Tentazione a pagamento capitolo 2 - “voglio di più”

di
genere
etero

La notte fu un tormento. Ogni volta che chiudevo gli occhi, il ricordo di Tresy tornava a prendermi. Il suo sguardo divertito mentre si inginocchiava davanti a me, il calore delle sue mani, il modo in cui sembrava dominare ogni istante… Era come se la sua presenza fosse rimasta addosso a me, un marchio invisibile che continuava a bruciare.

Mi rigirai nel letto, frustrato, eccitato, confuso. Mi dicevo che era stata solo una stupida follia, una cosa da non ripetere. Eppure il mio corpo tradiva ogni ragionamento. Il desiderio mi stringeva come una morsa.

A scuola, il giorno dopo, cercai di non pensarci. Evitare Tresy era l’unica soluzione. Mi ripetevo che era una come le altre, che non valeva la pena perdere la testa per lei. Ma quando la vidi all’ingresso, appoggiata al muro con quel suo solito sguardo spavaldo, le braccia incrociate e il sorriso sfacciato mentre scherzava con alcuni ragazzi, qualcosa dentro di me si contrasse.

Uno di loro le mise una mano sulla vita, ridendo sguaiatamente. Lei non lo allontanò, anzi, rise a sua volta, lanciando una battuta che fece scoppiare gli altri a ridere. E io sentii una fitta acuta, qualcosa che mi bloccò il respiro.

Non è la mia ragazza. Non è niente per me.

Eppure l’idea che altri avessero vissuto quello che avevo vissuto io, che quelle labbra avessero regalato lo stesso piacere a chissà quanti altri… mi faceva impazzire.

Strinsi i denti e mi girai dall’altra parte, deciso a ignorarla. Ma Tresy non era il tipo da passare inosservata. La sentivo ridere ovunque. Troppo rumorosa. Troppo presente. Troppo irresistibile.

E io ero fottutamente fregato.

poi quel pomeriggio.

Al centro giochi, il turno era finalmente finito. Mentre riponevo le ultime sedie, sentii un profumo familiare avvicinarsi alle mie spalle.

“Ti sei già stufato di me?”

Mi voltai appena e trovai Tresy che mi guardava con il suo solito sorriso sfacciato, la testa inclinata di lato, gli occhi che brillavano di divertimento. Indossava una felpa oversize sopra i soliti leggings aderenti, e il modo in cui stava con le mani sui fianchi mi fece subito capire che non avrebbe mollato la presa facilmente.

“Non ho tempo per queste sciocchezze.” Cercai di tagliare corto, ma lei si fece ancora più vicina.

“Strano…” mormorò, portandosi un dito sulle labbra, come se stesse riflettendo su qualcosa. “Di solito chi prova il servizio torna sempre.”

Sentii un brivido lungo la schiena. Lei mi osservava con quel suo solito sguardo provocante, come se leggesse esattamente dentro di me.

“Io non sono come gli altri.” Sputai fuori quelle parole con più forza di quanto volessi, cercando di allontanarmi.

Tresy scoppiò a ridere, scuotendo la testa. “Oh, quindi sei speciale?” Si avvicinò ancora, riducendo le distanze, fino a costringermi a incastrarmi contro il mobile alle mie spalle. Il suo profumo mi avvolse, la sua voce scese di un tono, bassa e suadente. “Oppure vuoi solo qualcosa di più?”

Mi si bloccò il respiro. Era esattamente quello che volevo. E odiavo il modo in cui lei lo capiva meglio di me.

Il centro giochi era quasi vuoto, il turno ormai concluso. Stavamo sistemando le ultime cose, ma la mia mente era ancora incastrata in quel confronto con Tresy. La sua voce continuava a rimbombarmi in testa, insieme a quel sorrisetto di sfida che sembrava sapere tutto di me.

Mentre piegavo un tappetino, sentii il suo sguardo addosso. Alzai la testa e la trovai lì, che mi fissava con aria divertita. Mi lanciò un’occhiata maliziosa e, con un mezzo sorriso, sussurrò:

“Vieni con me.”

Esitai. Sapevo che seguirla era una pessima idea. Ma il mio corpo si mosse prima della mia testa. Senza nemmeno accorgermene, le andai dietro.

Mi condusse lungo il corridoio laterale, quello che portava alle stanze di deposito. Il centro giochi aveva diversi spazi chiusi a chiave, ma sapevamo entrambi che c’era un ripostiglio sempre aperto, pieno di vecchie sedie e scatoloni inutilizzati. Era il posto perfetto per non essere disturbati.

Tresy entrò per prima e io la seguii, chiudendo la porta dietro di me. Lo spazio era piccolo, l’aria sapeva di polvere e vernice vecchia.

Lei si appoggiò con la schiena contro gli scaffali e si accese una sigaretta con calma, senza distogliere gli occhi dai miei. Inspirò profondamente, poi inclinò la testa di lato con un sorriso compiaciuto.

“Dimmi la verità, mi vuoi ancora?”

Deglutii. Avrei voluto dire di no, fingere indifferenza, ma il mio silenzio parlava per me. Il mio sguardo, più di qualsiasi parola, la lasciava vincere ancora una volta.

Tresy ridacchiò, si spinse via dagli scaffali e mi venne incontro con movimenti lenti, studiati. Il fumo della sua sigaretta danzava tra di noi mentre alzava una mano e mi sfiorava il petto con un dito.

Scese più in basso, con un tocco leggero ma letale. Sentii i muscoli tendersi da soli.

“Oggi però ti accontenti della mia mano.” La sua voce era un sussurro caldo contro la mia pelle. “Se vuoi di più… dovrai meritartelo.”

La guardai, il respiro irregolare. Non sapevo cosa mi desse più fastidio: la sua sfacciataggine o il fatto che non riuscissi a resisterle.

Nel piccolo ripostiglio, l’aria era densa, satura di polvere e tensione. Il suono ovattato delle voci lontane nel corridoio sembrava un promemoria costante del rischio che stavamo correndo, ma in quel momento non mi importava.

Tresy mi guardava dall’alto, la sigaretta tra le dita, il sorriso malizioso di chi sa di avere il controllo.

“Allora?” mormorò, inclinando la testa. “Ti devo aiutare io anche stavolta?”

Era uno scherzo, una provocazione, ma il mio respiro si fece più pesante. Non ero certo il tipo che si lasciava andare così facilmente, eppure con lei… con lei era diverso.

Abbassai lo sguardo, incerto, poi, quasi inconsapevolmente, iniziai a slacciarmi i pantaloni. Sentii il suo sguardo su di me, divertito, ma anche affamato.

“Bravo ragazzo,” sussurrò con una nota divertita nella voce, accantonando la sigaretta.

Si chinò su di me, il suo respiro caldo sfiorò la mia pelle prima ancora delle sue dita.

“Hai idea di quanto sia bello vederti così?” continuò, facendo scorrere le mani con lentezza quasi crudele. “Così teso… così mio?”

Il suo tocco era torturante, lento, calibrato per farmi impazzire. Mi morsi il labbro, gli occhi chiusi per non perdere del tutto il controllo.

Fu allora che sentimmo i passi.

Un rumore improvviso proprio fuori dalla porta.

Ci irrigidimmo entrambi.

Tresy si fermò all’istante, ma non si allontanò. Al contrario, il suo sorriso si allargò appena, e lo vidi nei suoi occhi: quella situazione la stava divertendo.

I passi si avvicinarono. Poi si fermarono.

Il mio cuore iniziò a martellarmi nel petto. Il respiro si bloccò in gola.

Qualcuno era proprio lì, dall’altra parte della porta.

Mi sentii gelare, ogni muscolo contratto in un’ansia insopportabile. Se ci avessero scoperti? Se qualcuno avesse aperto la porta in quel momento?

Tresy, invece, sembrava quasi compiaciuta del pericolo. Con un movimento lentissimo, si avvicinò al mio orecchio, la sua voce appena un soffio:

“Scommettiamo che non se ne accorgono?”

La sua mano si mosse di nuovo, sfiorandomi con una lentezza assassina. Trattenni un sussulto, cercando disperatamente di restare in silenzio.

Dall’altra parte della porta, qualcuno tossì. Per un attimo mi sembrò che il mondo si fermasse.

“Se ci scoprono è un casino,” sussurrò lei, con un lampo di eccitazione negli occhi. “Ma vuoi davvero fermarmi adesso?”

Era una sfida.

E io ero troppo perso per tirarmi indietro.

Restammo immobili per interminabili secondi, finché i passi ripresero e si allontanarono lungo il corridoio.

Solo allora ripresi a respirare, il cuore ancora martellante nel petto.

“Visto?” ridacchiò lei, abbassando lo sguardo su di me. “Ti piace il rischio più di quanto pensassi.”

E senza darmi il tempo di replicare, affondò di nuovo nel suo gioco, più decisa, più provocante, come se quell’adrenalina l’avesse accesa ancora di più.

L’aria nel ripostiglio sembrava ancora più densa, satura di desiderio e tensione elettrica. I nostri respiri erano l’unico suono che riempiva quello spazio angusto, mentre lei continuava a giocare con il mio corpo, il suo tocco esperto e malizioso.

Il calore del pericolo di poco prima aveva amplificato ogni sensazione. Ogni suo movimento era una tortura deliziosa, un piacere a cui non riuscivo a resistere. E poi, all’improvviso, il controllo mi sfuggì del tutto.

Il culmine arrivò come un’esplosione travolgente. Un gemito soffocato mi sfuggì dalle labbra mentre sentii il piacere riversarsi su di lei, sporcarle la pelle, i vestiti. Lei non si scompose minimamente, quasi divertita.

Con un sospiro soddisfatto, si staccò da me e, con una calma esasperante, tirò fuori le solite salviette umidificate dallo zaino.

“Vedi?” disse, pulendosi con noncuranza, senza neanche guardarmi. “Perché complicarsi la vita? Ti basta questo, no?”

Il suo tono era leggero, come se per lei tutto questo non avesse avuto alcun peso. Solo un altro gioco. Solo un altro momento passeggero.

Io, invece, ero ancora scosso. Il cuore martellava nel petto, il respiro irregolare. I miei occhi la seguivano mentre si sistemava i capelli con una naturalezza quasi crudele.

“E se io volessi di più?” chiesi, senza neanche pensarci.

Lei si bloccò per un istante, abbastanza perché capissi che non si aspettava quella domanda. Poi, lentamente, il suo sorriso tornò, ma stavolta c’era qualcosa di più freddo nei suoi occhi, un taglio affilato nella sua espressione.

“Non è così che funziona, bello.” Fece un passo verso di me, piegandosi leggermente in avanti, abbastanza da sfiorarmi con il fiato caldo. “Se vuoi di più… dovrai pagare di più. O darmi un buon motivo.”

Ogni parola era una lama che mi incideva dentro. Il mio stomaco si attorcigliò in una sensazione che non capivo bene: rabbia, frustrazione, desiderio. Un misto di tutto.

Non sapevo cosa dire. Non sapevo nemmeno cosa volevo davvero.

Lei rise piano, come se si stesse divertendo della mia confusione, poi si voltò verso la porta.

“Ci rivedremo presto, lo so.”

Mi lanciò un’ultima occhiata, provocante, quasi una promessa. Poi uscì, lasciandomi lì, ancora in preda al vortice delle emozioni.

Alla fine, come l’ultima volta, infilai la mano in tasca e tirai fuori i soldi. Venti euro. Un prezzo che sembrava insignificante rispetto al caos che mi lasciava dentro.

Le infilai nelle sue dita sottili senza dire una parola. Lei sorrise ancora, le fece scivolare nella tasca dei jeans e sparì nel corridoio.

E io rimasi lì, con il cuore ancora accelerato e una voglia impossibile da spegnere.

Il pensiero di Tresy non mi abbandonava. Ogni sera, chiuso nella mia stanza, ripensavo alla sua mano, ai suoi sussurri, a quel sorriso sfacciato che sapeva come mandarmi fuori di testa. Era diventata quasi una dipendenza, un fuoco che non riuscivo a spegnere. E più cercavo di convincermi che fosse solo un gioco, più sentivo il bisogno di averla ancora.

Ma lei sembrava avere le sue regole, il suo modo di tenermi a distanza. Mi provocava, mi tentava, e poi si ritraeva come se niente fosse.

I giorni passarono in un lampo, con la scuola che riempiva le ore e il lavoro al centro giochi che mi teneva impegnato. Ma ogni volta che la vedevo, fosse anche solo di sfuggita nei corridoi, il mio stomaco si attorcigliava e il mio corpo reagiva prima della mia testa.

Arrivò il fine settimana.

Quella mattina uscii per comprare un paio di cose al supermercato sotto casa. L’aria era fredda, l’asfalto umido per la pioggia della notte. Camminavo con le mani in tasca, cercando di non pensare troppo, cercando di non aspettarmi di vederla.

Ma poi la vidi.

Tresy era dall’altra parte della strada, appoggiata a un motorino che sicuramente non era suo. Indossava jeans attillati e una giacca corta che lasciava intravedere la pelle chiara del ventre. Stava fumando, con lo sguardo perso nel vuoto, finché i suoi occhi non incrociarono i miei.

Un sorriso le incurvò le labbra. Quell’espressione che ormai conoscevo fin troppo bene.

“Che coincidenza.” La sua voce era leggera, ironica. Fece un passo verso di me, soffiando via una boccata di fumo. “Mi stavi cercando?”

Non volevo darle quella soddisfazione, ma era inutile negarlo. Sapeva già la risposta.

Tresy mi venne incontro con quel suo passo rilassato, quasi felino, e il sorriso di chi ha sempre il controllo della situazione. Buttò via la sigaretta con un gesto svogliato e mi squadrò con aria divertita.

“Che faccia da cane bastonato. Ancora a pensare a me, vero?” scherzò, inclinandosi leggermente in avanti come per studiarmi meglio.

Sospirai, cercando di restare impassibile. “Non montarti la testa.”

Lei rise, scostandosi i capelli da un lato. “Troppo tardi.” Poi fece un cenno al sacchetto che avevo in mano. “E allora, che fai in giro tutto solo?”

“Ero uscito a prendere delle cose.”

“Che cose?” chiese con una curiosità quasi finta.

“Cose che servono.”

Alzò un sopracciglio. “Sai che sei misterioso? Forse è per questo che mi piaci un po’.”

Mi bloccai. Mi aveva appena detto che le piacevo? O era solo una delle sue solite prese in giro? Prima che potessi capirlo, riprese a parlare con leggerezza.

“Io invece sono scesa solo per fumare. In casa non posso, capisci? Troppi divieti, troppe regole…” Fece una smorfia annoiata, poi i suoi occhi si illuminarono di un guizzo improvviso. “Senti, ti va di fare un giro con me? Così mi fai compagnia.”

Non ci pensai troppo. “Okay.”

Il suo sorriso si allargò. “Bene. Ora ti porto in un posto.”

“Che posto?” chiesi sospettoso.

“Misterioso.” rispose lei con un’aria maliziosa, girandosi sui tacchi e facendo un cenno con la testa. “Dai, andiamo.”

La seguii senza sapere esattamente cosa aspettarmi, ma con il cuore che batteva un po’ più veloce.
scritto il
2025-02-15
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