Il gioco della ninfomane tettona - capitolo 3 di 4
di
Astronomo
genere
tradimenti
la mattina dopo.
Non ce la facevo più.
Lei mi voleva. Lo sapevo.
Ogni sguardo, ogni parola, ogni sfioramento era una condanna. Eppure, ogni volta che cercavo di prenderla, si ritraeva all’ultimo secondo.
Oggi no. Oggi sarei stato io a dettare le regole.
Mi svegliai presto, andai in spiaggia e mi sistemai vicino al bar. Aspettai.
E alla fine arrivò.
Shorts cortissimi, top dell’animazione attillato. Le gambe perfette, il seno che sembrava voler esplodere dalla maglietta.
Mi ignorò per qualche minuto, giocando con i bambini.
Poi, sentendosi osservata, si girò.
Il nostro sguardo si incrociò.
E fu guerra.
Si avvicinò lentamente, camminando sulla sabbia con una calma assassina.
Poi mi passò accanto, sfiorandomi il braccio con il suo fianco.
Mi avvicinai subito, senza darle tregua. “Giochi sporco.”
Si voltò, facendo finta di essere sorpresa. “Io? Ma se sono un angelo.”
Mi abbassai verso di lei. “Gli angeli non si muovono così.”
Lei sorrise. “Forse sei tu che hai troppi pensieri strani.”
Le afferrai il polso.
Si fermò di colpo. Il respiro accelerò appena.
“Dimmi che non mi vuoi,” le dissi piano.
Lucrezia si morse il labbro.
Poi tirò via la mano con uno scatto. “Non voglio tradire il mio ragazzo.”
Ma non disse che non mi voleva.
quel pomeriggio.
La piscina era quasi vuota. L’orario perfetto.
Io ero appoggiato al bordo, rilassato. O almeno ci provavo.
Lei arrivò come sempre, ma stavolta non si mise con i bambini.
Mi lanciò un’occhiata veloce.
E poi entrò in acqua.
Nuotò fino a me.
Si fermò a un soffio di distanza. Il suo corpo si mosse sotto l’acqua, scivolando contro il mio.
Una tortura.
“Sai,” mi sussurrò, “oggi mi hai preso per il polso.”
Le scostai una ciocca di capelli umidi dalla guancia. “E non ti è dispiaciuto.”
Lei rise piano. Poi, con una lentezza letale, prese la mia mano e la spinse sulla sua coscia sott’acqua.
Un brivido mi attraversò la schiena.
Lei lo sentì.
E sorrise.
Si morse il labbro, spingendo la mia mano un po’ più su.
Il mio respiro si fece irregolare.
La desideravo. Maledizione, la volevo più di qualsiasi cosa.
Ero a un soffio dal prenderla.
Ma poi…
Mi lasciò andare di colpo e si allontanò, appoggiandosi al bordo opposto.
Mi guardò con un sorriso malizioso.
“Basta giocare, sfigatello. Ho un fidanzato.”
Mi lasciò lì, immerso nell’acqua, completamente fuori di testa.
L'avevo capito: Lucrezia giocava sporco.
Mi provocava, mi spingeva al limite, mi faceva desiderare tutto... per poi negarmelo.
Ma quella sera, non l’avrei lasciata scappare.
Aspettai la fine delle attività serali con una calma apparente, il cuore che batteva troppo forte nel petto. La vidi uscire dalla zona animazione, da sola, mentre sistemava distrattamente la sua divisa.
Mi mossi senza pensarci.
Le presi il polso con decisione. “Vieni con me.”
Lei mi guardò sorpresa, ma non fece resistenza. Sapeva benissimo dove volevo portarla.
La piscina era deserta, illuminata solo dalle luci soffuse che si riflettevano sull’acqua calma. Un luogo perfetto, nascosto, silenzioso. Solo noi due.
Lucrezia si sedette su una sdraio, allungando le gambe con quella sua naturale sensualità. Il pantaloncino della divisa si era sollevato appena, mostrando l’inizio delle cosce. Non riuscivo a guardare altro.
Lei se ne accorse. Ovviamente.
Si morse il labbro con un sorriso malizioso. “Allora? Perché mi hai portata qui?”
Incrociai le braccia, spostando lo sguardo su di lei. Giocava con me. Io avrei giocato con lei.
“Dimmi che non mi vuoi,” dissi, con un tono più profondo del solito. “E me ne vado.”
Un lampo di sorpresa attraversò i suoi occhi scuri.
Non se l’aspettava.
Per la prima volta, ero io a spingerla al limite.
La vidi inumidirsi le labbra con la lingua. Poi, lentamente, si alzò.
Si avvicinò fino a che i nostri corpi quasi si sfioravano. Il suo profumo mi riempì i sensi. Mi faceva impazzire.
Non disse nulla.
Si limitò a guardarmi, con quel maledetto sguardo che mi sfidava.
Poi si spinse ancora più vicino.
La sua coscia si strusciò leggermente contro la mia.
Mi prese la mano e la fece scorrere piano sulla curva morbida del suo fianco. Il tessuto sottile della maglietta mi permetteva di sentire il calore della sua pelle.
Si fermò a un passo dal mio viso.
Le sue labbra sfiorarono le mie.
Ma non mi baciò.
Mi tenne sospeso nel nulla, il fiato caldo che mi solleticava la bocca, mentre i suoi occhi bruciavano dentro ai miei.
Poi sussurrò con un sorriso da diavolo:
“E se invece volessi giocare ancora un po’?”
Lucrezia voleva giocare? Bene. Ora avremmo giocato fino in fondo.
Mi fissava con quell’aria sfrontata, il corpo troppo vicino al mio, le labbra pericolosamente sfiorate senza concedere un vero bacio. Mi stava facendo impazzire.
“Un altro gioco?” le chiesi, stringendo le dita sul suo fianco.
Lei sorrise con finta innocenza, poi si allungò sulla sdraio con una grazia disarmante, stirandosi piano, facendo scivolare l’orlo dei pantaloncini ancora più su. Perfettamente consapevole dell’effetto che aveva su di me.
“Allora…” fece scorrere il dito sul bordo della sdraio, pensierosa. “Facciamo una sfida di resistenza.”
Sollevai un sopracciglio. “Che tipo di resistenza?”
Lucrezia si avvicinò, il mento appoggiato alla mano, lo sguardo ipnotico. Mi studiava.
“Vince chi resiste di più al tocco dell’altro senza cedere.”
Merda.
Era un gioco pericoloso, ed entrambi sapevamo come sarebbe finita. Ma ero pronto a rischiare.
Mi sistemai meglio sulla sdraio. “Sei sicura di poter vincere?”
Lei rise piano, inclinando la testa. “Oh, tesoro… tu non hai idea di chi hai davanti.”
Fu lei a iniziare.
Si alzò lentamente, scivolando sulla mia sdraio fino a ritrovarsi a cavalcioni su di me.
Non potevo più muovermi. Il suo bacino era premuto sul mio.
“Vediamo chi cede per primo…” sussurrò, mordendosi il labbro mentre mi guardava dall’alto in basso.
Cristo santo.
Si mosse appena, quel tanto che bastava a farmi sentire ogni centimetro del suo corpo contro il mio.
“Ti vedo teso,” ridacchiò, facendomi scorrere le dita lungo il petto, scendendo piano, troppo piano, fino all’orlo della maglietta.
Era impossibile resisterle.
Allungai le mani per prenderle i fianchi, ma lei me le bloccò, scuotendo la testa. “No, no. Se vuoi toccarmi, devi prima vincere.”
Stronza.
Respirai a fondo, cercando di mantenere il controllo, ma lei non aveva finito. Si sporse in avanti, facendomi sentire il suo seno contro il mio torace, le labbra pericolosamente vicine al mio collo.
“Resisti ancora?” sussurrò contro la mia pelle.
Chiusi gli occhi un secondo, cercando di non cedere. Ma lei non si fermava. Era una tortura lenta, esasperante.
La sua bocca sfiorò il mio orecchio, un sospiro caldo. “Non vuoi perdere il controllo con me?”
Lo stavo già perdendo.
Allora decisi di contrattaccare.
Le mie mani si mossero in una frazione di secondo: la afferrai per i fianchi e la spinsi sulla schiena, invertendo le posizioni. Ora ero io sopra di lei.
Lucrezia rise, eccitata dalla mia reazione. “Oh, quindi vuoi giocare duro?”
Abbassai la testa, lasciando che le mie labbra sfiorassero appena la sua spalla. “Vediamo chi resiste davvero…”
Le scivolai lungo il collo con la bocca, fino alla clavicola. La sentii tremare sotto di me. Avevo vinto.
Improvvisamente, mi spinse via con un sorriso furbo. Non aveva ancora finito con me.
salì di nuovo sopra di me senza esitazione e questa volta con movimenti più intensi.
Lei era brava. Dannatamente brava.
Lucrezia si muoveva sopra di me con una sicurezza disarmante, il bacino che sfiorava il mio in movimenti lenti e ipnotici. Una tortura lenta, continua, esasperante.
“Scommetto che stai impazzendo,” sussurrò vicino al mio orecchio, la sua voce un soffio caldo contro la pelle.
Aveva ragione. Cristo, se aveva ragione.
Cercai di restare fermo, di non cedere. Stringevo i pugni ai lati del lettino della sdraio, concentrandomi su qualsiasi cosa che non fosse lei, che non fosse il suo corpo addosso al mio, le sue labbra che sfioravano appena la mia pelle senza mai baciarmi davvero.
“Non vuoi perdere il controllo con me?” mi provocò, lasciando scorrere la punta del naso lungo la mia mascella, appena un centimetro sopra le labbra.
Bastava un millimetro e l’avrei baciata.
Bastava che abbassassi la testa, che lasciassi andare il respiro che mi stavo trattenendo.
E poi lo fece.
Si abbassò di quel millimetro. Sfiorò le mie labbra con le sue, ma senza baciarmi.
Persi il controllo.
Le mani si sollevarono da sole, la afferrai per i fianchi per bloccarla contro di me, per farle sentire quanto mi stava facendo impazzire. Cercai il suo bacio, lo volevo, lo pretendevo.
Ma appena i nostri corpi si strinsero troppo, Lucrezia si fermò.
Un sorrisetto soddisfatto si allargò sulle sue labbra. “Hai perso.”
La guardai, il respiro pesante, la frustrazione che mi bruciava addosso. “Cosa?”
Lei rise, scivolando via da sopra di me con la grazia di una dannata sirena. Si sistemò la maglietta, stirandola sul petto come se niente fosse, poi mi guardò con quegli occhi scuri, pungenti. Fiera della sua vittoria.
“Ti ho detto che il gioco era resistere,” mi ricordò, incrociando le braccia sotto il seno. “E tu hai ceduto per primo.”
Dannazione.
Mi tirai su a sedere, ancora col fiato corto. Lei mi fissava con aria divertita, come se si stesse godendo ogni singolo secondo della mia frustrazione.
“Allora,” dissi, cercando di riprendermi, “che pegno devo pagare?”
Lucrezia si avvicinò, troppo vicina. Scivolò con le mani lungo il bordo della mia maglietta, poi afferrò il tessuto e iniziò a tirarlo su.
Me la fece togliere.
“Sei troppo vestito,” commentò con un sorrisetto. “Ora molto meglio.”
Rimasi in mutande davanti a lei, il petto scoperto, il respiro ancora irregolare. Lei invece era ancora vestita, ancora intoccabile.
Era una condanna.
Si accovacciò accanto a me, mi passò un dito sul petto, lentamente. “Ma non è abbastanza,” mormorò.
Deglutii. Cristo, voleva umiliarmi?
“Allora che altro devo fare?” chiesi, la voce roca.
Lucrezia si mordicchiò il labbro, poi si abbassò fino a sussurrarmelo all’orecchio.
E quello che mi disse mi fece perdere completamente la testa.
Lucrezia si avvicinò ancora, fino a sfiorarmi l’orecchio con le labbra. Il suo respiro caldo mi accarezzò la pelle, mandandomi un brivido lungo la schiena.
“Voglio che ti tocchi davanti a me.”
Il mondo si fermò.
Mi irrigidii, il cuore che martellava nel petto. “Cosa?”
Lei si allontanò appena per guardarmi negli occhi, quel sorrisetto malizioso ancora sulle labbra. Era seria.
“Sei eccitato, no?” mi sussurrò. “Lo vedo benissimo…” Il suo sguardo scese, indugiando senza vergogna sulle mie mutande. “Paghi il pegno, oppure sei un coniglietto?”
Dannata Lucrezia.
Mi sfidava, mi metteva all’angolo, e sapeva che non potevo tirarmi indietro.
Deglutii, il respiro pesante. Il desiderio mi divorava, e lei lo sapeva bene. Era un gioco crudele, eppure non riuscivo a fermarla.
Lei si mise comoda, si sdraiò sul lettino accanto a me, appoggiando il gomito sul bracciolo per sorreggere la testa. Mi guardava, aspettava.
Lucrezia non si era mai tirata indietro. Mai.
E nemmeno io lo avrei fatto.
Il suo sorrisetto soddisfatto mi sfidava, gli occhi scuri che mi studiavano senza imbarazzo mentre rimaneva sdraiata sulla sdraio accanto alla mia, il gomito piegato, la testa appoggiata sulla mano. Sapeva che l’avrei fatto.
Voleva vedermi cedere.
Bene.
Con il respiro pesante e il cuore che batteva all’impazzata nel petto, lasciai scivolare una mano sotto l’elastico delle mutande. Il contatto mi fece rabbrividire, il calore del mio stesso corpo mi travolse.
Lucrezia non abbassò lo sguardo nemmeno per un istante. Anzi, si morse il labbro, socchiudendo leggermente gli occhi mentre mi osservava, il respiro più profondo.
“Sei incredibile…” mormorò, quasi divertita, facendo scorrere lentamente la lingua sulle labbra.
Lei si stava godendo ogni secondo.
Stringendo i denti, spostai lo sguardo su di lei, che rimaneva lì, ad ammirarmi, senza il minimo accenno di vergogna. Non si toccava, non faceva nulla. Ma i suoi occhi parlavano.
“Sto pensando a te,” sussurrai, la voce roca, tagliente.
Lei sgranò gli occhi per un attimo, sorpresa dalla mia sfacciataggine. Poi ridacchiò, scuotendo la testa.
“Oh, davvero?” disse, inclinando leggermente il viso. Il suo sorriso si fece più spietato.
Si tirò su, con calma, fino a mettersi a cavalcioni sulla sdraio. I suoi fianchi oscillavano leggermente, il seno si muoveva con ogni suo respiro.
E poi, con una lentezza disarmante, portò le mani all’orlo della maglietta e la sollevò, lasciandola cadere di lato.
Era senza reggiseno.
Il mio respiro si bloccò.
I suoi seni erano perfetti, pieni, la pelle calda e ancora leggermente lucida dal sudore della giornata. I suoi capezzoli si indurirono nell’aria fresca della notte, e lei non fece nulla per coprirsi.
Mi guardava e aspettava.
Sapeva benissimo cosa stava facendo.
La mia mano si mosse con più sicurezza, mentre il piacere si faceva sempre più intenso. Lei mi guardava e rideva appena, perfettamente consapevole di tutto.
Poi inclinò leggermente la testa, guardandomi con quegli occhi di fuoco e io le dissi: “Chissà se al tuo ragazzo piacerebbe quello che stai facendo…” sussurrai, perfido.
Uno schiocco nel cervello.
Una fitta di pura rabbia e desiderio la trafisse.
Prima che potessi fermarmi, lei allungò una mano e mi afferrò l’intimità con decisione.
Un gemito soffocato mi sfuggì dalle labbra.
Era una morsa decisa, possessiva, dominante.
I suoi occhi si inchiodarono nei miei, il sorriso sulle labbra era puro veleno.
“Ti piace?” mormorò, stringendo leggermente.
Non riuscivo nemmeno a parlare.
Lei rise, compiaciuta. Poi lasciò la presa e si rimise la maglietta, con la stessa calma con cui l’aveva tolta.
Mi lanciò un’ultima occhiata, poi si avvicinò al mio orecchio e sussurrò:
“Buonanotte, bamboccio.”
E se ne andò, lasciandomi lì. Impazzito.
Non riuscivo a togliermela dalla testa.
Ogni immagine della sera prima mi tormentava. Il suo sguardo sfacciato, il suo seno perfetto esposto con disinvoltura, il modo in cui mi aveva afferrato senza esitazione, senza paura.
Mi svegliai con il corpo ancora teso, il desiderio così forte da far male. Ero impazzito.
Rimasi chiuso nel bungalow tutta la mattina, cercando di rimettere insieme i pezzi. Ma come diavolo si faceva a rimanere indifferenti dopo una cosa del genere?
Alla fine, nel primo pomeriggio, decisi di uscire e andai in piscina. Volevo vederla. Anche se non ero sicuro di come avrei reagito.
E infatti…
Appena la vidi, il respiro mi si bloccò.
Lucrezia era sempre lei: solare, disinvolta, con quell’allegria leggera che la rendeva irresistibile. Indossava il costume a due pezzi dell’animazione, quello ufficiale del villaggio, ma su di lei sembrava un’arma di distruzione di massa.
Il pezzo superiore stringeva il suo seno abbondante, lasciando scoperte le spalle abbronzate e quel contrasto più chiaro sulla pelle del décolleté, che mi faceva impazzire. Il pezzo inferiore era uno slip sgambato, che metteva in risalto le sue cosce tornite e il fondoschiena perfetto. Non c’era niente di esagerato in quell’outfit, ma su di lei ogni dettaglio sembrava studiato per farmi perdere la testa.
Mi vidi riflesso nell’acqua della piscina: ero teso, rigido, con gli occhi puntati su di lei come un uomo affamato.
E lei?
Rideva e scherzava con gli altri animatori, come se niente fosse successo. Come se non mi avesse distrutto la sera prima.
Io non avevo il coraggio di provocarla.
Troppo rischioso. Troppo pericoloso.
Ma non servì.
Perché fu lei a venire da me.
Si avvicinò con quella sua andatura leggera, il corpo ancora bagnato dall'acqua della piscina, le gocce che le scivolavano lungo la pelle abbronzata, giù per il collo, fino al seno.
Lo slip del costume le aderiva perfettamente, e la pelle lucida rendeva ogni curva ancora più evidente. Era una visione da infarto.
Si fermò accanto a me, troppo vicina. Il suo fianco sfiorò il mio, e la sua voce calda mi accarezzò l’orecchio.
"Sei sparito stamattina."
Deglutii, cercando di non tradirmi. Dovevo essere distaccato. Dovevo essere forte.
"Ero stanco," dissi con un'alzata di spalle.
Lucrezia rise piano. "O forse… avevi bisogno di sfogarti?"
Mi irrigidii. I suoi occhi sapevano troppo.
Non risposi. Non volevo darle il controllo.
Ma lei non aveva bisogno di parole per sapere che mi aveva in pugno.
Si sedette sul bordo della piscina e si lasciò cadere all'indietro, allungandosi con un movimento lento e studiato. Le sue gambe si distesero accanto alle mie, il suo busto si arcuò leggermente, e il suo seno si sollevò in modo quasi ipnotico.
Mi lanciò un'occhiata di sfida.
"Che c’è? Sei timido oggi?"
Dovevo reagire.
Mi voltai verso di lei e mi sporsi, lasciando che il mio viso si avvicinasse al suo. Troppo vicino.
"Ti piacerebbe, vero?" mormorai.
Lei sorrise e, con una lentezza esasperante, fece scivolare una mano sul mio petto nudo. Un tocco leggero, quasi innocente. Ma il suo sguardo diceva tutto il resto.
"Chissà…" sussurrò, tracciando con le dita una linea invisibile sulla mia pelle. "Forse mi piace vederti così."
Era una tortura.
E io non ce la facevo più.
Mi alzai di scatto, prendendola per il polso. Non forte, ma abbastanza da farle capire che non volevo più stare al gioco senza reagire.
Lei mi guardò, sorpresa ma divertita. "Oh… così mi trascini via?"
"In un posto più tranquillo," dissi, la voce bassa, tesa. "Visto che ti piace così tanto giocare…"
Lei rise, ma non si tirò indietro. Lasciò che la guidassi via dalla piscina, oltre il bar, tra i vialetti del villaggio.
Ci infilammo in uno degli spogliatoi vicino ai campi sportivi, quelli piccoli e angusti, con una porta mezza rotta e la luce fioca. Era appena sufficiente per vederla chiaramente.
E bastava.
Sbattei la porta dietro di noi e, prima che potesse dire qualcosa, la spinsi delicatamente contro il muro.
I suoi occhi si accesero.
"Oh…" mormorò con un sorriso malizioso. "Sei diventato audace tutto a un tratto?"
"Ti piaceva quando ero timido?" ribattei a denti stretti.
Lei si mordicchiò il labbro, lo sguardo infuocato.
Le mie mani scivolarono sui suoi fianchi, le dita a sfiorare la pelle ancora umida dal bagno. Era calda, morbida. Un dannato incantesimo.
Mi avvicinai ancora di più, il mio petto sfiorò il suo. "Dimmi che non mi vuoi," la sfidai.
Lucrezia sollevò il mento, provocante. "Dimmi tu che smetterai di desiderarmi."
Dannata strega.
La mia bocca sfiorò la sua, il respiro intrecciato. Era troppo.
E poi, quando ero a un soffio dal baciarla…
Lei sorrise e mi spinse indietro, le mani piantate contro il mio petto.
"Sei sicuro di poter gestire questo gioco?" sussurrò.
La osservai, con il petto che si sollevava e abbassava rapido. Cosa voleva? Perché mi portava sempre al limite per poi fermarsi?
Ma questa volta… questa volta non poteva più tirarsi indietro.
Le afferrai i polsi e la bloccai contro il muro, il mio respiro contro il suo collo. "Questa volta non scappi," mormorai.
E fu allora che cedemmo entrambi.
La sua bocca trovò la mia in un bacio feroce, affamato, tutto ciò che avevamo trattenuto fino a quel momento esplose in un istante.
Le mani di Lucrezia si aggrapparono alle mie spalle, le sue unghie affondarono appena nella pelle. Il mio corpo la premette contro il muro, i suoi fianchi combaciavano perfettamente con i miei.
Era bollente. E io la volevo come non avevo mai voluto niente in vita mia.
Ma anche in quel momento, anche mentre la tensione ci consumava, lei non smise di giocare.
Si staccò appena, le sue labbra a un soffio dalle mie. "E il mio ragazzo?" sussurrò, con una malizia crudele.
Non me ne fregava più niente.
Ma prima che potessi dirlo, la sua mano scivolò giù, decisa, a stringermi senza esitazione.
Mi mancò il fiato.
"E adesso?" mormorò, stringendo un po’ di più. "Pensi ancora a lui… o solo a me?"
Mi morse il labbro, mi affondò le unghie nella schiena, come se volesse marchiarmi.
E poi, con una lentezza assassina, si tirò via il sopra del costume.
Rimasi senza fiato.
Il suo seno nudo, perfetto, a pochi centimetri da me.
Lucrezia lo sfiorò con le mani, poi si passò un dito sulle labbra e mi guardò con una sfida accesa negli occhi.
“Allora?”
Persi la testa.
Mi abbassai su di lei e la mia bocca si chiuse su uno dei suoi seni, i miei denti sfiorarono la pelle tesa, la mia lingua giocò con il suo capezzolo duro.
Lei gemette piano, mordendosi il pugno per non fare rumore.
Mi strinse la testa contro di sé, spingendomi a continuare.
La volevo completamente. Lei lo sapeva.
E poi la sua mano scese più giù.
Mi sentii bruciare vivo.
Le nostre bocche si cercarono di nuovo, mordendosi, divorandosi, incatenandosi in un gioco feroce.
La mia mano scivolò sotto il bordo del suo slip, pronta a…
TUM.
Un colpo alla porta.
Ci irrigidimmo.
Una voce dall’esterno:
“Ehi, c’è qualcuno dentro?”
Il cuore mi esplose nel petto.
Lucrezia si immobilizzò, ma nei suoi occhi c’era più eccitazione che paura.
Mi fissò con un sorriso pericoloso, poi si portò un dito sulle labbra.
Silenzio.
Rimanemmo immobili, i nostri corpi ancora incollati, a un millimetro dall’irreparabile.
Il silenzio si spezzò con un’altra voce dall’esterno:
“Ehi, tutto ok lì dentro?”
Lucrezia mi guardò con un sorriso pericoloso e poi, senza scomporsi minimamente, si staccò da me e si abbassò il costume con una calma disarmante. Come se non fossimo appena stati sul punto di esplodere.
Si schiarì la voce e rispose, con un tono perfettamente naturale:
“Sì, scusa, ho avuto un problema col costume, si era incastrato. Ma esco subito.”
Dall’altra parte la persona sembrò accettare la spiegazione, perché si allontanò senza altre domande.
Lucrezia si voltò verso di me con quello sguardo che mi faceva impazzire, a metà tra l’innocenza e la più feroce delle provocazioni. Si avvicinò di nuovo, mi prese il viso tra le mani e sfiorò appena le mie labbra con le sue.
“Vediamo cosa succede stanotte.”
Un brivido mi attraversò la schiena.
Lei mi fissò ancora per un secondo, poi girò la maniglia e sgusciò fuori con una disinvoltura perfetta, come se nulla fosse accaduto.
Io rimasi lì, nel minuscolo spogliatoio che ancora tratteneva l’odore della sua pelle e il calore dei nostri corpi, con il cuore che martellava nel petto e un desiderio che mi stava distruggendo.
Dovevo aspettare qualche minuto prima di uscire. Dovevo calmarmi.
Ma sapevo che non ci sarebbe stato nulla di calmo in quella notte.
Non ce la facevo più.
Lei mi voleva. Lo sapevo.
Ogni sguardo, ogni parola, ogni sfioramento era una condanna. Eppure, ogni volta che cercavo di prenderla, si ritraeva all’ultimo secondo.
Oggi no. Oggi sarei stato io a dettare le regole.
Mi svegliai presto, andai in spiaggia e mi sistemai vicino al bar. Aspettai.
E alla fine arrivò.
Shorts cortissimi, top dell’animazione attillato. Le gambe perfette, il seno che sembrava voler esplodere dalla maglietta.
Mi ignorò per qualche minuto, giocando con i bambini.
Poi, sentendosi osservata, si girò.
Il nostro sguardo si incrociò.
E fu guerra.
Si avvicinò lentamente, camminando sulla sabbia con una calma assassina.
Poi mi passò accanto, sfiorandomi il braccio con il suo fianco.
Mi avvicinai subito, senza darle tregua. “Giochi sporco.”
Si voltò, facendo finta di essere sorpresa. “Io? Ma se sono un angelo.”
Mi abbassai verso di lei. “Gli angeli non si muovono così.”
Lei sorrise. “Forse sei tu che hai troppi pensieri strani.”
Le afferrai il polso.
Si fermò di colpo. Il respiro accelerò appena.
“Dimmi che non mi vuoi,” le dissi piano.
Lucrezia si morse il labbro.
Poi tirò via la mano con uno scatto. “Non voglio tradire il mio ragazzo.”
Ma non disse che non mi voleva.
quel pomeriggio.
La piscina era quasi vuota. L’orario perfetto.
Io ero appoggiato al bordo, rilassato. O almeno ci provavo.
Lei arrivò come sempre, ma stavolta non si mise con i bambini.
Mi lanciò un’occhiata veloce.
E poi entrò in acqua.
Nuotò fino a me.
Si fermò a un soffio di distanza. Il suo corpo si mosse sotto l’acqua, scivolando contro il mio.
Una tortura.
“Sai,” mi sussurrò, “oggi mi hai preso per il polso.”
Le scostai una ciocca di capelli umidi dalla guancia. “E non ti è dispiaciuto.”
Lei rise piano. Poi, con una lentezza letale, prese la mia mano e la spinse sulla sua coscia sott’acqua.
Un brivido mi attraversò la schiena.
Lei lo sentì.
E sorrise.
Si morse il labbro, spingendo la mia mano un po’ più su.
Il mio respiro si fece irregolare.
La desideravo. Maledizione, la volevo più di qualsiasi cosa.
Ero a un soffio dal prenderla.
Ma poi…
Mi lasciò andare di colpo e si allontanò, appoggiandosi al bordo opposto.
Mi guardò con un sorriso malizioso.
“Basta giocare, sfigatello. Ho un fidanzato.”
Mi lasciò lì, immerso nell’acqua, completamente fuori di testa.
L'avevo capito: Lucrezia giocava sporco.
Mi provocava, mi spingeva al limite, mi faceva desiderare tutto... per poi negarmelo.
Ma quella sera, non l’avrei lasciata scappare.
Aspettai la fine delle attività serali con una calma apparente, il cuore che batteva troppo forte nel petto. La vidi uscire dalla zona animazione, da sola, mentre sistemava distrattamente la sua divisa.
Mi mossi senza pensarci.
Le presi il polso con decisione. “Vieni con me.”
Lei mi guardò sorpresa, ma non fece resistenza. Sapeva benissimo dove volevo portarla.
La piscina era deserta, illuminata solo dalle luci soffuse che si riflettevano sull’acqua calma. Un luogo perfetto, nascosto, silenzioso. Solo noi due.
Lucrezia si sedette su una sdraio, allungando le gambe con quella sua naturale sensualità. Il pantaloncino della divisa si era sollevato appena, mostrando l’inizio delle cosce. Non riuscivo a guardare altro.
Lei se ne accorse. Ovviamente.
Si morse il labbro con un sorriso malizioso. “Allora? Perché mi hai portata qui?”
Incrociai le braccia, spostando lo sguardo su di lei. Giocava con me. Io avrei giocato con lei.
“Dimmi che non mi vuoi,” dissi, con un tono più profondo del solito. “E me ne vado.”
Un lampo di sorpresa attraversò i suoi occhi scuri.
Non se l’aspettava.
Per la prima volta, ero io a spingerla al limite.
La vidi inumidirsi le labbra con la lingua. Poi, lentamente, si alzò.
Si avvicinò fino a che i nostri corpi quasi si sfioravano. Il suo profumo mi riempì i sensi. Mi faceva impazzire.
Non disse nulla.
Si limitò a guardarmi, con quel maledetto sguardo che mi sfidava.
Poi si spinse ancora più vicino.
La sua coscia si strusciò leggermente contro la mia.
Mi prese la mano e la fece scorrere piano sulla curva morbida del suo fianco. Il tessuto sottile della maglietta mi permetteva di sentire il calore della sua pelle.
Si fermò a un passo dal mio viso.
Le sue labbra sfiorarono le mie.
Ma non mi baciò.
Mi tenne sospeso nel nulla, il fiato caldo che mi solleticava la bocca, mentre i suoi occhi bruciavano dentro ai miei.
Poi sussurrò con un sorriso da diavolo:
“E se invece volessi giocare ancora un po’?”
Lucrezia voleva giocare? Bene. Ora avremmo giocato fino in fondo.
Mi fissava con quell’aria sfrontata, il corpo troppo vicino al mio, le labbra pericolosamente sfiorate senza concedere un vero bacio. Mi stava facendo impazzire.
“Un altro gioco?” le chiesi, stringendo le dita sul suo fianco.
Lei sorrise con finta innocenza, poi si allungò sulla sdraio con una grazia disarmante, stirandosi piano, facendo scivolare l’orlo dei pantaloncini ancora più su. Perfettamente consapevole dell’effetto che aveva su di me.
“Allora…” fece scorrere il dito sul bordo della sdraio, pensierosa. “Facciamo una sfida di resistenza.”
Sollevai un sopracciglio. “Che tipo di resistenza?”
Lucrezia si avvicinò, il mento appoggiato alla mano, lo sguardo ipnotico. Mi studiava.
“Vince chi resiste di più al tocco dell’altro senza cedere.”
Merda.
Era un gioco pericoloso, ed entrambi sapevamo come sarebbe finita. Ma ero pronto a rischiare.
Mi sistemai meglio sulla sdraio. “Sei sicura di poter vincere?”
Lei rise piano, inclinando la testa. “Oh, tesoro… tu non hai idea di chi hai davanti.”
Fu lei a iniziare.
Si alzò lentamente, scivolando sulla mia sdraio fino a ritrovarsi a cavalcioni su di me.
Non potevo più muovermi. Il suo bacino era premuto sul mio.
“Vediamo chi cede per primo…” sussurrò, mordendosi il labbro mentre mi guardava dall’alto in basso.
Cristo santo.
Si mosse appena, quel tanto che bastava a farmi sentire ogni centimetro del suo corpo contro il mio.
“Ti vedo teso,” ridacchiò, facendomi scorrere le dita lungo il petto, scendendo piano, troppo piano, fino all’orlo della maglietta.
Era impossibile resisterle.
Allungai le mani per prenderle i fianchi, ma lei me le bloccò, scuotendo la testa. “No, no. Se vuoi toccarmi, devi prima vincere.”
Stronza.
Respirai a fondo, cercando di mantenere il controllo, ma lei non aveva finito. Si sporse in avanti, facendomi sentire il suo seno contro il mio torace, le labbra pericolosamente vicine al mio collo.
“Resisti ancora?” sussurrò contro la mia pelle.
Chiusi gli occhi un secondo, cercando di non cedere. Ma lei non si fermava. Era una tortura lenta, esasperante.
La sua bocca sfiorò il mio orecchio, un sospiro caldo. “Non vuoi perdere il controllo con me?”
Lo stavo già perdendo.
Allora decisi di contrattaccare.
Le mie mani si mossero in una frazione di secondo: la afferrai per i fianchi e la spinsi sulla schiena, invertendo le posizioni. Ora ero io sopra di lei.
Lucrezia rise, eccitata dalla mia reazione. “Oh, quindi vuoi giocare duro?”
Abbassai la testa, lasciando che le mie labbra sfiorassero appena la sua spalla. “Vediamo chi resiste davvero…”
Le scivolai lungo il collo con la bocca, fino alla clavicola. La sentii tremare sotto di me. Avevo vinto.
Improvvisamente, mi spinse via con un sorriso furbo. Non aveva ancora finito con me.
salì di nuovo sopra di me senza esitazione e questa volta con movimenti più intensi.
Lei era brava. Dannatamente brava.
Lucrezia si muoveva sopra di me con una sicurezza disarmante, il bacino che sfiorava il mio in movimenti lenti e ipnotici. Una tortura lenta, continua, esasperante.
“Scommetto che stai impazzendo,” sussurrò vicino al mio orecchio, la sua voce un soffio caldo contro la pelle.
Aveva ragione. Cristo, se aveva ragione.
Cercai di restare fermo, di non cedere. Stringevo i pugni ai lati del lettino della sdraio, concentrandomi su qualsiasi cosa che non fosse lei, che non fosse il suo corpo addosso al mio, le sue labbra che sfioravano appena la mia pelle senza mai baciarmi davvero.
“Non vuoi perdere il controllo con me?” mi provocò, lasciando scorrere la punta del naso lungo la mia mascella, appena un centimetro sopra le labbra.
Bastava un millimetro e l’avrei baciata.
Bastava che abbassassi la testa, che lasciassi andare il respiro che mi stavo trattenendo.
E poi lo fece.
Si abbassò di quel millimetro. Sfiorò le mie labbra con le sue, ma senza baciarmi.
Persi il controllo.
Le mani si sollevarono da sole, la afferrai per i fianchi per bloccarla contro di me, per farle sentire quanto mi stava facendo impazzire. Cercai il suo bacio, lo volevo, lo pretendevo.
Ma appena i nostri corpi si strinsero troppo, Lucrezia si fermò.
Un sorrisetto soddisfatto si allargò sulle sue labbra. “Hai perso.”
La guardai, il respiro pesante, la frustrazione che mi bruciava addosso. “Cosa?”
Lei rise, scivolando via da sopra di me con la grazia di una dannata sirena. Si sistemò la maglietta, stirandola sul petto come se niente fosse, poi mi guardò con quegli occhi scuri, pungenti. Fiera della sua vittoria.
“Ti ho detto che il gioco era resistere,” mi ricordò, incrociando le braccia sotto il seno. “E tu hai ceduto per primo.”
Dannazione.
Mi tirai su a sedere, ancora col fiato corto. Lei mi fissava con aria divertita, come se si stesse godendo ogni singolo secondo della mia frustrazione.
“Allora,” dissi, cercando di riprendermi, “che pegno devo pagare?”
Lucrezia si avvicinò, troppo vicina. Scivolò con le mani lungo il bordo della mia maglietta, poi afferrò il tessuto e iniziò a tirarlo su.
Me la fece togliere.
“Sei troppo vestito,” commentò con un sorrisetto. “Ora molto meglio.”
Rimasi in mutande davanti a lei, il petto scoperto, il respiro ancora irregolare. Lei invece era ancora vestita, ancora intoccabile.
Era una condanna.
Si accovacciò accanto a me, mi passò un dito sul petto, lentamente. “Ma non è abbastanza,” mormorò.
Deglutii. Cristo, voleva umiliarmi?
“Allora che altro devo fare?” chiesi, la voce roca.
Lucrezia si mordicchiò il labbro, poi si abbassò fino a sussurrarmelo all’orecchio.
E quello che mi disse mi fece perdere completamente la testa.
Lucrezia si avvicinò ancora, fino a sfiorarmi l’orecchio con le labbra. Il suo respiro caldo mi accarezzò la pelle, mandandomi un brivido lungo la schiena.
“Voglio che ti tocchi davanti a me.”
Il mondo si fermò.
Mi irrigidii, il cuore che martellava nel petto. “Cosa?”
Lei si allontanò appena per guardarmi negli occhi, quel sorrisetto malizioso ancora sulle labbra. Era seria.
“Sei eccitato, no?” mi sussurrò. “Lo vedo benissimo…” Il suo sguardo scese, indugiando senza vergogna sulle mie mutande. “Paghi il pegno, oppure sei un coniglietto?”
Dannata Lucrezia.
Mi sfidava, mi metteva all’angolo, e sapeva che non potevo tirarmi indietro.
Deglutii, il respiro pesante. Il desiderio mi divorava, e lei lo sapeva bene. Era un gioco crudele, eppure non riuscivo a fermarla.
Lei si mise comoda, si sdraiò sul lettino accanto a me, appoggiando il gomito sul bracciolo per sorreggere la testa. Mi guardava, aspettava.
Lucrezia non si era mai tirata indietro. Mai.
E nemmeno io lo avrei fatto.
Il suo sorrisetto soddisfatto mi sfidava, gli occhi scuri che mi studiavano senza imbarazzo mentre rimaneva sdraiata sulla sdraio accanto alla mia, il gomito piegato, la testa appoggiata sulla mano. Sapeva che l’avrei fatto.
Voleva vedermi cedere.
Bene.
Con il respiro pesante e il cuore che batteva all’impazzata nel petto, lasciai scivolare una mano sotto l’elastico delle mutande. Il contatto mi fece rabbrividire, il calore del mio stesso corpo mi travolse.
Lucrezia non abbassò lo sguardo nemmeno per un istante. Anzi, si morse il labbro, socchiudendo leggermente gli occhi mentre mi osservava, il respiro più profondo.
“Sei incredibile…” mormorò, quasi divertita, facendo scorrere lentamente la lingua sulle labbra.
Lei si stava godendo ogni secondo.
Stringendo i denti, spostai lo sguardo su di lei, che rimaneva lì, ad ammirarmi, senza il minimo accenno di vergogna. Non si toccava, non faceva nulla. Ma i suoi occhi parlavano.
“Sto pensando a te,” sussurrai, la voce roca, tagliente.
Lei sgranò gli occhi per un attimo, sorpresa dalla mia sfacciataggine. Poi ridacchiò, scuotendo la testa.
“Oh, davvero?” disse, inclinando leggermente il viso. Il suo sorriso si fece più spietato.
Si tirò su, con calma, fino a mettersi a cavalcioni sulla sdraio. I suoi fianchi oscillavano leggermente, il seno si muoveva con ogni suo respiro.
E poi, con una lentezza disarmante, portò le mani all’orlo della maglietta e la sollevò, lasciandola cadere di lato.
Era senza reggiseno.
Il mio respiro si bloccò.
I suoi seni erano perfetti, pieni, la pelle calda e ancora leggermente lucida dal sudore della giornata. I suoi capezzoli si indurirono nell’aria fresca della notte, e lei non fece nulla per coprirsi.
Mi guardava e aspettava.
Sapeva benissimo cosa stava facendo.
La mia mano si mosse con più sicurezza, mentre il piacere si faceva sempre più intenso. Lei mi guardava e rideva appena, perfettamente consapevole di tutto.
Poi inclinò leggermente la testa, guardandomi con quegli occhi di fuoco e io le dissi: “Chissà se al tuo ragazzo piacerebbe quello che stai facendo…” sussurrai, perfido.
Uno schiocco nel cervello.
Una fitta di pura rabbia e desiderio la trafisse.
Prima che potessi fermarmi, lei allungò una mano e mi afferrò l’intimità con decisione.
Un gemito soffocato mi sfuggì dalle labbra.
Era una morsa decisa, possessiva, dominante.
I suoi occhi si inchiodarono nei miei, il sorriso sulle labbra era puro veleno.
“Ti piace?” mormorò, stringendo leggermente.
Non riuscivo nemmeno a parlare.
Lei rise, compiaciuta. Poi lasciò la presa e si rimise la maglietta, con la stessa calma con cui l’aveva tolta.
Mi lanciò un’ultima occhiata, poi si avvicinò al mio orecchio e sussurrò:
“Buonanotte, bamboccio.”
E se ne andò, lasciandomi lì. Impazzito.
Non riuscivo a togliermela dalla testa.
Ogni immagine della sera prima mi tormentava. Il suo sguardo sfacciato, il suo seno perfetto esposto con disinvoltura, il modo in cui mi aveva afferrato senza esitazione, senza paura.
Mi svegliai con il corpo ancora teso, il desiderio così forte da far male. Ero impazzito.
Rimasi chiuso nel bungalow tutta la mattina, cercando di rimettere insieme i pezzi. Ma come diavolo si faceva a rimanere indifferenti dopo una cosa del genere?
Alla fine, nel primo pomeriggio, decisi di uscire e andai in piscina. Volevo vederla. Anche se non ero sicuro di come avrei reagito.
E infatti…
Appena la vidi, il respiro mi si bloccò.
Lucrezia era sempre lei: solare, disinvolta, con quell’allegria leggera che la rendeva irresistibile. Indossava il costume a due pezzi dell’animazione, quello ufficiale del villaggio, ma su di lei sembrava un’arma di distruzione di massa.
Il pezzo superiore stringeva il suo seno abbondante, lasciando scoperte le spalle abbronzate e quel contrasto più chiaro sulla pelle del décolleté, che mi faceva impazzire. Il pezzo inferiore era uno slip sgambato, che metteva in risalto le sue cosce tornite e il fondoschiena perfetto. Non c’era niente di esagerato in quell’outfit, ma su di lei ogni dettaglio sembrava studiato per farmi perdere la testa.
Mi vidi riflesso nell’acqua della piscina: ero teso, rigido, con gli occhi puntati su di lei come un uomo affamato.
E lei?
Rideva e scherzava con gli altri animatori, come se niente fosse successo. Come se non mi avesse distrutto la sera prima.
Io non avevo il coraggio di provocarla.
Troppo rischioso. Troppo pericoloso.
Ma non servì.
Perché fu lei a venire da me.
Si avvicinò con quella sua andatura leggera, il corpo ancora bagnato dall'acqua della piscina, le gocce che le scivolavano lungo la pelle abbronzata, giù per il collo, fino al seno.
Lo slip del costume le aderiva perfettamente, e la pelle lucida rendeva ogni curva ancora più evidente. Era una visione da infarto.
Si fermò accanto a me, troppo vicina. Il suo fianco sfiorò il mio, e la sua voce calda mi accarezzò l’orecchio.
"Sei sparito stamattina."
Deglutii, cercando di non tradirmi. Dovevo essere distaccato. Dovevo essere forte.
"Ero stanco," dissi con un'alzata di spalle.
Lucrezia rise piano. "O forse… avevi bisogno di sfogarti?"
Mi irrigidii. I suoi occhi sapevano troppo.
Non risposi. Non volevo darle il controllo.
Ma lei non aveva bisogno di parole per sapere che mi aveva in pugno.
Si sedette sul bordo della piscina e si lasciò cadere all'indietro, allungandosi con un movimento lento e studiato. Le sue gambe si distesero accanto alle mie, il suo busto si arcuò leggermente, e il suo seno si sollevò in modo quasi ipnotico.
Mi lanciò un'occhiata di sfida.
"Che c’è? Sei timido oggi?"
Dovevo reagire.
Mi voltai verso di lei e mi sporsi, lasciando che il mio viso si avvicinasse al suo. Troppo vicino.
"Ti piacerebbe, vero?" mormorai.
Lei sorrise e, con una lentezza esasperante, fece scivolare una mano sul mio petto nudo. Un tocco leggero, quasi innocente. Ma il suo sguardo diceva tutto il resto.
"Chissà…" sussurrò, tracciando con le dita una linea invisibile sulla mia pelle. "Forse mi piace vederti così."
Era una tortura.
E io non ce la facevo più.
Mi alzai di scatto, prendendola per il polso. Non forte, ma abbastanza da farle capire che non volevo più stare al gioco senza reagire.
Lei mi guardò, sorpresa ma divertita. "Oh… così mi trascini via?"
"In un posto più tranquillo," dissi, la voce bassa, tesa. "Visto che ti piace così tanto giocare…"
Lei rise, ma non si tirò indietro. Lasciò che la guidassi via dalla piscina, oltre il bar, tra i vialetti del villaggio.
Ci infilammo in uno degli spogliatoi vicino ai campi sportivi, quelli piccoli e angusti, con una porta mezza rotta e la luce fioca. Era appena sufficiente per vederla chiaramente.
E bastava.
Sbattei la porta dietro di noi e, prima che potesse dire qualcosa, la spinsi delicatamente contro il muro.
I suoi occhi si accesero.
"Oh…" mormorò con un sorriso malizioso. "Sei diventato audace tutto a un tratto?"
"Ti piaceva quando ero timido?" ribattei a denti stretti.
Lei si mordicchiò il labbro, lo sguardo infuocato.
Le mie mani scivolarono sui suoi fianchi, le dita a sfiorare la pelle ancora umida dal bagno. Era calda, morbida. Un dannato incantesimo.
Mi avvicinai ancora di più, il mio petto sfiorò il suo. "Dimmi che non mi vuoi," la sfidai.
Lucrezia sollevò il mento, provocante. "Dimmi tu che smetterai di desiderarmi."
Dannata strega.
La mia bocca sfiorò la sua, il respiro intrecciato. Era troppo.
E poi, quando ero a un soffio dal baciarla…
Lei sorrise e mi spinse indietro, le mani piantate contro il mio petto.
"Sei sicuro di poter gestire questo gioco?" sussurrò.
La osservai, con il petto che si sollevava e abbassava rapido. Cosa voleva? Perché mi portava sempre al limite per poi fermarsi?
Ma questa volta… questa volta non poteva più tirarsi indietro.
Le afferrai i polsi e la bloccai contro il muro, il mio respiro contro il suo collo. "Questa volta non scappi," mormorai.
E fu allora che cedemmo entrambi.
La sua bocca trovò la mia in un bacio feroce, affamato, tutto ciò che avevamo trattenuto fino a quel momento esplose in un istante.
Le mani di Lucrezia si aggrapparono alle mie spalle, le sue unghie affondarono appena nella pelle. Il mio corpo la premette contro il muro, i suoi fianchi combaciavano perfettamente con i miei.
Era bollente. E io la volevo come non avevo mai voluto niente in vita mia.
Ma anche in quel momento, anche mentre la tensione ci consumava, lei non smise di giocare.
Si staccò appena, le sue labbra a un soffio dalle mie. "E il mio ragazzo?" sussurrò, con una malizia crudele.
Non me ne fregava più niente.
Ma prima che potessi dirlo, la sua mano scivolò giù, decisa, a stringermi senza esitazione.
Mi mancò il fiato.
"E adesso?" mormorò, stringendo un po’ di più. "Pensi ancora a lui… o solo a me?"
Mi morse il labbro, mi affondò le unghie nella schiena, come se volesse marchiarmi.
E poi, con una lentezza assassina, si tirò via il sopra del costume.
Rimasi senza fiato.
Il suo seno nudo, perfetto, a pochi centimetri da me.
Lucrezia lo sfiorò con le mani, poi si passò un dito sulle labbra e mi guardò con una sfida accesa negli occhi.
“Allora?”
Persi la testa.
Mi abbassai su di lei e la mia bocca si chiuse su uno dei suoi seni, i miei denti sfiorarono la pelle tesa, la mia lingua giocò con il suo capezzolo duro.
Lei gemette piano, mordendosi il pugno per non fare rumore.
Mi strinse la testa contro di sé, spingendomi a continuare.
La volevo completamente. Lei lo sapeva.
E poi la sua mano scese più giù.
Mi sentii bruciare vivo.
Le nostre bocche si cercarono di nuovo, mordendosi, divorandosi, incatenandosi in un gioco feroce.
La mia mano scivolò sotto il bordo del suo slip, pronta a…
TUM.
Un colpo alla porta.
Ci irrigidimmo.
Una voce dall’esterno:
“Ehi, c’è qualcuno dentro?”
Il cuore mi esplose nel petto.
Lucrezia si immobilizzò, ma nei suoi occhi c’era più eccitazione che paura.
Mi fissò con un sorriso pericoloso, poi si portò un dito sulle labbra.
Silenzio.
Rimanemmo immobili, i nostri corpi ancora incollati, a un millimetro dall’irreparabile.
Il silenzio si spezzò con un’altra voce dall’esterno:
“Ehi, tutto ok lì dentro?”
Lucrezia mi guardò con un sorriso pericoloso e poi, senza scomporsi minimamente, si staccò da me e si abbassò il costume con una calma disarmante. Come se non fossimo appena stati sul punto di esplodere.
Si schiarì la voce e rispose, con un tono perfettamente naturale:
“Sì, scusa, ho avuto un problema col costume, si era incastrato. Ma esco subito.”
Dall’altra parte la persona sembrò accettare la spiegazione, perché si allontanò senza altre domande.
Lucrezia si voltò verso di me con quello sguardo che mi faceva impazzire, a metà tra l’innocenza e la più feroce delle provocazioni. Si avvicinò di nuovo, mi prese il viso tra le mani e sfiorò appena le mie labbra con le sue.
“Vediamo cosa succede stanotte.”
Un brivido mi attraversò la schiena.
Lei mi fissò ancora per un secondo, poi girò la maniglia e sgusciò fuori con una disinvoltura perfetta, come se nulla fosse accaduto.
Io rimasi lì, nel minuscolo spogliatoio che ancora tratteneva l’odore della sua pelle e il calore dei nostri corpi, con il cuore che martellava nel petto e un desiderio che mi stava distruggendo.
Dovevo aspettare qualche minuto prima di uscire. Dovevo calmarmi.
Ma sapevo che non ci sarebbe stato nulla di calmo in quella notte.
3
4
voti
voti
valutazione
6.6
6.6
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Il gioco della ninfomane tettona - capitolo 2 di 4
Commenti dei lettori al racconto erotico