Il gioco della ninfomane tettona - capitolo 2 di 4

di
genere
tradimenti

Il sole era alto nel cielo quando raggiunsi la spiaggia. L’acqua era limpida, la sabbia calda sotto i piedi.
Mi stesi sul lettino, chiusi gli occhi e lasciai che il suono delle onde mi rilassasse. O almeno, ci provai.
Perché nella mia testa c’era solo lei.
Lucrezia.
La sua pelle dorata, il sorriso sfrontato, la voce bassa e insinuante della sera prima.
"mi sono sentita un po’ osservata…"
Mi aveva distrutto con due parole.
E sapevo che non era finita lì.

Non dovetti aspettare molto.
Era quasi mezzogiorno quando sentii un’ombra coprirmi il viso. Aprii gli occhi.
Lucrezia.
In piedi accanto a me, con il sole che le illuminava il profilo.
Sorridente. Sfrontata. Perversa.
Indossava il completino da animatrice: shorts cortissimi e una canotta bianca con il logo del villaggio. Senza reggiseno. E si vedeva.
“Te la stai spassando, eh?”
La sua voce era leggera, scherzosa. Ma gli occhi dicevano altro.
Mi stiracchiai senza smettere di guardarla.
“Qualcuno deve pur farlo…”
Lei sorrise e si abbassò lentamente, appoggiandosi sulle ginocchia accanto a me. Troppo vicino.
Sentii il suo profumo, il calore della sua pelle. Il seno sodo che sfiorava il mio braccio.
Stava giocando.
Si morse il labbro.
“Peccato che non ti piaccia divertirti…”
La guardai di sbieco. “E chi ha detto che non mi piace?”
Lucrezia allungò le gambe e si sedette sul bordo del lettino. Aprì appena le cosce.
Abbastanza perché io vedessi.
Il costume blu scuro spariva tra la pelle dorata. Un contrasto da impazzire.
Sapeva esattamente dove volevo guardare. E me lo stava lasciando fare.
Poi si passò una mano tra i capelli corti, facendo finta di aggiustarseli. Ma il vero colpo basso fu un altro.
Si bagnò le labbra con la lingua.
Lentamente.
Con intenzione.
Mi tese una bottiglietta d’acqua.
“Bevi. Ti vedo accaldato.”
Figlia di puttana.
Presi la bottiglia senza distogliere lo sguardo dal suo.
Lei si alzò con un movimento fluido, si sistemò i pantaloncini e si voltò.
Ma prima di andarsene, mi sussurrò un’ultima cosa.
“Se cambi idea sul divertirti… cercami.”
E se ne andò.
Lasciandomi bollire sotto il sole.

Dopo pranzo, decisi di buttarmi in piscina per cercare un po’ di sollievo.
L’acqua era fresca, il sole meno aggressivo. E di Lucrezia, nessuna traccia.
Meglio così. Avevo bisogno di riprendere il controllo.
Mi appoggiai al bordo della piscina, rilassandomi contro la ceramica calda.
E fu allora che la vidi.
Lucrezia, di nuovo.
Ma questa volta era peggio.
Molto peggio.
Indossava il costume intero dell’animazione.
Blu scuro, aderente. Una seconda pelle.
La scolpiva ovunque, dal seno abbondante ai fianchi stretti, fino alle cosce piene e perfette.
E sapeva benissimo quanto fosse provocante, perché quando mi vide, sorrise.
Si avvicinò con la solita lentezza e si sedette sul bordo della piscina, lasciando penzolare i piedi nell’acqua.
Le cosce strette.
Le mani appoggiate sui fianchi.
Si chinò appena in avanti.
E parlò con quella voce morbida che mi faceva impazzire.
“Allora? Ti sei divertito oggi?”
Non risposi. Lei rise.
Poi, senza avvisare, si lasciò scivolare in acqua.
Il costume si incollò al corpo bagnato. Ogni curva. Ogni centimetro.
Mi venne addosso, galleggiando accanto a me.
Troppo vicino.
Sentii il suo ginocchio sfiorarmi il fianco sott’acqua. Un tocco leggero, ma devastante.
Poi la sua voce mi arrivò all’orecchio, un sussurro appena sopra il rumore dell’acqua.
“Stanotte… hai pensato a me?”
Cazzo.
Sorrise. Aveva visto il mio respiro spezzarsi.
E rincarò la dose.
Avvicinò le labbra al mio orecchio e sussurrò piano.
“Ti sei toccato pensando a me?”
Mi mancò l’aria.
Le sue mani scivolarono sott’acqua, lungo i miei fianchi. Non abbastanza da toccarmi. Ma abbastanza da farmi impazzire.
La guardai negli occhi. Scuri. Affilati. Maledettamente perversi.
Ma non c’era più traccia di sorriso.
Era seria. Voleva davvero una risposta.
Respirai forte.
“Che dici?”
Lucrezia si morse il labbro. Dovevo fermarla.
Ma non lo feci.
Lasciò che le dita sfiorassero appena il bordo del mio costume. Un soffio di contatto.
Poi si allontanò di colpo.
Tornò a galleggiare pigramente, come se nulla fosse.
E sorrise di nuovo.
“Sapevo che eri uno che sa divertirsi…”
E nuotò via.
Lasciandomi da solo.
A pezzi.

Aveva vinto.
Perché a quel punto ero già suo.
Ed entrambi lo sapevamo.

Dopo cena, la baby dance attirava tutte le famiglie nella piazzetta centrale. I bambini saltavano felici, mentre gli animatori ballavano con loro con sorrisi smaglianti.
E tra loro, ovviamente, c’era lei.
Lucrezia.
La cercai subito. E la trovai all’istante.
Era lì, al centro della pista, i movimenti fluidi e naturali mentre si scatenava sulle note di una canzone estiva. Gli shorts minuscoli. La maglietta che si alzava ogni volta che si muoveva.
Le cosce piene. Il seno che rimbalzava sotto il tessuto leggero.
La fissavo senza vergogna.
E lei lo sapeva.
Mi lanciò un’occhiata di sfida mentre faceva girare una bambina su se stessa. Un sorriso malizioso.
Era una guerra aperta.
E io non avevo più intenzione di stare a guardare.
Mi avvicinai, fermandomi proprio accanto a lei.
Lei mi sentì. Lo so perché il suo corpo si irrigidì appena, per poi rilassarsi di nuovo.
Senza smettere di muoversi, mi lanciò un’occhiata di traverso.
Sorrisi. “E il tuo fidanzato?”
Lei non smise di ballare.
“Che vuoi dire?”
Mi piegai verso il suo orecchio. Il profumo della sua pelle mi investì.
“Ti permetterebbe di scherzare così con un altro?”
Finalmente smise di ballare. Si voltò verso di me con quel sorriso da gatta che mi faceva impazzire.
Si passò una mano tra i capelli corti e ondulati.
E rise.
Una risata leggera, come se la mia domanda fosse stata una sciocchezza.
Poi si avvicinò, troppo vicino, e mi sussurrò in un orecchio:
“Scherzare non è tradire, no?”
Il suo fiato caldo mi sfiorò la pelle.
Mi voltai per guardarla negli occhi. Scuri. Furbi.
Pieni di intenzioni.
Lei si mordicchiò il labbro, poi si raddrizzò e disse con noncuranza:
“Ti va una passeggiata in spiaggia? Stasera sono libera.”
Alzai un sopracciglio. “E il tuo ragazzo?”
Sorrise di nuovo. “Non credo possa controllarmi a 500 km di distanza.”
E si allontanò.
Lasciandomi con il cuore che batteva come un tamburo.

La spiaggia di notte era un altro mondo.
La luna illuminava la sabbia bianca, l’aria era calda, il mare calmo.
Lucrezia mi stava già aspettando accanto alla rete da beach volley.
Era scalza, con la sabbia sotto i piedi e un sorriso da diavoletta.
La canotta aderente, i pantaloncini così corti che sembravano inesistenti.
“Allora?” disse giocando con la palla. “Sei capace di giocare o sai solo guardare?”
Stronza.
“Vuoi davvero sfidarmi?”
Lei rise e lanciò la palla in aria con un palleggio perfetto. “Vediamo se sei all’altezza.”
E iniziò il gioco.

Era un massacro.
Non per il punteggio. Ma per quello che stava facendo.
I suoi movimenti non erano casuali.
Ogni salto, ogni curva del suo corpo erano calcolati per distrarmi.
Quando si chinava per raccogliere la palla, il fondoschiena perfetto si alzava nella mia direzione.
Quando saltava per schiacciare, il seno ondeggiava sotto la maglietta.
Quando correva sulla sabbia, le cosce si stringevano e si aprivano come in una danza ipnotica.
Ero completamente fottuto.
Poi successe.
Scattai per prendere la palla, ma lei fece lo stesso.
Ci scontrammo.
E cadde.
Nella sabbia, con il fiato spezzato.
Mi chinai subito per aiutarla.
Ma quando le presi la mano per tirarla su, il contatto durò un secondo di troppo.
I nostri corpi vicini.
Il mio respiro affannato. Il suo calore contro il mio petto.
Le nostre labbra a pochi centimetri di distanza.
Il suo sguardo si abbassò sulla mia bocca. Per un attimo, pensai che mi avrebbe baciato.
Poi si scostò appena.
Si avvicinò al mio orecchio e sussurrò:
“Attento a giocare con me.”
Mi bloccai. La tensione era elettrica.
Lei si rialzò con un movimento lento e sinuoso, si scrollò la sabbia di dosso e mi guardò con quel sorriso perverso.
“Sai che mi è venuta in mente una cosa?”
La voce bassa, morbida.
Inclinai la testa. “Dimmi.”
Si accarezzò la coscia, come per togliere la sabbia, ma il movimento era troppo sensuale per essere innocente.
Poi mi guardò dritto negli occhi.
“Perché non rendiamo la partita più interessante?”
Inarcai un sopracciglio. “Interessante come?”
Lucrezia sorrise.
“Facciamo così: ogni volta che uno di noi segna un punto… l’altro si toglie un indumento.”
Mi si seccò la gola.
Era pazza.
E sapeva esattamente cosa stava facendo.

Rimasi in silenzio per qualche secondo.
Poi sorrisi.
“Sei sicura di voler giocare a questo gioco?”
Lucrezia si passò la lingua sulle labbra.
“Io sì. Tu?”

Accettai la sfida senza esitazione.
Senza esclusione di colpi.
E sapevo benissimo che non si sarebbe trattato solo di un gioco. Era una guerra di resistenza, di provocazioni, di tensione.
Ero determinato a vincere.

Il gioco inizia
Lucrezia servì per prima.
Palla alta, movimento fluido.
Mi aspettavo una schiacciata potente, ma invece la toccò appena con la punta delle dita.
Un pallonetto.
Maledizione.
Corsi per prenderla, mi tuffai sulla sabbia, ma la palla colpì terra un secondo prima della mia mano.
Punto suo.
E ora toccava a me.
Lucrezia si mise una mano sul fianco, il sorriso stampato sulle labbra.
“Allora? Regola è regola.”
Mi guardava con aria di sfida, aspettando che mi togliessi qualcosa.
Senza distogliere lo sguardo da lei, mi tolsi la maglietta con un gesto rapido.
Lei mi squadrò.
Senza vergogna.
Si morse il labbro, poi ridacchiò. “Niente male. Vediamo se hai anche il talento per giocare.”
Avevo talento.
E lo dimostrai subito.

Servii con forza, questa volta non mi sarei fatto fregare.
Lucrezia provò a ricevere, ma la palla si impennò male. Corse per recuperarla, ma finì con il culo nella sabbia.
“Ops.”
Mi avvicinai, piegandomi con un sorrisetto. “Mi sa che ora tocca a te.”
Lei sbuffò, poi, con estrema lentezza, afferrò l’orlo della sua canotta e se la sfilò via.
Il reggiseno sportivo stringeva il suo seno abbondante, sollevandolo perfettamente. La pelle ambrata e sudata, il chiaro stacco del costume sulla scollatura.
Inghiottii a vuoto.
Lei lo notò.
Rise e si rialzò, avvicinandosi troppo mentre mi passava la palla.
“Ti sei distratto?” sussurrò.
Maledetta.

La partita continuò.
Punto dopo punto, ci spogliammo entrambi.
Io rimasi in boxer.
Lei in reggiseno e slip.
E il problema era che il reggiseno non copriva molto.
I seni sodi spingevano contro il tessuto, i capezzoli appena visibili sotto il sudore e la stoffa attillata.
Lo slip era aderente, basso sui fianchi.
Una maledizione.
Il mio cervello era in fiamme. Ogni movimento del suo corpo era una tortura.

Il punto finale
Ero concentrato.
Lei servì, io ricevetti con forza e schiacciai.
Punto mio.
L’ultimo.
Avevo vinto.
E ora…
Mi avvicinai con il fiato corto, il cuore che martellava.
“Ultima regola, no?” dissi con un sorriso.
Lucrezia mi guardò senza dire nulla.
Poi, senza preavviso, mi spinse forte sul petto.
Caddi sulla sabbia, di schiena.
E lei mi montò sopra.

Mi bloccò con le gambe sui fianchi.
Il suo peso sopra di me.
Il suo respiro caldo sul mio viso.
Mi afferrò il mento e mi fece alzare lo sguardo verso di lei.
Lo slaccio del reggiseno fu lento.
Lo lasciò cadere.
E i suoi seni si rivelarono davanti ai miei occhi.
Perfetti. Sodi. Troppo da sopportare.
Avevo la bocca asciutta, il cuore impazzito.
Lei lo sapeva.
Mi strinse la faccia tra le dita, con un sorrisetto crudele.
Si avvicinò al mio orecchio.
“Troppo da gestire per te, bamboccio.”
Poi si rialzò con calma, raccogliendo il reggiseno dalla sabbia come se non fosse successo nulla.
Mi lasciò lì.
In mutande. Sconvolto. Fuori di testa.
No.
Non poteva andarsene così.

Con uno scatto la afferrai per il polso e la tirai giù con me.
“Ehi!” esclamò, cadendo sulla sabbia con un tonfo leggero.
Mi misi sopra di lei, bloccandola con il mio peso.
Le nostre pelli calde e sudate si sfiorarono, la sabbia ci graffiava la pelle, i nostri respiri erano corti.
Mi fissava, gli occhi scuri illuminati dalla luna.
Sfidanti.
Divertiti.
Mi avvicinai al suo viso, senza distogliere lo sguardo.
“Senti,” dissi a bassa voce, con un sorriso storto. “Non sono un bamboccione.”
Lucrezia sollevò un sopracciglio, senza scomporsi.
Mi feci ancora più vicino.
La mia mano scivolò sul suo fianco, poi salì, avvicinandosi al seno scoperto.
Quella visione perfetta, provocante, proibita.
Avevo il fiato corto.
Le mie dita sfiorarono appena la curva morbida del suo seno, ma prima che potessi afferrarlo…
Lei mi fermò.
La sua mano strinse il mio polso con fermezza.
Il suo sguardo si fece improvvisamente più serio.
“Basta giocare.”
Rimasi fermo.
Lei si leccò le labbra e abbassò lo sguardo.
“Sono fidanzata. Finché giochiamo è un conto… ma non voglio tradire il mio ragazzo.”

Mi irrigidii, il desiderio ancora bruciante dentro di me.
Ma la lasciai andare.
Subito.
Mi scostai, lasciandola libera.
Lucrezia si sedette lentamente, rimettendosi il reggiseno con estrema calma.
Io rimasi lì, seduto, sporco di sabbia e ancora in mutande, il respiro pesante.
La guardai di nuovo.
“Se non vuoi tradire,” mormorai, “perché mi stuzzichi così tanto?”
Lei rise piano, infilando una ciocca di capelli corti dietro l’orecchio.
Mi guardò negli occhi, poi si strinse nelle spalle.
“Mi piace stuzzicare gli sfigatelli.”

Mi lasciò lì.
Confuso. Frustrato.
E con il desiderio di vincere la prossima partita.
scritto il
2025-02-24
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