
L’acqua continuava a scorrere, avvolgendo i nostri corpi in un calore quasi soffocante. Adriana era ancora distesa sul piatto della doccia, il respiro irregolare e il petto che si sollevava e abbassava rapidamente. I suoi occhi si persero nei miei mentre mi sentiva tornare a cercarla, le sue cosce si strinsero istintivamente attorno a me, come a voler trattenere quel momento di pura intimità.
ritornai dolcemente dentro di lei, riprendo ciò che stavamo facendo prima.
Le mie mani, ancora bagnate, percorsero i suoi fianchi con una carezza sicura, mentre il suo corpo reagiva ad ogni mio movimento. Le gocce scivolavano lungo la sua pelle, fondendosi con il calore che avevamo creato insieme. Il contatto tra noi si fece di nuovo profondo, lento ma passionale e carico di una tensione elettrizzante.
Adriana lasciò sfuggire un respiro spezzato, il suo viso arrossato e umido, gli occhi socchiusi nel piacere crescente. Il mio petto sfiorava il suo, sentivo ogni brivido percorrerle la schiena, ogni piccolo movimento che ci faceva desiderare di più.
Le mie dita si persero tra i suoi capelli bagnati, mentre l’altra mano stringeva il suo seno con una fermezza che la fece fremere sotto di me. Le sue labbra si schiusero appena, lasciando spazio a un nuovo gemito soffocato dall’acqua che continuava a colpirci con forza.
I nostri corpi si muovevano in perfetta sintonia, un crescendo di sensazioni che sembravano non volerci abbandonare. E proprio quando la tensione raggiunse il suo apice, il momento si sciolse in un’intensità che ci lasciò entrambi senza respiro. Il mio viso affondò tra il suo collo e la sua spalla, mentre sentivo il suo corpo tremare leggermente sotto il mio.
L’acqua lavava via ogni traccia, ma non poteva cancellare quello che avevamo appena condiviso. Restammo così per qualche istante, le dita intrecciate, i battiti dei nostri cuori ancora fuori controllo. Poi, lentamente, le nostre labbra si sfiorarono in un ultimo bacio, più dolce, quasi come una promessa silenziosa.
Uscimmo dalla doccia lentamente, ancora scossi da ciò che era appena successo.
La stanza era immersa in una penombra avvolgente, le gocce d’acqua scivolavano lente sulle nostre pelli calde dopo l’intensità del momento vissuto sotto il getto della doccia. Ogni respiro era ancora irregolare, ogni battito del cuore sembrava risuonare all’unisono con la tensione che ci avvolgeva. Adriana era lì davanti a me, la sua pelle umida brillava sotto la tenue luce che filtrava dalla finestra. I suoi capelli bagnati le ricadevano sulle spalle, incorniciando il suo viso arrossato dal piacere e dalla timidezza del momento. I suoi occhi, pieni di desiderio e incertezza, incrociarono i miei mentre con un sorriso appena accennato sollevò un lembo dell’asciugamano per avvolgersi.
Mi avvicinai lentamente, le mie mani trovarono i suoi fianchi, la sentii fremere sotto il mio tocco, un brivido che percorse la sua schiena e la fece chiudere per un attimo gli occhi. "Va tutto bene?" le chiesi, la mia voce roca per l’emozione. Lei annuì appena, mordendosi il labbro inferiore in un gesto involontariamente seducente. Le mie dita salirono lungo la curva della sua schiena, disegnando il profilo perfetto della sua figura. Adriana si avvicinò ancora di più, il suo corpo premuto contro il mio, la sua pelle che ancora tratteneva il calore della doccia.
Non sapevo quanto tempo rimanemmo così, immobili, sospesi in quel limbo tra la realtà e il desiderio. Ma poi, il suono di una notifica interruppe quel momento. Il nostro sguardo si abbassò contemporaneamente sul telefono di Adriana posato sul comodino. Un messaggio.
Il mittente: Francesca.
Adriana lo prese con mani tremanti, lo sbloccò e lessi insieme a lei le parole che avrebbero cambiato tutto: "Voglio parlarvi stanotte. Nella mia stanza. Entrambi."
Un brivido mi attraversò la schiena. Non era un semplice invito. Era una decisione. Forse l’ultima, forse la più importante.
Adriana trattenne il fiato, poi mi guardò con un misto di paura ed eccitazione. "Pensi che... che abbia deciso?"
La mia mano trovò la sua, intrecciai le nostre dita e le diedi una lieve stretta, cercando di trasmetterle sicurezza. "Lo scopriremo stanotte."
Un misto di aspettativa e tensione aleggiava nella stanza. Il cuore accelerò i battiti. La mente correva in mille direzioni diverse, immaginando ogni possibile scenario. Non ci restava che aspettare, immersi in un desiderio sempre più difficile da contenere.
"Aspetta qui," le dissi sottovoce, cercando di mantenere un tono rassicurante, ma il mio cuore batteva a mille. respirai a fondo prima di dirigermi verso il bagno. Bussai delicatamente.
"Francesca... posso entrare?" chiesi, ma non ricevetti risposta. Spinsi la porta, trovandola seduta sul gabinetto, il viso rigato da lacrime di rabbia e delusione.
"Che vuoi?" sputò fuori con un tono velenoso, senza nemmeno guardarmi. "Non c’è niente da dire."
Mi chiusi la porta alle spalle, avvicinandomi lentamente. "Zia, per favore, ascoltami. So che sei arrabbiata, so che ti senti tradita, ma lasciami spiegare..."
Lei alzò lo sguardo, i suoi occhi pieni di fuoco. "Tradita? Questo non è tradimento, è... è disgustoso!" gridò, alzandosi di scatto. "Tu e Adriana... mia figlia! Come avete potuto farmi questo?"
Cercai di mantenere la calma, anche se il suo tono mi faceva vacillare. "Non è come pensi. Adriana ti ama, Francesca. Questo non è stato un gioco o una mancanza di rispetto. Lei... ha sofferto per anni, cercando di reprimere quello che provava per te."
Le sue mani si strinsero in pugni tremanti. "E tu? Tu dovevi essere quello razionale, quello che fermava tutto questo, non che lo incoraggiava!"
Feci un passo verso di lei, tentando di afferrarle delicatamente il polso, ma lei lo ritirò bruscamente. "Io non volevo ferirti," continuai. "Ho solo cercato di aiutarla a trovare il coraggio di dirti la verità, di affrontare i suoi sentimenti."
"La verità?" mi interruppe con un ghigno amaro. "Questa è la tua idea di verità? Portarmi in un hotel, bendarmi, legarmi e farmi... farmi fare tutto questo senza nemmeno sapere che mia figlia era lì? È disgustoso, è... è imperdonabile!"
Le sue parole mi colpirono come pugnalate, e prima che potessi dire altro, lei mi schiaffeggiò con forza. La sua mano esplose contro la mia guancia, lasciandomi senza fiato per un momento.
"Sei un mostro," sibilò, alzando di nuovo la mano, e questa volta non mi fermai. La lasciai sfogare, lasciando che il dolore fisico fosse il mio pegno per il dolore che le avevo causato.
"Zia, ti prego..." mormorai, ma lei continuava a colpirmi, i suoi singhiozzi sempre più disperati.
"Hai rovinato tutto," gridò, la sua voce spezzata. "Hai rovinato il mio rapporto con mia figlia, con te, con me stessa!"
Quando si fermò, esausta, la presi delicatamente per le spalle, nonostante il suo corpo fosse rigido di rabbia. "Non volevo distruggere nulla," dissi con voce tremante. "Volevo... volevo aiutarvi a essere sincere l’una con l’altra. Forse ho sbagliato, ma l’ho fatto per amore."
Lei mi guardò con occhi gonfi di lacrime, e per un attimo sembrò indecisa se urlarmi contro o scoppiare a piangere. "Amore?" sussurrò infine, scuotendo la testa. "Non c’è amore in questo. Solo egoismo."
Mi allontanò con forza, tornando a sedersi sul gabinetto e coprendosi il viso con le mani. Rimasi lì, immobile, mentre il peso di tutto ciò che era successo mi schiacciava.
Francesca scoppiò di nuovo in lacrime, e per la prima volta il suo corpo nudo, davanti a me, non suscitava alcuna eccitazione. Era solo una donna ferita, devastata dal peso di quanto accaduto. Mi avvicinai lentamente, cercando di non farla sentire più vulnerabile di quanto già non fosse.
"Zia," sussurrai con dolcezza, accarezzandole delicatamente il viso rigato di lacrime. Lei non reagì subito, ma il suo sguardo pieno di dolore mi fece quasi indietreggiare. "Ascoltami... so che è difficile, so che ti senti tradita. Ma c'è qualcosa che non vuoi ammettere nemmeno a te stessa."
Lei scosse la testa, i suoi singhiozzi strozzati. "Stai zitto," disse con voce tremante.
"Zia," continuai, con un filo di voce. "Quel senso di proibito... so che sotto sotto ti piace. Ti ha sempre attirato. Io sono tuo nipote, sì, eppure... tra di noi c’è qualcosa di più. Un sentimento forte, reale. Non puoi negarlo."
"Basta!" gridò, alzando la voce mentre il suo viso si contorceva tra rabbia e confusione. "Come osi parlare di sentimenti? È disgustoso, è... è sbagliato!"
Cercai di mantenere la calma, anche se il suo dolore era come un coltello nel petto. "Non voglio ferirti," le dissi. "Né voglio giustificare nulla. Ma io ti amo, Zia. E Adriana ti ama. Forse non lo capisci ora, forse non vuoi capirlo... ma è la verità."
Le sue lacrime si trasformarono in pura rabbia, e in un attimo mi saltò addosso con una violenza che non mi aspettavo. Mi spinse a terra con forza, il suo corpo nudo che si schiantava contro il mio mentre iniziava a colpirmi con pugni pieni di dolore e rabbia.
"Sei un mostro!" gridò, i suoi occhi ardenti di furore. "Hai distrutto tutto! Hai distrutto me!"
Non opposi resistenza, lasciandola sfogare mentre i suoi pugni cadevano sul mio petto e sulle mie spalle. Ma c’era qualcosa di diverso in quella furia. Qualcosa di più profondo, più complesso. Il suo corpo, caldo e tremante, si muoveva contro il mio con una passione inaspettata, mentre la sua rabbia sembrava trasformarsi in qualcos’altro.
In un attimo di silenzio, i suoi pugni si fermarono, e i suoi occhi si fissarono nei miei. Respiravamo entrambi pesantemente, i nostri corpi intrecciati sul pavimento freddo del bagno. Le sue labbra tremarono, e prima che potessi dire qualcosa, si chinò su di me, baciandomi con una violenza mista a disperazione.
Fu un bacio diverso da tutti gli altri. Carico di rabbia, dolore e desiderio. Le sue mani, che poco prima mi colpivano, ora si aggrapparono ai miei capelli mentre il suo corpo si premeva contro il mio. "Odio quello che mi fai provare," sussurrò contro le mie labbra, il suo respiro caldo e affannato. "Odio tutto questo... e odio me stessa."
"Zia," mormorai, ma lei mi zittì con un altro bacio, le sue labbra che cercavano disperatamente le mie. Il confine tra rabbia e passione si era dissolto completamente, e mentre le sue mani scivolavano sul mio corpo, capii che quel momento, per quanto sbagliato, era inevitabile.
Mi guardò con quegli occhi pieni di furore, lacrime miste a desiderio, mentre le sue mani si serravano intorno al mio collo, non per strangolarmi, ma per farmi sentire la sua rabbia. Francesca era un vortice di emozioni, e io non riuscivo più a distinguere dove finiva la sua furia e dove iniziava il suo desiderio.
"Sei un bastardo," sibilò tra i denti, mentre il suo corpo si spingeva contro il mio. "Ti odio per quello che mi fai provare."
Prima che potessi replicare, il suo bacino si abbassò con violenza, catturando la mia eccitazione tra le sue gambe. Era come se volesse punirmi, farmi pagare ogni emozione che le avevo fatto provare, ma nel farlo trovava il piacere che cercava disperatamente di negare.
"Sei tu che mi fai questo," risposi con un filo di voce, mentre lei si muoveva sopra di me, il suo corpo che si spingeva contro il mio con una forza che toglieva il fiato. "Ogni tuo tocco, ogni tuo sguardo... mi hai sempre fatto impazzire."
La sua risposta fu un gemito soffocato, i suoi capelli spettinati che le ricadevano sul viso mentre inclinava la testa all'indietro, lasciando che il piacere prendesse il sopravvento sulla sua rabbia. Le sue mani graffiavano il mio petto, come se volesse lasciare un segno indelebile, mentre il suo corpo si muoveva con un ritmo irregolare, selvaggio.
"Non parlare," mi ordinò con un tono che era al tempo stesso furioso e supplichevole. "Non voglio sentirti... voglio solo che tu mi scopi."
Le sue parole, crude e dirette, fecero scattare qualcosa dentro di me. Mi alzai leggermente, afferrandola per i fianchi con forza, capovolgendola sul pavimento freddo. Ora ero sopra di lei, e i suoi occhi si spalancarono per un istante, un misto di sorpresa e sfida.
"È questo che vuoi?" le chiesi, la mia voce bassa e rauca, mentre le mie mani scivolavano lungo il suo corpo, stringendola con una forza che sapevo avrebbe lasciato dei segni.
"Sì," ansimò, mordendosi il labbro inferiore. "Ma fallo più forte. Fammi dimenticare quanto ti odio."
Le sue parole erano un invito, una sfida, e io non mi tirai indietro. Mi mossi dentro di lei con una forza che ci fece gemere entrambi, il suono dei nostri corpi che si incontravano riempiva il piccolo bagno. Francesca si aggrappò a me, le sue unghie che graffiavano la mia schiena mentre urlava il mio nome, un misto di piacere e dolore che le faceva tremare tutto il corpo.
"Ti odio," gridò, ma il suo corpo raccontava un’altra storia, i suoi movimenti che si facevano sempre più disperati, come se non volesse mai smettere.
"Dimmi quanto mi odi," le sussurrai all'orecchio, mentre mi spingevo dentro di lei con una forza sempre maggiore, il suo corpo che si tendeva sotto di me. "Dimmi che non vuoi altro che questo."
"Bastardo," ansimò, le sue mani che si aggrappavano ai miei capelli, tirandoli con forza. "Ti odio... ti odio... ma non fermarti."
Il climax arrivò con una violenza che ci fece quasi perdere il respiro, i suoi gemiti che si trasformarono in un grido soffocato mentre il suo corpo tremava sotto il mio. Mi lasciai andare subito dopo, il mio respiro affannato che si mescolava al suo mentre ci lasciavamo cadere uno accanto all’altro, entrambi esausti.
Il silenzio calò su di noi, interrotto solo dal nostro respiro pesante. Francesca si girò su un fianco, fissandomi con quegli occhi ancora pieni di emozione. "Non so se ti odio o se ti desidero," sussurrò, prima di chiudere gli occhi, lasciandomi lì, immerso in un mare di emozioni contrastanti.
Francesca era ancora a terra, il respiro irregolare, il corpo scosso da brividi involontari. Il silenzio era spesso come il fumo di un fuoco appena spento. Sapevo che dentro di lei la tempesta non era finita.
Si passò una mano sul viso, evitando il mio sguardo. «Non avresti dovuto…» sussurrò.
Mi accovacciai accanto a lei, con calma, come se stessi aspettando il momento giusto per farle dire quello che ancora si ostinava a negare. «Eppure l’abbiamo fatto.»
Lei scosse la testa, stringendosi nelle spalle. «È stato un errore.»
Le sorrisi appena. «Un errore che hai assecondato fino all’ultimo.»
Si voltò verso di me, fulminandomi con lo sguardo. «Non significa niente.»
Mi chinai un po’ di più, abbassando la voce in un sussurro. «Davvero? Guarda che ti conosco, Zia.» Mi fermai un attimo, studiando la minima reazione del suo corpo. «Non sei il tipo che si lascia andare a qualcosa che non vuole.»
«Non significa niente, ero bendata.» ripeté, più a se stessa che a me.
Le presi una mano, le dita intrecciate con le sue in un gesto che sembrava innocente. «Sai cosa penso?» chiesi con dolcezza.
Lei rimase in silenzio, ma non si ritrasse.
«Penso che quello che è successo ti abbia fatto paura perché ti ha dato piacere. E non vuoi ammetterlo.»
«Non è vero.»
Sorrisi piano, come chi sa di avere il controllo. «No? E allora perché sei ancora qui a parlarne?»
Strinse le labbra, ma non riusciva a sostenere il mio sguardo. Aveva troppi pensieri in testa, troppi dubbi che non poteva semplicemente cancellare.
«Adriana ti ama,» continuai, dosando le parole con precisione. «E tu…» mi fermai un attimo, lasciandole spazio per completare mentalmente la frase.
Lei sollevò il mento, tentando di ritrovare la sua freddezza. «E io cosa?»
La mia presa sulla sua mano si fece appena più salda. «E tu non riesci a odiare quello che è successo.»
Trattenne il respiro per un istante. Poi si liberò dalla mia stretta e si alzò, come per prendere le distanze.
Ma non disse più nulla.
Sapevo di aver piantato il seme del dubbio. E ora bastava aspettare che crescesse.
Francesca rimase immobile, il respiro ancora irregolare, gli occhi fissi nel vuoto come se cercasse di mettere ordine nel caos dentro di sé. Il silenzio nella stanza era pesante, carico di qualcosa di sospeso, fino a quando un bussare leggero alla porta non ci fece sussultare.
Adriana.
Quando aprii la porta, la vidi lì, completamente nuda, la pelle ancora imperlata di qualche goccia di sudore. I suoi occhi si posarono su Francesca con una paura che non le avevo mai visto prima.
Francesca la squadrò, lentamente, come se solo in quel momento realizzasse davvero la figura di sua figlia. Il suo sguardo scivolò lungo il suo corpo, si fermò un attimo sul seno che si sollevava e abbassava con il respiro irregolare, scese lungo il ventre piatto fino ai fianchi, poi tornò su di colpo. I suoi occhi si strinsero, confusi, incerti.
Adriana si strinse le mani, come se volesse coprirsi, ma poi si fece forza. «Mamma…» La sua voce era un sussurro spezzato.
Francesca non rispose.
Adriana fece un passo avanti, mordendosi il labbro. «Ti prego… io… io non volevo farti del male.» Deglutì a fatica. «Non odiarmi.»
Francesca chiuse gli occhi per un lungo istante, poi scosse la testa. «Io non odio nessuno.»
Adriana trattenne il fiato.
Francesca si passò una mano tra i capelli, il viso segnato da un’emozione che non riusciva a definire. «Ma non capisco.» La sua voce era più bassa, quasi roca. «Non capisco cosa sia successo… non capisco cosa provo.»
Adriana avanzò ancora di un passo, gli occhi lucidi. «Io lo so cosa provo.»
Francesca sollevò lo sguardo su di lei, scrutandola con un’intensità che faceva tremare l’aria.
Adriana si mordicchiò il labbro, incerta, poi si lasciò sfuggire un sospiro tremante. «Io… ti amo.»
Un lampo attraversò lo sguardo di Francesca, un miscuglio di emozioni che non riuscivo a decifrare. Il silenzio si fece ancora più pesante.
Poi, all’improvviso, Francesca scosse la testa e si voltò di scatto, raccogliendo in fretta i suoi vestiti. «Devo pensare.» La sua voce era un sussurro teso, come se ogni parola le costasse uno sforzo immenso. «Devo schiarirmi le idee.»
Adriana allungò una mano, ma si fermò a metà strada, come se avesse paura di sfiorarla.
Francesca si infilò la camicia con gesti rapidi, i movimenti nervosi, quasi rabbiosi. Non disse più nulla.
Quando fu pronta, afferrò la borsa e uscì dalla stanza senza voltarsi indietro.
Adriana rimase lì, nuda, con le braccia attorno a sé, il respiro pesante.
Non avevamo bisogno di parole. Sapevamo entrambi che qualcosa si era rotto.
Dopo qualche minuto, raccogliemmo le nostre cose e uscimmo anche noi.
Il viaggio di ritorno alla casa della nonna fu immerso in un silenzio irreale, spezzato solo dal rumore del motore e dai nostri respiri pesanti.
Francesca avrebbe mai accettato quello che era accaduto?
E Adriana… sarebbe riuscita a reggere il peso di ciò che aveva appena confessato?
Per il momento, l’unica certezza era che niente sarebbe stato più come prima.
il giorno seguente.
La casa della nonna sembrava improvvisamente più grande, come se le pareti avessero assorbito la tensione e si fossero dilatate per tenerci distanti. Era come vivere in tre mondi separati, tre buchi neri che orbitavano nello stesso spazio senza mai sfiorarsi davvero.
Non avevamo visto Francesca per tutto il giorno. Forse era chiusa in camera, forse era uscita. Non lo sapevamo, e il fatto che non avesse cercato nessuno di noi rendeva tutto più pesante.
Io e Adriana dividevamo la stanza, ma non ci eravamo scambiati più di qualche sguardo. Lei aveva passato il pomeriggio sdraiata sul letto, il telefono abbandonato accanto a sé, gli occhi fissi al soffitto. Io avevo provato a distrarmi, a leggere qualcosa, a scrollare lo schermo senza interesse, ma ogni pensiero tornava sempre lì, a quella porta che non si apriva, a quella risposta che non arrivava.
L’attesa mi stava uccidendo.
Quando la serata calò e la casa si fece più silenziosa, sentii il bisogno di staccarmi da quel vortice soffocante di pensieri. Mi alzai con un sospiro e mi passai una mano tra i capelli. «Vado a farmi una doccia.»
Adriana non rispose, ma la vidi seguirne il movimento con la coda dell’occhio.
Uscii dalla stanza e mi diressi verso il bagno, chiudendomi dentro con un senso di sollievo momentaneo. Aprii l’acqua, regolando la temperatura fino a farla scorrere tiepida, e mi spogliai lentamente, come se ogni strato di vestiti fosse un peso che lasciavo cadere.
Quando finalmente mi infilai sotto il getto, lasciai che l’acqua mi scorresse sulla pelle, scivolando lungo il collo e le spalle, lavando via almeno un po’ del caos che mi opprimeva. Chiusi gli occhi, inspirando a fondo.
Ma il sollievo durò poco.
Un rumore lieve mi fece sussultare. Il cigolio leggero della porta che si apriva.
Aprii appena gli occhi, senza voltarmi subito. Il suono dei passi contro le piastrelle mi fece capire che qualcuno era entrato.
Poi, una voce. Bassa, esitante.
«Posso?»
Mi girai lentamente.
E la vidi.
vidi il suo viso segnato da un’ombra di tormento. Adriana era lì, sulla soglia, con le braccia incrociate sul ventre come a cercare di trattenere qualcosa dentro di sé. I suoi occhi si abbassarono un istante, quasi a cercare il coraggio di parlare.
«Ho bisogno di qualcuno con cui parlare,» disse infine, la voce appena udibile sopra il rumore dell’acqua. «Mi sento morire.»
Annuii, senza interromperla, lasciandole il tempo di trovare le parole.
«Ho paura.» Fece un passo in avanti, le sue dita sfiorarono la porta come se volesse chiuderla del tutto. «Ho paura di perdere chi amo, di aver rovinato tutto, di aver superato un limite… e di non poter più tornare indietro.»
Mi strinsi le labbra, osservandola mentre il suo sguardo si perdeva nel vuoto, come se stesse cercando di mettere ordine nel caos che le ribolliva dentro.
«E poi mi odio,» sussurrò. «Mi odio perché… perché l’ho amato. Ogni secondo. Ogni brivido. Ogni dannato istante della scorsa notte.»
I suoi occhi si sollevarono fino a incontrare i miei. Dentro c’era vergogna, ma anche una scintilla di qualcosa che non riusciva a spegnere del tutto. E in quel momento mi accorsi che mi stava osservando da capo a piedi, il suo sguardo scivolava lungo le gocce d’acqua che seguivano i contorni del mio corpo, il vapore che avvolgeva tutto in un’aura irreale.
D’un tratto si interruppe, mordendosi il labbro, le guance che si coloravano di un lieve rossore.
«Posso…» esalò, abbassando di nuovo lo sguardo, quasi intimidita. «Posso entrare anch’io?»
Non ci fu esitazione nella mia risposta. «Sì.»
Lei rimase ferma per qualche secondo, poi lentamente sollevò l’orlo del pigiama, facendolo scivolare lungo il corpo. Il tessuto leggero si accartocciò ai suoi piedi, lasciandola in piedi nella penombra del bagno, il chiaroscuro del vapore che sfumava i contorni della sua pelle.
I suoi movimenti erano lenti, quasi esitanti, ma nei suoi occhi c’era un fuoco sottile, una consapevolezza che la rendeva ancora più bella. Abbassò le mani ai fianchi, facendosi scivolare via l’intimo con la stessa cautela, come se ogni centimetro svelato fosse un atto di vulnerabilità e forza allo stesso tempo.
Si avvicinò alla doccia, l’acqua che scorreva dietro di me creava giochi di luce e ombra sulle sue forme perfette. Mise un piede dentro, poi l’altro, e il calore della doccia la fece rabbrividire un istante prima di abbandonarsi completamente al contatto dell’acqua.
Rimase davanti a me, il fiato leggermente accelerato, il vapore che faceva risaltare le gocce che le scivolavano lungo il collo, tra le curve del suo corpo. I suoi occhi, ora più scuri, si sollevarono sui miei.
«Dimmi che non sono sbagliata,» sussurrò.
Mi avvicinai a lei, le mie mani che si posarono con fermezza sui suoi fianchi, sentendo il calore della sua pelle contrastare con l’acqua che scorreva su di noi. I suoi occhi cercavano i miei, pieni di dubbi e desideri che non riusciva più a trattenere.
«Non sei sbagliata,» le dissi a bassa voce, con una certezza che volevo trasmetterle fino in fondo. «Sei stata sincera, hai rischiato… sei stata coraggiosa.»
Lei tremò leggermente, ma non per il freddo. Un sospiro le sfuggì dalle labbra prima che le sue braccia si stringessero intorno al mio corpo, avvinghiandosi a me con una naturalezza che ci sorprese entrambi. Il nostro respiro si mescolava nel vapore, il battito accelerato che risuonava sottopelle.
Non eravamo mai stati così vicini. Mai in tutta la nostra vita. Eppure adesso eravamo lì, pelle contro pelle, uniti da qualcosa di inspiegabile che andava oltre la semplice vicinanza.
«Grazie,» sussurrò, sollevando lo sguardo su di me, i suoi occhi che brillavano di un’emozione cruda, intensa.
Non so chi si mosse per primo. Forse lei, forse io. O forse era solo l’inevitabile che finalmente prendeva forma.
Le nostre labbra si sfiorarono, incerte per un solo istante, prima di fondersi in un bacio vero, profondo. Non c’era esitazione, solo il bisogno urgente di sentirci, di riconoscerci in quel contatto.
Le mie mani risalirono lungo la sua schiena bagnata, la sua pelle liscia sotto i polpastrelli, mentre le sue dita si stringevano nei miei capelli. Il bacio divenne più intenso, le sue labbra si aprirono alle mie con una dolcezza famelica, un misto di abbandono e disperazione.
Il vapore ci avvolgeva come una cortina, la doccia scorreva senza che nemmeno ce ne accorgessimo più. Eravamo solo noi due, in quel momento sospeso, uniti da un sentimento che non potevamo più negare
Mi avvicinai ancora di più a lei, sentendo il calore della sua pelle fondersi con il mio sotto il getto d’acqua bollente. Le mie mani la cercarono con urgenza, scivolando lungo la curva della sua schiena fino a stringere il suo fondoschiena, attirandola contro di me. Adriana ansimò piano, chiudendo gli occhi mentre le nostre bocche si cercavano di nuovo, i baci sempre più intensi, affamati, come se avessimo bisogno l’uno dell’altra per respirare.
La poggiai con delicatezza contro il muro della doccia, sentendo il contrasto tra il calore della sua pelle e il freddo delle piastrelle.
Il mio corpo premette contro il suo, e lei rispose con lo stesso ardore, muovendosi in sincronia con me. Ogni sfioramento era un fuoco che si accendeva sulla pelle, il calore dell’acqua non era nulla in confronto a quello che ci scambiavamo.
Le mie mani percorrevano la sua schiena con foga, scendendo fino ai suoi fianchi per poi risalire, tracciando ogni curva, ogni linea del suo corpo. Stringendola, la sentii inarcare leggermente la schiena, il suo respiro farsi più profondo, e lasciai che le mie dita la esplorassero con più sicurezza, sfiorando le sue forme con un misto di desiderio e adorazione.
Adriana si aggrappò alle mie spalle, le sue unghie premettero leggere sulla mia pelle mentre i nostri movimenti si facevano più lenti, più intensi, come se volessimo imprimere ogni sensazione nella memoria, in un gioco di vicinanza e provocazione. Il mio viso affondò nel suo collo, la mia bocca percorse la sua pelle con baci febbrili mentre la stringevo ancora di più contro di me, fino a non lasciare più spazio tra i nostri corpi.
Le mie mani la afferrarono con decisione, sollevandola mentre le sue gambe si strinsero attorno ai miei fianchi. Il suo respiro si fece più profondo quando la spinsi contro il muro, la penetrai dolcemente, i nostri corpi umidi incollati l’uno all’altro, il calore tra noi divenuto ormai insostenibile.
Si aggrappò alle mie spalle con forza, le sue dita affondarono sulla mia pelle mentre la spingevo contro di me, fondendoci in un movimento sempre più intenso. Un gemito strozzato le sfuggì dalle labbra mentre il nostro contatto si faceva sempre più profondo, sempre più intenso.
Le sue labbra sfioravano il mio collo, il suo respiro era caldo e spezzato mentre il ritmo cresceva, travolgendoci entrambi in una spirale di desiderio che sembrava non volersi fermare. Il vapore avvolgeva i nostri corpi, ogni carezza più audace, ogni movimento più ardente, fino a quando la tensione divenne insostenibile e, sopraffatti, ci lasciammo cadere lentamente, esausti, il cuore che batteva all’unisono mentre il suono dell’acqua accompagnava il nostro respiro ancora frastagliato.
L’acqua continuava a scorrere, avvolgendo i nostri corpi in un calore quasi soffocante. Adriana era ancora distesa sul piatto della doccia, il respiro irregolare e il petto che si sollevava e abbassava rapidamente. I suoi occhi si persero nei miei mentre mi sentiva tornare a cercarla, le sue cosce si strinsero istintivamente attorno a me, come a voler trattenere quel momento di pura intimità.
ritornai dolcemente dentro di lei, riprendo ciò che stavamo facendo prima.
Le mie mani, ancora bagnate, percorsero i suoi fianchi con una carezza sicura, mentre il suo corpo reagiva ad ogni mio movimento. Le gocce scivolavano lungo la sua pelle, fondendosi con il calore che avevamo creato insieme. Il contatto tra noi si fece di nuovo profondo, lento ma passionale e carico di una tensione elettrizzante.
Adriana lasciò sfuggire un respiro spezzato, il suo viso arrossato e umido, gli occhi socchiusi nel piacere crescente. Il mio petto sfiorava il suo, sentivo ogni brivido percorrerle la schiena, ogni piccolo movimento che ci faceva desiderare di più.
Le mie dita si persero tra i suoi capelli bagnati, mentre l’altra mano stringeva il suo seno con una fermezza che la fece fremere sotto di me. Le sue labbra si schiusero appena, lasciando spazio a un nuovo gemito soffocato dall’acqua che continuava a colpirci con forza.
I nostri corpi si muovevano in perfetta sintonia, un crescendo di sensazioni che sembravano non volerci abbandonare. E proprio quando la tensione raggiunse il suo apice, il momento si sciolse in un’intensità che ci lasciò entrambi senza respiro. Il mio viso affondò tra il suo collo e la sua spalla, mentre sentivo il suo corpo tremare leggermente sotto il mio.
L’acqua lavava via ogni traccia, ma non poteva cancellare quello che avevamo appena condiviso. Restammo così per qualche istante, le dita intrecciate, i battiti dei nostri cuori ancora fuori controllo. Poi, lentamente, le nostre labbra si sfiorarono in un ultimo bacio, più dolce, quasi come una promessa silenziosa.
Uscimmo dalla doccia lentamente, ancora scossi da ciò che era appena successo.
La stanza era immersa in una penombra avvolgente, le gocce d’acqua scivolavano lente sulle nostre pelli calde dopo l’intensità del momento vissuto sotto il getto della doccia. Ogni respiro era ancora irregolare, ogni battito del cuore sembrava risuonare all’unisono con la tensione che ci avvolgeva. Adriana era lì davanti a me, la sua pelle umida brillava sotto la tenue luce che filtrava dalla finestra. I suoi capelli bagnati le ricadevano sulle spalle, incorniciando il suo viso arrossato dal piacere e dalla timidezza del momento. I suoi occhi, pieni di desiderio e incertezza, incrociarono i miei mentre con un sorriso appena accennato sollevò un lembo dell’asciugamano per avvolgersi.
Mi avvicinai lentamente, le mie mani trovarono i suoi fianchi, la sentii fremere sotto il mio tocco, un brivido che percorse la sua schiena e la fece chiudere per un attimo gli occhi. "Va tutto bene?" le chiesi, la mia voce roca per l’emozione. Lei annuì appena, mordendosi il labbro inferiore in un gesto involontariamente seducente. Le mie dita salirono lungo la curva della sua schiena, disegnando il profilo perfetto della sua figura. Adriana si avvicinò ancora di più, il suo corpo premuto contro il mio, la sua pelle che ancora tratteneva il calore della doccia.
Non sapevo quanto tempo rimanemmo così, immobili, sospesi in quel limbo tra la realtà e il desiderio. Ma poi, il suono di una notifica interruppe quel momento. Il nostro sguardo si abbassò contemporaneamente sul telefono di Adriana posato sul comodino. Un messaggio.
Il mittente: Francesca.
Adriana lo prese con mani tremanti, lo sbloccò e lessi insieme a lei le parole che avrebbero cambiato tutto: "Voglio parlarvi stanotte. Nella mia stanza. Entrambi."
Un brivido mi attraversò la schiena. Non era un semplice invito. Era una decisione. Forse l’ultima, forse la più importante.
Adriana trattenne il fiato, poi mi guardò con un misto di paura ed eccitazione. "Pensi che... che abbia deciso?"
La mia mano trovò la sua, intrecciai le nostre dita e le diedi una lieve stretta, cercando di trasmetterle sicurezza. "Lo scopriremo stanotte."
Un misto di aspettativa e tensione aleggiava nella stanza. Il cuore accelerò i battiti. La mente correva in mille direzioni diverse, immaginando ogni possibile scenario. Non ci restava che aspettare, immersi in un desiderio sempre più difficile da contenere.
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