Sotto il Costume dell’Animatrice - capitolo 2

di
genere
dominazione

Dopo quell’incontro, tornammo entrambi a lavoro come se nulla fosse successo. Ma ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano, un sorriso malizioso si disegnava sulle labbra di Fiona, e io sapevo benissimo cosa voleva dirmi senza bisogno di parole. Ogni suo gesto era una provocazione sottile: un’occhiata insistente, un sorriso appena accennato, un ammiccamento mentre si chinava a raccogliere qualcosa, mostrandomi quel corpo che avevo ormai conosciuto troppo bene.

Durante la pausa, Fiona si avvicinò come per parlarmi delle attività del giorno, ma il suo tono era tutt’altro che neutro. «Ti vedo distratto oggi… tutto bene?» mi chiese, con quella voce dolce e pericolosa allo stesso tempo, mentre i suoi occhi scuri indugiavano su di me, ricordandomi in ogni istante il momento che avevamo condiviso.

Mi avvicinai al gruppo di bambini per provare a concentrarmi sul lavoro, ma Fiona si accostò di nuovo a me, fingendo di spiegarmi una semplice attività. «Non riesci proprio a togliermi dalla testa, eh?» mormorò, abbassando la voce in modo che solo io potessi sentire. Ogni parola era un colpo diretto, ogni sguardo era una provocazione che mi lasciava senza scampo. Avevo cercato di mantenere un minimo di compostezza, ma era come se Fiona avesse deciso di tormentarmi per tutto il giorno.

Quando finalmente la giornata di lavoro si concluse, tornai a casa sfinito, ma ogni pensiero mi riportava a lei. Mi ritrovai a ripensare a ogni dettaglio: il suo corpo contro il mio, la sua voce che sussurrava quelle parole perverse all’orecchio, quel suo sguardo carico di malizia. Ogni immagine, ogni ricordo mi faceva desiderare di rivederla, di cedere ancora una volta al suo gioco. Fiona era un pensiero fisso, e per quanto cercassi di distrarmi, mi rendevo conto che ormai ero prigioniero di quella tentazione che non potevo più ignorare.

Il giorno successivo iniziò con Fiona che alzava subito il livello delle provocazioni. Appena arrivata, mi lanciò uno sguardo malizioso e, con una lentezza studiata, si tolse la maglietta per restare in costume. Il tessuto del top aderiva al suo seno, e lei fece in modo di muoversi in modo quasi teatrale, facendo ondeggiare quelle curve che sapeva mi facevano perdere la testa. Ogni movimento sembrava una sfida, una promessa nascosta sotto quel sorriso beffardo che le illuminava il viso.

Mi aveva già lasciato sul filo del rasoio, ma quel giorno il campo estivo era decisamente affollato: i bambini erano aumentati e con loro il lavoro. La nostra squadra era sommersa di attività e impegni da organizzare, e dubitavo che ci sarebbe stato il tempo per qualsiasi altro gioco. Mi preparai mentalmente a una giornata frenetica, cercando di concentrarmi e di lasciarmi alle spalle il ricordo delle sue provocazioni.

Ma Fiona non era il tipo da lasciar scappare un’opportunità. Tra una pausa e l’altra, continuava a cercare il mio sguardo, lanciandomi occhiatine provocanti mentre si muoveva in mezzo ai bambini con una leggerezza disarmante. Il suo corpo ondeggiava con grazia mentre correva, si chinava e si rialzava, e sembrava trovare ogni occasione per farsi notare. Più cercavo di mantenere il controllo, più lei riusciva a insinuarsi nei miei pensieri, con un gesto, uno sguardo, un movimento sottile.

A un certo punto, durante una pausa più breve, Fiona si avvicinò a me per discutere di una delle attività, ma le sue parole sembravano avere tutt’altro significato. «Spero tu riesca a gestire tutto questo… lavoro extra,» disse con quel suo tono ambiguo, lasciando che la frase restasse sospesa. Mi sfiorò appena con il braccio, un tocco apparentemente casuale che però accese immediatamente qualcosa dentro di me.

Ogni provocazione, ogni gesto, rendeva più difficile concentrarmi, e più la giornata avanzava, più sentivo che Fiona non aveva alcuna intenzione di lasciarmi tregua.

Mentre portavamo i bambini in piscina, tutto sembrava procedere come al solito: i più grandi sapevano divertirsi da soli, e per noi era solo questione di sorvegliarli e ogni tanto intervenire nei giochi. Di solito, uno di noi restava fuori dall’acqua per avere una visuale più ampia, ma quel giorno Fiona decise di entrare in acqua con me, il che era già insolito.

Si immerse con un sorriso divertito, lanciandomi uno sguardo che tradiva quell’aria di complicità che ormai era diventata una nostra abitudine. Fiona iniziò subito a cercare il mio spazio, trovando ogni scusa per avvicinarsi, ridere e buttarsi addosso a me come se fosse parte del gioco.

Ogni volta che si appoggiava, sentivo il suo corpo premere contro il mio. La freschezza dell’acqua faceva da contrasto al calore che si diffondeva nei nostri contatti. Le nostre intimità si sfioravano appena, in movimenti sottili, quasi impercettibili. Mi ritrovai intrappolato tra il desiderio e il timore, in un gioco silenzioso di sguardi e sfioramenti, mentre Fiona sembrava ignorare completamente qualsiasi rischio.

Con una disinvoltura ammaliante, continuava a stuzzicarmi, lasciando scivolare la mano sulla mia spalla, o strusciandosi con un sorriso malizioso. Mi lanciò un’occhiata provocante, come a sfidarmi, e sussurrò appena, con voce bassa e complice, «Cosa c’è, non reggi il gioco?»

Fiona, senza mai perdere il suo sorriso complice, si avvicinò ancora di più, finendo per mettersi velatamente a cavalcioni su di me. I suoi movimenti erano lenti e studiati, come se tutto fosse perfettamente casuale agli occhi di chi poteva vederci, ma sapevo benissimo che non lo era. Sentivo il suo corpo muoversi contro il mio, in un leggero sfregamento che aumentava di intensità a ogni secondo.

Io cercavo di guardarmi intorno, con il cuore che batteva all’impazzata, temendo che qualcuno si accorgesse di quella situazione tanto proibita quanto elettrizzante. Ma Fiona sembrava non avere la minima preoccupazione. Anzi, i suoi occhi scuri brillavano di un’eccitazione che cresceva a ogni istante, come se la possibilità di essere scoperti aggiungesse un brivido in più al momento.

«Sei troppo teso,» mi sussurrò all’orecchio, con una risata sommessa, continuando a muoversi contro di me in modo quasi impercettibile, ma sufficiente a farmi perdere ogni traccia di autocontrollo. Il suo sguardo era intenso, penetrante, mentre la sua bocca si avvicinava pericolosamente al mio orecchio. «Rilassati… goditi il momento,» aggiunse, facendo in modo che solo io potessi sentirla.

Ogni suo movimento, ogni parola sussurrata, mi facevano dimenticare per qualche attimo il timore di essere visto. Ma proprio questa sua sicurezza, la disinvoltura con cui si stava godendo quel momento proibito, rendevano tutto ancora più irresistibile, lasciandomi senza alcuna via di fuga da quell’intrigante gioco di provocazioni.

Le mie mani si erano posate naturalmente sul suo fondoschiena, tenendola saldamente mentre lei continuava a muoversi con quel ritmo lento e provocante, come se volesse tenermi sospeso su un filo di desiderio. Ogni istante che passava accresceva l’eccitazione, e io mi sentivo ormai incapace di resistere a quell’intensità.

Poi, proprio quando ero al culmine di quel piacere crescente, Fiona si staccò bruscamente, rompendo quel contatto in modo improvviso e calcolato. Con un sorrisetto beffardo, mi lanciò uno sguardo soddisfatto, un misto di divertimento e sfida. «Non pensare nemmeno di arrivare fino in fondo, non te lo sei ancora guadagnato,» sussurrò, con quel tono malizioso che ormai conoscevo fin troppo bene.

Prima che potessi rispondere o cercare di riprendere il controllo, si voltò e si allontanò, lasciandomi lì, a metà tra il desiderio e la frustrazione, mentre tornava a giocare con i bambini come se nulla fosse. Mi guardava di tanto in tanto, lanciandomi occhiatine provocatorie, come a ricordarmi che era lei a dettare il ritmo di quel gioco proibito.

Non riuscivo a togliermi dalla testa quello che era successo in piscina. Ogni volta che ci pensavo, sentivo di nuovo la sua pelle contro la mia, i suoi movimenti audaci e il suo sguardo che sembrava leggermi dentro, deridendomi e dominandomi allo stesso tempo. Il resto del mondo era scomparso in quei momenti, e ora la sua presenza mi tormentava in ogni istante della giornata.

Fiona non faceva nulla per aiutarmi a distrarmi. Anzi, sembrava divertirsi a mantenere quell’energia elettrica tra di noi, amplificandola ad ogni occasione. Mentre giocava con i bambini, si piegava a raccogliere giochi o bottiglie d’acqua, i pantaloncini così corti da far intravedere la curva morbida del fondoschiena. Il costume stretto si tendeva, e lei non sembrava preoccuparsene. Ogni tanto si voltava, mi beccava a guardarla e mi lanciava uno di quei suoi sorrisi, un misto di derisione e malizia che mi faceva sentire in trappola.

Durante la pausa pranzo, si sedette proprio davanti a me, con le gambe incrociate, e ogni tanto dondolava il piede facendo scivolare il sandalo, quasi distrattamente. Ma i suoi occhi castani mi scrutavano, attenti, come se aspettasse una mia reazione. A un certo punto si chinò in avanti per prendere una bottiglietta, il seno che si schiacciava contro il tavolo, e mi sussurrò:
“Occhi sul piatto, non sulla merce, capo.”

Mi sentii bruciare di imbarazzo, ma sapevo che l’aveva detto apposta per farmi agitare. Non era nemmeno una questione di desiderio a quel punto: era il gioco di potere che lei stava portando avanti, una danza in cui lei comandava e io non potevo fare altro che seguirla.

A fine giornata, mentre il campo si svuotava e il silenzio iniziava finalmente a calare, mi sentivo esausto. Fiona, al contrario, sembrava carica di energia, come se avesse appena iniziato la giornata. Sudata, con il corpo avvolto in quel costume che ormai sembrava una seconda pelle, si aggirava per il magazzino con un’aria insopportabilmente rilassata, mentre io spostavo scatoloni e cercavo di non pensare a lei.

Stavo impilando delle sedie quando la sentii avvicinarsi. Il profumo leggero della sua pelle mischiato al calore dell’estate mi colpì prima ancora della sua voce.
“Ehi,” disse, appoggiandosi contro uno scaffale. “Lo sai che stai facendo un lavoro davvero da bravo bambino?”

Mi bloccai un istante, voltandomi verso di lei. Aveva quel sorriso malizioso e lo sguardo pieno di una provocazione che conoscevo fin troppo bene. “Fiona, per favore…” mormorai, ma lei mi interruppe.

“No, davvero! Bravo, bravo. Adesso però il tuo capitano ha un’altra missione per te.” Si staccò dallo scaffale, avvicinandosi con lentezza e facendomi sentire come un ragazzino colto in fallo. Si fermò a pochi centimetri da me, inclinando la testa come farebbe un’insegnante che cerca di spiegare qualcosa a un bambino.

“Dai, facciamo un gioco,” disse, e stavolta il suo tono era quasi dolce, ma con quella nota pungente che la rendeva irresistibile.

“Che gioco?” chiesi, non riuscendo a nascondere l’agitazione.

“Facciamo il gioco del capitano,” continuò, con un’aria teatrale che sapevo fosse solo una maschera per nascondere quanto si stesse divertendo a vedermi così. “Io sono il capitano e tu sei uno dei bambini del campo. Devi seguire ogni ordine senza fare storie. Capito, bravo bambino?”

Il suo tono mi fece sentire il sangue bollire. Non era solo per l’umiliazione, ma per il modo in cui giocava con le parole, insinuandosi sotto la mia pelle. Cercai di mascherare il mio disagio e risposi, con un mezzo sorriso nervoso:
“Non ho tempo per i tuoi giochetti, Fiona.”

Lei rise, una risata bassa e calda, che sembrava quasi avvolgermi. “Oh, ma io non sono sicura che tu abbia scelta, sai?” Si voltò verso il divano, sedendosi con noncuranza e accavallando le gambe in un modo che attirò immediatamente i miei occhi. “Ora siediti per terra, bambino, e ascolta bene il tuo capitano.”

Il suo sorriso si allargò mentre allungava un piede verso di me, spingendomi leggermente contro lo stinco. Il cuore mi batteva all’impazzata, ma qualcosa in me non riusciva a fermarsi. Fiona sapeva di avere il controllo, e io sapevo che non c’era via di scampo.
“In ginocchio, dai. Dimostra che sai essere bravo.”

Mi inginocchiai lentamente, il cuore che mi batteva in gola, mentre Fiona mi guardava dall’alto con quel sorrisetto malizioso. Sembrava compiaciuta, come se il fatto che stessi seguendo i suoi ordini confermasse un potere su di me che non avevo mai voluto ammettere. Si sistemò sul divano con un’aria rilassata, sollevando leggermente una gamba per appoggiare il piede sul bordo, il costume che si tendeva sul suo corpo sudato e attraente.

“Bravo bambino,” disse, con un tono che sembrava più condiscendente che affettuoso. “Ora… fammi vedere quanto sei utile. Sposta quella scatola più vicino a me. Ma fai piano, non voglio vedere nessuno sforzo brutto sul tuo faccino.”

Mi sporsi per afferrare la scatola, sentendo il suo sguardo che scivolava su di me. Quando finii, lei rise piano, scuotendo la testa. “Sei così goffo,” disse, allungandosi per sistemarsi meglio sul divano, il top del costume che sembrava quasi cedere sotto il peso del suo seno. “Ma vediamo se sai fare di meglio…”

Si chinò leggermente verso di me, facendo scivolare una mano tra i capelli sudati, come se fosse profondamente annoiata. “Ora… massaggiami i piedi. I miei poveri piedini hanno bisogno di un po’ di attenzioni. Sai farlo, vero? Oppure devo insegnarti anche quello?”

Le sue parole erano pungenti, ma il suo tono e il suo sguardo erano irresistibili. Non dissi nulla, ma presi delicatamente il suo piede, iniziando a massaggiarlo con mani tremanti. Lei sospirò, reclinando la testa all’indietro e chiudendo gli occhi, come se stesse davvero godendo del momento.

“Così,” disse piano, con una voce che sembrava un misto tra soddisfazione e scherno. “Forse non sei del tutto inutile. Ma puoi fare di meglio. Dai, baciami il piede. Dimmi quanto ti piace prenderti cura del tuo capitano.”

Mi bloccai per un istante, il viso che bruciava di imbarazzo e desiderio. “Fiona…” provai a dire, ma lei alzò una mano per zittirmi.

“Shh, non parlare. Obbedisci,” disse, con un sorriso che mi fece tremare.

Feci come mi aveva chiesto, le labbra che sfioravano la sua pelle mentre lei rideva piano, spostando leggermente il piede per guidarmi. Ogni suo movimento era calcolato, ogni parola studiata per farmi sentire più piccolo.

“Bene,” disse infine, ritirando il piede con noncuranza. “Ora… togliti la maglietta. Non voglio vederti sudato e sporco mentre stai ai miei piedi. Dai, sbrigati.”

Obbedii, la maglietta che cadde a terra in un attimo. Fiona si sporse in avanti, studiandomi con attenzione. “Carino,” disse, inclinando la testa con un sorriso divertito. “Ma c’è ancora tanto da fare. E ora… inginocchiati più vicino.”

Mi avvicinai, il cuore che batteva all’impazzata mentre lei mi guardava con uno sguardo che mi faceva sentire esposto e vulnerabile. “Sai,” disse, avvicinando il viso al mio, “sto ancora aspettando che tu mi dimostri quanto sei bravo.”

Poi si sporse ancora di più, le labbra sfiorando il mio orecchio. “Vediamo quanto sei disposto a fare per il tuo capitano…”

Fiona si alzò lentamente dal divano, i suoi movimenti sensuali sembravano studiati per attirare ogni mia attenzione. Con un gesto deliberato, fece scivolare le spalline del costume lungo le braccia, il tessuto che scivolava via lentamente fino a rivelare il seno perfetto, teso e invitante. Lo fece senza mai staccare lo sguardo dal mio, un sorriso diabolico che mi faceva sentire al tempo stesso imbarazzato ed eccitato.

“Adesso siediti lì,” disse, indicando una sedia poco distante. “E come facevi con quelle foto… datti piacere su di me. Ma questa volta io sarò qui a guardarti.”

Le sue parole mi colpirono come un colpo secco. Mi irrigidii, il disappunto e l’imbarazzo che cercavano di prevalere sull’irresistibile attrazione che provavo per lei. “Fiona, io… non posso fare una cosa del genere,” balbettai, cercando di protestare.

Fiona alzò un sopracciglio, incrociando le braccia sotto il seno scoperto, facendo risaltare ancor di più le sue curve. “Non puoi, dici?” rispose con tono glaciale, come una maestra severa con un alunno disobbediente. “Senti un po’, chi è il capitano qui? Ti ho dato un ordine. Adesso siediti lì e fai quello che ti ho detto. Oppure devo spiegarti tutto da capo, come a un bambino che non capisce?”

Quelle parole mi trafissero, il tono severo che mi faceva sentire piccolo e impotente. Fiona si avvicinò di un passo, chinandosi leggermente verso di me. Il suo sguardo era tagliente, ma le sue labbra si incurvarono in un sorriso beffardo. “O forse vuoi che chiami qualcun altro? Magari qualche bambino è più bravo a seguire gli ordini rispetto a te…”

Quelle parole mi fecero scattare. Il viso in fiamme, mi sedetti sulla sedia come mi aveva detto, evitando il suo sguardo. Fiona applaudì piano, come se avessi finalmente fatto qualcosa di buono. “Ecco, bravo,” disse, tornando a sedersi sul divano davanti a me. “Ora fai quello che ti ho detto. Togliti quei pantaloni. Voglio vedere quanto ti vergogni.”

Esitai, il cuore che batteva all’impazzata, ma alla fine obbedii. Mi slacciai i pantaloni, facendoli scivolare giù mentre il suo sguardo mi divorava. Sentivo il suo giudizio, ma anche la sua approvazione nascosta, un mix che mi faceva sentire vulnerabile ed esposto.

“Perfetto,” disse Fiona, sistemandosi comodamente sul divano, il seno che si alzava e si abbassava con il suo respiro. “Adesso, da bravo bambino, inizia. Voglio vedere quanto sei bravo a pensare a me quando ti tocchi.”

Mi sfiorai con una mano, il viso in fiamme per l’imbarazzo, ma l’eccitazione era troppo forte per fermarmi. Fiona mi osservava con un’espressione di puro divertimento, le sue dita che tracciavano pigramente linee immaginarie lungo il proprio corpo. “Ecco, così,” disse, la voce bassa e sensuale. “Guarda me, non abbassare lo sguardo. Voglio vedere quanto ti piace farlo davanti a me.”

Le sue parole mi spingevano oltre ogni limite, il suo tono dominante che mi faceva sentire completamente alla sua mercé. Ogni volta che provavo a distogliere lo sguardo, lei mi riprendeva con voce ferma, trattandomi come un ragazzino che aveva bisogno di essere guidato. “No, no,” disse, alzando una mano. “Guardami. Ti sto facendo un favore, quindi almeno dimostrami quanto ti piace, piccolo ingrato.”

Le sue parole, il suo atteggiamento, tutto di lei mi faceva impazzire, e nonostante l’umiliazione che provavo, non potevo fermarmi. Fiona si inclinò leggermente in avanti, il suo sguardo che diventava sempre più intenso. “Quando finisci,” disse con un sorrisetto, “spero almeno che tu abbia imparato qualcosa. Perché io non mi spreco con chi non sa seguire i miei ordini.”

Fiona si inclinò leggermente in avanti, i gomiti appoggiati alle ginocchia mentre continuava a osservare ogni mio movimento con un sorriso malizioso. Le sue mani cominciarono a scivolare lungo i fianchi, risalendo lentamente fino al seno scoperto, che strinse e accarezzò in modo provocante. Il suo sguardo rimase fisso su di me mentre parlava con quel tono beffardo che conoscevo bene.

“Guarda come sei messo,” mi disse, scuotendo la testa in finta disapprovazione. “Non riesci neanche a controllarti, eh? Sei proprio un caso disperato. Forse dovrei insegnarti un po’ di autocontrollo…”

Non riuscivo a smettere di fissarla, completamente ipnotizzato dai suoi movimenti e dal modo in cui parlava, ogni parola una spinta ulteriore verso il confine tra umiliazione ed eccitazione. Poi, senza preavviso, sollevò una gamba e appoggiò il piede leggermente contro la mia virilità, ancora tesa e pulsante. La sensazione del suo piede caldo e morbido attraverso il tessuto mi fece sussultare, e Fiona rise piano, compiaciuta.

“Guarda come reagisci subito,” disse, continuando a premere delicatamente con la punta del piede. “Non serve nemmeno che mi impegni troppo con te. Sei come un cagnolino che aspetta solo il comando giusto.”

Mi sussurrava insulti misti a battute mordaci mentre il suo piede iniziava a muoversi, accarezzandomi con movimenti lenti e deliberati. Mi stavo perdendo nella sensazione, incapace di reagire mentre lei manteneva il controllo totale. Poi, con un gesto rapido, mi spinse indietro, facendomi perdere l’equilibrio e cadere a terra. Mi trovai inginocchiato davanti a lei, il viso in fiamme mentre Fiona, seduta comodamente sul divano, mi guardava dall’alto in basso con aria trionfante.

“Ah, molto meglio così,” disse, incrociando le gambe lentamente prima di appoggiarle su di me. Con un movimento fluido, fece scivolare entrambi i piedi sulla mia virilità, iniziando a muoversi con una precisione che mi fece perdere il fiato. “Adesso sii bravo e resta fermo,” ordinò, la sua voce un misto di dolcezza velenosa e autorità.

Le sue dita dei piedi si muovevano in modo esperto, accarezzandomi e aumentando il ritmo solo quando vedeva che stavo per cedere. Ogni tanto fermava il movimento, costringendomi a guardarla mentre accarezzava il proprio seno con un sorriso provocante. “Ti piace, vero?” chiese, senza aspettare una risposta. “Chissà cosa penseranno i tuoi colleghi se sapessero quanto sei facile da comandare…”

Stavo per perdere completamente il controllo, il corpo teso mentre sentivo il piacere crescere sempre di più. “Fiona,” dissi con un filo di voce, incapace di trattenermi. “Sto… sto per venire.”

Lei si fermò immediatamente, ritirando i piedi con una lentezza studiata mentre si sporgeva verso di me con un sorriso crudele. “Oh, no, no,” disse, scuotendo il dito come si fa con un bambino disobbediente. “ti ho detto che puoi venire,” ripeté con un tono lento e misurato, scuotendo la testa come se stesse parlando a un bambino che aveva disobbedito. “Non hai fatto assolutamente nulla per guadagnartelo. Ti servono ancora delle lezioni.”

Poi, senza abbassare lo sguardo, infilò i pollici nei bordi dei suoi pantaloncini, tirandoli lentamente verso il basso. La stoffa aderente scivolò lungo le sue cosce sudate e morbide, lasciandola in piedi davanti a me, nuda e assolutamente sicura di sé. Fece un passo avanti, portandosi abbastanza vicino perché potessi sentire il calore del suo corpo.

“Se vuoi meritarti qualcosa,” disse con un tono velenosamente dolce, “allora devi dimostrarmi che sai essere utile. Vieni qui, cucciolo.”

La sua mano si mosse verso la mia nuca, tirandomi leggermente verso di lei con una fermezza che non lasciava spazio a obiezioni. “Inginocchiati bene e fammi vedere cosa sai fare,” ordinò, spingendomi delicatamente ma in modo deciso verso il suo corpo.

Sentii il suo profumo, il calore della sua pelle che sembrava irradiarsi verso di me. “Ti avevo detto che sei bravo solo a seguire gli ordini, no?” aggiunse, continuando a toccare il mio viso con le dita mentre mi guidava verso di lei. “Adesso dimostralo.”

Mi trovai esattamente dove lei voleva che fossi, il cuore che batteva forte mentre le mie labbra si avvicinavano lentamente a lei. Fiona mi guardava dall’alto, i fianchi leggermente mossi in un gesto naturale che sapevo fosse studiato per farmi impazzire. “Dai,” sussurrò con una voce quasi divertita, “vediamo se almeno questo lo sai fare bene.”

Nonostante il tono pungente delle sue parole, c’era qualcosa di irresistibile in lei, una forza che mi obbligava a obbedire. Le mie labbra sfiorarono la sua pelle, e la sentii sussultare appena, un piccolo movimento che mi fece capire che avevo fatto esattamente ciò che voleva.

“Bravino,” commentò, intrecciando le dita nei miei capelli e tirandomi un po’ più vicino. “Ma puoi fare di meglio, non trovi?”

Ogni sua parola era una spinta a continuare, un incentivo a mettere da parte il mio orgoglio e concentrarmi esclusivamente su di lei. Il suo corpo si muoveva leggermente contro di me, e ogni movimento era accompagnato da commenti sarcastici e pungenti che mi facevano arrossire e desiderarla ancora di più.

“Sì, così,” mormorò con un tono languido, il respiro che si faceva più pesante. “Vedi? Quando ti comporti bene, riesci a essere quasi utile.”

Continuai a darle piacere, guidato dai suoi movimenti e dai piccoli gemiti che cercava di trattenere. La sua mano si serrava più forte sui miei capelli ogni volta che trovavo il ritmo giusto, e il suo respiro diventava sempre più irregolare. Non c’era spazio per altro nella mia mente se non per lei, per la sua voce e per quel momento proibito che mi teneva completamente sotto il suo controllo.

Fiona, però, non perse mai quel sorriso arrogante. Anche nel culmine del piacere, continuava a guardarmi dall’alto con occhi scintillanti di malizia. “Forse, ma solo forse,” disse a un certo punto, il respiro spezzato, “potrei considerare di premiarti. Se riesci a dimostrare di essere davvero all’altezza.”

Fiona lasciò andare un lungo sospiro di piacere, le sue mani si strinsero nei miei capelli mentre il suo corpo tremava leggermente, un chiaro segno che aveva raggiunto l’apice. Sentii le sue cosce stringersi intorno al mio viso per un istante, e un lieve gemito sfuggirle dalle labbra, seguito da un sorriso compiaciuto. Mi guardò dall’alto, con gli occhi ancora pieni di malizia, mentre il suo respiro si calmava gradualmente.

“Non male,” sussurrò, il tono sarcastico che non la abbandonava mai, anche nei momenti più intimi. “Forse te lo sei meritato davvero, un premio.”

Mi prese per la nuca e mi sollevò leggermente, facendomi alzare sulle ginocchia. I suoi occhi erano fissi nei miei, brillanti e carichi di intenzioni che mi fecero accelerare il battito. Con un movimento fluido e sicuro, Fiona si inginocchiò davanti a me, il suo corpo ancora più vicino al mio, e mi spinse delicatamente indietro contro una pila di scatoloni.

“Adesso tocca a me,” disse, le labbra che si piegarono in un sorriso perverso mentre le sue mani si posavano sulle mie cosce. “Non credere che lo faccia perché ti voglio bene, però,” aggiunse, ridendo piano. “Sono solo curiosa di vedere quanto riesco a farti perdere il controllo.”

Il mio respiro divenne più pesante mentre la guardavo abbassarsi davanti a me, completamente padrona della situazione. Fiona mi lanciò un’occhiata da sotto le ciglia, quella stessa occhiata che sembrava scavarmi dentro e togliermi ogni briciolo di volontà.

Con un movimento deciso, prese il mio piacere tra le sue mani, sfiorandomi appena con le dita prima di avvicinarsi con le labbra. “Rilassati,” mormorò, il suo tono un misto di sarcasmo e sensualità. “Lascia fare a me, tanto lo so che non riusciresti a fare nulla da solo.”

Quando le sue labbra si chiusero intorno a me, un’ondata di piacere mi attraversò il corpo, lasciandomi incapace di fare altro se non appoggiarmi indietro e abbandonarmi completamente a lei. Fiona si muoveva con una sicurezza disarmante, i suoi occhi fissi nei miei ogni volta che sollevava lo sguardo, come se volesse assicurarsi di avere il controllo assoluto della situazione.

“Non mi guardare così,” disse, fermandosi un attimo per sorridere. “Sei tu che sei patetico abbastanza da lasciarti fare tutto questo.”

Le sue parole erano pungenti, ma il modo in cui mi stava dando piacere era tutt’altro che freddo. La sua lingua si muoveva con una precisione che mi faceva impazzire, alternando movimenti lenti e decisi che mi portavano sempre più vicino al limite. Il mio corpo tremava, il respiro corto mentre sentivo di non poter resistere ancora a lungo.

“Fiona,” mormorai, il nome che mi sfuggì dalle labbra quasi come una supplica. Lei sorrise contro di me, aumentò leggermente il ritmo e poi si tirò indietro di colpo.

“Ci sei quasi, vero?” chiese, la sua voce carica di soddisfazione. “Beh, non voglio certo farti aspettare troppo.”

Si alzò leggermente sulle ginocchia, avvicinandosi ancora di più al mio corpo. “Dai, vieni pure,” disse con un tono che sembrava un misto tra un ordine e un invito. “Ma fai in modo che sia tutto per me.”

Con quelle parole, continuò fino a farmi perdere completamente il controllo. Il mio corpo si tese, e un’ondata di piacere mi attraversò mentre lei mi guardava soddisfatta, il suo viso illuminato da quel sorriso trionfante. Fiona non si tirò indietro, accogliendo tutto con una sicurezza che mi lasciò senza parole.

Quando tutto finì, mi guardò con quel suo sguardo sfacciato, pulendosi il viso con calma mentre rideva piano. “Sei così prevedibile,” disse, alzandosi e sistemando i capelli. “Ma devo ammettere che è stato… divertente.”

Si avvicinò a me, si chinò leggermente e mi sussurrò all’orecchio: “Domani sarà ancora peggio, cucciolo. Spero che tu sia pronto.”

E con un ultimo sorriso malizioso, uscì dal magazzino, lasciandomi lì, ancora confuso e sopraffatto, con il cuore che batteva all’impazzata e la mente piena di lei.
scritto il
2024-11-29
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