Lezioni con la Barbie della porta accanto - capitolo 1

di
genere
dominazione

Conosco Sabrina da tutta la vita. La nostra storia è iniziata prima ancora che potessimo capirlo: due bambini con le case una di fronte all’altra, le madri migliori amiche, lo stesso asilo, la stessa scuola. Eppure, nonostante questa vicinanza forzata, io e lei non ci siamo mai davvero considerati.

Eravamo due mondi opposti. Lei era sempre stata la bambina bella, spigliata, circondata da amici, con quel sorriso sicuro e quella risata squillante che sapeva attirare l’attenzione. Io, invece, ero il classico ragazzino introverso, con la testa piena di numeri, videogiochi e fumetti. Crescendo, la distanza tra noi non aveva fatto altro che aumentare.

Adesso, in quinta superiore, eravamo ancora nella stessa classe. Io ero migliorato, in un certo senso. Avevo ottimi voti, un piccolo gruppo di amici con cui parlavo di cinema e tecnologia, ma ero pur sempre un nerd, uno che non dava nell’occhio e che passava le ore a scuola aspettando di tornare a casa. Lei, invece… beh, lei era diventata Sabrina.

Una Barbie. Era così che la definivo nella mia testa. Perfetta, maniacalmente devota al rosa in ogni sua forma: vestiti, accessori, smalto, persino la cover del cellulare. Se esisteva un colore che potesse rappresentarla, era quello, e non c’era giorno in cui non sfoggiasse almeno un dettaglio della sua tonalità preferita. Ma la sua ossessione per l’immagine non si fermava certo ai colori.

Sabrina era… be’, bellissima. Oggettivamente, indiscutibilmente bellissima. Piuttosto alta, con una carnagione chiara e liscia, sempre impeccabile, come se la sua pelle non avesse mai conosciuto una sbavatura o un’imperfezione. Il suo viso affilato sembrava scolpito per essere seducente, incorniciato da due occhi lunghi e intensi, sempre sottolineati da una matita scura che ne accentuava la profondità. Aveva un nasino piccolo, perfetto, e una cascata di piccole lentiggini sotto gli occhi e lungo il ponte del naso, leggere, appena visibili, come se fossero state posate su di lei dal sole stesso.

E poi c’erano le sue labbra. Lunghe, morbide, carnose al punto giusto. Non aveva bisogno di fare nulla perché spiccassero: parlavano da sole, sembravano fatte per catturare sguardi, e chiunque la guardasse ne rimaneva inevitabilmente ipnotizzato.

I suoi capelli erano la sua firma. Lunghissimi, voluminosi, di un biondo oro così luminoso che sembravano brillare sotto la luce. Portava sempre la frangia, perfettamente dritta, perfettamente in ordine, come il resto di lei.

Il suo corpo era l’ennesima dimostrazione di quella perfezione irritante. Magra, con un ventre piatto e scolpito, un seno piccolo ma sodo, proporzionato al suo fisico slanciato. Ma erano le gambe a fare il resto: due cosce lunghe e affusolate, che terminavano in un fondoschiena semplicemente perfetto, alto, sodo, che sembrava fatto per attirare sguardi ovunque andasse.

Ogni movimento che faceva sembrava studiato per esaltare ogni suo punto di forza. Ed era questo il punto: tutto in lei urlava sicurezza, consapevolezza di sé, controllo assoluto sulla propria immagine.

E io? Io ero il nerd che l’aveva sempre vista come un’entità lontana, quasi irraggiungibile. Almeno fino al giorno in cui mia madre, con un sorriso ingenuo e un tono di voce allegro, mi disse:

“Sabrina ha bisogno di una mano con la matematica. Sua madre mi ha chiesto se puoi aiutarla a studiare.”

Non ci pensai neanche un secondo.

“No.”

Secco, deciso, senza esitazione. Condividevamo già lo stesso pianerottolo e la stessa classe, non avevo alcuna intenzione di passarci insieme altro tempo.

Mia madre, ovviamente, non accettò la mia risposta. Iniziò una discussione che ormai conoscevo a memoria: io cercavo di spiegare perché non ne avevo alcuna intenzione, lei insisteva sul fatto che non fosse una richiesta così terribile. Mi fece il solito discorso sulla gentilezza, sull’aiutare gli altri, sul fatto che Sabrina era “una brava ragazza” (affermazione su cui dissentivo profondamente).

“Sabrina non mi va a genio,” dissi chiaramente, sperando che bastasse a chiudere la questione.

Mia madre scrollò le spalle, come se non fosse un dettaglio importante. “E quindi? Non devi sposarla, devi solo aiutarla con i compiti.”

Alla fine, come succedeva sempre nelle discussioni in casa mia, persi. Era inutile. Mia madre aveva già deciso, e contro di lei non c’era speranza di vittoria.

Così, con un senso di inevitabilità e un gran malumore, mi ritrovai con una nuova e indesiderata attività nel mio calendario settimanale: un paio di volte a settimana sarei dovuto entrare nella casa della Barbie per aiutarla a studiare.

Quando arrivò il giorno della prima lezione, mi presentai alla porta di casa sua puntuale, con il solito zaino in spalla e la voglia sotto i piedi. Sapevo già che sarebbe stato un incubo, ma ero rassegnato. Sabrina mi aprì dopo pochi secondi, appoggiandosi allo stipite con la solita aria rilassata, come se mi stesse facendo un favore a ricevermi.

E ovviamente, anche se era “vestita da casa”, sembrava comunque pronta per una sfilata.

Indossava un top corto, bianco con dettagli rosa, che le lasciava scoperto il ventre piatto, e un paio di shorts di cotone talmente minuscoli che sembravano più biancheria intima che pantaloncini. Le gambe lunghissime, lisce, erano incorniciate da calzini bianchi con un piccolo fiocco rosa sopra la caviglia. I capelli, come sempre, erano impeccabili: sciolti, voluminosi, con la frangia perfettamente in ordine. Non sembrava affatto una ragazza che doveva studiare, ma piuttosto qualcuno che si preparava a girare un video su TikTok.

“Uuh, che onore, il professore è arrivato puntuale,” disse con un sorrisetto malizioso, girandosi sui talloni e facendomi strada.

Alzai gli occhi al cielo, ma entrai comunque. “Facciamo in fretta.”

“Uff, che fretta… entra e rilassati, nerdino.”

Mi portò nella sua stanza e fu come varcare la soglia di un altro mondo.

Tutto, e dico tutto, era rosa. Dalle pareti ai cuscini, dai mobili alle coperte del letto. Persino la sedia della scrivania era imbottita di un velluto rosa acceso. Ma la cosa peggiore erano i suoi ritratti appesi ovunque: foto professionali, selfie stampati, immagini in cui faceva pose da diva. Era praticamente un tempio dedicato a se stessa.

Mi sedetti sulla sedia accanto alla scrivania, cercando di non far caso all’ambiente opprimente. Tirai fuori i miei appunti e provai a mantenere un’aria professionale. “Ok, iniziamo. Da dove vuoi cominciare?”

Sabrina si lasciò cadere sulla sedia con un sospiro esasperato, allungando le gambe e mettendosi in una posizione che, ne ero sicuro, era studiata per sembrare il più svogliata e sensuale possibile.

“Ugh, già odio tutto questo,” si lamentò, giocherellando con la punta della frangia. “Matematica fa schifo. Non capisco niente e non mi interessa. Però mi servono voti decenti, quindi… fai il tuo dovere, prof.”

Sospirai. “Ok, allora partiamo dalle basi. Equazioni. Sai almeno impostarle?”

Lei mi guardò come se avessi parlato in una lingua aliena. “Tipo… x e y? Boh, non lo so. Dimmi tu.”

Già stavo impazzendo. Odiavo dover spiegare cose ovvie, e con lei era ancora peggio. Cercai di concentrarmi sulla lavagna che aveva sulla scrivania, iniziando a scrivere un’equazione semplice. Ma ogni tanto la mia attenzione scivolava altrove.

Era impossibile non notarla. Come si spostava, come si stiracchiava pigra sulla sedia, come ogni suo minimo movimento sembrava studiato per essere provocante senza neanche farlo apposta.

O forse lo faceva apposta?

La lezione era un disastro. Sabrina non seguiva, non scriveva, non sembrava neanche provare a capire. Si limitava a giocherellare con la matita, mordicchiando il tappo e sbuffando ogni volta che le chiedevo di concentrarsi.

“Uffa, non ci capisco niente,” disse alla fine, lasciandosi cadere sul letto come se fosse sfinita. “Facciamo una pausa.”

Alzai gli occhi al cielo. “Abbiamo iniziato da venti minuti.”

“Esatto! E sono già troppi!” rise lei, stiracchiandosi. Poi si alzò di scatto. “Vado in bagno un secondo, mi devo lavare i denti.”

Fronteggiai la tentazione di rispondere con sarcasmo. Lavarsi i denti a metà pomeriggio? Era una scusa per allontanarsi dallo studio, ma tanto valeva lasciarla fare. Meglio qualche minuto di pace che continuare a battere la testa contro il muro.

Lei sparì nel corridoio, e io mi rilassai un secondo sulla sedia.

Passarono cinque minuti. Poi sei.

Mi girai a guardare verso il bagno. La porta era socchiusa, e da dentro sentivo il rumore dell’acqua.

Istintivamente mi alzai. Non che mi importasse, ma ero curioso di capire cosa stesse facendo. Quando passai davanti alla porta, mi bastò un’occhiata attraverso la fessura per bloccare il respiro.

Cazzo.

Sabrina era davanti allo specchio, inclinata leggermente in avanti mentre si lavava i denti. I lunghi capelli biondo oro erano raccolti in una coda alta, lasciando scoperta la schiena nuda. Perché nuda?

In un secondo lo capii. Si era tolta il top per evitare di bagnarlo mentre sciacquava il viso e la bocca.

Il riflesso nello specchio mi mostrava tutto. Il profilo del suo seno piccolo e sodo, la curva perfetta della schiena, la pelle chiara e liscia. Gli shorts che aveva addosso erano bassissimi sui fianchi, quasi a rivelare più di quanto dovessero.

Sbattei le palpebre, sentendo il cuore tamburellare nel petto.

Lei non se ne accorgeva minimamente. Continuava a passarsi lo spazzolino sulle labbra, ignara del fatto che qualcuno la stesse osservando. Il movimento faceva oscillare leggermente il suo corpo, e mi resi conto che ero completamente ipnotizzato.

Poi, un rumore.

Mi ritrassi di scatto, il cuore in gola.

Tornai a sedermi alla scrivania pochi secondi prima che Sabrina tornasse nella stanza, perfettamente a suo agio, con addosso di nuovo il top e un elastico attorno al polso.

“Okay, finiamo questa tortura,” sospirò, crollando sulla sedia.

Io non risposi. La lezione finì poco dopo, tra il suo scarso impegno e i miei tentativi inutili di farla ragionare.

Ma appena chiusi la porta di casa sua alle mie spalle, sapevo che quella giornata non sarebbe finita lì.

Appena entrai in camera mia, mi lasciai cadere sul letto, ancora frastornato.

L’avevo vista. Davvero vista.

E non era stato un caso, non era un’immagine che potevo cancellare. Era lì, stampata nella mia testa, ogni dettaglio chiaro e vivido come se fosse ancora davanti a me.

Il respiro mi si fece più pesante. Sentivo il corpo reagire, il calore crescere dentro di me.

Era solo l’inizio. E lo sapevo.

Il giorno dopo a scuola non riuscivo a smettere di guardarla. Sabrina. La Barbie. La ragazza che per tutta la vita avevo considerato una sciocca vanitosa, troppo presa da se stessa per accorgersi di me.

Eppure adesso era tutto diverso.

Io l’avevo vista.

Avevo visto ciò che tanti ragazzi nella nostra scuola avrebbero pagato oro per vedere, e non mi bastava. Non mi bastava per niente.

Ogni suo movimento sembrava avere un altro significato, come se avessi finalmente tolto un velo dai miei occhi. Il modo in cui si toccava i capelli, come le sue labbra si increspavano mentre fissava il telefono, come si muoveva con quella sicurezza innata. Ogni cosa mi parlava, mi trascinava in una spirale da cui non volevo più uscire.

Ero ossessionato.

Le ripetizioni erano passate da una tortura imposta da mia madre a un momento carico di speranza proibita. Un’occasione.

Ma non potevo lasciare tutto al caso.

Avevo bisogno di vedere di più.

E sapevo esattamente come fare.

Santo Amazon

Appena tornato a casa, mi misi al computer. La ricerca fu veloce, più di quanto mi aspettassi. Su Amazon trovai subito quello che mi serviva. Una penna.

All’apparenza normale, ma con una telecamera nascosta. Piccola, discreta, con una microsd interna in grado di registrare video.

La ordinai senza pensarci due volte.

Due giorni dopo, il pacco era tra le mie mani.

L’aprii con mani quasi tremanti, come se dentro ci fosse qualcosa di proibito. In un certo senso, lo era.

Quella penna sarebbe stata il mio occhio segreto nel mondo di Sabrina.

Il mio passaggio privato nel suo spazio, nella sua intimità.

Ora non restava che trovare il momento giusto per usarla.

la seconda lezione.

Mi presentai puntuale come l’ultima volta, ma questa volta il mio stato d’animo era completamente diverso. Non ero più il ragazzo trascinato a forza dentro quella casa, costretto a insegnare algebra a una Barbie pigra.

Questa volta ero lì per ottenere qualcosa.

Sabrina mi aprì la porta con la solita disinvoltura, ma notai subito qualcosa di diverso in lei. Sembrava più sciolta, più a suo agio con me rispetto alla lezione precedente.

E poi… cazzo.

Aveva addosso un top bianco, minuscolo, di quelli che lasciavano scoperta la pancia piatta e si tendevano appena sul seno piccolo e sodo. I pantaloncini erano ancora più scandalosi di quelli della volta scorsa, rosa e sottilissimi, così corti che lasciavano scoperte quasi interamente le cosce lunghe e perfette. Era scalza, con le unghie smaltate di rosa pallido, e i capelli biondi erano sciolti, voluminosi, la frangia ad incorniciarle il viso.

Era irresistibile.

“Eccoti, genio,” disse, stiracchiandosi come un gatto mentre mi faceva entrare. “Preparati, perché oggi il tuo lavoro sarà ancora più difficile.”

Alzai un sopracciglio. “Nel senso che non hai aperto il libro nemmeno una volta?”

Mi sorrise con aria colpevole e si lasciò cadere sul letto, lanciandomi la sua matita. “Esattamente.”

Sospirai e mi sedetti alla scrivania, aprendo il libro. “Okay, allora iniziamo da dove ci siamo fermati.”

Lei si alzò a fatica e si trascinò sulla sedia accanto a me, sospirando. “Ma non puoi tipo… farmi un riassunto? Così veloce, così lo capisco subito.”

La guardai, scettico. “Sabrina, il punto è che dovresti provare a fare gli esercizi, non aspettare che qualcuno ti imbocchi le risposte.”

“Allora ho sbagliato tutor,” rispose con un sorriso dolce e sfacciato, avvicinandosi leggermente. “Sei troppo rigido, nerd.”

Sentii un brivido lungo la schiena, ma mi schiarii la voce e tornai a fissare il libro. Dovevo rimanere concentrato.

Lei, ovviamente, fece di tutto per distrarmi.

Continuava a giocare con la matita, passandosela sulle labbra mentre fingeva di leggere gli esercizi. Si stiracchiava spesso, facendo scivolare il top leggermente più su, rivelando ancora di più la pelle liscia del ventre.

Dopo venti minuti di tentativi falliti di insegnarle qualcosa, finalmente trovai il momento perfetto per agire.

Lei uscì dalla stanza e io senza farmi notare, presi la penna con telecamera dalla tasca e con un gesto distratto la posizionai nella sua libreria, tra alcuni libri e cornici rosa. L’angolazione era perfetta: avrebbe ripreso l’intera stanza.

Il cuore mi batteva forte, ma feci finta di niente.

La lezione finì poco dopo, ancora una volta senza grandi risultati. Sabrina si alzò dalla sedia e si stiracchiò di nuovo, sbuffando.

“Basta, la mia testa sta per esplodere. Dobbiamo assolutamente trovare un metodo più efficace per queste ripetizioni.”

“Tipo studiare davvero?” suggerii sarcastico.

Lei mi lanciò un cuscino e rise. “Divertente. Dai, vai a riposarti, nerd.”

Presi la mia roba e mi avviai verso la porta, con un’ultima occhiata alla libreria.

Dovevo solo aspettare un paio di giorni.

Quando sarei tornato per la prossima lezione, avrei recuperato la penna.

E finalmente… avrei visto tutto.

Appena chiusi la porta di casa, corsi in camera mia con il cuore in gola.

Mi sedetti alla scrivania, accesi il PC e tirai fuori la microSD dalla penna. Era il momento della verità.

Con le mani leggermente sudate, la infilai nell’adattatore e aprii il file video. La ripresa tremolò per qualche secondo prima di stabilizzarsi. La sua stanza rosa apparve sullo schermo, perfettamente incorniciata.

Sbirciando nella sua vita

Dopo la mia uscita da casa sua, Sabrina era rimasta in stanza in pigiama. Un pigiama che, naturalmente, consisteva in un paio di minuscoli shorts e una maglietta aderente senza reggiseno.

Si era stesa sul letto a scrollare il telefono, le gambe lunghe allungate pigre sulle lenzuola, la mano che giocherellava con i capelli biondi. Ogni tanto si mordeva il labbro, concentrata su qualche chat, i suoi occhi lunghi e sensuali fissi sullo schermo.

Poi si alzò e si specchiò, sistemando la frangia con un movimento automatico, sporgendo le labbra carnose per controllare il lucidalabbra. Fece qualche posa davanti allo specchio, il fondoschiena perfetto in evidenza mentre si sistemava la maglietta troppo corta.

Si distese di nuovo, incrociando le braccia dietro la testa, il petto che si alzava e abbassava lentamente. Sabrina non aveva alcuna vergogna del suo corpo, lo possedeva con una sicurezza naturale.

Passarono le ore così, tra telefono, musica, qualche giro per la stanza. Poi le luci si spensero.

Il risveglio

Il video continuava, e a un certo punto la luce del mattino entrò con prepotenza dalla finestra della sua stanza.

Sabrina si stiracchiò nel letto con una lentezza esasperante, la maglietta che le si era arrotolata fino a scoprire il ventre piatto, la curva dolce delle costole in vista.

Si passò una mano tra i capelli spettinati e si mise seduta, sbadigliando, gli occhi ancora impastati di sonno. Anche così scombinata, era sexy da impazzire.

Scese dal letto, allungò le braccia sopra la testa, mettendo in mostra la linea sottile della vita e la pelle chiara e liscia delle cosce. Poi uscì dalla stanza, probabilmente diretta al bagno.

Io trattenni il fiato. Il video era ancora in corso.

Dopo qualche minuto, la porta si aprì di nuovo.

E quando rientrò, la mia bocca si asciugò.

Sabrina indossava solo le mutandine. Nient’altro.

I capelli biondi e voluminosi ancora leggermente arruffati, il viso segnato dal sonno, ma il corpo…

Il ventre piatto e perfetto, il seno piccolo e sodo che si muoveva appena ad ogni passo, le cosce lunghe e invitanti che sostenevano quel fondoschiena da capogiro.

Era una visione.

Si avvicinò allo specchio, ignara di tutto, i capezzoli chiari e tesi per il leggero brivido del mattino, e si scrutò con indifferenza prima di passarsi una mano tra i capelli e allungarsi per prendere la spazzola sulla scrivania.

Il cuore mi batteva all’impazzata. Avevo visto ciò che tanti avrebbero pagato per vedere.

E il pensiero che fosse tutto solo per me mi incendiava il cervello.

Sabrina rimase qualche minuto davanti allo specchio, completamente assorta nella sua immagine. Si osservava con attenzione, le mani che scivolavano lungo i fianchi, accarezzando la pelle liscia e chiara, come se stesse studiando ogni curva del proprio corpo.

Poi, all’improvviso, il suo sguardo cambiò.

Le dita giocarono sul bordo delle mutandine con un movimento lento, distratto, ma che sembrava carico di un’energia trattenuta. Si mordicchiò il labbro inferiore e, con una naturalezza che mi fece mancare il respiro, si voltò verso la porta.

Con passi cauti, andò a chiuderla a chiave.

Il mio cuore impazziva.

Tornò al letto e si stese sulle lenzuola chiare, i capelli biondi che si spargevano come un’aureola dorata attorno al viso. La luce del mattino le accarezzava la pelle, esaltando ogni curva, ogni piccolo movimento del suo corpo.

Una mano scivolò sul ventre piatto e si recò al di sotto di quelle mutandine, l’altra si posò distrattamente sul petto. Il respiro le si fece più profondo, le palpebre si abbassarono leggermente mentre le sue dita iniziavano a muoversi con una lentezza esasperante.

Era un momento troppo intimo, troppo proibito.

Peccato non poter sentire l’audio.

Il respiro mi si fece corto mentre continuavo a guardare lo schermo, incapace di distogliere lo sguardo. Ogni suo movimento, ogni piccola espressione del viso, il modo in cui il suo corpo reagiva al tocco delle proprie mani… era troppo.

La luce del mattino entrava prepotente nella sua stanza, illuminando la pelle chiara, i capelli sparsi sul cuscino, le dita che si muovevano con una delicatezza che sapeva di tortura. Sembrava completamente persa in sé stessa, ignara di tutto, ignara soprattutto del fatto che io fossi lì, a guardarla, a scoprire un lato di lei che nessuno avrebbe mai dovuto vedere.

Il calore che mi avvolse fu immediato, incontrollabile. La tensione accumulata nei giorni precedenti esplose tutta insieme, senza che potessi fermarla. Non mi ero mai sentito così, mai con lei. Eppure, in quel momento, era impossibile non farlo.

La mano si mosse d’istinto, quasi fosse una risposta inevitabile a quello spettacolo proibito. Non ero più solo uno spettatore.
scritto il
2025-02-13
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