Tentazione a pagamento capitolo 3 - “Tra le sue tette”

di
genere
etero

Camminammo per qualche minuto, con Tresy che canticchiava sottovoce mentre fumava, il fumo della sigaretta danzava nell’aria attorno a noi. Mi chiedevo dove stessimo andando, ma non osavo chiederlo. Era come se mi stesse mettendo alla prova, come se aspettasse di vedere fino a che punto sarei stato disposto a seguirla senza fare domande.

Arrivammo a un punto che conoscevo bene: le scale isolate della mia città. Di sera quel posto diventava un ritrovo per chi voleva bere o farsi senza essere disturbato, ma di giorno era deserto. Ai lati delle scale c’erano delle panchine coperte da una piattaforma, perfette per sparire dalla vista di chi passava per caso.

Tresy si diresse decisa verso una di quelle panchine e si sedette con naturalezza, allungando le gambe e incrociando le caviglie. Tirò fuori un’altra sigaretta e la accese, poi mi guardò. “Non restare in piedi come uno scemo, siediti.”

Mi sedetti accanto a lei, senza sapere bene cosa dire.

“Vedi? Non è un brutto posto.” disse, buttando fuori il fumo con un sospiro. “Tranquillo, nascosto… perfetto per fare qualsiasi cosa senza che nessuno si faccia i fatti tuoi.”

Mi lanciò un’occhiata carica di sottintesi, poi tornò a guardare davanti a sé, giocherellando con il filtro della sigaretta.

Cominciò a parlare di tutto e di niente, come faceva sempre. Scherzava, prendeva in giro la gente, commentava cose a caso con quell’aria sfrontata che la rendeva così… Tresy. Io rispondevo a monosillabi, annuivo, ridevo ogni tanto. Ma nella mia testa c’era una domanda che mi tormentava da giorni, e senza nemmeno pensarci, mi scappò.

“Perché mi tratti così bene?”

Lei si fermò un attimo, la sigaretta tra le dita. Poi si voltò verso di me con un sorriso divertito. “Io? Trattarti bene? Sei sicuro?”

“Sì.” dissi, fissandola negli occhi. “Non so… con me sei diversa. Mi stuzzichi, ma sei anche gentile. Come se ti interessasse davvero.”

Tresy inclinò la testa di lato, come se trovasse buffo quello che avevo detto. “E se fosse così?”

Mi sentii stringere lo stomaco. “È così?”

Lei non rispose subito. Prese un’ultima boccata dalla sigaretta e la spense contro la panchina. Poi si sporse leggermente verso di me, con un sorrisetto sulle labbra. “Forse mi piace vederti impazzire un po’. Forse mi diverto.”

Mi guardò negli occhi, con quella luce sfacciata e pericolosa che mi faceva perdere ogni certezza. “O forse, semplicemente, mi piaci.”

Non seppi cosa dire. Il cuore mi batteva troppo forte. Ma prima che potessi rispondere, lei si allontanò con un sorriso misterioso, come se avesse appena lanciato un’esca e aspettasse di vedere se abboccavo.

Tresy scoppiò a ridere, una risata sincera e impertinente che la fece piegare leggermente in avanti. Poi, senza preavviso, si mosse con la sua solita sicurezza e si sedette a cavalcioni su di me, bloccandomi contro la panchina. Il suo peso leggero e il calore del suo corpo mi mandarono un brivido lungo la schiena.

“O forse” disse con un sorriso malizioso, inclinando la testa mentre mi osservava con quegli occhi pieni di sfida, “sono gentile perché sei il mio cliente preferito.”

Ridacchiò, sporgendosi leggermente in avanti, facendo in modo che il suo petto sfiorasse il mio, mentre iniziava a muoversi, strusciandosi lentamente su di me. Il movimento era giocoso, ma carico di qualcosa di molto più profondo. Una provocazione, una tortura.

Mi mancò il respiro. Lei si mordeva il labbro, divertita dal mio evidente imbarazzo. “Che c’è?” chiese con tono scherzoso, continuando quel movimento sottile ma devastante. “Ti sto mettendo in difficoltà?”

Non riuscivo a rispondere. Sentivo il mio corpo reagire alla sua presenza in un modo che non potevo controllare, e sapevo che lei se ne rendeva perfettamente conto.

Tresy ridacchiò di nuovo, abbassandosi fino a sfiorarmi il mento con il naso. “Dai, rilassati.” sussurrò. “Sto solo giocando.”

Ma per me non era solo un gioco. Il mio respiro era irregolare, le mani mi tremavano leggermente mentre le tenevo poggiate ai lati della panchina, cercando disperatamente di non afferrarla per i fianchi e rispondere ai suoi movimenti.

Dopo un po’, però, si fermò. Rimase lì, a fissarmi per qualche secondo, poi il suo sguardo cambiò. Si fece più morbido, più sincero.

Si spostò da sopra di me e tornò a sedersi di fianco, incrociando le gambe e stiracchiandosi con un’espressione soddisfatta. “Alla fine, sono gentile con te perché tu lo sei con me.” disse con un sorriso appena accennato.

Quelle parole mi lasciarono spiazzato. Rimasi a fissarla, cercando di capire se stesse ancora scherzando, ma sembrava davvero sincera.

Era la prima volta che diceva qualcosa del genere. La prima volta che ammetteva, anche solo vagamente, che tra noi c’era qualcosa di più di un semplice gioco.

Mentre stavamo seduti lì, sul quella panchina nascosta, Tresy fumava con tranquillità, come se il mondo intorno a lei non esistesse. Io, invece, ero ancora perso nei pensieri di tutto quello che avevamo appena vissuto. Il modo in cui si era seduta su di me, come giocava con le parole, il suo sorriso sfacciato che sembrava sempre sapere più di quello che diceva.

Mi sentivo a mio agio con lei, in un modo strano e nuovo. Parlare con Tresy era… naturale. Anche quando mi prendeva in giro, mi faceva sorridere. E senza pensarci troppo, le chiesi la domanda che mi ronzava in testa da tempo.

“Ma… tu lo fai perché ti piace o perché ne hai bisogno?”

Appena le parole uscirono dalla mia bocca, mi resi conto di quanto potessero suonare invadenti. Gli occhi di Tresy si spostarono su di me, sorpresi.

“Cioè… scusa, non voglio farmi i fatti tuoi. Non volevo essere indelicato.” mi affrettai a dire, sentendomi un completo idiota. “Dimentica quello che ho detto.”

Lei mi guardò per qualche secondo, poi scoppiò a ridere.

“Madò, quanto sei impacciato.”

Scosse la testa, ancora sorridendo, poi aspirò dalla sigaretta e si prese qualche istante prima di rispondere. Quando parlò, il suo tono era più tranquillo, quasi serio.

“Tranquillo, non mi offendo. Me l’hanno già chiesto in tanti.”

Inspirò ancora, lasciando poi andare il fumo lentamente. “Diciamo che non è che lo faccio perché mi diverto, ma nemmeno perché ho fame. Ho casa, ho da mangiare… il problema è che a casa ci devo stare il meno possibile.”

Abbassò un attimo lo sguardo, poi lo rialzò, guardandomi con un’espressione diversa dal solito. Meno sicura, più… stanca.

“La mia famiglia mi tratta come una rinnegata. Non mi danno un euro, mi parlano a malapena. Sono come un fantasma per loro, a meno che non serva qualcuno su cui sfogarsi. Ogni giorno a casa mia è un inferno. Urla, porte sbattute, insulti. Meglio starne alla larga.”

Fece un sorriso amaro, scrollando le spalle. “Quindi sì, faccio quello che faccio per potermi comprare qualche vestito, per pagarmi una serata fuori con gli amici… Per avere un po’ di libertà, capito?”

Le sue parole mi lasciarono un nodo in gola. Non entrò nei dettagli, ma quello che aveva detto bastava per farmi immaginare la sua situazione.

Per qualche secondo rimasi in silenzio, non sapendo bene cosa dire. Poi si alzò stiracchiandosi, buttò la sigaretta a terra e la spense con la punta della scarpa.

“E a proposito di questo…” disse, scuotendo la testa con un piccolo sorriso, “ora devo andare a cercarmi un posto dove mangiare.”

Non so cosa mi prese. Forse fu il suo racconto, forse il modo in cui si era aperta con me… o forse semplicemente il desiderio di stare con lei ancora un po’.

“Se vuoi, puoi venire a pranzare da me.” le dissi, prima ancora di rendermi conto di quello che stavo dicendo. “I miei non ci sono mai, sono sempre solo in casa.”

Lei mi guardò sorpresa, poi il suo sorriso si fece più grande, quasi divertito. “Oh? Mi stai invitando ufficialmente a casa tua?”

Mi sentii subito in imbarazzo, ma ormai era fatta. “Sì… cioè, se ti va.”

Tresy mi squadrò con aria indecifrabile, poi si infilò le mani nelle tasche e si voltò verso la strada. “Mmmh… perché no? Vediamo se sai cucinare.”

Sorrise e si incamminò davanti a me, come se fosse stata lei a prendermi sotto braccio. E in quel momento mi resi conto che l’idea di averla a casa, da solo con me, mi eccitava e mi terrorizzava allo stesso tempo.

Entrammo in casa e Tresy si guardò intorno con aria curiosa, mordendosi il labbro inferiore come se stesse già architettando qualcosa. Si tolse la giacca con un gesto svogliato, lanciandola sulla prima sedia che trovò.

“E quindi questa è la famosa casa del nerd più sfigato della scuola?” disse con un sorriso malizioso. “Dove sta la tua tana segreta? Voglio vedere la stanza di un vero secchione.”

Sospirai, ma ormai ero abituato alle sue prese in giro. “Se proprio ci tieni…” dissi, facendo un cenno con la testa verso il corridoio.

Non aspettò un secondo di più: si incamminò senza vergogna, come se casa mia fosse la sua. Quando entrò nella mia stanza, si fermò sulla soglia e si guardò intorno, trattenendo a stento una risata.

“Ma che carino!” esclamò, con un tono ironico. “Mamma mia, quanti fumetti… e cos’è tutta questa roba? Figurine? Action figure? Poster di supereroi? Dai, dimmi che hai pure il pigiama con Batman.”

Mi lanciai sul letto, scrollando le spalle. “Ti diverti a prendermi in giro, eh?”

Si avvicinò alla libreria e prese in mano uno dei miei fumetti. “Oh sì, tantissimo. E poi dai, è troppo buffo. Tu che cerchi di fare il duro con me e poi torni qui a leggerti i cartoni.”

“Si chiamano fumetti, genio.”

“Sì, sì, come vuoi. Resta il fatto che sei un nerd senza speranze.”

Mi guardò con quel solito sorrisetto malizioso, poi si sedette sulla sedia della mia scrivania, incrociando le gambe con un’aria quasi regale. “Allora, chef, mi fai da mangiare o no?”

Scossi la testa, ridendo. “Vieni in casa mia e fai pure la pretenziosa?”

“Eh, certo. Voglio vedere se oltre ai fumetti sei capace di fare qualcosa di utile.”



Andai in cucina e misi su l’acqua per la pasta. Lei nel frattempo si sedette sul bancone, facendo dondolare le gambe mentre si accendeva un’altra sigaretta.

“Non si fuma in casa.” le dissi, alzando un sopracciglio.

Lei fece spallucce. “Allora apri la finestra.”

Sospirai e obbedii. Con Tresy non aveva senso discutere.

Mentre cucinavo, parlavamo di tutto e di niente. Mi raccontò di come odiava la scuola, di quanto trovasse noiosi i professori, di come alcuni ragazzi l’avessero invitata a uscire solo per vantarsene con gli amici.

“Cioè, alla fine sempre la stessa storia.” disse, soffocando uno sbadiglio. “Pensano che basti un paio di battute carine e due drink per portarmi a letto. Ma se vuoi scoparmi, devi lavorarci un po’ di più, sai?”

Mi si fermò il respiro per un secondo. “Tresy, sul serio?”

Lei scoppiò a ridere. “Oh, dai! Ti imbarazzi ancora? Dopo tutto quello che abbiamo fatto?”

Scossi la testa, cercando di concentrarmi sulla pasta. “No, è che parli di certe cose con troppa leggerezza.”

Lei si sporse in avanti, appoggiandosi al bancone con i gomiti e guardandomi dritto negli occhi. “Perché, tu invece prendi tutto troppo sul serio.”

Restammo qualche secondo a guardarci. Io con il cucchiaio in mano, lei con quel sorrisetto di sfida. Poi si rimise seduta dritta.

“Ma tranquillo, nerdone, non voglio metterti in difficoltà. Facciamo i bravi oggi.”



Quando la pasta fu pronta, ci sedemmo a tavola. Lei mangiava con gusto, come se non mettesse qualcosa di caldo nello stomaco da giorni.

“Non male.” commentò, masticando. “Ti promuovo, anche se è solo pasta. La prossima volta mi aspetto qualcosa di più impegnativo.”

“La prossima volta?” ripetei, alzando un sopracciglio.

Mi guardò con aria divertita. “E certo. Mi hai invitata a casa tua, adesso non ti libererai più di me.”

Scossi la testa, ma dentro di me non potevo negare che l’idea di averla lì, così vicina, mi piaceva più di quanto avrei mai ammesso.

“Quindi, dimmi una cosa.” disse lei, appoggiando il mento sulla mano e fissandomi. “Perché mi hai invitata? Ti faccio pena?”

Mi bloccai un secondo. “Cosa? No! Assolutamente no.”

“Allora perché? Dai, nerdone, non fare il timido.”

Abbassai lo sguardo sul piatto. “Non lo so… Mi andava. Mi piace stare con te.”

Per un attimo, il silenzio. Poi lei sorrise, un sorriso diverso dal solito. Più morbido. Più vero.

“Anche a me piace stare con te.” disse semplicemente.

E per la prima volta, sembrava che Tresy fosse sincera al cento per cento.

Dopo pranzo ci spostammo sul divano, lei si sdraiò senza troppi complimenti, mettendo le gambe sulle mie e allungandosi come se fosse a casa sua. Si accese un’altra sigaretta, soffiando il fumo verso l’alto con un’aria rilassata.

“Sai, sei proprio un bravo padrone di casa.” disse con un sorrisetto. “Mi sa che potrei abituarmi a venire qui a scroccare il pranzo.”

“Certo, e magari dovrei pure pagarti per la tua compagnia, no?” ribattei ironico.

Lei rise, dandosi una leggera pacca sulla coscia. “Ma dai, guarda che la mia compagnia vale molto, eh! Però oggi te la concedo gratis, senti che onore.”

Scrollai le spalle, fingendo indifferenza, ma era impossibile non farsi travolgere da quel suo modo di fare. Dopo un po’, iniziò a raccontarmi storie su certi ragazzi con cui era stata, alcuni suoi clienti, altri semplici sfigati che cercavano di provarci con lei.

“C’è questo tipo, sai, uno di quelli belli, palestrati, fighetto da discoteca. Mi ha scritto l’altra sera, dicendo che voleva passare una ‘serata indimenticabile’ con me. E indovina? Poi scopro che voleva pagarmi con una collanina d’oro invece che con i soldi. Pensa che schifo!”

“Una collanina? Sul serio?”

“Giuro. Diceva che valeva un sacco, ma che per me l’avrebbe ‘donata con il cuore’.” Si mise a ridere. “Cioè, mi ha scambiata per una piratessa? Cosa dovrei farci con una collanina? Andare al Monte dei Pegni?”

Io scuotevo la testa, ma dentro di me c’era un fastidio sottile che cresceva. Non mi piaceva sentire di lei con altri ragazzi, nemmeno per ridere.

Lei si accorse del mio silenzio e mi scrutò con attenzione. Poi scoppiò a ridere di nuovo e si sporse verso di me, mettendomi una mano sulla guancia. “Oh, guarda che faccia! Non dirmi che sei geloso, nerdone.”

“Non sono geloso.” dissi subito, ma il mio tono non era convinto nemmeno per me.

Lei si morse il labbro inferiore, divertita. “Mmh, ti dà fastidio sentire che sto con altra gente? Ti rode, eh? Vuoi che sia tutta per te?”

Non risposi. Lei si avvicinò ancora di più, il suo viso a pochi centimetri dal mio. Potevo sentire il suo profumo, un misto di fumo e qualcosa di dolce, forse un bagnoschiuma alla vaniglia.

“Dai, gelosone, lo sai che sei il mio cliente preferito.” sussurrò con un sorriso provocante, accarezzandomi piano la mascella.

Deglutii, il cuore che iniziava a battere più forte. “Smettila di prendermi in giro.”

“E perché? Sei troppo carino quando fai quella faccia imbronciata.”

Poi, senza preavviso, si spostò e si mise a cavalcioni su di me, proprio come aveva fatto sulle scale qualche ora prima. Solo che stavolta la situazione era diversa. Eravamo soli, a casa mia, lontani da occhi indiscreti.

Iniziò a muoversi leggermente, strusciandosi su di me, ridendo tra sé e sé. “Guarda che faccia seria che hai. Ma rilassati, nerdone, sto solo giocando con te.”

Non sapevo cosa dire. Avevo le mani sui suoi fianchi, sentivo il suo corpo caldo attraverso i vestiti. Lei si piegò in avanti, le labbra sfiorarono il mio orecchio.

“Sai una cosa?” sussurrò. “Forse mi piace farti impazzire.”

Poi si fermò all’improvviso e si rimise seduta al mio fianco con un sorrisetto soddisfatto. “Okay, basta così. Mi sono divertita abbastanza.”

Io rimasi fermo, ancora scosso dal suo gioco, sentendo il calore della sua pelle che mi era rimasto addosso. Lei prese la sigaretta e ne fece un altro tiro, come se niente fosse.

“Ti voglio proprio vedere la prossima volta.” disse, lanciandomi un’occhiata di sfida. “Chissà se avrai ancora il coraggio di invitarmi.”

La guardai, ancora scosso dal modo in cui mi aveva fatto impazzire pochi istanti prima. Il battito del cuore mi rimbombava nelle orecchie, ma cercai di non farlo trasparire.

“E se ti invitassi adesso?” dissi, con un filo di voce. “Qui, ora.”

Tresy smise per un attimo di fumare e mi fissò con un sorrisetto curioso. Poi scoppiò in una risatina bassa, soffocata.

“Oh-oh, il nerdone che prende iniziativa? Ma che sta succedendo oggi?”

Mi morsi il labbro, non sapendo se avessi fatto bene a parlare. Ma lei si sporse leggermente verso di me, gli occhi pieni di malizia.

“E con cosa vuoi pagarmi?” chiese, sfiorandomi la coscia con una mano. “Con i fumetti? Magari mi regali qualche albo raro, eh?”

Sapevo che stava scherzando, ma il modo in cui lo diceva mi mandava fuori di testa. Il suo tono era provocante, il suo tocco leggero ma elettrico sulla mia pelle.

“Non ho fumetti abbastanza rari per te.” provai a rispondere, con un sorriso imbarazzato.

“E allora che mi offri?” sussurrò, spostandosi ancora più vicino. Ora era praticamente incollata a me.

La sua mano salì lungo la mia coscia con una lentezza esasperante, sfiorandomi senza mai toccarmi davvero dove sapevo che volevo essere toccato. Mi stava punzecchiando, giocando con me come un gatto con un topo.

“Forse dovrei farti pagare con un bel favore…” disse con voce bassa, mordendosi il labbro inferiore.

Sentivo il mio respiro farsi più corto, il mio corpo rispondere a ogni suo minimo movimento. Lei se ne accorse e ridacchiò, muovendosi appena sopra di me, come se volesse farlo apposta.

“Oh, guarda un po’… stai proprio entrando nella parte, eh?” sussurrò divertita, mentre continuava a torturarmi con il suo gioco.

Chiusi gli occhi per un attimo, cercando di riprendere il controllo. Ma era inutile. Con Tresy non avevo mai il controllo. Era sempre lei a decidere. Sempre lei a giocare con me.

E io, dannazione, amavo ogni secondo.

Mi lasciavo andare contro lo schienale del divano, il respiro sempre più corto mentre Tresy continuava il suo gioco. Il suo corpo era a pochi centimetri dal mio, il suo calore mi avvolgeva, ma senza mai concedermi davvero quello che volevo.

“Ti piace così tanto quando ti tocco?” sussurrò, le dita che continuavano a sfiorarmi appena, senza mai darmi abbastanza. “Povero nerdone, sempre a fantasticare… e ora che hai me qui, non sai nemmeno cosa fare, eh?”

La sua voce era un misto di divertimento e provocazione, e la cosa peggiore era che aveva ragione. Non sapevo cosa fare. O meglio, sapevo cosa volevo, ma non riuscivo ad averlo. Lei si muoveva sopra di me con una lentezza esasperante, facendo in modo che la stoffa dei suoi jeans sfregasse contro di me proprio nel punto giusto, ma troppo piano, troppo poco.

Mi stava facendo impazzire.

Provai ad afferrare i suoi fianchi per avvicinarla di più, ma lei mi prese le mani e le spinse contro il divano, bloccandomi con un sorriso sfacciato.

“No no no, bello mio.” Scosse la testa con aria divertita. “Tu non comandi qui. Io decido quando, come e se ti faccio impazzire del tutto.”

Si abbassò leggermente, il fiato caldo che sfiorava la mia pelle. Sentivo il profumo della sua pelle, il suo respiro malizioso.

“Dai, dimmi…” continuò, con un sussurro sporco all’orecchio. “Quanto puoi resistere prima di implorarmi?”

Mi sentivo esplodere. Il suo tocco, il suo tono, tutto in lei era un gioco crudele. Sapeva benissimo cosa stava facendo. Mi voleva sul punto di cedere, voleva sentirmi supplicare.

Non volevo darle quella soddisfazione, ma ero troppo eccitato, troppo frustrato. La guardai negli occhi, con il fiato spezzato, e alla fine la domanda mi scivolò dalle labbra, bassa, disperata.

“Quanto mi costerà scoparti?”

Tresy ridacchiò piano, il fiato caldo che mi solleticava l’orecchio mentre continuava a torturarmi con la sua voce bassa e maliziosa.

“La mia fighetta non è in vendita per ora, mi spiace,” sussurrò, e l’aria mi mancò per un istante. Poi, con un tono ancora più provocante, aggiunse: “Però dai… per ora divertiamoci con altro.”

Non mi lasciò nemmeno il tempo di rispondere. Le sue dita scivolarono sotto la cintura, lente e sicure, mentre con l’altra mano mi teneva il viso girato verso di lei, obbligandomi a guardarla negli occhi.

Era bellissima così vicina, il suo sguardo divertito, sfacciato, pieno di controllo. Io ero completamente alla sua mercé, e lo sapeva.

“Ti piace quando sono io a decidere tutto, vero?” mormorò, mentre la sua mano aumentava la pressione, anche se il tessuto dei pantaloni continuava a separarmi dal suo tocco. “Sei così facile da stuzzicare…”

Provai a muovermi, a cercare di spingermi di più contro il suo palmo, ma lei si fermò di colpo, ritraendosi appena.

“No no, bello mio. Se vuoi di più, devi stare al mio gioco.”

La guardai, con il respiro pesante, il cuore che batteva forte nel petto.

“E qual è la regola del gioco?” riuscii a dire, la voce roca per l’eccitazione e la frustrazione.

Tresy si mordicchiò il labbro inferiore con aria compiaciuta, come se la mia resa la divertisse da morire. Poi si abbassò di nuovo, le labbra sfiorarono la mia mascella mentre la sua mano riprendeva a muoversi, più intensa, più decisa.

“La regola è semplice, nerdone… tu mi lasci fare quello che voglio, e io ti faccio impazzire.”

A quel punto avevo smesso di pensare. Avevo deciso di seguirla, di lasciare che fosse lei a guidarmi in quel vortice proibito. Che importava quanto mi sarebbe costato? Per quella sensazione, per quel brivido, valeva ogni singolo secondo.

Mi lascio andare contro lo schienale del divano, il respiro irregolare mentre le mani di Tresy si muovono con una sicurezza disarmante. Sa esattamente come torturarmi, come accendermi poco a poco senza mai concedermi davvero quello che voglio.

Mi fissa con un sorrisetto malizioso, le dita che sfiorano il bordo della mia maglietta. “Almeno questo me lo lasci togliere, sì?” sussurra, con quella voce bassa e tentatrice che mi fa venire i brividi.

Annuisco, incapace di dire qualcosa di sensato, e in un attimo la mia maglietta finisce sul pavimento. Lei si prende qualche secondo per osservarmi, il mento leggermente inclinato mentre fa scorrere le dita sul mio petto.

“Mmh, sei meglio di quello che pensavo, nerdone,” commenta ridacchiando. “Chi l’avrebbe mai detto?”

Arrossisco, sento il calore salirmi al viso, ma non ho tempo di pensarci perché un attimo dopo si tira su la sua maglietta, sfilandosela con una lentezza esasperante.

Resto a bocca aperta.

Era già incredibile con i suoi vestiti attillati, ma vederla lì, a pochi centimetri da me, con solo un reggiseno nero di pizzo a coprirla, è un colpo al petto. Il mio sguardo si perde nelle curve perfette, nella pelle liscia e chiara, e soprattutto nel modo in cui mi guarda, con quella sicurezza che mi distrugge.

“Ti piace la vista, eh?” sussurra, avvicinandosi ancora di più. “Mai pensato che avresti avuto una ragazza così in camera tua?”

Scuoto la testa, ancora troppo incantato per rispondere. Lei ride, si mette a cavalcioni su di me, sfiorandomi con il suo corpo caldo, e poi abbassa la testa fino a mordermi piano il lobo dell’orecchio.

“Che tenero che sei,” mormora contro la mia pelle. “Ma scommetto che qui sotto non sei per niente tenero…”










Tresy si inginocchiò davanti a me con un sorriso carico di malizia, il suo sguardo puntato dritto nei miei occhi. Le sue mani, calde e sicure, scivolavano sui miei fianchi, accarezzandomi attraverso il tessuto dei pantaloni, tracciando linee di fuoco lungo la pelle.

«Sei troppo nervoso…» sussurrò, la sua voce un soffio caldo sulla mia pelle. «Dovresti rilassarti un po’.»

Con movimenti misurati, lasciò scorrere le dita sulla fibbia della cintura, slacciandola con una lentezza esasperante, tenendo lo sguardo fisso su di me. Aprì il bottone dei jeans e li fece scivolare appena lungo le cosce, lasciandomi solo con l’intimo sottile che già tradiva il mio stato.

deglutì a fatica, il respiro pesante. La vista di lei, inginocchiata davanti a me, il suo sorriso sfrontato, il modo in cui si prendeva tutto il tempo per giocare con me, mi faceva impazzire.

Tresy ridacchiò, compiaciuta. Poi, con una lentezza calcolata, portò le mani dietro la schiena e sganciò il reggiseno, lasciandolo scivolare lungo le braccia fino a farlo cadere accanto a noi.

«Ti piace quello che vedi?» sussurrò, inclinando leggermente la testa, lasciando che il suo corpo si mostrasse senza alcuna fretta.

annuì, senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso.

Tresy si avvicinò ancora, il suo petto nudo sfiorò appena la mia pelle, mentre una delle sue mani si posava tra le sue cosce, accarezzandolo sopra il tessuto sottile con movimenti morbidi, lenti, decisi.

«Scommetto che non ti sei mai sentito così prima…» mormorò con un sorrisetto divertito, mentre con l’altra mano scivolava lungo il suo addome, lasciando leggere tracce con le unghie.

Lui sospirò, cercando di trattenersi, ma lei non gli dava tregua. Si sporse in avanti, sfiorandolo con il seno, lasciando che il calore della sua pelle e la morbidezza del suo corpo amplificassero la tensione. Poi abbassò la testa, le labbra umide lasciarono un bacio appena percettibile sulla sua pelle, seguito da un altro, e poi un altro ancora, tracciando un sentiero che lo faceva rabbrividire.

Lui sapeva che stava giocando, che voleva farlo impazzire, e non riusciva a fare altro che assecondarla, perso tra il piacere e la tortura.

Tresy si leccò le labbra, gli occhi fissi nei miei, e poi con un movimento lento si strinse attorno a me, lasciando che il suo seno morbido avvolgesse tutto, scivolando su di me con la sua pelle calda e liscia. Il contrasto tra il calore del suo corpo e la freschezza della saliva che lasciava scivolare con la bocca mi fece sussultare.

«Ti piace, eh?» sussurrò, con quel sorriso malizioso che ormai conoscevo bene.

Non riuscivo a rispondere. Il piacere era troppo intenso, ogni movimento delle sue mani e del suo corpo su di me era una tortura perfetta.

Tresy iniziò a muoversi con più decisione, facendo scorrere il suo seno intorno a me, lasciando che la sua pelle si bagnasse sempre di più. Ogni tanto abbassava la testa, aggiungendo la sua bocca al gioco, facendomi perdere completamente la testa.

«Guarda come ti sto riducendo…» ridacchiò, senza fermarsi, aumentandomi la tortura.

I miei muscoli si contrassero, il respiro si spezzò. Sentivo il piacere montare, inarrestabile, e lei lo capì prima ancora che riuscissi a dirlo. Strinse di più, accelerò il ritmo con una precisione perfetta.

Un gemito soffocato mi sfuggì dalle labbra mentre il piacere esplose dentro di me, lasciandomi senza fiato. Il mio respiro era affannato mentre lei, soddisfatta, mi lanciò uno sguardo provocante, guardando le tracce della mia passione sul suo seno e sulla sua bocca.

«Ti è piaciuto, eh?» sussurrò con un sorriso compiaciuto, leccandosi piano le labbra.

Tresy si passò una mano sul seno, raccogliendo con le dita le tracce di piacere che le avevo lasciato addosso. Con un sorriso divertito, si portò le dita alla bocca e le succhiò piano, guardandomi dritto negli occhi.

«Mmh… niente male,» ridacchiò, inclinando la testa con un’aria provocante. «Hai pure un buon sapore, nerdino.»

Mi sentii avvampare, ancora senza fiato dopo quello che aveva appena fatto. Lei si pulì con calma, senza alcun imbarazzo, e poi si sistemò sul divano come se nulla fosse, stiracchiandosi pigramente.

«Sei proprio facile da far impazzire,» mi prese in giro, mordicchiandosi un’unghia con aria soddisfatta. «Sei cotto di me, vero?»

Io accennai un sorriso, ancora stordito da quella sensazione incredibile. Nonostante il suo tono provocatorio, notai un leggero rossore sulle sue guance e il modo in cui stringeva le cosce tra loro. Era eccitata anche lei.

Decisi di approfittarne. Mi avvicinai, lasciandomi andare per una volta.

«Ehi,» le dissi con voce più sicura del solito. «Ora direi che tocca a te, no? Mi sembra giusto ricambiare il favore.»

Lei scoppiò a ridere, appoggiando la testa all’indietro.

«Ah sì? E con cosa vuoi farti pagare? Con i miei fumetti?»

Non le diedi il tempo di continuare. Mi avvicinai ancora di più e lasciai scivolare una mano sulla sua coscia, accarezzandola con lentezza. Sentii i suoi muscoli tendersi sotto il mio tocco e, per la prima volta, mi sentii io a controllare la situazione.

Tresy sollevò un sopracciglio, ancora divertita, ma non si tirò indietro.

«Mmh… stai diventando audace, eh?»

Le sue parole erano una sfida. La mia mano scivolò ancora più in alto, e lei ridacchiò di nuovo, mordendosi il labbro.

«Okay, nerdino,» sussurrò, socchiudendo gli occhi. «Vediamo se sei bravo almeno quanto me.»

Mi inginocchiai davanti a lei, il cuore che batteva forte, un misto di eccitazione e incertezza che mi divorava dall’interno. Le mie mani scivolarono lungo i suoi fianchi, e con un pizzico di esitazione iniziai a calarle i pantaloni attillati. Il tessuto aderente non voleva saperne di scivolare via facilmente, sembrava quasi aggrapparsi alla sua pelle, ma lei rise sotto il fiato e si sollevò leggermente per aiutarmi.

«Dai, nerdino, non è così difficile…» mi stuzzicò, osservandomi dall’alto con un sorriso malizioso.

Le mutandine seguirono subito dopo, e mi ritrovai davanti a lei, vulnerabile, esposta, perfetta. Sentii il mio respiro farsi più pesante mentre la guardavo, il mio sguardo indugiò sulla sua pelle liscia, sul calore che sembrava emanare dal suo corpo.

Tresy si mordicchiò un labbro, divertita dalla mia espressione persa.

«Ti piace quello che vedi?» sussurrò, giocando con una ciocca di capelli.

Annuii senza dire nulla, quasi ipnotizzato. Poi, d’istinto, allungai una mano e sfiorai la parte più intima di lei con una carezza leggera. Era calda, morbida, e sentii un fremito attraversarle il corpo.

Lei sospirò piano, poi rise.

«Più deciso,» mi disse, la sua voce un po’ più roca, come se già iniziasse a cedere. «Non ho tempo per le carezzine da bravo ragazzo.»

Quella frase mi fece scattare qualcosa dentro. Senza più pensarci troppo, mi spinsi tra le sue cosce e lasciai che il mio viso affondasse in quel calore invitante. Il suo profumo mi avvolse completamente, e il suo corpo si irrigidì per un istante prima di rilassarsi contro il divano.

Un sospiro più profondo le sfuggì dalle labbra.

«Oh… così va meglio,» mormorò, una mano che scivolava tra i miei capelli, stringendoli piano per guidarmi. «Continua…»

La mia lingua esplorò la sua pelle con curiosità e desiderio, mentre sentivo i suoi fianchi fremere sotto di me. Il suo respiro si fece più irregolare, la sua mano si strinse di più tra i miei capelli e il suo corpo iniziò a muoversi contro di me, seguendo il ritmo dei miei movimenti.

Tresy lasciò andare un piccolo gemito e mi tirò indietro per un attimo, guardandomi con un sorriso sporco.

«E chi l’avrebbe detto…» ansimò, stringendo le gambe intorno a me. «Sei più bravo di quanto pensassi.»

Mi teneva la testa ferma tra le sue cosce, le dita intrecciate tra i miei capelli mentre il suo respiro diventava sempre più affannoso. Ogni tanto sentivo il suo corpo sussultare sotto di me, i suoi gemiti soffocati da un sorriso divertito.

«Oh, guarda un po’…» ansimò, tirandomi leggermente i capelli per farmi rallentare. «Stai imparando… pian piano.»

La sua voce era roca, quasi compiaciuta, ma io non mi fermai. Sentii le sue gambe stringermi di più, il suo respiro accelerare e poi, dopo un attimo in cui tutto sembrò tendersi, un gemito più lungo le sfuggì dalle labbra. Il suo corpo tremò contro di me, e le sue dita si aggrapparono con forza ai miei capelli mentre si lasciava andare completamente.

Rimasi lì qualche secondo, il viso ancora affondato tra le sue cosce, sentendola rilassarsi piano piano. Poi, con un ultimo respiro profondo, allentò la presa e si lasciò cadere contro lo schienale del divano, gli occhi ancora socchiusi e un sorriso soddisfatto sulle labbra.

«Niente male, nerdino,» disse ridendo, scostandomi piano con la gamba. «Pensavo di doverti dare ripetizioni anche su questo, e invece te la cavi.»

Mi passai il dorso della mano sulle labbra, cercando di recuperare fiato, mentre lei mi guardava con quel suo sguardo furbo, malizioso.

«Allora…» dissi, cercando di riprendere il controllo della situazione. «Ti faccio lo sconto oggi, però voglio essere pagato anche io.»

Tresy rise di gusto, tirandosi un po’ su e dandomi un buffetto sulla guancia.

«Ah sì? E quanto chiedi?»

«Be’, considerato il servizio direi almeno quanto prendi tu,» risposi, cercando di sembrare serio.

Lei mi guardò per un attimo, poi scoppiò a ridere di nuovo.

«Ma dai, sciocco,» disse, sistemandosi i capelli. «Facciamo che questo era il tuo modo per ringraziarmi per il pranzo.»

Mi lanciò un’occhiata furba, poi si tirò su dal divano, recuperando i suoi vestiti con una lentezza esasperante. Si chinò per infilarsi i pantaloni, facendolo apposta per mettermi alla prova, poi si voltò verso di me con un sorrisetto.

«Sei stato bravo, davvero,» disse mentre si sistemava la maglia. «Però non farti strane idee, eh? Siamo solo… amici di piacere.»

Mi diede un bacio sulla guancia, come se nulla fosse, e si avviò verso la porta.

«A presto, nerdino.»

La osservai andare via, e anche se mi aveva appena detto di non farmi strane idee, sapevo che non era finita lì. Tresy era come un fuoco che bruciava piano, ma io sentivo che volevo ancora di più.
scritto il
2025-02-16
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