Triangolo estivo tra madre e figlia - capitolo 2
di
Asiadu01
genere
etero
il giorno seguente.
La giornata era stata lunga, noiosa, una di quelle in cui il tempo sembrava non passare mai. Il caldo appiccicoso e la monotonia del lavoro mi avevano lasciato addosso una strana inquietudine, accentuata dal messaggio di Isabella:
"Oggi niente visita, ho una gita con le ragazze. Divertiti senza di me :)"
Non era una sorpresa, eppure mi aveva lasciato con una vaga sensazione di vuoto. Per riempire la serata, avevo scritto a un amico e ci eravamo dati appuntamento al solito bar. La birra ghiacciata tra le mani era un piccolo conforto mentre aspettavo.
E poi la vidi.
María entrò nel locale con un'eleganza naturale, il vestito leggero che si muoveva con lei mentre avanzava. Il suo sguardo mi trovò subito e il sorriso che mi rivolse aveva qualcosa di divertito, quasi complice.
Si avvicinò al bancone e si sedette accanto a me, posando i gomiti sul legno scuro.
María: "Che ci fai qui da solo? Ti hanno già scaricato?"
Il suo tono era scherzoso, ma come sempre aveva quel sottofondo di sicurezza che la rendeva affascinante.
Io: "Diciamo che Isabella ha preferito uscire con le sue amiche."
María: "E tu, povero ragazzo abbandonato, hai cercato conforto nella birra."
Scossi la testa con un mezzo sorriso, mentre lei ordinava un bicchiere di vino. Il suo modo di muoversi era sempre misurato, come se ogni gesto fosse esattamente quello giusto al momento giusto.
María: "Sai, ti osservo spesso al lavoro. Sei sveglio, capace... e con quell'aria da ragazzo sicuro di sé che piace tanto alle ragazzine."
Sollevai un sopracciglio.
Io: "Solo alle ragazzine?"
Lei inclinò leggermente la testa, studiandomi con un sorriso enigmatico.
María: "Beh, per il resto ci sarebbe la questione dell'età. Diciamo che io dovrei essere abbastanza grande da sapere quando un ragazzo è un po' troppo giovane per certi giochi."
Io: "Troppo giovane o troppo inesperto?"
Lei rise, un suono morbido e leggero.
María: "Sei sicuro di voler sentire la risposta?"
La sfida era lì, appena percettibile, nascosta tra le parole dette con leggerezza. Lei giocherellava con lo stelo del bicchiere, gli occhi fissi nei miei con una calma studiata.
Io: "Mi sembra che tu ti stia divertendo a provocarmi."
María: "È un vizio dell'età, sai? Con gli anni impari a riconoscere certe cose. E io so che tu ti diverti a sentirti sfidato."
Non distolse lo sguardo mentre portava il calice alle labbra. Il modo in cui beveva, con quella lentezza quasi sensuale, mi fece notare dettagli di lei che fino a quel momento avevo ignorato o, forse, fatto finta di ignorare.
La nostra conversazione continuò così, giocata su equilibri sottili, tra battute leggere e frecciatine appena velate. María lasciava cadere piccoli accenni alla differenza d’età ogni tanto, quasi a ricordarmi che c’era un confine, ma non con l’intento di allontanarmi. Sembrava più un modo per vedere fino a che punto avrei osato spingermi.
E mentre la serata andava avanti, mi accorsi che quel gioco mi stava prendendo più di quanto volessi ammettere.
La birra scivolava giù con una freschezza piacevole, e il vino di María sembrava tingere la serata di un’atmosfera più morbida. Il mio amico aveva mandato un messaggio all’ultimo: "Scusa bro, serata saltata, recuperiamo." Ma non mi importava più di tanto.
María era lì, davanti a me, e la conversazione aveva preso una piega diversa. Meno battute, meno giochi di parole, ma una confidenza crescente che la rendeva quasi ipnotica.
María: "Sai, quando ero più giovane non avrei mai pensato di trovarmi a fare quello che faccio oggi. Ero sicura che sarei partita, che avrei visto il mondo… Ma alla fine, si fanno scelte, e a volte ci si ritrova a vivere una vita che non era proprio quella che immaginavi."
Aveva detto quella frase senza tristezza, solo con la consapevolezza di chi ha imparato ad accettare il destino.
Io: "E quindi, se potessi tornare indietro, faresti scelte diverse?"
Lei sorrise, inclinando appena la testa.
María: "Non lo so. Ho avuto momenti meravigliosi, ho amato, ho viaggiato… ma ogni tanto mi chiedo come sarebbe stato se avessi osato di più. Se avessi rischiato di più."
La sua voce si era fatta più bassa, più avvolgente, e per un attimo rimasi a osservarla. Il modo in cui giocava con il bordo del bicchiere, le dita che sfioravano il vetro con movimenti lenti e distratti.
Io: "E adesso? Hai smesso di rischiare?"
Lei mi guardò con un lampo divertito negli occhi, come se avessi toccato qualcosa di interessante.
María: "Non del tutto. Diciamo che scelgo con più attenzione per cosa vale la pena rischiare."
L’alcol aveva iniziato a sciogliere le barriere, non in modo eccessivo, ma quanto bastava per rendere tutto più fluido, più naturale. María parlava con meno filtri, e la sua voce aveva assunto una sfumatura più calda, più morbida.
María: "Ti ho visto l'altra sera, sai? Quando sei andato via con Isabella."
Alzai un sopracciglio, sorpreso.
Io: "Ah sì? E cosa hai pensato?"
Lei sorrise, inclinando il bicchiere tra le mani.
María: "Che la giovinezza è bella. Che è facile lasciarsi trasportare quando si è giovani. Che Isabella è fortunata."
C’era un sottotono nella sua voce, qualcosa che non riuscivo a decifrare del tutto.
Io: "Non so se sono io quello fortunato, o se è lei."
Lei scosse la testa con un sorriso enigmatico.
María: "Forse entrambi. O forse nessuno dei due, dipende da come andrà."
Il modo in cui lo disse, con quella leggerezza apparentemente distratta, mi fece venire voglia di chiederle di più, di scavare oltre quella facciata di controllo che sembrava sempre perfetta.
Io: "E tu, María? Sei fortunata?"
Lei mi guardò, e per un attimo sembrò soppesare la risposta. Poi si avvicinò leggermente, abbastanza perché potessi sentire il profumo leggero della sua pelle.
María: "Dipende. La fortuna a volte bisogna anche andarsela a prendere."
Ci fissammo per qualche secondo, e in quell’istante il confine tra il gioco e qualcosa di più reale sembrava pericolosamente sottile.
La serata si era distesa in un’atmosfera quasi intima, fatta di sguardi più lenti, sorrisi accennati e parole che galleggiavano tra la confidenza e la provocazione. María era una donna incredibilmente sensuale, ma non era il tipo che giocava in modo diretto. Era più sottile, più elegante, e forse proprio per questo risultava ancora più irresistibile.
Dopo l’ennesimo bicchiere, il locale iniziava a svuotarsi. Lei aveva lasciato scivolare lo sguardo sull’orologio al polso con una smorfia leggera.
María: "Credo che sia ora che vada, domani mattina ho una riunione che probabilmente rimpiangerò."
Mi alzai con lei, sfiorandole il gomito per un istante.
Io: "Vuoi che ti accompagni a casa? Sei sicura di stare bene?"
Lei si fermò, mi guardò per un attimo come se stesse valutando l’idea. Poi sorrise, e quel sorriso aveva qualcosa di sfacciato, di consapevole.
María: "Oh, sono sicura che starei benissimo con te che mi accompagni… Il problema è che poi dovrei trattenermi, e non sono sicura di volerlo fare stasera."
La sua voce era bassa, quasi un sussurro, ma la carica nascosta dietro quelle parole mi fece sentire un brivido lungo la schiena. María non stava giocando come una ragazzina, non stava scherzando in modo ingenuo. Stava mettendo le carte in tavola con una naturalezza quasi disarmante, lasciando intendere senza dire troppo.
Sorrisi, cercando di mantenere un’aria rilassata, anche se sentivo il mio corpo reagire a quel sottile gioco di tensione.
Io: "E chi ha detto che avresti dovuto trattenerti?"
Lei rise, scuotendo la testa, e si avvicinò leggermente. Il suo viso era a pochi centimetri dal mio quando rispose:
María: "Ah, caro… Non sai in che guaio ti andresti a cacciare."
Mi sfiorò la guancia con un bacio leggero, appena un soffio, e poi si voltò, lasciandomi lì con il suo profumo addosso e il fuoco nelle vene.
La vidi allontanarsi con passi lenti e sicuri, i fianchi che ondeggiavano in modo quasi ipnotico. Non si voltò nemmeno una volta. Sapeva benissimo l’effetto che aveva lasciato dietro di sé.
Rimasi qualche secondo immobile, il cuore che batteva un po’ più forte del necessario. María mi stava provocando? O era solo il suo modo di essere, spontaneo e sfacciato?
Sospirai, finendo l’ultimo sorso di birra e lasciando qualche banconota sul tavolo. Poi uscii, con la mente ancora piena di quella frase e con una consapevolezza chiara: questa storia stava diventando molto più interessante di quanto avessi previsto.
il giorno dopo.
La giornata scorreva lenta, il caldo opprimente e la noia mi soffocavano più del solito. Isabella non sarebbe tornata prima di un paio di giorni e, senza quel punto fisso a cui tornare con la mente, mi sentivo in balia degli eventi. O meglio, in balia dei pensieri che la serata precedente aveva scatenato.
María, invece, sembrava immune a ogni ripercussione. La vedevo muoversi come sempre, impeccabile e professionale, attenta a ogni dettaglio, il solito sorriso misurato e sicuro sulle labbra. Nessun accenno a quello che era successo al bar, nessun segno che lasciasse intendere un dopo.
Forse avevo solo immaginato troppo.
Durante una pausa, mentre attraversavo il corridoio con una bottiglietta d’acqua in mano, la trovai da sola, intenta a riordinare alcune carte su una scrivania. Non sembrava nemmeno accorgersi della mia presenza finché non fui abbastanza vicino. Solo allora sollevò lo sguardo e sorrise in quel modo lento e consapevole.
"Spero che tu non abbia pensato troppo alle mie parole… o magari sì?"
La sua voce era bassa, dolce, ma con una sfumatura maliziosa che non riusciva a nascondere.
Mi fermai, studiandola, cercando di decifrarla. María sapeva quello che stava facendo. Lo vedevo nel modo in cui si appoggiava appena alla scrivania, il modo in cui le labbra accennavano un sorriso mentre aspettava la mia risposta.
"Dovrei averci pensato?" ribattei, cercando di mantenere il tono leggero.
Lei ridacchiò appena, inclinando la testa di lato. "Sai, a volte l’alcol può far dire cose… scomode. Ma se tu non le hai prese troppo sul serio, allora non c’è problema."
Era un gioco, lo capivo bene. Stava lasciando la porta socchiusa, aspettando di vedere se avrei avuto il coraggio di spingerla oltre.
"E se invece le avessi prese sul serio?" azzardai, mantenendo il contatto visivo.
María fece un passo verso di me, appena impercettibile, ma sufficiente perché il suo profumo mi investisse completamente. "Allora dovrei preoccuparmi?" chiese, con un sorrisetto divertito.
Non riuscii a rispondere subito. María era un enigma, un equilibrio perfetto tra provocazione e ritrosia. Non sembrava voler oltrepassare un limite, ma al tempo stesso giocava con la possibilità che fossi io a farlo.
Mi passò accanto, sfiorandomi appena con il braccio, e prima di andarsene lasciò cadere un ultimo commento:
"In ogni caso, sei ancora troppo giovane per certe cose…"
Mi voltai di scatto, ma lei si era già allontanata, lasciandomi con un mix di eccitazione e frustrazione.
Era solo l’inizio di un gioco pericoloso.
La giornata volgeva al termine, il sole iniziava a calare, dipingendo il cielo di sfumature calde e soffuse. Avevo già mentalmente tracciato la mia serata: una doccia, una birra e magari un po’ di musica prima di crollare a letto.
Poi arrivò María.
Mi intercettò mentre stavo per andarmene, appoggiandosi allo stipite della porta del mio ufficio con la stessa eleganza con cui affrontava ogni situazione. Aveva un’espressione rilassata, un mezzo sorriso che sapeva di qualcosa di più di una semplice richiesta lavorativa.
"Ho bisogno di un favore," disse, senza troppi preamboli.
Alzai un sopracciglio, incrociando le braccia. "Che tipo di favore?"
Lei ridacchiò piano, come se trovasse divertente il mio tono sospettoso. "Nulla di faticoso, non preoccuparti. Solo qualche scartoffia da sistemare, un paio di cose da controllare prima del weekend. Isabella è fuori città, non hai nulla di meglio da fare, no?"
Era una trappola ben congegnata, e lo sapevamo entrambi. Ma non avevo nessun motivo per rifiutare, e forse nemmeno la voglia di farlo.
"Va bene," risposi, con un leggero sorriso.
—
L’ufficio di María era diverso rispetto al giorno. La luce artificiale era soffusa, quasi intima, e quando entrai lei era già seduta alla scrivania, un bicchiere di vino in mano. Un secondo calice era lì, pronto per me.
"Non è esattamente il modo migliore per farsi aiutare," scherzai, prendendo posto di fronte a lei.
María sollevò il bicchiere in un brindisi silenzioso. "Dopo una giornata come questa, ci meritiamo almeno un po’ di tregua."
Presi il mio bicchiere, assaggiando il vino. Era fresco, leggero, ma bastava per sciogliere un po’ la tensione. María si sistemò i capelli dietro l’orecchio, un gesto semplice ma studiato, mentre mi osservava con un’espressione che non riuscivo a decifrare del tutto.
"Sai, mi piacciono le persone che mantengono la parola. Tu sei uno di quelli?" chiese, incrociando le gambe sotto la scrivania.
"Dipende dalla parola data," risposi, inclinandomi leggermente in avanti.
Lei sorrise, il calice tra le dita, facendo girare il vino con movimenti lenti. "Allora spero che tu sia coerente anche con quello che hai detto stamattina."
C’era un doppio significato in quelle parole, un filo sottile di tensione che sembrava vibrare tra noi. María era troppo sicura, troppo a suo agio nel lasciarmi intuire qualcosa senza mai renderlo esplicito.
"E cioè?" chiesi, giocando al suo stesso gioco.
Lei rise appena, un suono basso e complice. "Che dovrei preoccuparmi, forse?"
La stanza sembrava più piccola, l’aria più densa. María poggiò il bicchiere sulla scrivania e si alzò lentamente, avvicinandosi per prendere alcuni fogli. Il modo in cui si muoveva, il modo in cui i suoi fianchi accennavano appena un movimento sensuale, non era casuale.
"Allora," disse, con tono più leggero, "vediamo se sei bravo almeno a mettere in ordine questi documenti."
Un gioco sottile, una partita senza regole chiare. Ma sapevo benissimo che María non mi aveva chiamato lì solo per qualche scartoffia.
L’atmosfera nell’ufficio si era fatta più densa, quasi palpabile. María si era tolta le scarpe, rilassandosi sulla sedia, e giocherellava con il gambo del bicchiere di vino mentre parlava. Il suo tono era sempre lo stesso, leggero e sicuro, ma qualcosa nel suo sguardo era cambiato.
Quando mi alzai per raccogliere alcuni documenti, lei si avvicinò senza preavviso, le sue dita sfiorarono la mia mano, un tocco appena percettibile, ma che sembrava durare più del necessario. Sentii il calore della sua pelle contro la mia, il contrasto tra la morbidezza delle sue dita e la mia pelle leggermente tesa.
Non si ritrasse subito. Anzi, le sue dita si mossero appena, come a saggiare la consistenza del contatto. Poi, con un sorriso quasi distratto, sollevò lo sguardo verso di me.
"Sai… c’è sempre un momento in cui si smette di vedere qualcuno come un ragazzo," mormorò, lasciando scivolare la punta delle dita lungo il dorso della mia mano, un movimento impercettibile ma carico di qualcosa di più profondo. "E si inizia a guardarlo come un uomo."
Il tocco risalì appena, quasi per caso, lungo l’avambraccio, seguendo la linea delle vene. Un brivido mi attraversò la pelle, e lei lo notò.
Sorrise.
Mi studiava con quella sicurezza disarmante, ma c’era una sottile esitazione nei suoi occhi, come se fosse consapevole del confine che stava sfiorando.
"Ma forse non dovrei permettermelo," continuò piano, avvicinandosi appena, il suo fiato caldo contro la mia pelle. "Una donna nella mia posizione, con una figlia come Isabella… dovrei stare più attenta a certe cose."
Mi fissò, come se aspettasse una reazione. Come se volesse vedere fino a che punto sarei stato disposto a seguirla.
"E lo sei?" le chiesi, la voce bassa, quasi roca.
María lasciò scivolare via il contatto con un’aria quasi divertita, ma nei suoi occhi brillava qualcosa di diverso. Un gioco, una sfida.
"Dovrei esserlo."
Si voltò, ma il suo profumo e la scia di quel momento rimasero lì, sospesi nell’aria tra noi.
María si voltò lentamente verso di me, il bicchiere di vino ancora tra le dita, il liquido rosso che oscillava pigramente mentre lo girava con fare distratto. Mi scrutava con quello sguardo che sembrava scavare sotto la pelle, come se stesse cercando di leggermi dentro, di capire fin dove potessi arrivare.
"Dimmi la verità…" sussurrò, posando il bicchiere sul tavolo con un leggero tonfo. Fece un passo avanti, riducendo lo spazio tra noi fino a farmi percepire il calore del suo corpo. "Tu saresti davvero capace di gestire una donna della mia età?"
Un sorriso appena accennato, un gioco velato che nascondeva una verità più profonda. María non si stava solo divertendo a provocarmi—stava mettendo alla prova il mio autocontrollo.
Deglutii, il cuore che batteva più forte nel petto. Il suo corpo sfiorò il mio, impercettibilmente. Sentii la sua pelle calda attraverso la sottile camicetta di seta che indossava, il suo respiro lento e misurato che sfiorava il mio collo.
"Credo di aver dimostrato di poter gestire molte cose, María." La mia voce era bassa, quasi roca, mentre il mio sguardo scivolava sulle sue labbra leggermente socchiuse.
Lei rise appena, inclinando la testa con un’aria divertita. "Molte cose… ma non me."
Il suo dito tracciò un leggero percorso sulla mia clavicola, scendendo lungo il petto con una lentezza esasperante. Un brivido mi attraversò la schiena, il desiderio montava con una forza quasi insopportabile.
"E poi…" mormorò, abbassando appena lo sguardo, quasi a sfuggirmi, "dovresti comunque nascondere tutto a Isabella."
Il mio respiro si fece più pesante. María sollevò il mento, incontrando di nuovo i miei occhi con un’intensità feroce.
"Non voglio farle del male, ma…" Inspirò piano, avvicinandosi ancora, le labbra a un soffio dalle mie. "A volte resistere è semplicemente impossibile."
Rimase lì, ferma, aspettando di vedere se avrei avuto il coraggio di annullare quel sottile spazio che ancora ci separava.
Mi avvicinai senza più esitazioni, afferrandola con decisione per i fianchi e sollevandola fino a farla sedere sulla scrivania. María non si oppose, anzi, le sue gambe si strinsero attorno al mio corpo, attirandomi a sé con una foga che mandò un’ondata di calore dritta al basso ventre.
Le nostre labbra si cercarono con avidità, il bacio si fece subito profondo, affamato. Le sue mani risalivano lungo la mia schiena, le dita scivolavano sotto la stoffa della mia maglietta, graffiando leggermente la pelle. Il suo tocco era un incendio che si propagava rapido, lasciando una scia di brividi ovunque si posasse.
Io le presi il viso tra le mani, costringendola a lasciarsi andare del tutto. I nostri respiri si intrecciavano in sospiri spezzati, la tensione accumulata in quelle ore esplodeva senza più filtri. María inclinò la testa, offrendomi il suo collo. Non persi tempo: le labbra si posarono sulla sua pelle calda, assaporandola, sentendo il battito accelerato del suo cuore sotto di esse.
Lei gemette piano, stringendosi ancora di più contro di me. "Dannazione…" sussurrò, la voce roca, spezzata dall’eccitazione. "Sei più pericoloso di quanto immaginassi."
Sorrisi contro la sua pelle, le mani scivolarono dai suoi fianchi alle sue cosce, sentendo il calore che sprigionava dal suo corpo. María si mosse contro di me, creando un’attrito che mi fece mordere il labbro per non lasciarmi sfuggire un gemito.
"Pensavo che fossi tu a non potermi gestire," sussurrai, la voce impastata dal desiderio.
Lei si staccò appena, guardandomi con quegli occhi scuri, brillanti di qualcosa di più del semplice gioco. "Forse hai ragione…" Le sue dita sfiorarono la mia mascella, scesero lungo il petto fino alla cintura. "O forse sto solo testando i miei limiti."
Le sue parole furono l’ultima scintilla. La mia mano risalì sotto la sua camicetta, trovando la pelle morbida, calda, il respiro sempre più spezzato. Lei inarcò la schiena, il petto contro il mio, un fremito che la percorse tutta mentre le labbra tornavano a cercare le mie.
Mi abbassai davanti a lei con movimenti lenti, studiati, mantenendo lo sguardo fisso nei suoi occhi scuri, che ora brillavano di un desiderio incontrollato. María trattenne il respiro quando le mie mani scivolarono lungo le sue cosce, tirando giù i suoi leggings con una calma esasperante. Volevo vederla cedere del tutto, sentire il suo corpo vibrare d’attesa sotto il mio tocco.
Quando anche le sue mutandine scivolarono via, le sue cosce si aprirono istintivamente per me. Non mi feci pregare: prima una carezza, poi le mie dita che si insinuarono dentro di lei, lente ma inesorabili. Il suo corpo rispose subito, inarcandosi leggermente mentre un gemito soffocato le sfuggiva dalle labbra.
"Maledetto..." sussurrò, la voce roca, le dita che si intrecciavano nei miei capelli.
Sorrisi contro la sua pelle prima di affondare il viso tra le sue cosce. La sua testa si abbandonò all’indietro con un gemito più forte, il suo respiro irregolare mentre la mia lingua iniziava un gioco lento e torturante. María si strinse attorno a me, le mani premevano con più forza sulla mia testa, quasi a volermi spingere più a fondo contro di lei.
"Oh, cazzo..." ansimò, mordendosi il labbro per cercare, inutilmente, di contenere i suoi gemiti.
La sentivo sciogliersi sotto di me, il suo corpo che tremava leggermente ogni volta che la mia lingua e le mie dita lavoravano insieme, ogni volta che aumentavo il ritmo e l’intensità, trascinandola sempre più in alto. Il piccolo ufficio era ormai riempito dal suono della sua voce spezzata dal piacere, dal rumore umido dei nostri corpi che si cercavano senza freni.
Le sue cosce si serrarono attorno al mio viso, la sua schiena si inarcò di colpo, un gemito strozzato che divenne quasi un grido soffocato mentre il piacere la investiva con violenza. Restai lì, a sentirla vibrare contro di me, a gustarmi ogni suo spasmo, ogni respiro affannoso che le sfuggiva.
Quando finalmente il suo corpo si rilassò, le sue mani si allentarono nei miei capelli, e María sollevò la testa, gli occhi ancora offuscati, il petto che si sollevava e abbassava velocemente. Un sorriso soddisfatto le incurvò le labbra mentre mi guardava.
"Cristo, ragazzo..." sussurrò, ancora senza fiato. "Stai davvero cercando di farmi impazzire?"
Mi alzai lentamente, il mio viso ancora umido di lei, e le presi il mento tra le dita, obbligandola a guardarmi dritto negli occhi. "No, María." Il mio sorriso era carico di sfida. "Sto solo scoprendo quanto puoi resistere prima di cedere del tutto."
Mentre il suo respiro tornava lentamente regolare e il tremito del piacere si dissipava nel silenzio dell’ufficio, María si lasciò andare contro la scrivania, chiudendo per un istante gli occhi. Il suo corpo era ancora caldo, la pelle arrossata dal desiderio che l’aveva scossa fino all’ultimo spasmo.
Mi tirai su, scorrendo le dita lungo le sue cosce ancora divaricate, assaporando l’ultimo brivido che la percorse. Lei riaprì gli occhi, il suo sguardo ora era diverso: non più perso nel piacere, ma lucido, consapevole, con quell’ombra di controllo che aveva sempre avuto su di me, anche quando sembrava lasciarsi andare.
Si sistemò i vestiti con calma, senza fretta, come se non volesse rompere troppo in fretta il momento. Io la osservavo, ancora scosso da tutto ciò che era appena successo, ancora inebriato dal suo sapore sulle mie labbra. Poi, mentre stavo abbottonando i jeans, María sollevò lo sguardo e mi fissò con un’intensità glaciale.
"Ora dovrai chiudere la frequentazione con Isabella."
Le sue parole mi colpirono come una frustata improvvisa. Il tono era fermo, senza esitazioni, senza possibilità di fraintendimenti.
"E non dirle nulla di tutto questo."
Il silenzio che seguì fu denso, quasi soffocante. Il mio cuore, ancora accelerato dal desiderio, ora batteva per un altro motivo. María mi fissava con calma assoluta, aspettando la mia reazione.
Sapeva di aver cambiato tutto. E lo sapevo anch’io.
La giornata era stata lunga, noiosa, una di quelle in cui il tempo sembrava non passare mai. Il caldo appiccicoso e la monotonia del lavoro mi avevano lasciato addosso una strana inquietudine, accentuata dal messaggio di Isabella:
"Oggi niente visita, ho una gita con le ragazze. Divertiti senza di me :)"
Non era una sorpresa, eppure mi aveva lasciato con una vaga sensazione di vuoto. Per riempire la serata, avevo scritto a un amico e ci eravamo dati appuntamento al solito bar. La birra ghiacciata tra le mani era un piccolo conforto mentre aspettavo.
E poi la vidi.
María entrò nel locale con un'eleganza naturale, il vestito leggero che si muoveva con lei mentre avanzava. Il suo sguardo mi trovò subito e il sorriso che mi rivolse aveva qualcosa di divertito, quasi complice.
Si avvicinò al bancone e si sedette accanto a me, posando i gomiti sul legno scuro.
María: "Che ci fai qui da solo? Ti hanno già scaricato?"
Il suo tono era scherzoso, ma come sempre aveva quel sottofondo di sicurezza che la rendeva affascinante.
Io: "Diciamo che Isabella ha preferito uscire con le sue amiche."
María: "E tu, povero ragazzo abbandonato, hai cercato conforto nella birra."
Scossi la testa con un mezzo sorriso, mentre lei ordinava un bicchiere di vino. Il suo modo di muoversi era sempre misurato, come se ogni gesto fosse esattamente quello giusto al momento giusto.
María: "Sai, ti osservo spesso al lavoro. Sei sveglio, capace... e con quell'aria da ragazzo sicuro di sé che piace tanto alle ragazzine."
Sollevai un sopracciglio.
Io: "Solo alle ragazzine?"
Lei inclinò leggermente la testa, studiandomi con un sorriso enigmatico.
María: "Beh, per il resto ci sarebbe la questione dell'età. Diciamo che io dovrei essere abbastanza grande da sapere quando un ragazzo è un po' troppo giovane per certi giochi."
Io: "Troppo giovane o troppo inesperto?"
Lei rise, un suono morbido e leggero.
María: "Sei sicuro di voler sentire la risposta?"
La sfida era lì, appena percettibile, nascosta tra le parole dette con leggerezza. Lei giocherellava con lo stelo del bicchiere, gli occhi fissi nei miei con una calma studiata.
Io: "Mi sembra che tu ti stia divertendo a provocarmi."
María: "È un vizio dell'età, sai? Con gli anni impari a riconoscere certe cose. E io so che tu ti diverti a sentirti sfidato."
Non distolse lo sguardo mentre portava il calice alle labbra. Il modo in cui beveva, con quella lentezza quasi sensuale, mi fece notare dettagli di lei che fino a quel momento avevo ignorato o, forse, fatto finta di ignorare.
La nostra conversazione continuò così, giocata su equilibri sottili, tra battute leggere e frecciatine appena velate. María lasciava cadere piccoli accenni alla differenza d’età ogni tanto, quasi a ricordarmi che c’era un confine, ma non con l’intento di allontanarmi. Sembrava più un modo per vedere fino a che punto avrei osato spingermi.
E mentre la serata andava avanti, mi accorsi che quel gioco mi stava prendendo più di quanto volessi ammettere.
La birra scivolava giù con una freschezza piacevole, e il vino di María sembrava tingere la serata di un’atmosfera più morbida. Il mio amico aveva mandato un messaggio all’ultimo: "Scusa bro, serata saltata, recuperiamo." Ma non mi importava più di tanto.
María era lì, davanti a me, e la conversazione aveva preso una piega diversa. Meno battute, meno giochi di parole, ma una confidenza crescente che la rendeva quasi ipnotica.
María: "Sai, quando ero più giovane non avrei mai pensato di trovarmi a fare quello che faccio oggi. Ero sicura che sarei partita, che avrei visto il mondo… Ma alla fine, si fanno scelte, e a volte ci si ritrova a vivere una vita che non era proprio quella che immaginavi."
Aveva detto quella frase senza tristezza, solo con la consapevolezza di chi ha imparato ad accettare il destino.
Io: "E quindi, se potessi tornare indietro, faresti scelte diverse?"
Lei sorrise, inclinando appena la testa.
María: "Non lo so. Ho avuto momenti meravigliosi, ho amato, ho viaggiato… ma ogni tanto mi chiedo come sarebbe stato se avessi osato di più. Se avessi rischiato di più."
La sua voce si era fatta più bassa, più avvolgente, e per un attimo rimasi a osservarla. Il modo in cui giocava con il bordo del bicchiere, le dita che sfioravano il vetro con movimenti lenti e distratti.
Io: "E adesso? Hai smesso di rischiare?"
Lei mi guardò con un lampo divertito negli occhi, come se avessi toccato qualcosa di interessante.
María: "Non del tutto. Diciamo che scelgo con più attenzione per cosa vale la pena rischiare."
L’alcol aveva iniziato a sciogliere le barriere, non in modo eccessivo, ma quanto bastava per rendere tutto più fluido, più naturale. María parlava con meno filtri, e la sua voce aveva assunto una sfumatura più calda, più morbida.
María: "Ti ho visto l'altra sera, sai? Quando sei andato via con Isabella."
Alzai un sopracciglio, sorpreso.
Io: "Ah sì? E cosa hai pensato?"
Lei sorrise, inclinando il bicchiere tra le mani.
María: "Che la giovinezza è bella. Che è facile lasciarsi trasportare quando si è giovani. Che Isabella è fortunata."
C’era un sottotono nella sua voce, qualcosa che non riuscivo a decifrare del tutto.
Io: "Non so se sono io quello fortunato, o se è lei."
Lei scosse la testa con un sorriso enigmatico.
María: "Forse entrambi. O forse nessuno dei due, dipende da come andrà."
Il modo in cui lo disse, con quella leggerezza apparentemente distratta, mi fece venire voglia di chiederle di più, di scavare oltre quella facciata di controllo che sembrava sempre perfetta.
Io: "E tu, María? Sei fortunata?"
Lei mi guardò, e per un attimo sembrò soppesare la risposta. Poi si avvicinò leggermente, abbastanza perché potessi sentire il profumo leggero della sua pelle.
María: "Dipende. La fortuna a volte bisogna anche andarsela a prendere."
Ci fissammo per qualche secondo, e in quell’istante il confine tra il gioco e qualcosa di più reale sembrava pericolosamente sottile.
La serata si era distesa in un’atmosfera quasi intima, fatta di sguardi più lenti, sorrisi accennati e parole che galleggiavano tra la confidenza e la provocazione. María era una donna incredibilmente sensuale, ma non era il tipo che giocava in modo diretto. Era più sottile, più elegante, e forse proprio per questo risultava ancora più irresistibile.
Dopo l’ennesimo bicchiere, il locale iniziava a svuotarsi. Lei aveva lasciato scivolare lo sguardo sull’orologio al polso con una smorfia leggera.
María: "Credo che sia ora che vada, domani mattina ho una riunione che probabilmente rimpiangerò."
Mi alzai con lei, sfiorandole il gomito per un istante.
Io: "Vuoi che ti accompagni a casa? Sei sicura di stare bene?"
Lei si fermò, mi guardò per un attimo come se stesse valutando l’idea. Poi sorrise, e quel sorriso aveva qualcosa di sfacciato, di consapevole.
María: "Oh, sono sicura che starei benissimo con te che mi accompagni… Il problema è che poi dovrei trattenermi, e non sono sicura di volerlo fare stasera."
La sua voce era bassa, quasi un sussurro, ma la carica nascosta dietro quelle parole mi fece sentire un brivido lungo la schiena. María non stava giocando come una ragazzina, non stava scherzando in modo ingenuo. Stava mettendo le carte in tavola con una naturalezza quasi disarmante, lasciando intendere senza dire troppo.
Sorrisi, cercando di mantenere un’aria rilassata, anche se sentivo il mio corpo reagire a quel sottile gioco di tensione.
Io: "E chi ha detto che avresti dovuto trattenerti?"
Lei rise, scuotendo la testa, e si avvicinò leggermente. Il suo viso era a pochi centimetri dal mio quando rispose:
María: "Ah, caro… Non sai in che guaio ti andresti a cacciare."
Mi sfiorò la guancia con un bacio leggero, appena un soffio, e poi si voltò, lasciandomi lì con il suo profumo addosso e il fuoco nelle vene.
La vidi allontanarsi con passi lenti e sicuri, i fianchi che ondeggiavano in modo quasi ipnotico. Non si voltò nemmeno una volta. Sapeva benissimo l’effetto che aveva lasciato dietro di sé.
Rimasi qualche secondo immobile, il cuore che batteva un po’ più forte del necessario. María mi stava provocando? O era solo il suo modo di essere, spontaneo e sfacciato?
Sospirai, finendo l’ultimo sorso di birra e lasciando qualche banconota sul tavolo. Poi uscii, con la mente ancora piena di quella frase e con una consapevolezza chiara: questa storia stava diventando molto più interessante di quanto avessi previsto.
il giorno dopo.
La giornata scorreva lenta, il caldo opprimente e la noia mi soffocavano più del solito. Isabella non sarebbe tornata prima di un paio di giorni e, senza quel punto fisso a cui tornare con la mente, mi sentivo in balia degli eventi. O meglio, in balia dei pensieri che la serata precedente aveva scatenato.
María, invece, sembrava immune a ogni ripercussione. La vedevo muoversi come sempre, impeccabile e professionale, attenta a ogni dettaglio, il solito sorriso misurato e sicuro sulle labbra. Nessun accenno a quello che era successo al bar, nessun segno che lasciasse intendere un dopo.
Forse avevo solo immaginato troppo.
Durante una pausa, mentre attraversavo il corridoio con una bottiglietta d’acqua in mano, la trovai da sola, intenta a riordinare alcune carte su una scrivania. Non sembrava nemmeno accorgersi della mia presenza finché non fui abbastanza vicino. Solo allora sollevò lo sguardo e sorrise in quel modo lento e consapevole.
"Spero che tu non abbia pensato troppo alle mie parole… o magari sì?"
La sua voce era bassa, dolce, ma con una sfumatura maliziosa che non riusciva a nascondere.
Mi fermai, studiandola, cercando di decifrarla. María sapeva quello che stava facendo. Lo vedevo nel modo in cui si appoggiava appena alla scrivania, il modo in cui le labbra accennavano un sorriso mentre aspettava la mia risposta.
"Dovrei averci pensato?" ribattei, cercando di mantenere il tono leggero.
Lei ridacchiò appena, inclinando la testa di lato. "Sai, a volte l’alcol può far dire cose… scomode. Ma se tu non le hai prese troppo sul serio, allora non c’è problema."
Era un gioco, lo capivo bene. Stava lasciando la porta socchiusa, aspettando di vedere se avrei avuto il coraggio di spingerla oltre.
"E se invece le avessi prese sul serio?" azzardai, mantenendo il contatto visivo.
María fece un passo verso di me, appena impercettibile, ma sufficiente perché il suo profumo mi investisse completamente. "Allora dovrei preoccuparmi?" chiese, con un sorrisetto divertito.
Non riuscii a rispondere subito. María era un enigma, un equilibrio perfetto tra provocazione e ritrosia. Non sembrava voler oltrepassare un limite, ma al tempo stesso giocava con la possibilità che fossi io a farlo.
Mi passò accanto, sfiorandomi appena con il braccio, e prima di andarsene lasciò cadere un ultimo commento:
"In ogni caso, sei ancora troppo giovane per certe cose…"
Mi voltai di scatto, ma lei si era già allontanata, lasciandomi con un mix di eccitazione e frustrazione.
Era solo l’inizio di un gioco pericoloso.
La giornata volgeva al termine, il sole iniziava a calare, dipingendo il cielo di sfumature calde e soffuse. Avevo già mentalmente tracciato la mia serata: una doccia, una birra e magari un po’ di musica prima di crollare a letto.
Poi arrivò María.
Mi intercettò mentre stavo per andarmene, appoggiandosi allo stipite della porta del mio ufficio con la stessa eleganza con cui affrontava ogni situazione. Aveva un’espressione rilassata, un mezzo sorriso che sapeva di qualcosa di più di una semplice richiesta lavorativa.
"Ho bisogno di un favore," disse, senza troppi preamboli.
Alzai un sopracciglio, incrociando le braccia. "Che tipo di favore?"
Lei ridacchiò piano, come se trovasse divertente il mio tono sospettoso. "Nulla di faticoso, non preoccuparti. Solo qualche scartoffia da sistemare, un paio di cose da controllare prima del weekend. Isabella è fuori città, non hai nulla di meglio da fare, no?"
Era una trappola ben congegnata, e lo sapevamo entrambi. Ma non avevo nessun motivo per rifiutare, e forse nemmeno la voglia di farlo.
"Va bene," risposi, con un leggero sorriso.
—
L’ufficio di María era diverso rispetto al giorno. La luce artificiale era soffusa, quasi intima, e quando entrai lei era già seduta alla scrivania, un bicchiere di vino in mano. Un secondo calice era lì, pronto per me.
"Non è esattamente il modo migliore per farsi aiutare," scherzai, prendendo posto di fronte a lei.
María sollevò il bicchiere in un brindisi silenzioso. "Dopo una giornata come questa, ci meritiamo almeno un po’ di tregua."
Presi il mio bicchiere, assaggiando il vino. Era fresco, leggero, ma bastava per sciogliere un po’ la tensione. María si sistemò i capelli dietro l’orecchio, un gesto semplice ma studiato, mentre mi osservava con un’espressione che non riuscivo a decifrare del tutto.
"Sai, mi piacciono le persone che mantengono la parola. Tu sei uno di quelli?" chiese, incrociando le gambe sotto la scrivania.
"Dipende dalla parola data," risposi, inclinandomi leggermente in avanti.
Lei sorrise, il calice tra le dita, facendo girare il vino con movimenti lenti. "Allora spero che tu sia coerente anche con quello che hai detto stamattina."
C’era un doppio significato in quelle parole, un filo sottile di tensione che sembrava vibrare tra noi. María era troppo sicura, troppo a suo agio nel lasciarmi intuire qualcosa senza mai renderlo esplicito.
"E cioè?" chiesi, giocando al suo stesso gioco.
Lei rise appena, un suono basso e complice. "Che dovrei preoccuparmi, forse?"
La stanza sembrava più piccola, l’aria più densa. María poggiò il bicchiere sulla scrivania e si alzò lentamente, avvicinandosi per prendere alcuni fogli. Il modo in cui si muoveva, il modo in cui i suoi fianchi accennavano appena un movimento sensuale, non era casuale.
"Allora," disse, con tono più leggero, "vediamo se sei bravo almeno a mettere in ordine questi documenti."
Un gioco sottile, una partita senza regole chiare. Ma sapevo benissimo che María non mi aveva chiamato lì solo per qualche scartoffia.
L’atmosfera nell’ufficio si era fatta più densa, quasi palpabile. María si era tolta le scarpe, rilassandosi sulla sedia, e giocherellava con il gambo del bicchiere di vino mentre parlava. Il suo tono era sempre lo stesso, leggero e sicuro, ma qualcosa nel suo sguardo era cambiato.
Quando mi alzai per raccogliere alcuni documenti, lei si avvicinò senza preavviso, le sue dita sfiorarono la mia mano, un tocco appena percettibile, ma che sembrava durare più del necessario. Sentii il calore della sua pelle contro la mia, il contrasto tra la morbidezza delle sue dita e la mia pelle leggermente tesa.
Non si ritrasse subito. Anzi, le sue dita si mossero appena, come a saggiare la consistenza del contatto. Poi, con un sorriso quasi distratto, sollevò lo sguardo verso di me.
"Sai… c’è sempre un momento in cui si smette di vedere qualcuno come un ragazzo," mormorò, lasciando scivolare la punta delle dita lungo il dorso della mia mano, un movimento impercettibile ma carico di qualcosa di più profondo. "E si inizia a guardarlo come un uomo."
Il tocco risalì appena, quasi per caso, lungo l’avambraccio, seguendo la linea delle vene. Un brivido mi attraversò la pelle, e lei lo notò.
Sorrise.
Mi studiava con quella sicurezza disarmante, ma c’era una sottile esitazione nei suoi occhi, come se fosse consapevole del confine che stava sfiorando.
"Ma forse non dovrei permettermelo," continuò piano, avvicinandosi appena, il suo fiato caldo contro la mia pelle. "Una donna nella mia posizione, con una figlia come Isabella… dovrei stare più attenta a certe cose."
Mi fissò, come se aspettasse una reazione. Come se volesse vedere fino a che punto sarei stato disposto a seguirla.
"E lo sei?" le chiesi, la voce bassa, quasi roca.
María lasciò scivolare via il contatto con un’aria quasi divertita, ma nei suoi occhi brillava qualcosa di diverso. Un gioco, una sfida.
"Dovrei esserlo."
Si voltò, ma il suo profumo e la scia di quel momento rimasero lì, sospesi nell’aria tra noi.
María si voltò lentamente verso di me, il bicchiere di vino ancora tra le dita, il liquido rosso che oscillava pigramente mentre lo girava con fare distratto. Mi scrutava con quello sguardo che sembrava scavare sotto la pelle, come se stesse cercando di leggermi dentro, di capire fin dove potessi arrivare.
"Dimmi la verità…" sussurrò, posando il bicchiere sul tavolo con un leggero tonfo. Fece un passo avanti, riducendo lo spazio tra noi fino a farmi percepire il calore del suo corpo. "Tu saresti davvero capace di gestire una donna della mia età?"
Un sorriso appena accennato, un gioco velato che nascondeva una verità più profonda. María non si stava solo divertendo a provocarmi—stava mettendo alla prova il mio autocontrollo.
Deglutii, il cuore che batteva più forte nel petto. Il suo corpo sfiorò il mio, impercettibilmente. Sentii la sua pelle calda attraverso la sottile camicetta di seta che indossava, il suo respiro lento e misurato che sfiorava il mio collo.
"Credo di aver dimostrato di poter gestire molte cose, María." La mia voce era bassa, quasi roca, mentre il mio sguardo scivolava sulle sue labbra leggermente socchiuse.
Lei rise appena, inclinando la testa con un’aria divertita. "Molte cose… ma non me."
Il suo dito tracciò un leggero percorso sulla mia clavicola, scendendo lungo il petto con una lentezza esasperante. Un brivido mi attraversò la schiena, il desiderio montava con una forza quasi insopportabile.
"E poi…" mormorò, abbassando appena lo sguardo, quasi a sfuggirmi, "dovresti comunque nascondere tutto a Isabella."
Il mio respiro si fece più pesante. María sollevò il mento, incontrando di nuovo i miei occhi con un’intensità feroce.
"Non voglio farle del male, ma…" Inspirò piano, avvicinandosi ancora, le labbra a un soffio dalle mie. "A volte resistere è semplicemente impossibile."
Rimase lì, ferma, aspettando di vedere se avrei avuto il coraggio di annullare quel sottile spazio che ancora ci separava.
Mi avvicinai senza più esitazioni, afferrandola con decisione per i fianchi e sollevandola fino a farla sedere sulla scrivania. María non si oppose, anzi, le sue gambe si strinsero attorno al mio corpo, attirandomi a sé con una foga che mandò un’ondata di calore dritta al basso ventre.
Le nostre labbra si cercarono con avidità, il bacio si fece subito profondo, affamato. Le sue mani risalivano lungo la mia schiena, le dita scivolavano sotto la stoffa della mia maglietta, graffiando leggermente la pelle. Il suo tocco era un incendio che si propagava rapido, lasciando una scia di brividi ovunque si posasse.
Io le presi il viso tra le mani, costringendola a lasciarsi andare del tutto. I nostri respiri si intrecciavano in sospiri spezzati, la tensione accumulata in quelle ore esplodeva senza più filtri. María inclinò la testa, offrendomi il suo collo. Non persi tempo: le labbra si posarono sulla sua pelle calda, assaporandola, sentendo il battito accelerato del suo cuore sotto di esse.
Lei gemette piano, stringendosi ancora di più contro di me. "Dannazione…" sussurrò, la voce roca, spezzata dall’eccitazione. "Sei più pericoloso di quanto immaginassi."
Sorrisi contro la sua pelle, le mani scivolarono dai suoi fianchi alle sue cosce, sentendo il calore che sprigionava dal suo corpo. María si mosse contro di me, creando un’attrito che mi fece mordere il labbro per non lasciarmi sfuggire un gemito.
"Pensavo che fossi tu a non potermi gestire," sussurrai, la voce impastata dal desiderio.
Lei si staccò appena, guardandomi con quegli occhi scuri, brillanti di qualcosa di più del semplice gioco. "Forse hai ragione…" Le sue dita sfiorarono la mia mascella, scesero lungo il petto fino alla cintura. "O forse sto solo testando i miei limiti."
Le sue parole furono l’ultima scintilla. La mia mano risalì sotto la sua camicetta, trovando la pelle morbida, calda, il respiro sempre più spezzato. Lei inarcò la schiena, il petto contro il mio, un fremito che la percorse tutta mentre le labbra tornavano a cercare le mie.
Mi abbassai davanti a lei con movimenti lenti, studiati, mantenendo lo sguardo fisso nei suoi occhi scuri, che ora brillavano di un desiderio incontrollato. María trattenne il respiro quando le mie mani scivolarono lungo le sue cosce, tirando giù i suoi leggings con una calma esasperante. Volevo vederla cedere del tutto, sentire il suo corpo vibrare d’attesa sotto il mio tocco.
Quando anche le sue mutandine scivolarono via, le sue cosce si aprirono istintivamente per me. Non mi feci pregare: prima una carezza, poi le mie dita che si insinuarono dentro di lei, lente ma inesorabili. Il suo corpo rispose subito, inarcandosi leggermente mentre un gemito soffocato le sfuggiva dalle labbra.
"Maledetto..." sussurrò, la voce roca, le dita che si intrecciavano nei miei capelli.
Sorrisi contro la sua pelle prima di affondare il viso tra le sue cosce. La sua testa si abbandonò all’indietro con un gemito più forte, il suo respiro irregolare mentre la mia lingua iniziava un gioco lento e torturante. María si strinse attorno a me, le mani premevano con più forza sulla mia testa, quasi a volermi spingere più a fondo contro di lei.
"Oh, cazzo..." ansimò, mordendosi il labbro per cercare, inutilmente, di contenere i suoi gemiti.
La sentivo sciogliersi sotto di me, il suo corpo che tremava leggermente ogni volta che la mia lingua e le mie dita lavoravano insieme, ogni volta che aumentavo il ritmo e l’intensità, trascinandola sempre più in alto. Il piccolo ufficio era ormai riempito dal suono della sua voce spezzata dal piacere, dal rumore umido dei nostri corpi che si cercavano senza freni.
Le sue cosce si serrarono attorno al mio viso, la sua schiena si inarcò di colpo, un gemito strozzato che divenne quasi un grido soffocato mentre il piacere la investiva con violenza. Restai lì, a sentirla vibrare contro di me, a gustarmi ogni suo spasmo, ogni respiro affannoso che le sfuggiva.
Quando finalmente il suo corpo si rilassò, le sue mani si allentarono nei miei capelli, e María sollevò la testa, gli occhi ancora offuscati, il petto che si sollevava e abbassava velocemente. Un sorriso soddisfatto le incurvò le labbra mentre mi guardava.
"Cristo, ragazzo..." sussurrò, ancora senza fiato. "Stai davvero cercando di farmi impazzire?"
Mi alzai lentamente, il mio viso ancora umido di lei, e le presi il mento tra le dita, obbligandola a guardarmi dritto negli occhi. "No, María." Il mio sorriso era carico di sfida. "Sto solo scoprendo quanto puoi resistere prima di cedere del tutto."
Mentre il suo respiro tornava lentamente regolare e il tremito del piacere si dissipava nel silenzio dell’ufficio, María si lasciò andare contro la scrivania, chiudendo per un istante gli occhi. Il suo corpo era ancora caldo, la pelle arrossata dal desiderio che l’aveva scossa fino all’ultimo spasmo.
Mi tirai su, scorrendo le dita lungo le sue cosce ancora divaricate, assaporando l’ultimo brivido che la percorse. Lei riaprì gli occhi, il suo sguardo ora era diverso: non più perso nel piacere, ma lucido, consapevole, con quell’ombra di controllo che aveva sempre avuto su di me, anche quando sembrava lasciarsi andare.
Si sistemò i vestiti con calma, senza fretta, come se non volesse rompere troppo in fretta il momento. Io la osservavo, ancora scosso da tutto ciò che era appena successo, ancora inebriato dal suo sapore sulle mie labbra. Poi, mentre stavo abbottonando i jeans, María sollevò lo sguardo e mi fissò con un’intensità glaciale.
"Ora dovrai chiudere la frequentazione con Isabella."
Le sue parole mi colpirono come una frustata improvvisa. Il tono era fermo, senza esitazioni, senza possibilità di fraintendimenti.
"E non dirle nulla di tutto questo."
Il silenzio che seguì fu denso, quasi soffocante. Il mio cuore, ancora accelerato dal desiderio, ora batteva per un altro motivo. María mi fissava con calma assoluta, aspettando la mia reazione.
Sapeva di aver cambiato tutto. E lo sapevo anch’io.
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